Appunti centrati sulla disciplina dei contratti. Si definisce quindi il diritto contrattuale tra codici nazionali e inter-nazionali e la costituzione italiana.
Si esplicitano successivamente le caratteristiche dei vari tipi di contratto: contratto (civile, commerciale, d'impresa, dei consumatori).
Si vede poi quali siano gli elementi e i requisiti della disciplina generale sui contratti in rapporto alle norme di settore.
Altro argomento trattato è la forza di legge del contratto (quindi la vincolatività, la rilevanza, l'efficacia e l'opponibilità).
Infine si indaga la parte della disciplina dei contratti relativi agli effetti del contratto e ai rimedi (la nullità, l'annullabilità, il dolo, la violenza, l'incapacità naturale e la circonvenzione di persone incapaci, la rescissione e il contratto giusto, la risoluzione per inadempimento e la risoluzione per diritto).
Disciplina giuridica dei contratti
di Stefano Civitelli
Appunti centrati sulla disciplina dei contratti. Si definisce quindi il diritto
contrattuale tra codici nazionali e inter-nazionali e la costituzione italiana.
Si esplicitano successivamente le caratteristiche dei vari tipi di contratto:
contratto (civile, commerciale, d'impresa, dei consumatori).
Si vede poi quali siano gli elementi e i requisiti della disciplina generale sui
contratti in rapporto alle norme di settore.
Altro argomento trattato è la forza di legge del contratto (quindi la vincolatività,
la rilevanza, l'efficacia e l'opponibilità).
Infine si indaga la parte della disciplina dei contratti relativi agli effetti del
contratto e ai rimedi (la nullità, l'annullabilità, il dolo, la violenza, l'incapacità
naturale e la circonvenzione di persone incapaci, la rescissione e il contratto
giusto, la risoluzione per inadempimento e la risoluzione per diritto).
Università: Università degli Studi di Firenze
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Diritto Civile, a.a. 2007/20081. Il diritto contrattuale inglese: il contract e la common law
Nelle codificazioni continentali ottocentesche il ruolo del contratto è centrale.
Nel diritto inglese, la scelta che matura nei secoli è diversa.
Il contract è il risultato non di una normativa scritta ma di una stratificazione di regole espresse in una
miriade di decisioni giurisprudenziali.
Se si vuol tentare una sintesi dei caratteri e dei principi basilari si può osservare quanto segue: anzitutto
spicca “la relativa assenza di norme giuridiche inderogabili”, perché la legislazione ha prevalentemente
carattere sistematico e dispositivo e la maggior parte delle regole vanno ricercate nelle fonti
giurisprudenziali.
L’idea di base è che la valutazione dell’attività privata e imprenditoriale, in particolare, “deve essere
flessibile e pronta ad adattarsi ai rapidi cambiamenti della società”.
Sicché la legge deve “predisporre un insieme bilanciato di diritti e obblighi che troveranno applicazione in
mancanza di un accordo tra le parti”.
Da qui un ampio potere dei privati di creare e foggiare garanzie convenzionali in ogni forma, di stabilire
rimedi anche senza la necessità di far ricorso ai Tribunali.
Fra i principi ha un ruolo fondamentale il rapporto con l’etica e le pronunzie di equità.
Il diritto inglese non conosce un obbligo generale di buon fede e non è affatto sensibile ai temi dello
squilibrio delle prestazioni, sia originario che sopravvenuto.
Le Corti si preoccupano ben poco dell’iniquità sostanziale, mentre grande risalto viene dato “alla slealtà
procedurale” tramite azioni che colpiscono l’omissione di informazioni su fatti rilevanti o reprimono la
violenza fisica o morale.
L’idea di fondo è chiara: deve essere preferito un diritto certo e prevedibile ad una astratta giustizia
contrattuale, perché gli imprenditori debbono poter contare sull’adempimento preciso dei termini
dell’accordo; su di una interpretazione rigorosa di esso; su di un ragionevole grado di “continuità nel
pensiero giuridico”.
Alle regole di equità è riconosciuto un ruolo fondamentale nella storia della common law, ma se ne
tracciano con chiarezza i limiti.
La diffidenza verso il principio di buona fede espresso nelle codificazioni europee ha alla base il rifiuto del
principio di iniquità sostanziale e di proporzionalità.
Ciò perché “la stabilità dei contratti ha una particolare ha rilevanza”, l’autonomia delle parti deve essere
salvaguardata nella libertà di determinazione del contenuto contrattuale, i rimedi equitativi devono essere
limitati alle situazioni che implicano scorrettezza dal punto di vista procedurale.
In conclusione, si può osservare che la centralità dell’autonomia delle parti e del ruolo delle Corti hanno
determinato molti effetti positivi, con alcuni limiti dovuti all’eccesso di rigidità di alcune regole e
all’assenza di un confronto con il diritto uniforme che si sta cercando di costruire nell’Unione Europea.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 2. Il progetto giuridico borghese ed il Code Civil
Nei codici ottocenteschi, astrattezza ed eguaglianza formale sono nozioni fondamentali del progetto
giuridico borghese ed elementi su cui si costruisce la fattispecie contrattuale.
L’analisi non può che iniziare dal Code Civil, esaltando la sua fondamentale presenza nella storia del
contratto.
Il Code ha avuto di mira, più che la completezza, l’unità, intesa come memoria, sistema, simbolo.
Dunque il contratto è parte della memoria, di un sistema, di simboli essenziali.
La sua funzione è chiara: con esso si ribalta il sistema feudale, ove l’appropriazione dei beni e del prodotto
altrui si legittimava in base alla diversità del Signore rispetto al produttore e avveniva senza la volontà di
questi che era in soggezione.
Ne segue l’esaltazione dello scambio come forma generale che esige uguale capacità e libertà delle parti.
I limiti del Code consistono nel fatto che il giusnaturalismo sfocia in un rigido positivismo: un'unica fonte
sostituisce un pluralismo giuridico, che aveva alle spalle più di duemila anni di vita.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 3. Il modello tedesco del codice civile
Se il Code Civil consolida l’assetto antifeudale dei rapporti sociali, il BGB costruisce le categorie funzionali
alle necessità del tempo.
La struttura originaria del codice interessa oramai solo lo storico, stante l’altissimo numero di provvedimenti
legislativi o provenienti dalla Corte Costituzionale ha che hanno innovato la disciplina: da un lato,
l’introduzione nella Sezione I della Parte Generale delle definizioni di consumatore e di imprenditore, che
indica la chiara volontà di aprirsi a una nuova sistematica; dall’altro, l’inserimento nel corpo del codice delle
novità di provenienza comunitaria.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 4. Il contratto nel codice civile italiano
Il codice del 1865 riprese le idee espresse nel Code Civil.
Il codice del 1942, invece, nasce quando un regime muore; consolida idee in parte logore e non anticipa le
nuove, non ancora mature.
La sistematica della Costituzione è chiara: dopo i principi fondamentali, la prima parte muove dall’individuo
preso in esame prima come singolo, poi nelle diverse forme di vita sociale in cui è inserito.
I principi che si ricavano dal testo hanno valore non ricognitivo ma normativo, che hanno sicuro rilievo per
il contratto.
Questa doppia legalità ha effetti diversi nei vari periodi storici.
In un primo momento, sino agli anni ’60/’70, vi è stato un problema di rilettura dell’intero sistema del
codice civile.
Ogni settore è stato ripensato: il codice, sciolto dal legame con l’ordine corporativo, si è agganciato ai valori
costituzionali.
In una fase successiva, si sono moltiplicate le leggi speciali, secondo una cadenza che assume per alcuni il
vero aspetto di una decodificazione.
Le leggi disciplinano materie al di fuori e contro il codice, obbediscono a logiche autonome.
Sì che si teorizza un passaggio dal monosistema impostato sul codice ad un polisistema attorno al testo
costituzionale, ove graverebbero il codice e con pari dignità microsistemi di leggi speciali.
Negli anni ’90, sotto l’impulso della legislazione comunitaria, è mutata la costituzione materiale; su tutto ciò
dovremo soffermarci.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 5. Fonti convenzionali nel codice civile italiano
Che si basano su convenzioni sottoscritte dai singoli Stati che debbono essere ratificate dai relativi
parlamenti per divenire leggi ad ogni effetto.
Vari organi e istituzioni intervengono per promuovere un diritto uniforme a livello europeo e mondiale.
Fra di esse particolare importanza ha avuto l’Unidroit.
Un ruolo centrale assume la Convenzione sulla vendita internazionale di beni mobili tra professionisti di
Vienna del 1980 sottoscritta da oltre 60 Stati.
Con essa si è instaurato un unico diritto mondiale sulla vendita, capace di assicurare un regime giuridico
uniforme per l’esportazione e importazione di merci e di fornire un modello per tutti i successivi tentativi di
uniformazione.
La Convenzione regola esclusivamente la formazione del contratto, i diritti e le obbligazioni delle parti e
non la validità e gli effetti che dal contratto possono derivare, su cui era impossibile trovare una soluzione
gradita a tutti i sistemi nazionali.
In tal modo la Convenzione non si identifica con nessun ordinamento, perché vuole coniugarsi con tutti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 6. Fonti di origine sovranazionale nel codice civile italiano
Che promanano da un organo sovraordinato allo Stato.
Si può osservare che un Mercato comune, un’unione politica e una Costituzione materiale europea non
tollerano diversità accentuate nel diritto dei contratti ed esistono infatti numerosi atti che sollecitano gli
Organi comunitari alla elaborazione di strumenti di uniformazione e di consolidazione della disciplina.
Esiste peraltro un’acquis communautaire, formato da un’ampia serie di direttive recepite nei singoli Stati
membri, e sono al lavoro alcune Commissioni di studio per l’elaborazione di un codice del diritto privato
europeo.
D’altra parte, la Corte di Giustizia è stata uno dei formanti più significativi del processo di uniformazione.
Su ognuno di questi aspetti occorre soffermarsi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 7. L’acquis e gli atti del Parlamento, della Commissione e del
Consiglio dell’Unione Europea
Oltre 70 provvedimenti interessano il diritto dei contratti, per di più emanati fra gli anni ’80 e gli anni ’90: si
tratta di provvedimenti settoriali su aspetti assai diversi, soprattutto dei contratti dei consumatori, privi di un
contesto sistematico e volti a regolare aspetti del mercato interno.
Questo contesto di regole è effettivo e vigente ed ha un ambito più ristretto del diritto nazionale, riferendosi
alle “transazioni in cui almeno una delle parti agisce nello svolgimento della propria attività professionale”.
I suoi strumenti concernono prevalentemente regole di trasparenza e di uniformazione e rifuggono, perlopiù,
da norme imperative, difficilmente uni formavi con i singoli diritti nazionali.
Nell’ultimo decennio s’è però assistito ad una volontà delle Istituzioni dell’Unione di abbandonare il solo
ruolo di intervento attraverso le direttive, per spingersi con una volontà politica e uno sforzo tecnico
consistente verso la sollecitazione di attività concrete di uniformazione e armonizzazione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 8. Il quadro europeo dei contratti
Occorre ricordare che il laboratorio europeo si è arricchito di un testo di Common of Reference presentato
come la prima bozza accademica di un possibile Quadro comune di riferimento volta a contenere principi,
definizioni e modelli di regole sui contratti e altri atti giuridici, sulle obbligazioni e i corrispondenti diritti,
sui fatti illeciti e su altre obbligazioni non contrattuali, oltre ad alcuni contratti speciali.
Il tutto come materiale per una decisione politica sul diritto europeo dei contratti è stata annunciata dalla
Commissione entro il 2009.
La struttura articolata denota l’alto grado di approfondimento raggiunto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 9. La Corte di Giustizia nei rapporti tra Comunità e Stati
Nel 1963 la Corte aveva affermato “che i singoli possono far leva sulle disposizioni dei Trattati se questi
conferiscono loro diritti e impongono agli Stati membri un obbligo così preciso e incondizionato da poter
essere adempiuto senza la necessità di ulteriori misure”.
Ma la “costituzionalizzazione per via giudiziaria” è iniziata con l’affermazione, ad opera della Corte, l’anno
successivo, del primato del diritto comunitario rispetto alla legislazione precedente e successiva degli Stati
membri.
Dopo le prime forti rivendicazioni di competenza basate sui valori e tradizioni comuni, l’opera di
fondazione della Corte è andata alla ricerca di basi sicure, attraverso un processo tutt’altro che facile e
lineare.
È facile avvertire la difficoltà interpretativa di un sistema che si dilata da 6 a 25 Stati.
La Corte non ha brillato per un “elevato tasso di garantismo dinamico”, rispetto ad un Europa in profonda
evoluzione: i nuovi bisogni non hanno trovato tutela o non sono stati sottoposti al suo esame.
La vera eccezionalità dell’opera della Corte è stata nella sua capacità di incidere “nella dinamica dei rapporti
di potere fra Comunità e Stati membri”; nello “sviluppo di una higher law, di norme superiori a tutela dei
diritti fondamentali”.
La Corte ha evitato di formulare “principi giuridici”, ed esita ad intervenire sui problemi di equilibrio del
contratto rinviando al diritto interno.
Il “diritto comune” e il processo costituente europeo
Vari gruppi di studio stanno lavorando per tracciare le linee di un codice civile europeo, sui metodi di
comparazione, su varie ipotesi di possibile uniformazione, ma il testo che ha avuto più attenzione per i
risultati e per la lunga e sapiente attività di preparazione è ancora il corpus dei Principi di diritto europeo dei
contratti redatti dalla commissione Lando.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 10. Nozione di Contratto, Codice e Costituzione
Se si trascura l’idea di una armonizzazione blanda che lascia il mercato e le sue logiche arbitre dei processi
di uniformazione, sono tre le opzioni indicate nella Comunicazione della Commissione Europea del 2001:
incentivare la creazione di un quadro di principi;
formare un Codice da introdurre nell’ordinamento dell’Unione;
creare un Codice modello a cui ispirarsi per uniformare i testi nazionali e per approvarne di nuovi.
È noto che il termine “codice” richiama sempre il senso di una stabilizzazione e di una riunione di elementi
riconducibili ad un ordine fisso ed è molto dubbio che tale funzione possa oggi essere svolta da un testo
normativo.
Tutto ciò induce ad una prima riflessione sulla struttura di un diritto comune dei contratti.
Più che porsi come obiettivo il governo (impossibile) di una prassi in profonda evoluzione, occorre una
grande cornice, un codice di principi che “non galoppi dietro i fatti” ma sia capace di valorizzare gli apporti
dei vari attori sociali.
Se è così, integrare e coordinare i risultati dell’elaborazione dei Principi e creare una nuova legislazione a
livello comunitario sono due facce della stessa medaglia.
Si tratta casomai di porre in luce quali sono i dati ordinanti su cui fondare il testo e, per iniziare a fornire
qualche risposta, occorre porsi il problema del rapporto tra Codice e Costituzione.
La Carta dei diritti compie scelte precise: non la sovranità ma la Persona è posta al centro dell’azione
comune; la rilevanza dei diritti fondamentali costituisce un limite espresso al potere dei gruppi economici e
un vincolo di contenuto che configura ogni situazione e istituto del diritto dei privati.
Ciò implica un impulso per il legislatore europeo a relativizzare il precedente assetto fondato sulle logiche di
mercato e costituisce un segnale molto a predisporre un intervento legislativo per impedire che la
formazione del diritto europeo dei contratti sia delegata a centrali private” e per realizzare un corpo di regole
coerenti con le tradizioni nazionali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 11. La teoria generale del contratto nel sistema attuale delle fonti
In ogni settore di disciplina dell’atto di autonomia, dalla formazione all’efficacia, dalla validità ai rimedi,
emerge l’esigenza di un ordine.
Non fosse altro perché l’evoluzione tumultuosa di questi anni impone di riformulare il rapporto tra i sistemi
di base delle relazioni fra privati (la comunicazione, il linguaggio, le azioni) con il diritto.
Tale sistemazione evoca la necessità di principi, di regole generali.
Il dialogo con le altre scienze
L’esigenza di una grande cornice di principi implica una riflessione sulle fonti di produzione, ma anche
sull’essenza del contratto oggetto di tale generalizzazione.
Per la buona teoria generale occorre superare l’alternativa tra natura e storia prestando attenzione al
contratto, come entità sociale che ha una sua oggettività rispetto alla legge e alla natura delle cose.
Il contratto come atto sociale che deve essere valutato e disciplinato in base alle necessità e alle percezioni
del tempo.
Da qui la necessità di un dialogo forte con le altre scienze: la filosofia politica, la antropologia, l’etologia, le
teorie economiche.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 12. La Carta dei diritti e la Costituzione europea
Ma il giurista ha bisogno di dati positivi e in una stagione dell’esperienza giuridica “in cui per molti versi si
va perdendo la dimensione sistematica, la prospettiva europea assume un ruolo innovativo”.
Si comprende, così, l’attenzione che da qualche anno si sta dedicando alla Carta dei diritti fondamentali di
Nizza.
La ratifica di quelle norme, se e quando avverrà, sarà in grado di completare il passaggio da una Europa dei
mercati ad una Europa dei diritti.
Occorre interrogarsi, sin d’ora, sull’incidenza di quel complesso di regole e di principi sulla disciplina
generale del contratto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 13. Soggetto e contratto nel diritto
Il diritto europeo deve anzitutto precisare la rilevanza nuova del “soggetto” e del “contratto”.
La semplificazione che ha origine nella dottrina del ‘600 ed il suo esito nelle codificazioni ottocentesche ha
le sue linee guida nella semplicità, unità, libertà: un unico soggetto, un unico contratto, un’unica proprietà.
È emersa da tempo l’insufficienza di tale costruzione per dettare regole in ogni settore del diritto di privati.
Nei Principi Lando, si considera inefficace ogni clausola non negoziata contraria a buona fede e si amplia la
rilevanza dello squilibrio richiedendo, da un lato un ingiusto profitto o un vantaggio iniquo e dall’altro una
serie di circostanze (dipendenza, bisogno economico, necessità urgente, mancanza di esperienza) che
superano la nozione di incapacità o di bisogno contenuta nel codice civile italiano.
La Carta di diritti recepisce questa evoluzione.
Individua nella dignità umana il limite che conforma ogni situazione soggettiva e riconosce nuovi diritti e
nuove soggettività ai consumatori, ai minori, agli anziani, ai disabili.
Ciò muta radicalmente l’attenzione al soggetto e al contratto.
La diversa posizione soggettiva implica una diversità di potere negoziale che mina alla radice l’unità
ottocentesca, con una ricostruzione forte della rilevanza giuridica della supremazia o della soggezione di una
parte.
Superata l’unità e l’astrazione, la valutazione del contenuto del contratto è affidata sempre meno ad elementi
di struttura della fattispecie (volontà e causa) e sempre più ad una clausola generale di buona fede che
consenta al giudice di tener conto della correttezza e della posizione concreta di potere della parte.
Emerge così l’utilità e la tendenziale omogeneità di una clausola di buona fede come principio di controllo e
di limite alla libertà contrattuale, in termini diversi dal passato e nei modi che appaiano sempre più
omogenei alle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi dell’Unione.
La revisione del “dogma” e della disciplina dell’autonomia contrattuale è evidente e i caratteri essenziali
vanno recepiti nell’aggiornamento dei Trattati e nella formulazione di un codice europeo dei contratti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 14. Contratto e circolazione dei beni
Se confrontiamo le regole di circolazione vigenti nei singoli Paesi, una prima lettura pone in luce realtà
molto diverse.
Il Code Civil francese e il codice civile italiano proclamano la sufficienza del titulus, il BGB tedesco reputa
necessaria la consegna e si ispira l’idea del modus, il codice austriaco rimane fedele alla soluzione del diritto
comune che richiede il titulus e il modus, la common law viene distinta la compravendita di cose mobili e
immobili.
Il modello seguito dalla Convenzione di Vienna ha avuto grande successo.
Quel testo evita di prendere posizione sui diversi regimi nazionali e disciplina non il momento traslativo ma
la consegna come “atto semplificato nella struttura e idoneo nella sua analitica previsione a dettare regole
agli interessi vari dei contraenti”.
La legge scompone in maniera diversa il comportamento delle parti e precisa i fatti cui seguono gli effetti
fondamentali della liberazione del venditore dal suo obbligo e dal passaggio dei rischi.
La mancata scelta di una delle soluzioni vigenti è stato un segno di rispetto della storia e una abilità indubbia
del legislatore uniforme, che si è così aperto alle adesioni evitando fratture insanabili.
Le commissioni di studio incaricate da tempo non possono che iniziare da qui e i risultati raggiunti sono
incoraggianti.
L’idea è di un uniformazione totale con una disciplina che si applichi a tutti i contratti e a tutti i beni, ma
proprio sul trasferimento della proprietà esistono ancora dubbi e non sarà facile trovare una soluzione
accettabile da tutti.
Per tale obiettivo occorre porsi a “cavalcioni delle frontiere” seguendo l’esempio della Convenzione di
Vienna, ma trovando una base di appoggio nella Carta di Nizza.
L’art. 17 non contiene precise indicazioni; riafferma i principi già emersi nelle sentenze della Corte di
Giustizia e nelle Costituzioni dei Paesi membri che consentono di disciplinare l’uso della proprietà privata in
modo sostanzialmente omogeneo, giacché ogni ordinamento esprime un contesto e un limite di un diritto
uniformabile senza grandi dissonanze.
Il futuro codice europeo dovrà contemperare due esigenze diverse: la successione nel diritto reale che
riproduce nell’acquirente la posizione dell’alienante e l’opponibilità del titolo.
Per la prima vicenda non vi sono da tutelare interessi generali sicché le parti possono graduare, secondo i
loro interessi, il prodursi dell’effetto reale.
Diverso è il problema della rilevanza erga omnes di tali accordi: sorge in tal caso un’esigenza di tipicità e di
sicurezza della circolazione e saranno opponibili quei titoli a cui un criterio legale e uniforme attribuirà
prevalenza.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 15. I diritti fondamentali nella Costituzione e nel Codice
Il tema dei diritti fondamentali pone più di ogni altro il confronto tra codice e Costituzione.
Nei vari Paesi si sono, via via, identificati i diritti fondamentali e le situazioni soggettive riconosciute nei
testi costituzionali con diverso grado di tutela.
Riconosciuto il carattere precettivo e non solo programmatico delle norme costituzionali, si è attribuita ai
diritti della prima generazione piena protezione, mentre è nota la disputa sulla rilevanza giuridica dei diritti
sociali che comportano una pretesa nei confronti dei pubblici poteri.
La Carta europea ha compiuto sul punto scelte importanti.
In primo luogo, l’abbandono della classica distinzione fra i diritti per “affermare l’indivisibilità delle
situazioni fondamentali”: la revisione di diritti fondamentali si basa su di un netto rifiuto di un ruolo
subordinato dei diritti sociali, rispetto ai diritti di libertà secondo una precisa scelta.
Essenziale, più di una astratta differenziazione dei vari diritti, è il collegamento fra l’attribuzione della
situazione di vantaggio e le norme processuali che attribuiscono effettività alla realizzazione dell’interesse al
bene individuale e collettivo.
Sul punto si sono realizzati importanti passi in avanti e sono ancora utili indicazioni contenute nella Carta
quando si riconosce, in caso di lesione, il diritto ad un ricorso “effettivo” dinanzi a un giudice precostituito
per legge, indipendente e imparziale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 16. La libertà economica e i diritti sociali
Sulla libertà economica, le fonti comunitarie non riconoscono direttamente valore costituzionale
all’autonomia privata ma esiste un richiamo alla libertà di impresa nei limiti derivanti dalle legislazioni
interne e dal diritto comunitario.
Il problema più delicato è quello dei limiti.
In primo luogo, il rapporto fra contratto e disciplina della concorrenza avvertito da sempre nella storia
dell’antitrust: un’esigenza di delimitazione comune ad ogni ordinamento democratico, ove si avverte la
difficoltà di marcare un confine oltre al quale “il potere dei privati assume una forza tale da divenire
illegittimo e oltre il quale il potere pubblico sconfina e non è più legittimo”.
I seguaci della Scuola di Chicago reputano che l’unico scopo delle regole antitrust sia il raggiungimento
dell’efficienza economica e ciò determina una ricaduta essenziale sulla disciplina del contratto.
Si reputano lecite tutte le pratiche da cui non deriva una restrizione della quantità di ricchezza prodotta e
soprattutto si ipotizza una netta separazione fra i profili di giustizia dell’atto di autonomia e la tutela della
concorrenza.
Un secondo aspetto dei limiti alla libertà economica deve prendere atto della debolezza dei diritti sociali, ma
anche di alcune indicazioni positive che emergono dalle fonti comunitarie.
In primo luogo, l’indivisibilità dei diritti sociali, economici e di libertà implica un risultato preciso: il
bilanciamento in caso di conflitto avviene nei confronti di situazioni soggettive di pari dignità.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 17. Nozione di contratti civili, contratti commerciali, contratti dei
consumatori
Torna ad affacciarsi l’idea che “la partecipazione di un imprenditore ad un contratto e la circostanza che il
contratto serva all’esercizio dell’attività di impresa non possono essere senza conseguenze sulla disciplina
del contratto”.
Ma occorre chiedersi anzitutto se la contrattazione fra imprese “porti a identificare effettivamente un
autentico schema generale di contratto sottoposto ad una propria e differenziata disciplina giuridica” e una
serie di argomenti porta a escludere tale conclusione; vediamoli:
- l’interesse dell’imprenditore non si traduce in una componente della causa del contratto;
- solo in termini descrittivi quei contratti possono definirsi come una categoria; essi pongono in luce un
problema di disciplina che non è esclusivo dei contratti di impresa ma di ogni atto di autonomia che deve
conciliarsi con i bisogni delle parti, le esigenze di regolazione del mercato e gli interessi della generalità;
- se l’analisi si trasferisce dal diritto interno al diritto europeo, il discorso non muta: nelle raccolte di Principi
non assume rilievo la nozione di imprenditore ma quella di professionista e le peculiarità più significative
concernono non deroghe alla disciplina generale, quanto l’estensione ai contratti fra imprese delle normative
di riequilibrio pensati per i rapporti tra professionista e consumatore.
Emerge così che nella prospettiva del diritto contrattuale europeo i “contratti di impresa” sono una delle
componenti della tipologia della “contrattazione ineguale”, senza che la locuzione segnali alcun aspetto
comune che giustifichi una considerazione complessiva.
Si tratta, insomma, di un aspetto della diversificazione della disciplina del contratto che può atteggiarsi
variamente a seconda che le parti siano un professionista e un consumatore, due professionisti, due soggetti
che non operano professionalmente, o due professionisti dotati uguale o diverso potere contrattuale.
Si può concludere che gli elementi di qualificazione di contratti fra imprese sono sostanzialmente due: la
disciplina del mercato dove si collocano e le discipline speciali di settore da coordinare con la disciplina
generale del contratto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 18. Il contratto e la concorrenza
La legislazione posta “a tutela e protezione della concorrenza, costituisce uno straordinario terreno sul quale
misurare la sostanziale unitarietà delle scienze sociali”.
In essa vive il dilemma delle democrazie liberali, impegnate da un lato a fissare il limite oltre il quale il
potere privato deve essere frenato, e dall’altro ad individuare una demarcazione del potere pubblico che può
divenire oppressivo e dannoso.
Forze e ideologie diverse si sono confrontate in ogni periodo, nel tracciare un crinale mobile come le
esigenze degli uomini.
La sintesi non può che essere schematica, ma necessaria per ripercorrere con consapevolezza la storia delle
idee che esige di separare almeno tre momenti di confronto:
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 19. Il sorgere della legislazione antitrust in America
È noto che sul finire dell’800, negli Stati Uniti, si dovette fronteggiare un tentativo delle imprese più
efficienti di consolidare il loro potere mediante il ricorso al trust per fini anticoncorrenziali.
Attraverso la concessione di deleghe fiduciarie di voto e lo scambio incrociato di partecipazioni alle
assemblee, “gli amministratori di più società concorrenti decidevano insieme le politiche di prezzo e di
mercato, restando ciascuno sotto il controllo degli altri; creando così dei veri e propri cartelli, mascherati
sotto l’uso del trust”.
Lo Sherman Act del 1890 si propose di colpire ogni contratto, combinazione o cospirazione che limitasse il
commercio fra i vari Stati ed ogni attività volta a creare o a tentare la creazione di una posizione di
monopolio.
Le sanzioni erano di tre tipi: una azione penale e un’azione civile, da parte dello Stato federale, e una azione
privata con effetti punitivi volta ad ottenere il triplo del danno subito promossa da chiunque fosse stato
danneggiato.
Nel 1938 la fattispecie fu modificata fino a reprimere “gli atti e le pratiche sleali e ingannevoli” aprendo la
possibilità di tutela ai consumatori.
Gli sviluppi successivi sono classificabili sostanzialmente in tre linee di pensiero:
la rule of reason tesa a valorizzare le peculiarità del caso singolo con i possibili criteri dell’intento illecito di
chi pone in essere l’accordo o dell’effetto che da esso deriva;
la per se condemnation ispirata dalla necessità di reagire all’incertezza di soluzioni discrezionali,
distinguendo oggettivamente le situazioni di legittimo potere e da quelle di illecito predominio;
la valutazione ispirata alla economic efficiency teorizzata dalla Scuola di Chicago che ancora anima il
dibattito sulla legislazione antitrust in ogni parte del mondo.
Per decenni la giurisprudenza americana ha oscillato fra la protezione dei piccoli produttori e commercianti
e la teoria economica neoclassica che reputava necessario colpire non tanto la libertà di contratto, ma
l’intesa che “consenta al prezzo di collocarsi in alto di quanto accadrebbe attraverso l’incontro non
pregiudicato tra domanda e offerta”.
Si sono distinte, nella repressione, le intese orizzontali, vietate di per sé, e le intese verticali, illecite solo
quando si fosse pregiudicata la libertà del rivenditore, ma si è tornati sempre, se pur con oscillazioni
continue, al desiderio di “proteggere la concorrenza” attraverso la tutela di sane, piccole imprese locali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 20. Il dibattito in Italia sulla concorrenza nell'Assemblea
Costituente
Nel vecchio continente “il mantenimento della libera concorrenza si è posto in primo luogo quale alternativa
ad un intervento statale dell’economia”.
I costituenti dovettero fronteggiare il problema del controllo dei monopoli e del coordinamento fra le attività
private e gli obiettivi dei pubblici poteri.
Si discusse a lungo in sede di assemblea costituente sulle modalità di intervento nei confronti dei fallimenti
del mercato.
Einaudi propose di recepire nella nuova Costituzione una azione decisa contro i monopoli economici da
“sottoporre a pubblico controllo”, ma la proposta fu respinta eccependo che i controlli avrebbero assunto un
carattere “antiliberista”.
Nella Commissione De Maria si fronteggiarono ipotesi diverse: alcuni pensavano ad una azione di contrasto
dei monopoli, nel rispetto dei canoni di un’economia di mercato, altri all’adozione di strumenti di
nazionalizzazione, altre ancora ipotizzano soluzioni già sperimentate negli Stati Uniti (quest’ultima scelta fu
esclusa con decisione, osservando che “una disciplina delle formazioni monopolistiche condotta con i criteri
dello Sherman Act non poteva condurre affatto a risultati soddisfacenti”).
Prevalse il convincimento che l’impresa pubblica governata da una norma speciale e dotata di poteri
altrettanto speciali fosse il modo migliore di regolare l’economia e di contenere il potere delle imprese
private.
Il caso italiano già nel corso degli anni ’50 esprimeva un dato che induce a riflettere con attenzione: lungi
dal presentare “un’antitesi radicale tra tutela della concorrenza ed interventismo” quell’esperienza “ci
mostra una loro pacifica coesistenza”.
Certo le opinioni erano e sono assai diversificate e l’art. 41 cost. resta, ora come allora, una norma
dall’evidente contenuto anfibologico.
D’altra parte il dibattito parlamentare sulla legislazione a tutela della concorrenza ha languito per decenni in
varie commissioni e solo nel 1990 si è approvata una normativa antitrust, ultimi fra le potenze industriali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 21. Il dibattito in Italia sulla concorrenza a partire dagli anni 1980
Solo a partire dagli anni ’80 del secolo passato è mutata la nostra Costituzione economica in virtù degli atti
formali dell’Unione Europea e la legislazione di provenienza comunitaria ha innovato profondamente la
forma giuridica dei rapporti fra Stato e privati.
Con la l. 202/93 (Disposizioni urgenti per la soppressione del Ministero delle partecipazioni statali e per il
riordino di IRI, ENI, IMI ed INA) si è dato avvio al processo di privatizzazione.
L’equilibrio negoziale è posto al centro dell’attenzione del legislatore che amplia la protezione dei
consumatori, interviene con regole incisive nella disciplina dei contratti di impresa, disciplina l’usura in ogni
contratto.
È difficile in tale esperienza storica separare con una cesura netta concorrenza e regolazione.
Esiste certo chi contrappone nettamente i due metodi.
Il passaggio da uno Stato gestore ad uno Stato regolatore assieme alla netta svolta che si verifica con il
necessario ritirarsi delle Istituzioni dal controllo diretto di settori vitali dell’economia, sono fatti storici che
inducono a contrapporre dirigismo e mercato, economia mista e ordine spontaneo dei rapporti economici.
Ciò può determinare, a volte, una semplificazione.
Le Authority sono considerate espressione di uno Stato leggero, di un controllo soft, espressione di un
ritrovato liberismo che sostituisce lo Stato imprenditore.
In un’ottica diversa una analisi attenta della storia italiana ed europea sul punto porta ad affermare che
“gestione e regolazione, pur diverse nella struttura organizzativa, rappresentano capitoli diversi, ma contigui
di un ordinamento giuridico” che disciplina, in modo diverso, le concentrazioni industriali e i poteri privati.
Non si dubita che entrambe le modalità appartengono “al polo pubblicistico” e ciò significa avere piena
consapevolezza che la concorrenza non è “prodotta spontaneamente dal mercato” non fosse altro perché le
sue regole devono imporsi sulla libertà contrattuale dei privati.
Insomma, si precisa in modo chiarissimo un’acquisizione teorica di grande significato: “il diritto della
concorrenza ha, nella sua fase di incubazione e di nascita, una matrice eminentemente statale e politica e non
può chiudersi esclusivamente all’interno della vicenda della storia del mercato”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 22. Tutela della libertà e della concorrenza tra Carta costituzionale
e Autorità di garanzia
Si è osservato che nella Carta costituzionale non c’è la cultura del mercato, ma c’è la necessità di difenderlo
dall’alternativa del regime comunista.
Domina un sentimento misto che va a posarsi sull’iniziativa economica privata con il duplice intento di
difenderlo e di assoggettarlo, non alle regole della concorrenza, ma a programmi e controlli, impulsi,
orientamenti pubblici.
Il confronto con l’oggi può essere illuminante se solo si consideri il ruolo attuale delle Autorità di garanzia.
Contro l’idea di una loro funzione arbitrale, espressione di un diritto e di un controllo soft, emerge la realtà
di un intervento incisivo e penetrante sull’autonomia privata e la libertà di contratto.
Emerge un ulteriore di prova del legame stretto fra intervento pubblico e tutela della concorrenza.
Ciò che distingue le due ipotesi sono le modalità dell’intervento, diverso a seconda della diversità delle
epoche storiche e dei problemi concreti da risolvere.
La tutela della libertà di concorrenza come la libertà di iniziativa economica e la libertà di contratto trovano
il loro fondamento non in percezioni o teorie economiche o su di un ordine spontaneo del mercato ma in una
cornice di regole, valori e principi che solo una Costituzione può fornire.
Il nostro ordinamento deve conciliare tre valori strettamente connessi: l’economicità, la giustizia sociale e la
libertà individuale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 23. Tutela della libertà e della concorrenza nel diritto europeo
È noto che le peculiarità dell’antitrust europeo sono marcate dalla sua stessa funzione primaria di favorire e
tutelare l’integrazione del mercato.
In Europa si è istituito un organo che ha poteri istruttori e decisori, a fronte del sistema americano basato su
Istituzioni (Agencies e Dipartements) che hanno poteri istruttori ma non decisori, mentre sono i privati che
possono attivare il procedimento di decisione.
Sono diverse ancora la struttura e le finalità degli organi che emergono chiaramente nella casistica e nelle
modalità di intervento sulle intese.
Lo Sherman Act mira a reprimere pratiche illecite in sé o irragionevoli ma “quando una ragione c’è, l’intesa
non venne pure ritenuta restrittiva”.
Il divieto comunitario si rivolge, invece, ad ogni ipotesi che abbia per oggetto o per effetto di restringere la
concorrenza salvo il potere di esenzione della Commissione.
Ma la diversità appare di tutta evidenza nella repressione dell’abuso di posizione dominante e nelle
concentrazioni.
L’imposizione di prezzi eccessivi e di condizioni non eque prevista nell’art. 82 del Trattato di Roma pare ad
alcuno rivolta non al ripristino di condizioni concorrenziali, ma alla “regolazione bella e buona dell’impresa
in posizione dominante”, una norma che protegge non la concorrenza ma “i contraenti attraverso
meccanismi di regolazione dei prezzi”.
Una disciplina antitrust e decisamente contraria alle linee di condotta di oltreoceano.
Ancora più evidente si è manifestata la diversa filosofia antitrust in tema di concentrazioni.
Il favore per l’efficienza ha condotto gli organi americani ad approvare una concentrazione che è stata,
invece, vietata nell’Unione Europea perché idonea a costituire e rafforzare una posizione dominante tramite
l’integrazione tra produzione di componenti e acquisto di prodotti finiti.
La Commissione motiva il diniego “in virtù della capacità dell’impresa risultante dall’operazione di offrire
pacchetti di prodotti e servizi che non possono essere offerti congiuntamente dai rivali, così riducendo o
eliminando la capacità competitiva di questi ultimi”.
Del tutto evidente come in tal modo si privilegi il mantenimento di una pluralità di imprese sull’efficienza
allocativa dell’offerta dei prodotti sul mercato.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 24. La disciplina delle intese: l’art. 2 legge 287/90
L’art. 2 l. 287/90 vieta le intese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, falsare o restringere in
maniera consistente il gioco della concorrenza nel mercato.
Tramite un’intesa alcune imprese possono agire come un unico soggetto monopolista, capace di imporre
prezzi eccessivi a danno dei consumatori.
La nozione di intesa è tale da comprendere ogni forma di accordo tra imprese che abbia per oggetto o per
effetto la restrizione della concorrenza.
La nozione è, perciò, molto ampia: nessun rilievo assumono la forma o la natura contrattuale dell’accordo,
ben potendo costituire intesa qualsiasi incontro di volontà espresso in qualunque modo o anche meri
comportamenti paralleli tacitamente concordati.
Le intese sono vietate se hanno per oggetto o per effetto di restringere la concorrenza.
L’effetto anticoncorrenziale di un accordo è sufficiente a renderlo illecito, anche se tale effetto non ne
costituisce la finalità principale, e, viceversa, anche un’intesa che non produce effetti anticoncorrenziali è
vietata se ha tale oggetto.
Le intese possono essere verticali o orizzontali: sono verticali quando intercorrono tra soggetti della catena
distributiva, mentre sono orizzontali quando intervengono tra concorrenti.
Le intese restrittive sono nulle ad ogni effetto: si tratta di una nullità assoluta (che può esser fatta valere da
chiunque) e integrale (colpisce l’intero accordo), per contrasto con norme imperative.
Alcuno reputa che la rilevanza del principio della concorrenza tratto dall’art. 412 cost. consenta di affermare
l’illiceità del contratto restrittivo anche al di là dei presupposti fissati dalla legge.
Tale ricostruzione suscita perplessità perché il giudizio di invalidità di un atto di autonomia sarebbe rimesso
alla semplice violazione del principio di libera concorrenza come attuazione dell’utilità sociale, con una
perdita totale della fattispecie contenuta nella legge interna e comunitaria che sarebbero aggirate attribuendo
al giudice un potere amplissimo che mal si concilia con un giudizio che elimina radicalmente gli effetti di un
accordo.
Preferibile è la tesi di una rigorosa interpretazione dell’indicazione dell’art. 2 che richiede una restrizione
“consistente” del gioco della concorrenza “all’interno del mercato nazionale o di una sua parte rilevante”.
Utile è il richiamo ad una vicenda giurisprudenziale recente.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha accertato che tutte le principali compagnie di
assicurazione del ramo della responsabilità per la circolazione dei veicoli, avevano posto in essere un’intesa
orizzontale (cartello) consistente nello scambio sistematico di informazioni commerciali.
Ciò aveva comportato una restrizione della concorrenza e un aumento dei prezzi assicurativi.
Da qui l’ordine alle imprese di astenersi dal continuare il contegno e la sanzione pecuniaria elevatissima.
Accertata la violazione della norma si era posto il problema della possibile tutela degli assicurati che
avevano stipulato un contratto.
Sono emersi due aspetti controversi:
anzitutto la sorte dei contratti (a valle) individuali esecutivi dell’accordo illecito (a monte); si è dovuto
valutare si giudizio di disvalore espresso sull’intesa vietata potesse travalicare tale fattispecie e colpire i
singoli negozi a valle;
si è dovuto poi precisare la competenza giurisdizionale; il giudice di merito in base al valore o la Corte
d’appello ai sensi dell’art. 33 della legge che stiamo esaminando.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti Secondo la Corte di Cassazione, la legge del ’90 è rivolta alle imprese e non concerne direttamente i
consumatori.
Un’altra sezione della Cassazione ha ritenuto che la legge del ’90 fissi la competenza funzionale della Corte
d’appello e si rivolga ad un’ampia categoria di soggetti.
Il conflitto è stato risolto dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sent. 2207/2005 secondo la quale
il diritto a chiedere il risarcimento da parte di ogni danneggiato è elemento essenziale della disciplina del
mercato.
La legge del ’90 non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, cioè di
chiunque abbia interesse formalmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da
poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 25. L’abuso di posizione dominante: l’art. 3 legge 287/90
L’art. 3 l. 287/90 vieta l’abuso di posizione dominante all’interno del mercato rilevante.
Per posizione dominante si intende quella posizione di forza economica che consente all’impresa che la
detiene di tenere comportamenti indipendenti rispetto ai concorrenti e ai consumatori.
Detenere una posizione dominante non è vietato in sé ma solo il suo abuso è punito dalle norme antitrust.
Per ragioni analoghe sono vietate anche le concentrazioni tra imprese che possono creare una posizione
dominante: le operazioni di concentrazione sono perciò soggetti ad un controllo preventivo dell’AGCM.
Presupposto della fattispecie è l’individuazione di un mercato rilevante.
L’AGCM ha individuato come criterio fondamentale la sostituibilità del prodotto dal lato della domanda e
questa delimitazione serve a individuare l’area in cui opera l’impresa.
Determinato il mercato si cercherà di individuare se una o più persone detengono una posizione dominante e
se esiste abuso che è esemplificato in una serie di casi:
imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali
ingiustificatamente gravose;
impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso
tecnologico, a danno dei consumatori;
applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni
equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari che non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi.
La definizione di impresa rilevante ai sensi della l. 287/90 non coincide con quella di imprenditore di cui
all’art. 2082 c.c., perché riguarda ogni soggetto, che svolge attività economica, in grado di ridurre la
concorrenza nel mercato (nozione di tipo funzionale).
Le disposizioni della legge si applicano sia alle imprese private che a quelle pubbliche o a prevalente
partecipazione statale, mentre non si applicano alle imprese che, “per disposizioni di legge, esercitano la
gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per
tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati”.
A differenza dell’art. 2 che dispone la nullità dell’intese, nell’art. 3 non è indicata una sanzione specifica.
L’AGCM istruisce e, alla fine dell’iter procedimentale, emette sanzioni amministrative pecuniarie.
Contro le decisioni dell’Autorità Garante si può ricorrere al TAR e al Consiglio di Stato.
Vi è anche una competenza concorrente del giudice ordinario (e in specie della Corte d’appello) a conoscere
le azioni di nullità, risarcimento del danno e ad emettere provvedimenti di urgenza in relazione alle
violazioni delle disposizioni della legge.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 26. La nozione di concentrazioni in ambito economico
Il termine “concentrazione” indica “il risultato economico che si ritiene quando significa una modifica
duratura nella struttura delle imprese interessate, tale che un’impresa incremento del proprio potere di
mercato non attraverso una crescita interna, ma attingendo a economie di terzi; con la conseguenza che due
o più imprese precedentemente indipendenti vengono poste sotto il controllo di un unico soggetto”.
Manca espressamente un’indicazione normativa sul ricorso ad una negoziazione nella fase anteriore
all’accordo, ma l’interpretazione delle norme pone in luce un “modello convenzionale” di intervento.
Nell’art. 18 l. 287/90 si dice che l’Autorità può autorizzare la concentrazione se le imprese provino di “avere
eliminato dall’originario progetto di concentrazione gli elementi eventualmente discorsivi della
concorrenza”.
La stessa norma poi precisa che, in presenza di un accordo già raggiunto, l’Autorità “può prescrivere le
misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva, eliminando gli effetti distorsivi”.
Quanto alla validità delle operazioni le opinioni sono diverse: alcune le reputa valide seppur soggette a
sanzioni, altri invalide per violazioni di norme imperative, altri ancora nulle solo in caso di divieto espresso
dell’Autorità; più convincente è l’idea che ravvisa in tal caso un ipotesi di inefficacia “vera e propria che
rispetta i consueti schemi e canoni applicativi”.
Gli accordi di concentrazione possono essere utili e efficienti o restringere la concorrenza; l’Autorità
interviene con l’imposizione di obblighi e con provvedimenti volti a ripristinare interesse generale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 27. Abuso di dipendenza economica e abuso di posizione dominante
È necessario anzitutto un raffronto con l’abuso di posizione dominante e si deve chiarire subito che
nell’abuso di dipendenza economica si dà rilievo non alla dominazione di un’impresa sul mercato, ma
all’abuso e allo squilibrio nell’ambito di un rapporto negoziale.
In Italia si è discusso se collocare la norma nella disciplina antitrust o in quella contrattuale.
La fattispecie dell’abuso di dipendenza economica nei disegni originari avrebbe dovuto essere collocata
nella l. 287/90 ad integrazione della tutela offerta dal divieto di abuso di posizione dominante.
Tale soluzione sarebbe stata perfettamente in linea con quelle adottate da Germania e Francia.
L’esclusione della disciplina dalla legge antitrust è stata influenzata principalmente da un parere negativo
dell’AGCM, perché “le norme antitrust sono disposizioni generali dirette a tutelare il processo
concorrenziale in relazione all’assetto di mercato”, mentre la norma relativa alla dipendenza economica
“costituisce una regola specifica inerente alla disciplina dei rapporti contrattuali fra le parti, con finalità che
possono prescindere dall’impatto di tali rapporti sull’operare dei meccanismi concorrenziali”.
Sicché le patologie di questo rapporto trovano rimedio nel divieto, e conseguente invalidità, di clausole
vessatorie “e nelle garanzie stabilite a favore della parte più debole della loro disciplina va inquadrata, si
concluse, nell’ambito delle norme civilistiche relative alle obbligazioni e ai contratti”.
Così la disciplina della concorrenza avrebbe di mira solo il benessere collettivo mentre il diritto dei contratti
potrebbe perseguire una finalità di giustizia distributiva in ordine ad ogni singolo rapporto.
La rigidità di questa schematizzazione contrasta sia con la complessità e la molteplicità di funzioni che si
sono storicamente ricondotte all’antitrust, sia con la perdita di benessere derivante dall’abuso di una
posizione di dominio relativo, analoga a quella che scaturisce dall’esercizio di una posizione di tipo
monopolistico.
L’evoluzione normativa della legge sulla subfornitura conferma queste perplessità.
Nella prima metà del 2000 la X Commissione del Senato constatò la sostanziale inattuazione dell’art. 9 l.
192/98 e ciò si ritenne dovuto alla formulazione della norma che prevedeva la possibilità di agire
esclusivamente in sede civile, ad iniziativa di parte, con l’esclusione di interventi d’ufficio da parte di una
Autorità pubblica.
La Commissione ha approvato una risoluzione in cui si auspicava l’intervento dell’AGCM al fine di rendere
efficace il sistema delle sanzioni e dei controlli.
La richiesta è stata accolta con la l. 57/2001.
Tali vicissitudini sono state alla base della nascita di una profonda ambiguità intorno al suo ambito di
applicazione, che hanno reso l’art. 9 della l. 192/98 una norma “sospesa tra diritto civile e diritto antitrust”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 28. La ratio della legge sulla subfornitura
La ratio della legge sulla subfornitura è chiara: la crisi dell’integrazione verticale determinata da un bisogno
di flessibilità del mercato, induce a nuove strategie aziendali di produzione e di collaborazione esterne alla
struttura imprenditoriale.
Le imprese si svuotano e con il ricorso al contratto si decentrano settori sempre più ampi dell’azienda.
Il subfornitore non produce per il mercato, ma per un committente che tramite il contratto può realizzare
forti prevaricazioni.
Di qui l’esigenza di una protezione che la legge realizza con tre tipi di intervento: l’esigenza formale, una
disciplina dei termini di pagamento e la fattispecie dell’abuso.
La fattispecie dell’abuso di dipendenza economica è descritta nell’art. 9 l. 192/98.
I requisiti della fattispecie sono la dipendenza economica e l’abuso.
La dipendenza economica richiede che l’impresa dipendente non abbia “reale possibilità di reperire sul
mercato alternative soddisfacenti” e che l’impresa dominante sia in grado di determinare un eccessivo
squilibrio di diritti e obblighi.
L’abuso è descritto con il ricorso a un elenco di ipotesi attinenti ad ogni fase contrattuale, dal rifiuto a
contrarre, all’imposizione di condizioni ingiustamente gravose, all’interruzione arbitraria dei rapporti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 29. Le conseguenze dell’abuso: i rimedi
Gli ultimi due commi dell’art. 9 della l. 192/98 sono dedicati al profilo rimediale.
L’art. 93 sancisce la nullità del patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica,
attribuendo al giudice ordinario la competenza a conoscere tutte le azioni in materia.
Nei casi in cui la violazione incida anche sul mercato o sulla concorrenza, l’art. 94 riconosce l’operatività
dei poteri attribuiti all’AGCM.
L’esigenza di garantire una forte tutela l’impresa dipendente giustifica una deroga all’art. 1419 c.c. e la
nullità è “parziaria e necessaria” giacché l’eliminazione della parte colpita da nullità, pur non essendovi
un’espressa indicazione della norma, lascia valido il contratto per il resto.
Ciò in quanto l’estensione della nullità all’intero contratto, finirebbe per vanificare la tutela volta a
proteggere spesso un interesse anche alla conservazione del contratto.
La ratio della norma influenza anche la legittimazione ad agire del contratto nullo per abuso di dipendenza
economica: essendo la nullità disposta nell’interesse di una parte, è sottratta alla controparte e a chiunque
altro la possibilità di scelta di decidere se mantenere o eliminare il contratto.
Come accennato, nel 2001 il legislatore ha modificato l’art. 9 della l. 192/98, sancendo la competenza del
giudice ordinario anche per l’azione inibitoria.
La l. 57/2001 ha anche riconosciuto espressamente alla vittima dell’abuso di dipendenza economica, il
diritto di ricorrere al giudice ordinario per ottenere il risarcimento dei danni subiti, senza, tuttavia,
qualificare la natura (contrattuale, extracontrattuale o precontrattuale) della responsabilità in esame.
Qualora vi sia sovrapposizione delle fattispecie dell’abuso di posizione dominante e del divieto di
dipendenza economica si pongono problemi di coordinamento fra le relative discipline.
In particolare, si tratta di stabilire se il giudice competente per le azioni di nullità, risarcimento del danno e
ricorsi cautelari, sia quello ordinario, come previsto dalla l. 192/98, o la Corte d’appello come sancito dalla
legge antitrust.
Secondo un primo orientamento, in caso di sovrapposizione delle fattispecie, dovrebbe ritenersi prevalente
la normativa antitrust; secondo un’altra interpretazione si dovrebbe ammettere il concorso fra le due
normative, e attribuire all’impresa che subisce l’abuso la possibilità di valutare se risulti per lei più
conveniente rivolgersi ad altro giudice di grado diverso.
Si ritiene, infatti, che la scelta dell’organo giurisdizionale da parte dell’impresa in stato di dipendenza
economica, non possa frustrare la ratio, rispondente ad esigenze di celerità, della norma che attribuisce alla
Corte d’appello la competenza a pronunciarsi sulle azioni di nullità e risarcimento del danno.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 30. Ambito di applicazione della legge sulla subfornitura
L’assenza nel testo dell’art. 9 l. 192/98 di riferimenti alla subfornitura, presenti, invece, in tutti gli altri
enunciati normativi del provvedimento, il generico riferimento all’impresa “cliente” o “fornitrice”, anziché
alla “committente”, sono chiari segnali del fatto che, per quanto la disposizione sia collocata all’interno della
legge sulla subfornitura, l’art. 9 delinea una fattispecie estranea al rimanente contenuto della legge.
Soprattutto sembra significativa l’indicazione, tra le possibili ipotesi di abuso, del “rifiuto di vendere o di
comprare”, che non si vede perché dovrebbe riguardare esclusivamente il rapporto di subfornitura.
Invero, la protezione del solo subfornitore condurrebbe ad un risultato inaccettabile, perché in aperto
contrasto con il chiaro dato letterale della norma, che fa riferimento ad ogni impresa, e con la sua ratio.
Né si può ragionevolmente obiettare che il mancato inserimento all’interno della normativa antitrust possa
essere indicativo della volontà del legislatore di limitare l’ambito di applicazione dell’articolo in esame,
perché l’evoluzione legislativa rende impraticabile una tale forzatura del dato letterale.
La portata generale della disposizione sembra trovare una decisiva conferma nel comma 3 bis aggiunto
all’art. 9 dalla l. 57/2001, che ha previsto la possibilità per l’AGCM di procedere alle diffide e alle sanzioni
qualora l’abuso abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato.
L’inserimento dell’abuso di dipendenza economica nell’ambito dell’illecito concorrenziale ne fa una figura
di portata generale analoga all’abuso di posizione dominante, nel senso che è potenzialmente idonea ad
interferire nel funzionamento del mercato.
Ne segue che l’art. 9 l. 192/98 è una “clausola generale di valutazione del comportamento di un’impresa
relativamente dominante rispetto ad un’altra da essa dipendente”, applicabile a tutti i contratti tipici e atipici,
in tutti i rapporti tra imprese.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 31. I contratti di distribuzione e l’affiliazione commerciale
I contratti di distribuzione rappresentano un punto di osservazione privilegiato per la disciplina europea
delle relazioni fra imprese.
Dalla stessa tipologia del fatto emerge una strutturale diversità di potere delle due parti.
È evidente l’intreccio fra diritto dei contratti e della concorrenza e si comprende come il rapporto sia un
grande laboratorio per sperimentare le modalità di intervento sul potere dei contraenti.
Il rapporto compone interessi naturalmente antagonisti perché l’affiliato cercherà di giovarsi delle
opportunità offerte dalla catena e di mantenere una propria libertà di manovra, l’affiliante tenderà a limitare
quella libertà con precisi vincoli imposti dal contratto che è incompleto e lascia al franchisor un potere
discrezionale quasi assoluto a fronte di numerosi obblighi assunti dal franchisee.
Tre sono i momenti in cui emergono i più vivi conflitti: quando si stabilisce la regola, quando questa viene
modificata, quando l’aderente è privato della sua posizione.
Con le regole che fissano le modalità di appartenenza alla catena e con la diversificazione dei prezzi si
finisce per creare mercati diversi all’interno della Comunità, contro l’obiettivo primario di creare un unico
mercato senza barriere interne.
Da qui il regolamento ad hoc e l’attenzione della Commissione e della Corte di Giustizia, volta al controllo
delle clausole e del contenuto dei contratti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 32. Disciplina contro l’abuso di dipendenza economica
Nell’antitrust europeo non esiste una disciplina specifica dell’abuso di dipendenza economica, ma
l’indirizzo della Commissione e della Corte di Giustizia è del tutto peculiare.
Si utilizza l’abuso di posizione dominante restringendo l’area del mercato rilevante; si dà rilievo alla
posizione di grave inferiorità tale da compromettere la libertà di contratto, lasciando ai giudici nazionali il
compito di individuare gli strumenti; si sollecita l’adozione di leggi nazionali che sanzionino un
comportamento unilaterale illecito nei confronti di imprese economicamente dipendenti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 33. La nuova legge sull’affiliazione commerciale (l. 129/2004)
Anche in Italia la diffusione del fenomeno dell’affiliazione e delle catene ha attirato l’attenzione del
legislatore che ha emanato un provvedimento volto a riequilibrare la disparità di potere contrattuale nella
fase di conclusione e di esecuzione del contratto.
La struttura del provvedimento pone in luce più che una disciplina minuta del contratto, un intervento di
protezione volto ad assicurare la trasparenza del contenuto contrattuale e la correttezza dei contegni delle
parti.
Particolare attenzione è prestata alla fase di formazione con una disciplina minuta e rigorosa: il contratto
dell’essere redatto per iscritto; almeno 30 giorni prima l’affiliante deve consegnare all’aspirante affilato una
copia completa del contratto corredato da una serie di allegati; il contratto ha un contenuto necessario e deve
espressamente indicare una serie di elementi; se una parte ha fornito false informazioni, l’altra può chiedere
l’annullamento del contratto e il risarcimento del danno.
Analitico è anche l’intervento sull’oggetto del contratto e in particolare sulle prestazioni del franchisor e del
franchisee.
Il franchisor deve avere sperimentato sul mercato la propria formula commerciale e deve fornire un effettivo
ed efficace know-how.
Il franchisee deve sostenere gli investimenti necessari e, in taluni casi, predeterminate spese di ingresso,
garantire delle royalties e deve rispettare la massima riservatezza in ordine al contenuto delle attività oggetto
dell’affiliazione commerciale; inoltre, non può trasferire la sede senza il consenso dell’affiliante.
Quanto alla durata la norma è ambigua perché prevede, nel solo contratto a tempo determinato, l’impegno
per l’affiliante di garantire comunque all’affiliato un tempo minimo sufficiente all’ammortamento
dell’investimento e comunque non inferiore a 3 anni.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 34. Gli obblighi dell’affiliante e le conseguenze della loro violazione
La legge pone obblighi di condotta e divieti ma non indica la conseguenza della loro violazione, sicché la
soluzione più corretta è rimessa all’interprete.
Fra le indicazioni impegnative e c’è la necessità che l’affiliante abbia sperimentato sul mercato la propria
formula commerciale.
Resta da precisare che cosa accada in caso di violazione: l’articolo 1418 c.c. prevede che siano nulli i
contratti contrari a norme imperative; si tratta pertanto di esaminare se la disciplina degli obblighi
dell’affiliante possa considerarsi norma imperativa e se la legge preveda o meno una conseguenza diversa
dalla nullità.
L’imperatività si trae dalla protezione di un interesse pubblico o di una categoria di soggetti la cui tutela è
assunta come effetto diretto della norma.
Nel nostro caso la collocazione e il contenuto del precetto esprime a sufficienza “l’utilità generale o di
interesse pubblico” relativa al riconoscimento di quelle sole catene di distribuzione che siano e abbiano
dimostrato di essere efficienti sul mercato.
D’altra parte manca in modo espresso o implicito nel contesto della disciplina qualsiasi altra sanzione
alternativa e ciò conferma l’ipotesi di una nullità, che sarà relativa.
Diversa può essere la soluzione in presenza di altri obblighi.
Si pensi alla necessità di consegnare 30 giorni prima della conclusione una copia completa del contratto:
appare in questo caso eccessiva conseguenza della nullità visto che si tratta di tutelare la piena
consapevolezza e l’eventuale ripensamento dell’affiliato, sicché appare più adeguata possibilità di recesso e
del risarcimento del danno;
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 35. La disciplina della durata del contratto e della cessazione del
rapporto
Nel contratto a tempo determinato è prevista una durata minima sufficiente all’ammortamento
dell’investimento e comunque non inferiore a 3 anni.
In caso di violazione di tale requisito, stante la natura imperativa del comando, sempre ipotizzabile
un’ulteriore nullità parziale e relativa della clausola, con possibilità per il giudice di disporre la sostituzione
della durata minima.
Il problema si pone per i contratti a tempo indeterminato: pensare che in tal caso le parti siano libere di
stabilire la durata contrasterebbe con la disciplina precedente vanificando ogni forma di protezione; sicché si
è proposto un’interpretazione integrativa: il diritto di recesso dovrà tener conto di un congruo preavviso
idoneo a “garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e
comunque non inferiore a 3 anni”;
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 36. La fase precontrattuale e il regime sanzionatorio
Nel disciplinare gli obblighi di informazione, essenziali in tali fattispecie, si prosegue l’utile commistione
fra regole di validità e di responsabilità.
Quando però si richiama la normativa sul dolo si dispone l’annullamento del contratto solo se il franchisor
abbia fornito false informazioni.
Niente si dice in caso di omissione o di carenza con un arretramento rispetto alla disciplina del codice che è
interpretata dando rilievo, in certe ipotesi, anche alla reticenza.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 37. Diritto dei contratti e regole di concorrenza
I correttivi più efficienti alla diversità di potere esigono un confronto tra disciplina antitrust e diritto dei
contratti e un dialogo proficuo tra gli studiosi delle due discipline.
La parte più consistente di loro ha considerato la separazione netta tra contratto e concorrenza un vero
dogma: si è detto e ripetuto che l’antitrust è diretto a tutelare il processo concorrenziale in relazione
all’assetto del mercato, mentre il diritto dei contratti detta regole specifiche ad un rapporto.
Questa posizione non è convincente e non è coerente con il diritto positivo.
Il diritto comunitario e il diritto nazionale di molti Paesi d’Europa hanno disciplinato l’abuso di dipendenza
economica e il potere congiunto del giudice ordinario e dell’Authority, nel valutare le asimmetrie di potere.
Va preso atto anzitutto che “le asimmetrie di potere sono frutto spesso delle imperfezioni del mercato che
non offre alle imprese dipendenti alternative per sottrarsi alla donazione”.
Sicché le strade dell’antitrust e del diritto dei contratti possono intrecciarsi dato che l’efficienza e la
repressione degli abusi sono obiettivi condivisi da entrambi.
Ciò non significa negare la rispettiva autonomia ma valorizzare le connessioni laddove siano evidenti e utili.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 38. La normativa sui termini di pagamento
La legge applica una direttiva comunitaria ispirata a una precisa ratio: colpire la prassi e gli accordi che
impongono agli imprenditori e a professionisti di ricevere le somme loro dovute con ritardi notevoli e
ingiustificati rispetto al momento in cui hanno eseguito le prestazioni.
In questa condotta agli organi della Unione Europea hanno individuato un sensibile ostacolo alla crescita e
allo sviluppo delle imprese di dimensioni medio-piccole e un freno all’intensificarsi degli scambi all’interno
del mercato comune.
Da qui l’approvazione di una direttiva del 2000 che ha individuato gli strumenti di contrasto soprattutto in
tre aspetti: la previsione di un elevato tasso degli interessi moratori, un controllo sul contenuto degli accordi
sulla data del pagamento e delle conseguenze del ritardo, alcune disposizioni sulla possibilità di avere in un
tempo ragionevole un titolo esecutivo.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 39. La normativa di attuazione: il d.lgs. 231/2002
Il d.lgs. 231/2002 ha recepito la direttiva 2000/35/CE.
L’ambito applicativo della normativa si estende ad “ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una
transazione commerciale”.
Per transazioni commerciali si intendono i contratti comunque denominati tra imprese ovvero tra imprese e
pubbliche amministrazioni, che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il
pagamento di un prezzo.
Il d.lgs. 231/2002 dispone che “il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori salvo che il
debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall’impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
La normativa si applica a tutte le ipotesi in cui le parti non abbiano predisposto una clausola che stabilisca il
termine di pagamento del corrispettivo.
In questa ipotesi perché l’obbligazione pecuniaria sia esigibile è necessario ricorrano due requisiti:
innanzitutto il bene o il servizio oggetto del contratto devono essere stati ricevuti dal debitore; in secondo
luogo è necessario che il debitore abbia ricevuto la fattura o una richiesta di pagamento di contenuto
equivalente.
Scaduto il termine entro il quale la prestazione doveva essere eseguita, il debitore cade automaticamente in
mora senza bisogno che a tal fine si renda necessaria alcuna apposita dichiarazione o il compimento di una
qualsiasi formalità da parte del creditore.
Il legislatore vieta la conclusione di accordi “sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardo del
pagamento” che siano “gravemente inique in danno del creditore” avuto riguardo “alla corretta prassi
commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai
rapporti commerciali tra i medesimi”.
Il giudice può dichiarare anche d’ufficio la nullità dell’accordo, “applicare i termini legali ovvero ricondurre
ad equità il contenuto dell’accordo medesimo”.
La disposizione presenta caratteri di peculiarità che occorre rimarcare: il nostro ordinamento non consente al
giudice di intervenire, in ogni caso e per ragioni equitative, sull’accordo stipulato dalle parti a meno che non
sia la legge stessa a prevederlo.
Si è rilevato come in questa ipotesi, la previsione del potere correttivo del contratto di cui al d.lgs. 231/2002
sia giustificata dall’esigenza di tutelare l’interesse pubblico economico, dato che accordi gravemente iniqui
sulla data del pagamento possono essere causa di insolvenza delle imprese di piccola o media dimensione
con conseguente perdita di posti di lavoro.
La nullità prevista è riconducibile alle cosiddette nullità di protezione il cui regime si presenta come
derogatorio rispetto a quello tradizionale.
Il creditore può anche agire per il risarcimento del maggior danno subito in conseguenza del ritardo nel
pagamento, a condizione che egli ne offre in giudizio la prova ed a meno che il debitore provi che il ritardo
non fosse a lui imputabile.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 40. Le modifiche al procedimento monitorio (art. 9 d.lgs. 231/2002)
Il d.lgs. 231/2002 contiene alcune disposizioni di tipo processuale che, al fine di garantire una più efficace
applicazione della disciplina in esame, apportano modifiche al codice di procedura civile.
L’art. 9 d.lgs. 231/2002, al fine di rendere più celere il procedimento volto ad accertare il titolo del creditore,
specifica il termine entro cui il giudice deve emettere il decreto ingiuntivo in quello di 30 giorni dalla data di
presentazione del ricorso.
Infine, si è prevista la possibilità per il giudice di concedere l’esecuzione provvisoria parziale del decreto
ingiuntivo opposto “limitatamente alle somme non contestate, salvo che l’opposizione sia proposta per vizi
procedurali”.
Sembra ragionevole ritenere che il tipo di provvedimento che il giudice dovrà adottare nel concedere la
provvisoria esecuzione parziale del decreto sia l’ordinanza.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 41. Tutela degli interessi collettivi nel d.lgs. 231/2002
Il d.lgs. 231/2002 prevede che le “associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel Consiglio
nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi”.
La norma riproduce il dispositivo della l. 281/88, intitolata “disciplina dei consumatori e degli utenti”, che
ha attribuito la legittimazione ad agire, per la tutela degli interessi collettivi, alle associazioni dei
consumatori.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 42. La riserva di proprietà nel d.lgs. 231/2002
Il d.lgs. 231/2002 prevede che “la riserva della proprietà preventivamente concordata per iscritto tra
l’acquirente ed il venditore, è opponibile ai creditori del compratore se è confermata nelle singole fatture
dalle successive forniture aventi data certa anteriore al pignoramento e regolarmente registrate nelle scritture
contabili”.
La clausola consente al compratore di ottenere la disponibilità della cosa prima del pagamento del prezzo, e
al venditore di conservare la proprietà del bene fino all’integrale pagamento, facendo gravare i rischi
derivanti dalla perdita o dal deterioramento della cosa sul compratore fin dal momento della consegna e di
cautelarsi efficacemente contro il rischio di inadempimento.
Attraverso questa norma si regolano i conflitti del venditore con i terzi creditori del compratore.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 43. Il d.lgs. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa
Il d.lgs. 145/2007 detta le regole in materia di pubblicità ingannevole e comparativa.
Si tratta di una disciplina sostanzialmente identica a quella che era contenuta nella Parte II del Codice del
consumo.
La disciplina in esame era originariamente finalizzata in via diretta alla tutela del corretto funzionamento del
mercato per evitare il diffondersi di informazioni commerciali ingannevoli e solo in via indiretta alla tutela
dei consumatori e delle imprese concorrenti danneggiate dalle pratiche ingannevoli altrui.
Successivamente la normativa era stata inserita nel Codice del consumo: in tal modo se ne era accentuata la
finalità di tutela del consumatore.
Si era osservato, infatti, che la pubblicità ingannevole aumenta le asimmetrie informative esistenti tra
imprese e consumatori, impedendo questi ultimi di esprimere una scelta davvero consapevole e libera.
La direttiva 2005/29/CE ha modificato tale quadro normativo, imponendo agli Stati membri di adottare due
discipline differenziate in tema di pratiche ingannevoli, l’una rivolta a protezione delle imprese concorrenti e
l’altra finalizzata a tutelare i consumatori.
In attuazione di tali principi con i due d.lgs. 145/2007 e 146/2007 il legislatore italiano ha modificato il
contenuto del Codice del consumo e eliminando le norme relative alla pubblicità ingannevole e comparativa.
Adesso, il d.lgs. 145/2007 contiene la disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa, che è
finalizzata esclusivamente alla tutela dei professionisti concorrenti.
Per “pubblicità” si intende qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di
una attività commerciale allo scopo di promuovere la vendita di beni o la prestazione di servizi.
Si tratta di una definizione molto ampia, che si fonda essenzialmente sul suo scopo: sotto il profilo oggettivo
costituisce pubblicità qualsiasi messaggio diffuso in qualsiasi modo; mentre sotto il profilo soggettivo la
pubblicità deve essere diffusa nell’esercizio di una attività commerciale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 44. La disciplina per la pubblicità ingannevole e comparativa
La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta.
La pubblicità ingannevole è vietata.
Per “pubblicità ingannevole” si intende quella che in qualsiasi modo sia idonea a indurre in errore le persone
cui è rivolta e che possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero possa ledere un concorrente.
Essenziale ai fini dell’individuazione della pubblicità ingannevole è dunque la sua idoneità a trarre in errore
i destinatari.
La scorrettezza del messaggio può dipendere dal suo contenuto, dalle modalità di presentazione o dalla
eventuale presenza di omissioni.
La pubblicità deve anche essere trasparente e chiaramente riconoscibile come tale: sono pertanto vietate la
pubblicità occulta e quella subliminale.
La pubblicità non trasparente è infatti idonea ad eludere le normali difese critiche che il consumatore pone
normalmente in essere di fronte a messaggi promozionali chiaramente riconducibili come tali,
pregiudicandone la libertà di scelta.
Il d.lgs. 145/2007 disciplina infine la pubblicità comparativa, cioè quella pubblicità che identifica in modo
esplicito o implicito un concorrente determinato o i suoi prodotti o servizi.
Tale forma di pubblicità, prima considerata illecita perché troppo aggressiva, è ora consentita, a certe
condizioni, in quanto idonea ad aumentare la trasparenza del mercato.
A tal fine, il legislatore prevede che essa oltre a non essere ingannevole, debba confrontare oggettivamente
caratteristiche essenziali, pertinenti e verificabili di beni che soddisfino gli stessi bisogni.
Essa inoltre non deve generare confusione tra i beni né gettare discredito sui concorrenti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 45. Le modalità di tutela in materia pubblicitaria: l'AGCM
Il dato più significativo sta anche qui nella modalità di tutela.
L’AGCM è dotata in materia pubblicitaria di poteri istruttori e sanzionatori.
Legittimati ad agire di fronte all’AGCM per chiederne l’intervento sono tutti i soggetti che ne hanno
interesse: non è chiaro pertanto si siano legittimati solo i concorrenti o anche i consumatori, posto che
adesso la disciplina in esame è finalizzata alla tutela sono dei professionisti e che i consumatori potrebbero
invocare le norme sulle pratiche ingannevoli inserite nel Codice del consumo.
Ma va notato che l’AGCM può agire anche d’ufficio.
Quando adotta i provvedimenti definitivi, se ritiene la pubblicità ingannevole o il messaggio comparativo
illecito, ne vieta l’ulteriore diffusione e dispone l’applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa.
Il d.lgs. 145/2007 fa salva comunque la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza
sleale e in materia di violazione del diritto d’autore, del marchio, della denominazione di origine e degli altri
segni distintivi; il che pare chiudere opportunamente il sistema dei rimedi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 46. I contratti dei consumatori e il codice del consumo
Si è sottolineato che il legislatore predispone in testi omogenei norme derogatorie al codice civile, il quale
viene così a perdere la sua centralità come esito di un processo di decodificazione.
Da qui l’idea che il codice di diritto comune sopravviva solo come disciplina residuale.
Altri formulano la conclusione del tutto diversa, secondo la quale i codici di settore non introducono
deroghe eccezionali alla disciplina del codice di diritto comune ma disposizioni complementari.
Il codice del consumo conferma questa ultima ricostruzione in una pluralità di disposizioni:
l’art. 38 c.d.c. precisa che, per quanto non è previsto nella disciplina di settore, si applica il codice civile;
l’art. 1469 bis c.c. contiene una disposizione che “rafforza la qualificazione del codice civile come regola
fondamentale alla quale ricorrere quando non vi siano regole speciali derogatorie del Codice del consumo”;
l’art. 143 c.d.c. precisa che è nulla ogni disposizione in contrasto con quelle norme e che al consumatore
devono essere riconosciute le condizioni minime di tutela previste in esse o in altre norme più favorevoli al
consumatore;
l’art. 2 c.d.c. fissa alcuni diritti irrinunciabili per il consumatore.
Da queste norme si trae che esiste un sistema coerente di norme speciali di protezione idoneo a derogare alla
disciplina generale del contratto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 47. L’iter di approvazione e le scelte compiute
Il legislatore italiano non ha seguito il modello tedesco che ha riportato nel Codice di diritto comune le
discipline di derivazione comunitaria, ma si è ispirato al modello francese che ha affiancato al Code Civil un
corpo unitario di regole speciali.
L’attuazione della direttiva europea sulle clausole abusive è stata oggetto di un serrato dibattito proprio sulla
loro collocazione nel codice o in una legge speciale.
Risolto ogni dubbio, nel primo senso, si discusse sulla modalità di questo inserimento e prevalse l’idea della
collocazione nella disciplina generale del contratto, aggiungendo un nuovo Capo (il XIV bis) al Titolo II del
IV Libro del codice civile.
Seguendo il parere del Consiglio di Stato e con forti perplessità da parte della stessa commissione che ha
redatto il testo, si è scorporato l’intero Capo XIV bis che è ora incluso nel codice di settore.
Ciò pone due problemi: il rapporto con la disciplina generale del contratto e l’individuazione del livello di
protezione del consumatore nel confronto fra regole, principi e diritti collocati in diversi contesti.
Si può subito anticipare che il Codice di consumo crea un diritto diseguale che deve essere fissato nella
definizione attenta delle posizioni soggettive e delle tutele, sulle quali si potrà prendere posizione solo dopo
avere esaminato il suo contenuto che è diviso in 6 Parti, suddivise in Titoli e Sezioni.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 48. Art. 2 c.d.c.: diritti dei consumatori e utenti
L’art. 2 c.d.c. riconosce la titolarità di situazioni soggettive sostanziali sia individuali che collettive a
consumatori e utenti.
I consumatori divengono un nuovo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive.
I diritti esprimono l’esigenza di una disparità di trattamento per assicurare una regolazione del mercato
attenta alla tutela di colui che è coinvolto in un rapporto di consumo e costituiscono il limite all’attività di
impresa.
Fra di essi esiste una gradualità che occorre fissare precisando il riferimento al carattere fondamentale e la
distinzione tra diritti soggettivi, direttamente applicabili, e principi.
La qualifica di diritti fondamentali dei consumatori non intende equiparare anzitutto tali situazioni ai “diritti
fondamentali costituzionalmente garantiti, ma sottolineare che al consumatore sono riconosciuti diritti che
costituiscono il fondamento della loro tutela”.
D’altra parte nella “graduatoria dei diritti e degli interessi si conferma la distinzione tra diritti che attengono
alla persona e interessi economici che attengono al consumatori”.
Basta pensare che la tutela della salute (lett. a) è un diritto fondamentale, mentre i diritti contenuti nelle
lettere b., c., d. (sicurezza e qualità dei prodotti e dei servizi, adeguata informazione e corretta pubblicità,
educazione al consumo) non integrano un diritto soggettivo direttamente applicabile, ma solo principi che
debbono essere applicati in base alle regole poste dal legislatore a tutela di tali finalità.
Sicché la posizione soggettiva del consumatore deve essere ricostruita in base a tali indicazioni e alla
disciplina sostanziale e processuale.
Da tale quadro emerge già un diritto individuale e collettivo dei consumatori al mantenimento di un mercato
concorrenziale con una tutela, avanti all’Autorità Garante e al giudice ordinario competente per le azioni di
invalidità dei contratti, il risarcimento dei danni e l’inibitoria.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 49. Art. 2 c.d.c.: diritto alla tutela della salute e alla sicurezza e
qualità dei prodotti
L’elenco si apre con il riconoscimento del diritto alla tutela della salute che un diritto fondamentale in senso
stretto, perché è disciplinato sia da norme di rango costituzionale che da fonti normative primarie;
il diritto alla sicurezza e qualità dei prodotti richiama la Parte quarta del Codice di consumo suddivisa in tre
Titoli: il primo riunisce le disposizioni in materia di sicurezza dei prodotti; il secondo la responsabilità per
prodotti difettosi; il terzo la garanzia legale di conformità e le garanzie commerciali per i beni di consumo.
Proprio il carattere preventivo del tipo di tutela ivi disciplinata consente alle associazioni dei consumatori,
da un lato di agire per evitare che il produttore ponga in essere comportamenti che potrebbero rivelarsi causa
di pericoli per i consumatori, e dall’altro di far si che il professionista adotti tutte le accortezze necessarie
per evitare che venga posta a repentaglio la salute e la sicurezza dei consumatori.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 50. Art. 2 c.d.c.: diritto ad un'adeguata informazione e ad una
corretta pubblicità
Il diritto fondamentale ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità intende riferirsi, con il
termine “informazione”, a qualsiasi dato su fatti, situazioni ed avvenimenti del mondo reale; e con la parola
“pubblicità” il mezzo attraverso il quale viene di norma offerta un’informazione.
In particolare, il riferimento alla correttezza individua un ambito più esteso rispetto al termine ingannevole,
perché implica un necessario riferimento non solo alla veridicità delle informazioni, ma anche alla
conformità delle indicazioni che concernono il prodotto o il servizio oggetto del contratto, oltre alle modalità
con le quali il messaggio è stato diffuso.
Là dove difetti di informazione la tutela scaturirà, sia pure indirettamente, dalla correttezza della pubblicità
che in tale contesto viene a costituire una garanzia ulteriore per il consumatore.
Il diritto all’esercizio delle pratiche commerciali secondo i principi di buona fede, correttezza e lealtà è stato
introdotto dal d.l. 221/2007.
La norma introduce un chiaro richiamo alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette.
Il diritto fondamentale all’educazione al consumo è fonte di incertezze, perché si tratta di una previsione
generica in cui non viene indicata né la portata del diritto né i soggetti sui quali grava la responsabilità di
educare i consumatori e che, conseguentemente, potranno essere chiamati in giudizio;
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 51. Art. 2 c.d.c.: il diritto alla correttezza, trasparenza ed equità nei
rapporti contrattuali
L’art. 140 c.d.c. ha ampliato i poteri del giudice, giungendo ad attribuirgli il potere di “adottare misure
idonee a correggere” il contenuto di un contratto concluso in violazione anche dei principi in parola.
Sul significato del diritto alla correttezza occorre ricordare che il processo di integrazione europea crea un
reticolo di regole di disciplina del mercato.
Sicché l’atto di autonomia privata deve confrontarsi non solo con regole verticali che incidono sul suo
contenuto, ma con una disciplina orizzontale di attività che precede il rapporto individua la posizione che
spetta in termini di potere e di dovere al soggetto che agisce.
Ciò non sono in funzione distributiva di vantaggi ed obblighi, quanto piuttosto per una corretta funzionalità
del mercato (il quale ha bisogno di regole comuni, di informazioni chiare per ogni operatore, di discipline
differenziate).
Se si tiene conto di questa prospettiva si comprende la scelta di utilizzare la buona fede come uno dei
parametri dello squilibrio.
La regola esprime un criterio di valutazione del comportamento delle parti al fine della concreta
realizzazione del contenuto delle rispettive posizioni di diritto e di obbligo.
Le parti restano libere di predisporre l’oggetto del contratto ed il corrispettivo, ma su di esse grava una
valutazione ampia dei comportamenti tramite una clausola generale che ha un preciso significato.
Opera in tutte le fasi del rapporto contrattuale, è fonte di diritti, impone al professionista un dovere di buona
fede, correttezza e lealtà la cui violazione comporterà sempre una pretesa inibitoria e risarcitoria.
Analoga valenza ricognitiva è da attribuire all’enunciazione del diritto alla trasparenza.
Con essa si vuole affermare l’esistenza di un diritto alla chiarezza e comprensibilità della fonte e di ogni fase
del rapporto contrattuale.
Più articolata è la definizione del diritto all’equità, che opera come una “valvola di sicurezza contro
l’eccessiva rigidità del diritto codificato”.
La dottrina si è divisa sul significato da attribuire a questo diritto fondamentale ma con esso non si intende
attribuire rilievo generale al contratto iniquo al di là di ipotesi espressamente previste dalla legge.
Nel nostro ordinamento non è rilevante lo squilibrio delle prestazioni in sé, ma soltanto quello che sia
sintomo di una diversa ed ulteriore anomalia del contratto, ovvero sia frutto di un abuso o di un contegno in
mala fede.
La previsione di cui alla lettera e. consente al giudice di sindacare il contenuto contrattuale non per garantire
“uno scambio che assicuri la perequazione dei patrimoni coinvolti”, bensì di offrire tutela al consumatore
nelle ipotesi in cui la sua autonomia decisionale è stata alterata;
La promozione e lo sviluppo dell’associazionismo e l’erogazione di servizi pubblici secondo standard di
qualità e di efficienza indicano principi e non diritti e sarà necessario rendere operativo il precetto con regole
tratte dalla disciplina sostanziale e processuale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 52. L’art. 2 c.d.c. e l'art. 143 c.d.c.
L’art. 2 c.d.c. deve essere letto congiuntamente con l’art. 143 c.d.c.
La norma, al fine di evitare che le pattuizioni tra le parti possano eludere la disciplina prevista all’interno del
Codice, consolida la tutela del consumatore sancendo l’irrinunciabilità di tali diritti e dispone la nullità di
ogni pattuizione che contrasti con le disposizioni del Codice di consumo.
L’espressa previsione della nullità consente di applicare tale regime di invalidità non soltanto ai diritti
fondamentali, esito cui si sarebbe potuti arrivare in via interpretativa argomentando dall’irrinunciabilità dei
diritti, ma anche ai diritti economici dei consumatori.
Dalle precedenti considerazioni si trae che la protezione del consumatore va precisata nella consapevole
distinzione operativa tra principi, diritti e regole in un sistema complesso di fonti.
Sicché saranno necessarie valutazioni plurime e differenziate su ogni posizione e interesse del consumatore;
la cui violazione potrà incidere, da un lato, sulla validità dell’atto di autonomia in presenza di norme
espresse o di un assetto di interessi contrario ai principi di ordine pubblico e, dall’altro, consentire
l’affermazione di una responsabilità della controparte per la mancata osservanza dei contegni richiesti dalla
legge e non conformi a buona fede, correttezza ed equità.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 53. Art. 3 c.d.c.: definizioni di consumatore e professionista
L’art. 3 c.d.c. contiene un elenco di definizioni dei concetti cardine del Codice del consumo.
Le prime ad essere definite sono le nozioni di consumatore e professionista, che qualificano l’ambito
soggettivo del Codice del consumo.
Il consumatore è inteso come “persona fisica che agisce per scopi estranei rispetto all’attività
imprenditoriale commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.
Il legislatore ha previsto che consumatore possa essere soltanto la persona fisica.
La scelta è stata criticata da parte della dottrina e della giurisprudenza sul presupposto che la contrattazione
diseguale possa coinvolgere anche le persone giuridiche, che non svolgano attività professionale e non
perseguano scopi di lucro (quali enti no-profit, ONLUS o altre organizzazioni che vengano a contrattare con
professionisti).
Con riguardo alla seconda parte della definizione, che richiama “un’attività per scopi estranei all’attività
imprenditoriale commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”, è prevalente l’orientamento
che fa leva sul carattere oggettivo delle circostanze, della natura e delle finalità dell’atto.
Un diverso criterio interpretativo distingue tra atti della professione e atti relativi alla professione: i primi
sono quelli tramite i quali il soggetto esercita la sua professione, e sono esclusi dalla qualifica di atti del
consumatore; i secondi sarebbero, invece, quelli che pur essendo realizzati nell’ambito dell’esercizio della
professione devono essere trattati come atti del consumatore perché l’oggetto non è “espressione della
professione” (si pensi, ad esempio, all’ipotesi del mediatore che acquisti un computer).
I contratti posti in essere dal consumatore “per un uso relativo in parte alla sua attività professionale e in
parte estraneo a quest’ultimo” sono chiamati contratti ad uso promiscuo.
La Corte di Giustizia ha escluso che possano essere applicate le norme in materia di contratti conclusi dai
consumatori; mentre parte della dottrina suggerisce di valutare in concreto quale sia l’utilizzo prevalente del
bene oggetto del contratto ad uso promiscuo.
Il professionista viene definito come “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria
attività imprenditoriale commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”.
La definizione di produttore introduce accanto alle figure già note, il fornitore (nel caso in cui il
consumatore sia destinatario non di un bene, ma di un servizio) e l’intermediario.
La nozione di associazioni dei consumatori e degli utenti le definisce “formazioni sociali che abbiano per
scopo statutario esclusivo la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori o degli utenti”.
Le associazioni dei consumatori che possono agire in via inibitoria sono quelle “rappresentativi” che siano
in possesso di tutti i requisiti indicati all’art. 137 c.d.c.
La definizione di prodotto si riferisce a tutti i prodotti immessi sul mercato e destinati ai consumatori o che
possono essere utilizzati dagli stessi, compresi quelli adoperati dai consumatori nell’ambito di un servizio.
Parallelamente alla definizione di produttore, la nozione generale di prodotto contiene un elemento di
novità, ovvero il riferimento ai servizi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 54. Artt. da 4 a 32 c.d.c.: educazione, informazione, pubblicità
La Parte II del Codice del consumo è dedicata all’educazione del consumatore, all’informazione, alla
pubblicità e, a seguito della recente riforma, alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette.
Obiettivo fondamentale di queste norme è la riduzione delle asimmetrie informative che normalmente
caratterizzano il rapporto tra consumatori e professionisti sì da garantire scelte libere e consapevoli.
La disciplina ha pertanto ad oggetto sia le comunicazioni non commerciali (educazione e informazione) che
quelle commerciali (pubblicità).
In questa parte il Codice del consumo disciplina la fase anteriore alla conclusione del contratto, con una
scelta di fondo del tutto apprezzabile, in quanto si anticipa la tutela del consumatore, non limitandola ai
rimedi invalidanti successivi alla stipulazione del contratto.
Si precisa per la prima volta in un testo normativo il diritto all’educazione (Titolo I), dai confini ancora
incerti, e si individuano precisi obblighi informativi (Titolo II).
Il Titolo III di questa Parte II del Codice, inoltre, disciplinava in origine la pubblicità ingannevole e le
comunicazioni commerciali.
Esso è stato recentemente oggetto di una profonda modifica da parte del legislatore (nel testo originario
disciplinava la pubblicità ingannevole con la finalità di tutelare contestualmente i consumatori e le imprese
concorrenti da chi pone in essere la pubblicità illecita).
Sicché si ampliava la definizione di consumatore dettata in via generale dall’art. 3 c.d.c., includendovi
“anche la persona giuridica cui sono dirette le comunicazioni commerciali o che ne subisce le conseguenze”.
Adesso, con i d.lgs. 145/2007 e 146/2007, la disciplina della pubblicità ingannevole e stata sdoppiata in due
testi normativi, uno dedicato alla tutela esclusiva delle imprese concorrenti, e perciò espunto dal Codice del
consumo (d.lgs. 145/2007), e l’altro dedicato alla tutela del consumatore, e perciò inserito nel Codice del
consumo (d.lgs. 146/2007).
Con la conseguenza che non vale più la definizione ampia di consumatore, la quale è stata abrogata e
sostituita da una definizione sostanzialmente identica a quella dell’art. 3 c.d.c.
Va peraltro segnalato che nella Parte II del Codice del consumo si trova ancora, a seguito della riforma, una
definizione di consumatore più ampia di quella generale dell’art. 3 c.d.c.: si tratta della nozione valida
esclusivamente in tema di informazioni.
In tale settore si intende, infatti, il consumatore anche il professionista, purché persona fisica e non giuridica,
che sia destinatario delle informazioni (occorre però precisare in proposito che comunque si deve
considerare consumatore non ogni professionista operante nella catena distributiva, ma solo l’acquirente
finale dei beni).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 55. Titolo I, Parte II del Codice del consumo: diritto fondamentale
all’educazione
Nel Titolo I si individua il contenuto del diritto fondamentale all’educazione e si esprime soprattutto una
finalità: la norma non fonda una situazione soggettiva direttamente applicabile, ma indica le linee che
“soggetti pubblici o privati” dovranno seguire per esplicitare “le caratteristiche dei beni e servizi” e rendere
chiaramente percepibili i benefici e i costi conseguenti alla scelta “dei consumatori, con particolare riguardo
a coloro che sono maggiormente vulnerabili”.
Tramite l’educazione si vuole, quindi, rendere il consumatore consapevole delle proprie scelte, in quanto
capace di percepirne i costi e i benefici.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 56. Titolo II, Parte II del Codice del consumo: obblighi di
informazione
Nel Titolo II, il Capo I riguarda gli obblighi di informazione, il Capo II le indicazioni dei prodotti e il Capo
III le particolari modalità di informazione.
Le informazioni, aventi ad oggetto essenzialmente sicurezza, composizione e qualità dei prodotti o servizi,
devono essere espresse in modo chiaro e comprensibile.
Si individua il contenuto minimo delle informazioni da riportare sulle confezioni o sulle etichette dei
prodotti destinati al consumatore.
Tali indicazioni devono sussistere nel momento in cui i prodotti sono posti in vendita e ciò dimostra che per
consumatore si deve qui intendere l’acquirente finale del bene, nonostante l’ampia nozione di consumatore.
La tutela dell’interesse è assicurata da un apparato sanzionatorio, che prevede sanzioni amministrative, ma
diverso a seconda del tipo di contratto e di rapporto.
Nella violazione dell’obbligo di informazione in taluni casi si prevede il diritto di recesso, in altri la nullità,
in molti altri ancora si tace sulla conseguenza (sicché si deve ricorrere alle norme del codice civile e alla
disciplina generale del contratto).
Ove sono due le alternative ipotizzate: attribuire alle norme sulla informazione il carattere di precetti di
ordine pubblico economico, con la conseguente nullità degli atti conclusi in loro violazione, o riconoscere in
esse norme di comportamento che possono incidere non sulla struttura ma sulla responsabilità delle parti).
A ben vedere è possibile anche una terza e concorrente indicazione: gli obblighi di informazione possono
integrare le norme che valutano contegni e con ciò arricchire ipotesi generali (dolo, errore) o speciali
(normativa sulla concorrenza) di invalidità del contratto.
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Disciplina giuridica dei contratti 57. Titolo III Parte II del Codice del consumo: disciplina delle
pratiche commerciali scorrette
Il Titolo III, come ricordato, è stato oggetto della profonda modifica ad opera del d.lgs. 146/2007.
Esso adesso non tratta più della pubblicità ingannevole e comparativa, ma detta compiutamente la disciplina
delle pratiche commerciali scorrette nei rapporti tra imprese e consumatori.
Essa intende tutelare direttamente gli interessi economici dei consumatori lesi dalle pratiche commerciali
scorrette e solo indirettamente tutela le attività legittime delle imprese nei confronti di quelle dei loro
concorrenti sleali.
La normativa in esame si applica a “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione
commerciale, ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un
professionista in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori” poste in
essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto e, dunque, prima, durante e
dopo la stipula del contratto.
Il nucleo della disciplina è il divieto di pratiche commerciali scorrette.
Sono tali quelle pratiche idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del
consumatore medio che esse raggiungono o al quale sono dirette.
La disciplina in esame distingue le pratiche scorrette in due categorie:
pratiche ingannevoli, sono quelle che contengono informazioni non vere ovvero che, in qualsiasi modo, sono
idonee a indurre in errore il consumatore medio, inducendolo a prendere una decisione che non avrebbe
altrimenti preso;
pratiche aggressive, sono invece quelle che mediante molestie, coercizioni, compreso il ricorso alla forza
fisica, o indebito condizionamento, limitino o siano idonei a limitare considerevolmente la libertà di scelta o
il comportamento del consumatore medio, inducendolo ad assumere una decisione che altrimenti non
avrebbe preso.
In relazione ad entrambe le categorie di pratiche, il Codice del consumo fornisce un elenco tassativo di
ipotesi da ritenere in ogni caso vietate (cosiddetta lista nera); ma occorre tenere presente che sono altresì
vietate tutte le pratiche che, seppur non presenti in tale elenco, siano ingannevoli o aggressive ai sensi delle
definizioni, o siano comunque scorrette ai sensi della clausola generale, che deve ritenersi una vera e propria
norma di chiusura del sistema.
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Disciplina giuridica dei contratti 58. Applicazione e rimedi a protezione del consumatore
Il punto più delicato dell’intera disciplina è senza dubbio quello legato alla sua applicazione e ai rimedi
azionabili a protezione dei consumatori.
Il Codice, oltre a prevedere un sistema di autodisciplina fondato sui codici di condotta che le associazioni
professionali possono adottare, attribuisce il potere di applicare le norme in esame all’AGCM.
L’Autorità, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto interessato, avvia un procedimento finalizzato
all’accertamento della pratica scorretta e volto a inibire la diffusione o la continuazione della pratica, nonché
a eliminarne gli effetti.
Inoltre, l’Autorità dispone a carico dell’impresa responsabile una sanzione amministrativa pecuniaria (da un
minimo di 5 mila euro a un massimo di 500 mila euro).
Nulla si dice, però, in merito alla possibilità di invocare altri rimedi, che proteggano individualmente il
singolo consumatore danneggiato dalla pratica scorretta.
La direttiva 29/2005/CE lasciava aperta la possibilità per il legislatore nazionale di prevedere una tutela
anche individuale, di fronte al giudice ordinario, ma il Codice del consumo non si esprime: sicché la
soluzione è rimessa al lavoro degli interpreti.
Si tratta di compito non affatto facile, che tocca, tra l’altro, il delicato tema dei rapporti tra le regole di
validità e regole di condotta (o di responsabilità).
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Disciplina giuridica dei contratti 59. Nullità dei contratti
- secondo una prima ricostruzione i contratti conclusi a seguito di una pratica scorretta sarebbero nulli, per la
violazione di norma imperativa; il divieto di pratiche commerciali scorrette posto dal Codice del consumo
varrebbe infatti come norma imperativa
- secondo una tesi ancor più specifica, la nullità sarebbe da ricondursi alla categoria delle nullità di
protezione; il che sarebbe opportuno soprattutto in quelle ipotesi in cui il consumatore, in assenza della
pratica scorretta, avrebbe stipulato comunque il contratto, ma lo avrebbe fatto a condizioni diverse, per lui
più vantaggiose.
Sicché, in tal caso, la nullità potrebbe essere azionata solo dal consumatore (nullità relativa) e investirebbe
esclusivamente le clausole frutto del comportamento scorretto (nullità parziale);
- secondo un’altra tesi (accolta dalla Cassazione) la nullità del contratto potrebbe sussistere esclusivamente
quando il contenuto del negozio sia di per sé in contrasto con la norma imperativa, ma non quando tale
contrasto riguardi solamente il comportamento precontrattuale delle parti.
Preferibile è dunque la forma del risarcimento per violazione di una norma di condotta che incide nella fase
precontrattuale.
Secondo questa tesi ogni volta che la volontà negoziale di una parte è condizionata illecitamente dal
comportamento della controparte si ha responsabilità di chi si è comportato in modo contrario a buona fede,
indipendentemente dall’invalidità dello stesso contratto.
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Disciplina giuridica dei contratti 60. Titolo IV Parte II del Codice del consumo: televendite
Il Titolo IV predispone infine una specifica tutela in materia di televendite, che va ad aggiungersi a quella
predisposta dalla disciplina in tema di pratiche commerciali sleali e di pubblicità ingannevole.
Si tratta di norme che ripetono sostanzialmente quanto già previsto in generale in tema di pubblicità, creando
problemi di coordinamento tra le due discipline.
Le televendite infatti sono definite come “offerte dirette al pubblico attraverso il mezzo televisivo o
radiofonico allo scopo di fornire beni o servizi dietro pagamento di un corrispettivo” e pertanto sono
ovviamente soggetti anche alla disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa, nonché alle norme
sulle pratiche commerciali scorrette.
In ogni caso è fatto divieto in particolare di ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità o
della paura, nonché le televendite che offendano la dignità umana.
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Disciplina giuridica dei contratti 61. Art. 33 c.d.c.: le clausole vessatorie
L’art. 33 del Codice del consumo di luci il testo dell’art. 1469 bis c.c., con esclusione della nozione di
consumatore.
Il primo comma dell’articolo in esame definisce come clausole vessatorie quelle che, nel contratto concluso
tra il consumatore e il professionista, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
L’ambito di applicazione soggettivo della disciplina risulta delimitato ai contratti conclusi tra un
professionista sia un consumatore.
Emblematico è il riferimento alla buona fede che conserva l’originaria versione sullo squilibrio “malgrado la
buona fede”.
Molti avevano segnalato l’errore di traduzione della direttiva, ove era chiara l’enunciazione di un significato
oggettivo della clausola che doveva tradursi in una contrarietà alla buona fede.
Sia il Consiglio di Stato sia la Commissione avevano espresso la volontà di correggere il testo, ma alla fine è
prevalsa l’idea contraria per il timore, infondato, di violare la delega con una modifica al testo del codice
civile.
E nella relazione si motiva tale scelta argomentando che “il testo attuale offre un maggior livello di tutela al
consumatore”.
La verità è che tale scelta ci isola dagli altri ordinamenti e pone comunque un problema interpretativo e di
armonizzazione.
Con ciò non si aggrava fatto la posizione del consumatore, ma si rende coerente la disposizione nazionale
con la ratio del legislatore comunitario che punisce uno squilibrio, non oggettivo ma determinato da un
contegno del professionista.
Sulle clausole contenute nella seconda parte della norma (art. 33(2) c.d.c.) sono opportune alcune brevi
notazioni preliminari.
Si tratta anzitutto non di presunzioni ma di un riparto dell’onere probatorio.
È possibile distinguere tra clausole di squilibrio che determinano un significativo squilibrio dei diritti e degli
obblighi delle parti derivanti dal contratto, e clausole di sorpresa che “rendono l’esecuzione del contratto
molto differente da quella che il consumatore legittimamente potrebbe aspettarsi”.
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Disciplina giuridica dei contratti 62. Art. 33(2) lett. e. e lett. f.: trattenere somme di denaro e clausola
penale di importo eccessivo
Art. 33(2) lett. e.: trattenere una somma di denaro
La norma prevista dalla lettera e. sanziona la clausola che consente al professionista di trattenere una somma
di denaro in ipotesi del recesso del consumatore o di mancata conclusione del contratto attribuibile alla
responsabilità di quest’ultimo, senza specularmente prevedere il diritto del consumatore di trattenere il
doppio della somma versata nell’ipotesi in cui sia, invece, il professionista a recedere o a non concludere il
contratto.
L’interpretazione riconosce ampia tutela al consumatore, estendendo la portata applicativa della clausola,
posto che l’allegato alla direttiva 93/13/CE non precisa il titolo a cui la somma di denaro deve essere
versata.
Art. 33(2) lett. f.: clausola penale di importo manifestamente eccessivo.
La clausola prevista nella f. considera vessatorie alcune ipotesi che già ricevono all’interno del codice civile
una disciplina.
La norma prevede la nullità della disposizione che imponga al consumatore una clausola penale di importo
manifestamente eccessivo.
Con riguardo all’interpretazione da attribuire alla locuzione di “importo manifestamente eccessivo”, si
privilegia una “valutazione oggettiva riferita alla compatibilità economica tra l’ammontare della penale e i
termini dello scambio contrattuale”.
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Disciplina giuridica dei contratti 63. Art. 33(2) lett. a. b.: limitazione di responsabilità del
professionista
La clausola prevista alla lettera a. riguarda il caso in cui venga stabilita una limitazione di responsabilità del
professionista da cui consegua uno squilibrio di diritti e obblighi a carico del consumatore.
Con l’ipotesi prevista nella lettera b. si presume vessatoria la clausola con cui viene trasferito il rischio
dell’inadempimento del professionista sul consumatore.
Si fa riferimento all’esclusione e limitazione delle “azioni” e dei “diritti” del consumatore.
Con riguardo ai “diritti”, sono da considerare vessatorie le clausole che incidono sui rimedi generali del
risarcimento del danno e dell’esecuzione in forma specifica, o quella che elimini il diritto del
consumatore/acquirente di procedere all’esecuzione coattiva a seguito dell’inadempimento del
venditore/professionista.
Con il termine generico di “azioni”, si ritiene si sia voluto presumere come vessatoria non solo la clausola
che esclude o rende così gravoso l’esercizio di una azione da impedirne l’utilizzo, ma anche la clausola
incidente sui mezzi di risoluzione stragiudiziale del contratto in modo da limitarne l’applicabilità.
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Disciplina giuridica dei contratti 64. Art. 33(2) lett. c. e lett. d. v.: la compensazione e il diritto
potestativo
Art. 33(2) lett. c.: la compensazione
La clausola di cui alla lettera c. deroga alla norma contenuta nell’art. 1246 n.4 c.c. che dispone non si
verifichi la compensazione allorché il debitore vi abbia previamente rinunciato.
L’ambito di estensione della fattispecie è, peraltro, oggetto di interpretazioni divergenti.
Secondo un orientamento la clausola dovrebbe riguardare le sole obbligazioni aventi fonte nello stesso
contratto.
Tuttavia, è preferibile accogliere la tesi più favorevole al consumatore ovvero quella che ammette
l’operatività della compensazione tra “qualsiasi debito del consumatore nei confronti del professionista e
qualsiasi credito vantato verso di lui, anche se derivante da rapporti diversi”.
Art. 33(2) lett. d. v.: il diritto potestativo
La clausola contenuta nella lettera d., interpretata sistematicamente con quella di cui alla lettera v., ha inteso
vietare al professionista la possibilità di riservarsi un diritto potestativo non mero, volto ad incidere
negativamente sulla posizione del consumatore.
La clausola di cui alla lettera v. riguarda, invece, le ipotesi in cui viene attribuito al professionista un diritto
meramente potestativo, in quanto non rispondente ad una volontà seria ed apprezzabile.
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Disciplina giuridica dei contratti 65. Art. 33(2) lett. g. h.: recessione unilateralmente dal contratto
Le lettere g. e h. disciplinano clausole che attribuiscono convenzionalmente al professionista la possibilità di
recedere unilateralmente dal contratto stipulato con il consumatore.
La norma prevista nella lettera g. sanziona la clausola che attribuisce al solo professionista la facoltà di
recedere dal contratto e quella che consente al medesimo di recedere dal contratto trattenendo anche solo in
parte le somme versate dal consumatore.
La clausola della lettera h. disciplina il recesso nei contratti di durata a tempo indeterminato.
Tale disposizione considera vessatoria la clausola che attribuisce al professionista il potere di recedere da un
contratto a tempo indeterminato, senza ragionevole preavviso, qualora non ricorra una giusta causa.
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Disciplina giuridica dei contratti 66. Art. 33(2) lett. i. e lett. l.: clausole contrattuali e disdetta
Si presume vessatoria in base alla lettera i., la clausola con cui si stabilisca un termine eccessivamente
anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta, al fine di evitare la proroga o la
rinnovazione dello stesso.
art. 33(2) lett. l.
La clausola prevista dalla lettera l. presume la vessatorietà delle clausole che fino prova contraria abbiano
per oggetto, o per effetto, di “prevedere l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha
avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto”.
Tale articolo, rispetto all’art. 1341 c.c., ridimensiona il dovere del consumatore di acquisire la conoscenza
delle clausole contrattuali, e grava piuttosto quello del professionista di adoperarsi affinché sia assicurata al
consumatore l’effettiva conoscibilità delle clausole contrattuali.
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Disciplina giuridica dei contratti 67. Art. 33(2) lett. m.: ius variandi
Con la locuzione ius variandi si indica il potere, previsto dal contratto e attribuito ad una sola parte, di
modificare unilateralmente il regolamento contrattuale; di tale potere la lettera m. costituisce un significativo
indice di legittimità perché consente al professionista di mutare il contenuto del contratto in presenza di un
“giustificato motivo” che sia stato “indicato nel contratto stesso”, non esponendo così la parte che lo subisce
“al rischio di una nuova posizione non predeterminata nei contenuti” che può tradursi in un pregiudizio
economico.
Il criterio per valutare il corretto esercizio del potere di modificare unilateralmente una clausola contrattuale
è espresso dalla locuzione “giustificato motivo”.
L’esercizio illegittimo determina la vessatorietà della nuova clausola e la conseguente nullità.
Sarà inoltre esperibile la domanda di risarcimento del danno subito dal consumatore.
Ci si è posti il problema se il giudice, una volta accertato che la variazione del contratto ha alterato
ingiustificatamente l’equilibrio contrattuale, possa egli stesso dettare una regola perequativa.
La risposta negativa è la più diffusa: si osserva che nel nostro ordinamento manca una regola che sancisca
l’equivalenza tra le prestazioni, per cui la correzione giudiziale del contratto non può trovare fondamento nel
solo squilibrio contrattuale.
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Disciplina giuridica dei contratti 68. Art. 33(2) lett. n. o.: il prezzo
La clausola prevista dalla lettera o. stabilisce che il professionista possa aumentare il prezzo dopo la
conclusione del contratto, a patto che al consumatore sia riconosciuta la possibilità di recedere nel caso in
cui questo si riveli eccessivamente elevato, diritto che può essere esercitato fin quando il contratto non abbia
avuto un inizio di esecuzione.
La norma di cui alla lettera n. esclude, invece, che il prezzo possa essere determinato dopo la stipulazione
del contratto, senza fare menzione del diritto di recesso come condizione di esclusione della vessatorietà
della clausola.
Si è fatto notare come il diritto del professionista di riservarsi la facoltà di modificare il prezzo non comporti
la vessatorietà della clausola, quando ciò dipenda da esigenze oggettive del mercato o del variato potere
d’acquisto della moneta e non da una sua decisione discrezionale.
L’aggettivo “eccessivamente elevato” qualifica la differenza di prezzo idonea a giustificare la presunzione di
vessatorietà della clausola, che pertanto si riferisce ad un rapporto tra prezzi e non tra prestazione e
controprestazione.
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Disciplina giuridica dei contratti 69. Art. 33(2) lett. q.: il mandatario e l'incaricato
La clausola di cui alla q. riguarda le ipotesi di limitazione “di responsabilità del professionista rispetto alle
obbligazioni derivanti dai contratti stipulati in suo nome dai mandatari” o la subordinazione
“dell’adempimento delle suddette obbligazioni al rispetto di particolari formalità”.
Il primo problema interpretativo posto dalla norma è il significato che si deve attribuire alla nozione di
“mandatario”.
La tesi prevalente in dottrina ritiene preferibile l’interpretazione che comprende all’interno dell’ambito di
applicazione della norma in esame, figure dotate di poteri contrattuali più limitati rispetto a quelli del
mandatario in senso tecnico, cui ci si è riferiti con il generico termine di “incaricato”.
L’interpretazione non lascia il consumatore sfornito di tutela allorché si trovi a contrattare con tutta una serie
di figure affini a quelle dei mandatari.
Con riferimento all’oggetto della norma, il primo inciso si riferisce alle limitazioni di responsabilità del
professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti stipulati dai suoi mandatari, ipotesi già
riconducibili alle clausole a., b., e., r.
Il secondo inciso riguarda invece le clausole che subordinano l’obbligazione del professionista di eseguire la
prestazione all’adempimento da parte del consumatore di particolari oneri formali.
Sono esclusi i casi in cui sia la legge ad imporre al consumatore il rispetto di determinati oneri formali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 70. Art. 33(2) lett. r. e lett. s.: eccezioni all'inadempimento e
sostituzione con una terzo nel contratto
Art. 33(2) lett. r.: eccezioni all'inadempimento
La norma prevista alla lettera r. riguarda le clausole che escludono o limitano la possibilità del consumatore
di opporre eccezioni di inadempimento.
L’art. 1462 c.c. vieta clausole che escludono la possibilità per una delle parti di opporre eccezioni di nullità,
annullamento e rescissione, ma ammette la rinuncia preventiva ad eccezione di inadempimento.
La clausola prevista alla lettera r. va oltre l’art. 1462 c.c. ed estende la tutela del consumatore.
Sulla natura delle eccezioni cui fa riferimento la norma sembra preferibile la tesi che propende per quella
sostanziale, perché permette di estendere la tutela del consumatore anche alle ipotesi in cui le limitazioni
della possibilità di proporre eccezioni si collochino sul piano stragiudiziale.
Art. 33(2) lett. s.: sostituzione con una terzo nel contratto
La norma inserita alla lettera s. considera presuntivamente vessatorie le clausole che consentono al
professionista di “sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo
consenso del consumatore, quando ne risulti diminuita la tutela di quest’ultimo”.
La clausola, a differenza dell’art. 1406 c.c. che valuta il consenso come strumento idoneo a tutelare il
contraente ceduto, pone un limite alla disciplina generale, richiedendo come requisito per escludere
l’abusività della clausola la prova che il consumatore non abbia subito una diminuzione della tutela dei
propri diritti.
Per quanto concerne il significato dell’espressione “diminuzione della tutela dei diritti”, l’interpretazione più
corretta è quella che ha riguardo “non soltanto alla capacità di adempiere dell’altro contraente, ma anche al
tipo di prestazione oggetto del contratto, nonché all’intero regolamento contrattuale”, valutazione che va
condotta ex post caso per caso, considerati i complessivi benefici e svantaggi che derivano dalla cessione del
contratto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Disciplina giuridica dei contratti 71. Art. 33(2) lett. t.: arbitrato irrituale
La lettera t. presume come vessatorie le clausole che hanno per effetto o per oggetto di “sancire a carico del
consumatore decadenze e limitazioni della facoltà di proporre eccezioni, deroghe alla competenza
dell’autorità giudiziaria, limitazioni alle allegazioni di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della
prova, restrizioni della libertà contrattuale nei rapporti con i terzi”.
La clausola richiama l’art. 1341 c.c., ma ne arricchisce il contenuto: le clausole di cui all’art. 1341 c.c. sono
efficaci in presenza di una doppia firma, mentre quelle della lettera t. sono nulle a patto che non si riesca a
fornire la prova della negoziazione o di un riequilibrio.
Con riferimento alle clausole che stabiliscono deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, la dottrina è
quasi unanime nel ritenere che sia presuntivamente vessatoria la clausola sull’arbitrato irrituale, inserita in
un contratto tra consumatore e professionista, obbligando le parti a rivolgersi a giudizi arbitrali “non
disciplinati da disposizioni giuridiche”.
La dottrina ha, comunque, ricondotto nella sfera di operatività della norma anche le clausole
compromissorie e dunque anche l’arbitrato rituale, sebbene l’arbitrato trovi la sua regolamentazione nelle
norme del codice di procedura civile.
L’interpretazione è condivisibile perché la clausola compromissoria è comunque una deroga alla
competenza dei giudici ordinari a favore di quella arbitrale che può determinare un costo elevato per il
consumatore e, dunque, un ostacolo alla tutela dei suoi diritti.
Sono riconducibili all’interno delle clausole che introducono una deroga alla competenza dell’autorità
giudiziaria anche quelle che escludono la giurisdizione italiana in favore di quella straniera.
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Disciplina giuridica dei contratti 72. Art. 33(2) lett. u.: il foro del consumatore
La disposizione prevista dalla lettera u. presume come vessatorie le clausole che abbiano per oggetto o per
effetto di “stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza
o domicilio elettivo del consumatore”.
Ci si è interrogati sulla natura della clausola in esame: dalla scelta circa la natura derogabile o inderogabile
del cosiddetto foro del consumatore ne discende una qualificazione come deroga alla disciplina della
competenza territoriale, oppure come vero e proprio criterio di competenza territoriale, che si va a sostituire
a quelli previsti dal codice di procedura civile.
A ricomporre i diversi orientamenti venutisi a formare in giurisprudenza ha provveduto la Corte di
Cassazione che con una sentenza del 2003 a Sezioni Unite ha stabilito che l’interpretazione da accogliere è
quella che attribuisce alla norma il significato di ascrivere al foro del consumatore un “criterio di
collegamento esclusivo, si sostituisce a quelli già previsti al codice di procedura civile”.
La qualifica di “esclusivo” non toglie, tuttavia, che il suddetto foro possa subire delle deroghe a causa
dell’ampio spettro della disciplina in cui questa disposizione è venuta a inserirsi.
Successive sentenze della Suprema Corte, riaffermando l’esclusività del foro speciale, hanno specificato che
le parti lo possono derogare soltanto con trattativa individuale e che grava sul professionista l’onere della
relativa prova.
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Disciplina giuridica dei contratti