Art. 33(2) lett. m.: ius variandi
Con la locuzione ius variandi si indica il potere, previsto dal contratto e attribuito ad una sola parte, di modificare unilateralmente il regolamento contrattuale; di tale potere la lettera m. costituisce un significativo indice di legittimità perché consente al professionista di mutare il contenuto del contratto in presenza di un “giustificato motivo” che sia stato “indicato nel contratto stesso”, non esponendo così la parte che lo subisce “al rischio di una nuova posizione non predeterminata nei contenuti” che può tradursi in un pregiudizio economico.
Il criterio per valutare il corretto esercizio del potere di modificare unilateralmente una clausola contrattuale è espresso dalla locuzione “giustificato motivo”.
L’esercizio illegittimo determina la vessatorietà della nuova clausola e la conseguente nullità.
Sarà inoltre esperibile la domanda di risarcimento del danno subito dal consumatore.
Ci si è posti il problema se il giudice, una volta accertato che la variazione del contratto ha alterato ingiustificatamente l’equilibrio contrattuale, possa egli stesso dettare una regola perequativa.
La risposta negativa è la più diffusa: si osserva che nel nostro ordinamento manca una regola che sancisca l’equivalenza tra le prestazioni, per cui la correzione giudiziale del contratto non può trovare fondamento nel solo squilibrio contrattuale.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto Civile, a.a. 2007/2008
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