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La rescissione e il “contratto giusto”


Le origini

Il rimedio doveva affrontare una forma di impugnativa volta colpire una iniquità del contratto, diversa dalle forme di invalidità.
Da qui la sua ambiguità sistematica e la peculiarità dell’azione.

La disciplina del codice

Il codice italiano del 1942 disciplina due ipotesi:
l’art. 1447 c.c., che disciplina un contratto concluso a condizioni inique, per la necessità nota alla controparte di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona;
l’art. 1448 c.c., che presuppone tre elementi: una sproporzione fra le prestazioni determinata da uno stato di bisogno di una parte del quale l’altra abbia approfittato per trarne vantaggi, e una lesione che ecceda la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto.
Esistono diverse opinioni sulla ricostruzione della figura: per alcuno si tratta di ipotesi di invalidità, ove il difetto è determinato dalla iniquità risultante dall’atto slittamento di una situazione di anomala esplicazione della libertà negoziale; per altri è un autonomo rimedio che dà rilievo all’iniquità o sproporzione.

Le radici storiche

Dopo la soppressione voluta dalla Rivoluzione francese, la figura è stata recuperata nel codice Napoleonico e successivamente introdotta nel codice italiano del 1865, spostandone il fulcro dall’aspetto soggettivo alla lesione ultra dimidium, recependo così l’idea del giusto prezzo.
Di fronte all’attuale disciplina del codice del 1942, maggiore consistenza teorica hanno le teorie di considerano centrale l’approfittamento della situazione di debolezza di una parte.
Ma fra chi assume tale ipotesi costruttiva non vi è affatto convergenza di analisi: da un lato, si osserva che il fatto sanzionato comporta una deficienza del contratto in uso dei suoi elementi essenziali, riproponendo in tal modo un’attenzione al momento causale, dall’altro, si insiste ancora sul requisito autonomo dell’abuso.
Emerge, infine, da tale dialettica un’indubbia oscurità dogmatica dell’istituto e una conseguente sua scarsissima applicazione.
L’istituto è espressione del problema analitico della giustizia contrattuale, che ha avuto rilevanza e considerazione diversa nella storia e di ogni ordinamento.
La tutela della volontà per assicurare libertà negoziale è funzionale e coerente con la cultura e l’economia liberale dell’800.
La giustizia contrattuale è intesa come garanzia e rafforzamento del libro incontro delle volontà.
Il difetto del consenso può rilevare solo in ipotesi tassative (incapacità, errore, dolo, violenza, lesione enorme) perché la sicurezza e la libertà dei commerci esigono che non si possa intentare facilmente azioni contro il contratto.

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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