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La riflessione dogmatica sulla causa


Di questo significato si appropria il legislatore del ‘900 per attuare quei fini solidaristici propri dell’ideologia del tempo: “in ogni contratto si deve realizzare un interesse sociale, oggettivo e socialmente controllato, che costituisce la funzione”.
Siamo lontanissimi dall’800, anche se sono passati pochi decenni dalla fine del secolo.
Il contratto non è più l’affermazione dell’individuo e della sua volontà sovrana: deve invece realizzare un interesse “sociale e oggettivo”, “socialmente controllato”, che ne “costituisce la funzione”.
Il contratto diventa funzione di un interesse non individuale ma sociale: deve essere allineato e conforme a un interesse sociale.
La relazione al codice del 1942 è chiarissima: “bisogna tenere fermo, contro il pregiudizio incline a identificare la causa con lo scopo pratico individuale (presa di distanza dallo Stato ottocentesco e liberale)  che la causa richiesta dal diritto non è lo scopo soggettivo, qualunque esso sia, perseguito dal contraente nel caso concreto, ma la funzione economico-sociale che il diritto riconosce quale garante dei suoi fini e che sola giustifica la tutela dell’autonomia privata. Funzione pertanto che deve essere non solo conforme ai precetti di legge (ordine pubblico e buon costume) ma anche rispondente ad una finalità socialmente apprezzabile e come tale meritevole della tutela giuridica”.
È facile rintracciare le radici di questo preciso indirizzo ideologico: muta il rapporto fra Stato e cittadino; emerge lo Stato corporativo, accentratore e dirigista in economia; lo Stato fissa le finalità da raggiungere.
Alla causa viene attribuito un ruolo di controllo per stabilire se i fini e gli interessi privati dei contraenti siano coerenti con quelli generali fissati dall’ordinamento corporativo.
La causa emerge come strumento che esprime non tanto il punto di vista dei contraenti quanto quello dell’ordinamento.

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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