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L’annullabilità del contratto e la controversa ratio dell’art. 428 c.c.


La dottrina si è divisa sulle condizioni occorrenti per l’annullabilità del contratto compiuto dall’incapace naturale:
secondo una prima impostazione, accolta dalla giurisprudenza, l’interpretazione dell’art. 4281 c.c. deve essere tenuta separata da quella dell’art. 4282 c.c. distinguendo così, quanto ai presupposti, l’annullamento dell’atto unilaterale dall’annullamento del contratto.
Nel caso dell’annullamento dell’atto unilaterale, occorre provare l’incapacità di intendere o di volere al momento del compimento dell’atto e il grave pregiudizio derivato all’autore.
Nel caso dell’annullamento del contratto, invece, è sufficiente dimostrare, oltre all’incapacità, la mala fede del soggetto che contrae con l’incapace naturale, non costituendo il grave pregiudizio presupposto di annullabilità.
L’idea di prescindere dal grave pregiudizio per annullare il contratto, consente alla tesi di esame di ricostruire la ratio dell’art. 428 c.c. quale norma volta a proteggere principalmente il soggetto debole.
La norma tutelerebbe, quindi, principalmente, la volontà, la capacità di autodeterminarsi in modo pienamente consapevole;
secondo un’altra opinione, sostenuta dalla dottrina, l’art. 4282 c.c. deve essere eletto congiuntamente all’art. 4281 c.c.
Perciò, per ottenere l’annullamento del contratto è necessario provare la mala fede (comma 2) e il grave pregiudizio (comma 1).
La necessità del grave pregiudizio per l’annullamento del contratto indica, secondo taluno, che la “legge considera l’incapacità naturale non come fattore che altera la volontà, ma come fattore di alterazione della causa dell’atto o del contratto, che è annullabile solo se concluso, per effetto dell’incapacità della parte, a condizioni gravemente pregiudizievoli per essa”.
L’opinione in esame si espone ad alcune obiezioni incentrate, da una parte, sulla lettera della norma e, dall’altra, sul coordinamento con la disciplina dei vizi del consenso e delle misure di protezione dei soggetti privi di autonomia:
- sotto il primo profilo, la Relazione al Re esplicita espressamente l’intento di dettare una disciplina distinta per l’annullabilità dei negozi giuridici bilaterali e per quelli unilaterali; inoltre, l’impiego del termine “autore” dell’atto, contenuto nel primo comma, pur idoneo a richiamare ciascuno dei soggetti che concludono il contratto è riferito, secondo il tenore della norma, al solo incapace: ciò proverebbe che il legislatore avrebbe avuto in mente soltanto gli atti unilaterali;
- quanto al secondo profilo, l’incapacità naturale può essere avvicinata sul piano sistematico non alla rescissione, ma ai vizi del consenso: ciò perché in entrambi i casi di è un’alterazione della volontà.
Questo punto di contatto consente di valorizzare il dato normativo secondo cui la lesione economica non è un elemento costitutivo di fattispecie quali l’errore, la violenza morale e il dolo, le quali si perfezionano se la condotta descritta dalle rispettive norme limiti la capacità di decidere liberamente e consapevolmente.

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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