Il libro di riferimento è Corso di Diritto penale - F. Palazzo, Giappichelli, 2005. Nella prima parte degli appunti vien eaffrontato il tema del reato, in particolare il fatto tipico e la rilevanza giuridico penale dell'evento. Successivamente vengono trattati gli obblighi di garanzia e la responsabilità soggettiva ed oggettiva dell'individuo, viene inoltre definito il concetto di dolo, di errore, di aberratio e di colpa. Vengono trattate poi le varie forme di manifestazione del reato. Nella seconda parte degli appunti vengono definiti i concetti di pena e di sanzione punitiva, le funzioni di garanzia generale, e la polifunzionalità della pena. Viene ampiamente descritto il reato e le sue funzioni, il concetto di dannosità sociale del reato e i vari tipi di reato. Successivamente viene affrontato il principio di legalità, viene trattato il concetto di diritto penale come materia giuridica, e quindi anche le leggi penali e i vari problemi legati all'applicazione delle leggi nell'ordinamento italiano. Nell'ultima parte viene ripreso il tema dell'antigiuridicità, e in particolare le caratteristiche del consenso giuridico. Infine si espone il concetto di punibilità e le varie conseguenze del reato; vengono descritti poi i vari tipi di pena, quali la reclusione, l'arresto, la pena di morte, la multa e l'ammenda.
Diritto Penale
di Beatrice Cruccolini
Il libro di riferimento è Corso di Diritto penale - F. Palazzo, Giappichelli, 2005.
Nella prima parte degli appunti vien eaffrontato il tema del reato, in particolare il
fatto tipico e la rilevanza giuridico penale dell'evento. Successivamente
vengono trattati gli obblighi di garanzia e la responsabilità soggettiva ed
oggettiva dell'individuo, viene inoltre definito il concetto di dolo, di errore, di
aberratio e di colpa. Vengono trattate poi le varie forme di manifestazione del
reato. Nella seconda parte degli appunti vengono definiti i concetti di pena e di
sanzione punitiva, le funzioni di garanzia generale, e la polifunzionalità della
pena. Viene ampiamente descritto il reato e le sue funzioni, il concetto di
dannosità sociale del reato e i vari tipi di reato. Successivamente viene
affrontato il principio di legalità, viene trattato il concetto di diritto penale come
materia giuridica, e quindi anche le leggi penali e i vari problemi legati
all'applicazione delle leggi nell'ordinamento italiano. Nell'ultima parte viene
ripreso il tema dell'antigiuridicità, e in particolare le caratteristiche del consenso
giuridico. Infine si espone il concetto di punibilità e le varie conseguenze del
reato; vengono descritti poi i vari tipi di pena, quali la reclusione, l'arresto, la
pena di morte, la multa e l'ammenda.
Università: Università degli Studi di Perugia
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Diritto Penale1. Definizione di evento in senso naturalistico nella teoria del reato
Nella teoria del reato è ancora in uso la contrapposizione tra evento in senso giuridico (che guarda alla realtà
giuridica) e evento in senso naturalistico (che guarda alla realtà fenomenica).
Posto che l’evento è “qualsiasi accadimento, conseguenza di una data condotta”:
concezione naturalistica
evento è qualsiasi modificazione della realtà naturale, conseguenza della condotta esteriore dell’uomo, cui
l’ordinamento giuridico ricollega determinati effetti. Es. è evento naturalistico la morte di Tizio, intesa come
fenomeno biologico di cessazione di ogni attività cardio-circolatoria, prodottasi come conseguenza della
condotta omicida che ha reciso la carotide della vittima; mentre è evento in senso giuridico il contenuto di
disvalore consistente nella perdita di una vita umana.
In quanto conseguenza naturalistica della condotta umana, l’eventi in senso naturalistico deve essere
logicamente e cronologicamente distinguibile dalla condotta, cioè deve essere sempre possibile concepire
l’esaurimento della condotta tipica senza che ne sia implicita la produzione dell’evento. Es. non si può dire
che è evento in senso naturalistico del delitto di evasione (art. 385) il fatto di venirsi a trovare fuori dal
carcere, poiché tale situazione non è né cronologicamente né logicamente separabile dalla condotta di
varcare quel confine.
Il diritto penale non sempre attribuisce “rilevanza giuridica” alle conseguenze del comportamento
criminoso, né cmq vi attribuisce la medesima rilevanza. Quando ciò accade la conseguenza rilevante entra a
far parte della struttura del fatto tipico come evento (in senso naturalistico) del reato.
Quindi, per tale concezione:
l’evento non è elemento che ricorre sempre nel reato. (ad es. manca nell’evasione e nell’omissione di
soccorso);
esistono reati con pluralità di eventi (es. la rapina ha per effetto una violenza e una sottrazione);
esistono reati aggravati dall’evento, in cui appunto l’evento è solo una circostanza aggravante (es. delitto di
maltrattamenti, aggravato dal fatto che si verifica la morte del maltrattato).
Evento (in senso naturalistico) => quale conseguenza della condotta. In tale casi, quindi, il fatto per essere
tipico richiede 3 elementi:
condotta,
evento,
nesso causale tra la condotta e l’evento (cioè rapporto di causalità).
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 2. Definizione di evento in senso giuridico nella teoria del reato
l’evento coincide con l’offesa arrecata dal reato e consiste nella lesione o messa in pericolo del bene protetto
dalla norma. Quindi con evento in senso giuridico si intende fa riferimento al contenuto di disvalore del
reato che costituisce il fondamento stesso dell’incriminazione e che è stato portato ad espressione dal
legislatore attraverso la formulazione della fattispecie con l’insieme dei suoi elementi essenziali. Es. nel
delitto di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) il contenuto di disvalore è costituito dall’offesa al normale e
corretto svolgimento dell’attività giudiziaria, mentre gli elementi essenziali sono quelli in cui si articola il
fatto tipico descritto dall’art. 372 c.p.
Una fattispecie può essere incriminata in quanto dotata di un contenuto di disvalore:
consistente nella lesione o pericolo subiti dal bene giuridico => reati di offesa;
consistente nella contrarietà del fatto agli scopi perseguiti dal legislatore => reati di scopo.
L’evento in senso giuridico non è elemento del fatto tipico, ma il suo complessivo contenuto di disvalore:
esso si pone sul piano delle valutazioni normative (non sul piano naturalistico-fattuale). Perciò l’evento in
senso giuridico è estraneo all’analisi del fatto tipico.
Quindi, per tale concezione:
ogni reato consta necessariamente di un evento, in quanto tutti i reati ledono o mettono in pericolo un bene;
non esistono reati con doppio evento o reati aggravati dall’evento: mentre la concezione naturalistica
considera tali quei reati che presentano, accanto all’evento-base, un secondo “evento”, il quale induce il
legislatore a comminare una pena diversa; la concezione giuridica ritiene che debba parlarsi sempre di un
solo evento in quanto l’ulteriore risultato non va considerato come un evento in senso tecnico, ma +
semplicemente come circostanza del reato;
dall’evento dipende l’esistenza del reato: ogni reato ha un suo evento inteso in senso giuridico;
ogni evento è legato alla condotta da un nesso di causalità: esso, infatti, costituisce la conseguenza giuridica
della condotta del reo.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 3. Cartteristiche dell'evento nella teoria del reato
Gli “elementi essenziali” della fattispecie incriminatrice sono assunti come tali dal legislatore in quanto
concorrono alla determinazione dello specifico contenuto di disvalore di quel particolare “tipo” criminoso.
Lo stesso avviene anche per l’evento.
Es. il reato di violenza sessuale (art. 609bis c.p.) sussiste anche se dalla congiunzione carnale non deriva la
gravidanza => La gravidanza infatti, non solo è una conseguenza naturalisticamente del tutto eventuale del
comportamento, ma anche e soprattutto perché non avrebbe senso condizionare la responsabilità di un
“evento” del tutto estraneo al contenuto di disvalore del fatto, il quale si esaurisce tutto e sussiste già
interamente nell’offesa alla libertà sessuale della vittima.
L’evento dunque al pari di tutti gli altri elementi essenziali del reato, concorre alla determinazione del
contenuto di disvalore dell’illecito.
L’evento, a differenza della condotta (che deve esserci sempre) è un elemento variabile, cioè non presente in
tutte le fattispecie criminose: es. caratterizza l’omicidio o il danneggiamento, ma manca nella violenza
sessuale e nell’omissione di soccorso. => La ragione di ciò sta nel fatto che non sempre le conseguenze del
comportamento, o alcune di esse, integrano il contenuto di disvalore tenuto presente dal legislatore. Vi sono
tipi criminosi in cui il disvalore si radica e si esaurisce nella sola condotta (es. violenza sessuale o omissione
di soccorso) e altri in cui invece tale disvalore presuppone la verificazione di un risultato della condotta (es.
omicidio, incendio, danneggiamento).
Dunque, si parla:
da un lato => di “disvalore d’azione” => reati di mera condotta, il cui disvalore è già interamente incarnato
dalla condotta, cioè esistono alcuni beni giuridici che sono integralmente pregiudicati già dalla “mera “
condotta aggressiva (es. violenza sessuale);
dall’altro => di “disvalore d’evento” => reati di evento => il cui disvalore si esprime compiutamente solo
attraverso anche una conseguenza della condotta, cioè vi sono beni il cui pregiudizio non è integralmente
realizzato dalla sola condotta.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 4. Concetto di azione e disvalore
La contrapposizione tra disvalore d’azione/disvalore d’evento, però, non riflette solamente una diversa
tecnica di tutela, condizionata o dalla natura del bene (in cui il pregiudizio si realizza pienamente già con la
sola condotta) ovvero dall’intento di anticipare la tutela ad uno stadio antecedente alla realizzazione
integrale del pregiudizio.
In particolare:
_ L’opzione ideologica per il disvalore d’azione significa concepire il reato non già come aggressione agli
interessi sociale ma come semplice fatto di disobbedienza, di scostamento della volontà individuale dalla
volontà “superiore” della lex => significa concepire il d.penale come mezzo di repressione della volontà
disobbediente.
_ L’opzione ideologica per il disvalore d’evento (al contrario) significa concepire il d.penale in una chiave
oggettivistica come apparato preventivo-repressivo teleologicamente rivolto ad assicurare il “bene sociale”:
il potere punitivo si preoccupa di evitare le conseguenze socialmente negative dei loro comportamenti. Tale
opzione risulta quella propria di un sistema penale “secolarizzato”, come è imposto dalla nostra Cost.
In conclusione => la scelta ideologico-politica sottostante alla contrapposizione tra disvalore
d’azione/disvalore d’evento non implica che un sistema penale debba necessariamente essere costituito
solamente da reati di mera condotta ovvero solamente da reati di evento => quando il contenuto di disvalore
di un determinato tipo criminoso si materializza solo o anche in un certo risultato della condotta, cioè in un
“evento0”, quest’ultimo deve essere assunto dal legislatore nella fattispecie criminosa:
o come “evento” in senso proprio,
o almeno come oggetto del pericolo in cui viene a consistere il disvalore del reato.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 5. La rilevanza giuridico-penale dell’evento
L’evento può assumere una diversa rilevanza giuridico-penale:
come elemento essenziale del reato => indispensabile per la sussistenza del reato e della responsabilità;
come circostanza aggravante => cioè come semplice fattore di aggravante della pena;
come condizione obiettiva di punibilità => cioè quale condizione alla cui realizzazione è subordinata la
punibilità di un reato e di una responsabilità già compiutamente integrati.
Il regime di imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti (art. 59.2 c.p.) e delle condizioni obiettive
(art. 44 c.p.) è diverso da quello degli elementi essenziali del reato (art. 42 c.p.). Per l’affermazione di una
responsabilità dolosa occorre che tutti gli elementi essenziali del fatto tipico siano stati posti in essere con
dolo (art. 43.1 c.p.), mentre:
le circostanze aggravanti che eventualmente accedono al reato sono imputate sulla base ella semplice colpa;
le condizioni obiettive rendono il fatto punibile prescindendo totalmente da qualsiasi coefficiente
psicologico.
Conseguentemente, qualora un risultato naturalistico della condotta incarnante il contenuto di disvalore del
reato fosse qualificato dal legislatore, non come elemento essenziale, ma come circostanza aggravante o
come condizione obiettiva, ne deriverebbe che l’imputazione soggettiva sarebbe piena e reale in rapporto ad
un fatto diverso (“minore”), dal p. di vista del disvalore, rispetto a quello in effetti posto a carico del
soggetto e per il quale è stabilita la pena irrogata.
Il problema è stato risolto dalla Corte Cost., la quale ha affermato che => “tutti gli elementi che concorrono
a contrassegnare il disvalore della fattispecie penale devono essere coperti almeno dalla colpa dell’agente”.,
con la conseguenza che elementi di tale natura non potranno essere correttamente considerati quali
condizioni obiettive di punibilità e pertanto imputate all’agente prescindendo dalla sua colpevolezza.
Il problema della natura giuridica dell’evento (se elemento essenziale – circostanza aggravante - condizione
obiettiva di punibilità) riguarda anche l’interprete => egli dovrà poter stabilire se un certo evento è l’una o
l’altra cosa proprio in ragione della diversa disciplina che discende dalla diversa natura giuridica.
Il criterio ermeneutico prevalente si basa sul rapporto esistente tra l’evento, della cui natura giuridica si
dubita, e il contenuto di disvalore del fatto: cioè deve essere considerato elemento essenziale del reato
quell’evento che concorre in modo determinante a identificare il contenuto di disvalore proprio e specifico
del fatto. Anche tale criterio cmq non è immune da incertezze.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 6. Distinzione dei reati in base all'evento
Distinzione dei reati in base all’evento (quale elemento essenziale del reato, costitutivo del fatto tipico):
1_ reati in cui il risultato della condotta incarna addirittura l’offesa al bene protetto:
sia che si tratti di offesa consistente nella effettiva distruzione del bene (reati di danno: es. omicidio);
sia che si tratti della semplice sua messa in pericolo (reati di pericolo: es. reato di incendio di cosa altrui).
2_ reati in cui l’evento è individuato nel pericolo che si produca, a sua volta, un ulteriore risultato
pregiudizievole per il bene protetto, sia che questo 2° risultato sia poi individuato in una conseguenza
naturalistica ovvero nella stessa offesa al bene giuridico. Es. nell’art. 424 c.p. la conseguenza della condotta
incendiaria è individuata nel “pericolo di un incendio”. Si parla dei c.d. reati di pericolo concreto, in cui
questo “risultato di pericolo” è assunto a elemento essenziale del fatto tipico in qualità di vento e dunque di
risultato naturalistico della condotta. In realtà, il “pericolo” è essenzialmente un giudizio probabilistico di
relazione + che un dato di consistenza davvero naturalistica.
I reati di pericolo concreto possono essere qualificati come reati di evento, sul presupposto che l’elemento
del pericolo implica certamente il richiamo di circostanze fattuali ulteriori ed aggiuntive rispetto alla mera
condotta, e sulle quali si deve estendere l’accertamento del giudice. In fatti, la tecnica incriminatrice che si
avvale del c.d. pericolo concreto consente di anticipare la tutela rimettendo al giudice l’individuazione della
“base fattuale” del giudizio di pericolo, esonerando così il legislatore dall’arduo compito di provvedere in
astratto e una volta per tutte alla descrizione del reato in modo adeguatamente espressivo del contenuto
offensivo.
3_ reati in cui l’evento, pur concorrendo insieme agli altri elementi essenziali a costituire il fatto tipico, si
pone in un rapporto “indiretto” rispetto al contenuto di disvalore del reato.
Es. nel delitto di truffa (art. 640 c.p.) l’”errore” in cui deve essere indotto il soggetto passivo è sì un risultato
della condotta truffaldina ma non “incarna” l’offesa patrimoniale, rispetto al quale esso si pine in un
rapporto strumentale.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 7. Diversi tipi di reato
1_ Si distinguono:
I reati di pura condotta
=> c.d. formali
_ secondo la concezione naturalistica: sono quei reati in cui manca l’evento, essendo sufficiente per la loro
realizzazione il compimento di una determinata condotta (es. evasione).
_ secondo la concezione giuridica: sono quei reati in cui vi è solo l’evento giuridico e non anche un evento
inteso in senso naturalistico.
reati di evento
=> c.d. materiali
_ secondo la concezione naturalistica: sono quei reati per la cui configurabilità è richiesto, oltre all’azione o
all’omissione, il verificarsi di un evento.
_ secondo la concezione giuridica: sono quei reati che presentano, oltre all’evento giuridico che non può
mancare mai, anche un evento materiale.
2_ Si distinguono:
reati omissivi propri
=> per cui è necessaria e sufficiente la semplice condotta negativa del reo.
reati omissivi impropri
=> per cui è necessario che il soggetto con la sua condotta negativa abbia causato un dato evento.
3_ Si distinguono:
reati di danno
=> lesione del bene protetto dalla norma penale, c’è pregiudizio definitivo al bene che si vuole tutelare. (es.
omicidio)
reati di pericolo
=> semplice messa in pericolo del bene protetto dalla norma, non c’è pregiudizio definitivo. (es. incendio)
4_ Si distinguono:
reati istantanei
=> quei reati in cui l’evento si produce immediatamente (es. morte nell’omicidio).
reati permanenti
=> quei reati in cui l’vento, e con esso la consumazione, perdura per un certo lasso di tempo (es. sequestro
di persona a scopo di estorsione) o per volontà del reo.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 8. Il rapporto di causalità tra la condotta e l'evento
Ai fini dell’esistenza del reato, è necessario che la condotta e l’evento siano legati da un nesso causale.
L’esigenza di questo 3° elemento è espressa dall’art. 40.1 c.p. dal quale si ricava che nessuno può essere
considerato autore del reato se l’evento dannoso o pericoloso che lo caratterizza non è in relazione causale
con il suo comportamento.
Il principio è affermato anche all’art. 27 Cost., il quale, statuendo che “la responsabilità penale è personale”
consente di configurare la responsabilità penale esclusivamente per fatto proprio.
Il nesso causale tra l’evento e la condotta è il requisito che consente di ricondurre un fatto ad una persona
agente: l’uomo opera nel mondo esterno attraverso il proprio comportamento, che costituisce lo strumento di
cui egli dispone per rapportarsi al mondo esterno: perciò gli eventi naturalistici gli appartengono proprio in
quanto siano conseguenza della sua condotta.
Pertanto, il nesso causale è il requisito che consente di attribuire, di ascrivere ad un soggetto determinato (la
responsabilità per ) il fatto criminoso comprensivo dell’evento naturalistico come un fatto proprio, in
perfetta osservanza del principio della responsabilità personale che vieta l’attribuzione della responsabilità
per fatto altrui o cmq non proprio del soggetto punito.
In sintesi => l’evento e il nesso di causalità sono 2 elementi essenziali del reato (di evento) concettualmente
distinti, ma non può esservi l’uno senza l’altro.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 9. La pluralità delle condizioni necessarie all'evento del reato
Quello della causalità è certo un requisito che attiene al profilo oggettivo-fisico-naturalistico del reato, ma è
essenzialmente un problema di conoscenza delle leggi scientifiche che sono individuate e disponibili per la
“spiegazione causale” dei fenomeni naturalistici.
Innanzitutto, va bandita l’idea che il nesso causale di un vento rispetto ad un altro stia a significare una sorta
di contenenza fisica dell’uno nell’altro, quasi che la conseguenza sia una realtà già fisicamente contenuta
nella causa. Es. è come dire che nel piombo e nella polvere da sparo, che costituiscono il proiettile con il
quale viene colpito Tizio sia fisicamente “contenuta” la morte di Tizio. In realtà, la morte di Tizio è la
conseguenza dell’interagire di tutta una serie ulteriore di numerose condizioni che si aggiungono al
proiettile.
Quindi, lungi dal poter affermare che l’evento sia fisicamente “contenuto” in un certo suo antecedente
causale, esso è piuttosto sempre il risultato di una pluralità di condizioni che, nel loro insieme, costituiscono
causa sufficiente alla produzione dell’evento, mentre ciascuna considerata di per sé, isolatamente costituisce
una condizione necessaria (condicio sine qua non).
Il giudice penale cerca di sapere se una certa condotta umana è qualificabile come condizione necessaria di
un determinato evento. Il giudice, avendo l’esigenza di qualificare casualmente la sola condotta umana, ha
bisogno di verificare se essa, e solamente essa, può essere annoverata tra le condizioni necessarie
dell’evento.
Il metodo conoscitivo con il quale procede consiste nel processo di eliminazione mentale del fattore assunto
come condizionante l’evento, al fine di verificare il suo carattere di condicio sine qua non.
La causalità va valutata ex post.
Chiaramente il giudice, intervenendo sempre necessariamente dopo la realizzazione del fatto e non potendo
ovviamente riprodurre successivamente fatti dello stesso tipo => procederà mediante un giudizio (di natura
ipotetica) c.d. controfattuale, cioè contro i fatti, l’eliminazione della condizione è solo ipotetica, mentale , ed
è contro la realtà del fatto già accaduto.
Per procedere mediante tale giudizio, dovrà necessariamente avvalersi di un sapere scientifico già
consolidato. quindi:
o esiste la spiegazione causale di un certo vento da parte della scienza;
oppure si dovrà rinunciare all’accertamento, negando la sussistenza del nesso causale e quindi anche
l’esistenza del reato. Infatti se non c’è lex scientifica di copertura non si può dimostrare il rapporto di
causalità e perciò il giudice potrà solamente punire il reato di pericolo (non di danno).
È lo stesso principio di legalità che esclude nel modo + radicale che l’esistenza di un elemento esenziale del
reato possa dipendere dall’intuito, o dalle convinzioni dell’organo giudicante e non da parametri conoscitivi
di natura oggettiva, ancorché variabili storicamente in rapporto al diverso grado raggiunto dall’umana
conoscenza.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 10. Caratteristiche delle leggi scientifiche di copertura
Il procedimento di eliminazione controfattuale utilizza dei parametri scientifici concernenti la regolarità
degli accadimenti naturali => si tratta delle c.d. leggi scientifiche di copertura, cioè di spiegazione causale
dei fenomeni naturali.
Esse esprimono la generalizzazione di una successione regolare, verificata e confermata scientificamente ed
empiricamente, tra uno o + antecedenti e una o + conseguenze. È solo la conoscenza di tali leggi scientifiche
che può far funzionare il giudizio controfattuale di eliminazione mentale.
Le leggi scientifiche possono essere formulate in modo + o meno dettagliato a seconda della quantità di
condizioni concorrenti che esse prendono, espressamente o tacitamente, in considerazione. Infatti esse si
distinguono in 2 specie: universali – probabilistiche, a seconda che ricolleghino un certo evento ad un
determinato antecedente in termini di certezza (non essendo finora quella successione mai stata smentita)
oppure manchi una verifica al 100% di quella successione tra i 2 termini considerati.
Il fascio di condizioni sconosciute determina la possibilità di una variazione del decorso causale.
Ci si chiede, perciò, se l’esigenza di certezza del diritto penale consenta di aver a che fare solo con leggi
universali o anche con quelle probabilistiche.
Dato che l’elemento “naturalistico” del nesso causale ha in realtà una consistenza + conoscitiva che fisica, e
quindi il carattere probabilistico della legge scientifica non significa incertezza sull’esistenza di un nesso
causale concepito come “dato” in sé fisicamente preordinato, ma solo un diverso tipo di conoscenza causale,
si osserva che:
a rigore la certezza delle leggi universali deriva dalla mancanza di smentite alla regolarità della successione
tra 2 eventi, così che alla fine anche quelle universali sono in realtà probabilistiche, ma presentano un
altissimo grado di probabilità;
è ovvio che l’ineliminabile finitezza dell’umana conoscenza rende inevitabile quella componente di
probabilità connessa alla sconoscenza di una quota delle condizioni necessarie => perciò si conclude con
l’ammissibilità e utilizzabilità delle leggi scientifiche probabilistiche.
Oggi è tuttavia molto vivo il dibattito se sia legittimo fondare la responsabilità per l’evento prodotto su una
probabilità che non sia “prossima alla certezza” => la giurisprudenza della Corte di Cassazione ritiene
affermabile il nesso causale nonostante l’assenza di una probabilità di condizionamento “prossima alla
certezza” nelle ip. in cui la lex scientifica rimane l’unica possibilità per dare una “plausibile” copertura
scientifica alla spiegazione causale dell’evento.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 11. La descrizione dell’evento e la concretizzazione delle leggi di
copertura
Le leggi causali sono astratte. Esse esprimono infatti la generalizzazione di una successione regolare tra
accadimenti naturali, ed è proprio astraendo dalle caratteristiche che conferiscono la concreta irripetibilità
agli accadimenti considerati.
Anche le leggi prescrittive sono formulate in termini astratti, poiché non esauriscono la loro portata
regolativi in rapporto a questo quel comportamento concretamente individuato hic et nunc, essendo piuttosto
orientate a disciplinare comportamenti futuri individuabili solo attraverso generalizzazione concettuale.
Tutte le leggi (scientifiche e prescrittive) sono elaborate per essere applicate ai casi concreti, l’unica
differenza decisiva tra queste 2 specie di leggi riguarda => il passaggio dall’astratto al concreto:
mentre l’applicazione di una norma prescrittiva deve prescindere da tutte le caratteristiche concrete
qualificabili come irrilevanti in quanto non considerate dalla lex nella descrizione della fattispecie;
l’applicazione di una lex causale non può, invece, prescindere da uno sforzo di accertamento in concreto
delle condizioni necessarie alla produzione di quell’evento storico (hic et nunc), poiché la spiegazione
causale dell’evento muta, e la lex causale di riferimento muta altresì, con il variare del contesto fattuale di
riferimento. Es. un colpo di bastone può spiegare la frattura del cranio di un infante, ma non quella di un
uomo adulto e sano.
In pratica => la spiegazione causale degli eventi naturali, pur avvenendo necessariamente attraverso leggi
dotate del carattere dell’astrattezza, deve tuttavia muoversi nella concretezza del contesto in cui si è prodotto
l’evento hic et nunc.
L'esigenza di concretezza
L’esigenza di concretezza si pone ad un triplice livello affinché il modello di spiegazione scientifica degli
accadimenti naturalistici possa trovare applicazione:
A livello dell’evento stesso => cioè il giudice deve assumere l’evento non già per come esso corrisponde a
quello descritto nella fattispecie astratta, ma nella sua concretezza, come esso si presenta hic et nunc nel
contesto concreto della sua effettiva verificazione (c.d. descrizione dell’evento).Il giudice, quando procede
alla descrizione dell’evento, effettua una selezione delle note caratteristiche di quell’accadimento sulla base
di una prima provvisoria ipotesi applicativa di leggi causali, destinate a trovare poi la conferma o le
necessarie correzioni nella ricerca della spiegazione causale.
Necessità di avere un quadro delle condizioni necessarie sufficientemente ampio da consentire
l’individuazione di condotte umane anche “lontane” dall’evento ma nei confronti delle quali sia possibile e
doveroso il giudizio di imputazione.
Es. la perdita di un arto può essere la conseguenza immediata di un intervento chirurgico, ma il giudice deve
anche considerare eventuali condotte antecedenti all’imputazione chirurgica, es. un incidente stradale.
Necessità di una corretta applicazione delle leggi causali => infatti, la spiegazione causale di un evento può
mutare a seconda dei fattori condizionanti conosciuti e presi in considerazione.
Tutte le volte in cui sia possibile, il giudice deve ricostruire nella sua completezza la catena causale che ha
prodotto l’evento.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale L’individuazione del numero maggiore possibile di condizione necessarie consente sia di utilizzare leggi
scientifiche dotate di un + alto grado di probabilità sia di ridurre il margine di dubbio sulla possibile
operatività di serie causali alternative.
L’impossibilità di spiegare la produzione di un evento attraverso al completa e puntuale ricostruzione della
serie causale può dipendere:
o dalla inesistenza di leggi scientifiche perfezionate capaci di orientare nella ricerca dei fattori causali => in
tale caso la soluzione dipende dalla scelta di principio in ordine alla legittimità o meno di utilizzare leggi
scientifiche caratterizzate da una probabilità non prossima alla certezza e di condannare anche senza che sia
possibile escludere l’intervento di serie causali alternative.
o dalla scarsità materiale fattuale insufficiente a fornire la prova di uno o + fattori condizionanti => in tale
caso si dovrà escludere la responsabilità per difetto di prova adeguata del fatto storico.
Esigenza di astrattezza
All’esigenza di concretezza si contrappone un’esigenza di astrattezza nell’applicazione delle leggi
scientifiche di spiegazione causale dell’evento:
1-le leggi scientifiche esprimono una regolarità tra accadimenti della natura e tale regolarità implica che la
lex colleghi accadimenti non già irripetibili, singolari, ma “dello stesso tipo”;
2-è proprio la funzione svolta dalla lex causale nell’individuazione di un elemento di fattispecie che spiega
l’esigenza di astrattezza.
Infatti, il giudice, quando accerta il rapporto di causalità, non è chiamato a dare la descrizione completa
della sequenza degli accadimenti come essi si sono svolti: egli deve piuttosto applicare una norma di
comportamento che, come tale, si dirige ai consociati prospettando loro un modello di azione, e dunque
questo modello comportamentale sarà costruito (se reati di evento) sulla base della regolarità esistente tra
certi tipi di condotta e certi tipi di evento corrispondenti a quelli descritti dalla fattispecie.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 12. Teoria dell’equivalenza delle condizioni o c.d. della condicio sine
qua non
Definizione:
Secondo tale teoria, causa dell’evento è l’insieme degli antecedenti senza i quali l’evento non si sarebbe
verificato: per aversi rapporto di causalità, dunque, basta che l’agente abbia realizzato una condizione
qualsiasi dell’evento, atteso che tutte le condizioni sono equivalenti.
Per accertare l’esistenza di tale nesso causale è sufficiente il ricorso al procedimento della eliminazione
mentale (o c.d. giudizio controfattuale):
se eliminando mentalmente la condotta presa in considerazione l’evento rimane => tale condotta non è causa
dello stesso;
se, invece, eliminando mentalmente la condotta viene meno anche l’evento => questo è causato proprio da
quella condotta.
critiche e limiti:
Tale teoria ha il difetto di portare ad una estensione eccessiva della responsabilità: considerando, infatti,
equivalenti tutte le condizioni che concorrono alla produzione dell’evento, si finisce con il considerare
rilevanti anche gli antecedenti più remoti fino ad arrivare a conclusioni paradossali.
Altro limite riguarda l’incapacità di spiegare il perché del verificarsi di un determinato evento in tutti quei
casi in cui non si conosca, a priori, se quella data azione appartiene o meno al novero delle condizioni
idonee a produrlo.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 13. Teoria della causalità adeguata : definizone
Definizione:
Tale teoria è sorta per ovviare al pericolo dell’eccessiva estensione del concetto di causa (e di conseguenza
della responsabilità) cui porta la teoria condizionalistica.
Secondo tale teoria, causa dell’evento è solo quella condizione che, secondo l’id quod plerumque accidit, e
cioè secondo la comune esperienza, è la + idonea a produrlo: affinché esista un rapporto di causalità
giuridicamente rilevante, dunque, occorre che l’agente abbia determinato l’evento con un’azione che,
secondo lo sviluppo eziologico normale della vicenda, è adeguata a produrlo.
Critiche e limiti:
Il riferimento alla “comune esperienza”, allo “sviluppo normale della vicenda” rende tale teoria, in pratica,
poco rigorosa ed esclusivamente empirica.
Inoltre, finisce con il limitare eccessivamente il campo della responsabilità penale non solo perché esclude
tutte le cause atipiche ma, soprattutto, perché finisce con il negare rilevanza penale alle ipotesi di
sfruttamento doloso di particolari conoscenze individuali.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 14. Teoria della causalità umana: definizione
Definizione:
Tale teoria (Antolisei) nasce per ovviare ai limiti della teoria della causalità adeguata.
Antolisei ritiene che esista una sfera d’azione che l’uomo può dominare in virtù dei suoi poteri conoscitivi e
volitivi; perciò, solo i risultati che rientrano in questa sfera possono considerarsi causati dall’uomo, perché,
se anche egli non li ha voluti, era cmq in grado di impedirli.
Ciò che sfugge al controllo dell’uomo è, invece, quel fatto che ha una probabilità minima di verificarsi,
ovvero il fatto eccezionale.
quindi => per l’esistenza del rapporto di causalità è necessario che l’uomo abbia posto in essere una
condizione dell’evento e che quest’ultimo non sia il risualtato del concorso di fattori eccezionali.
Critiche e limiti:
Tale teoria non riesce a superare i problemi dogmatici posti dalla teoria condizionalistica, relativi alla
indimostrabilità del nesso causale nel caso in cui non si conosca a priori l’idoneità della condizione a
cagionare il fatto.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 15. La sussunzione del rapporto causale sotto leggi scientifiche
Le critiche alle varie teorie si superano solo se si perviene ad una spiegazione causale di tipo generalizzante
e cioè mediante il ricorso a leggi valide scientificamente (anche in virtù del principio di legalità e
determinatezza).
Tale indagine non va fatta sulla base della sola esperienza dell’agente (perché altrimenti avremmo tante
nozioni di causalità quanti sono i diversi livelli di conoscenza delle persone umane) né sulla base
dell’esperienza media dell’umanità (perchè altrimenti si ricadrebbe nell’errore di fondo della causalità
adeguata), ma sulla base della migliore scienza ed esperienza di quel particolare momento storico.
È proprio a questo concetto che si riallaccia la teoria condizionalistica orientata secondo il modello della
sussunzione sotto leggi scientifiche: per stabilire se un antecedente possa considerasi causa di un evento
successivo, sarà necessario accertare che esso rientri nell’insieme di quegli accadimenti che, sulla base di
una successione regolare conforme ad una legge scientifica (c.d. legge di copertura), portano ad eventi del
tipo di quello verificatosi in concreto.
Si distinguono:
leggi di copertura universali => idonee ad affermare che a quella condotta consegue sempre quell’evento;
leggi di copertura statistica => basate solo su un alto grado di probabilità del verificarsi dell’evento a seguito
di quella determinata condotta.
Trovata la legge di copertura si controlla se il singolo fatto, così come si è concretamente realizzato, possa
essere sussulto sotto di essa.
In definitiva => secondo il modello di sussunzione sotto legge scientifica, il nesso di causalità tra una data
condotta e un dato evento si accerta stabilendo se:
in base al procedimento logico controfattuale quella condotta non possa essere eliminata mentalmente senza
che l’evento venga meno: essa è cioè, “condicio sine qua non” dell’evento stesso;
l’evento costituisca conseguenza di quella condotta secondo una lex scientifica, e cioè secondo la migliore
scienza ed esperienza del momento,che può coincidere anche con le conoscenze specifiche di un solo uomo.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 16. Caratteristiche della disciplina codicistica della causalità
Il c.p. dedica 2 articoli alla disciplina espressa della causalità: artt. 40-41
Art. 40.1 c.p. => “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento
dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione o omissione”.
Tale art. limita la sua portata normativa richiedere che il requisito della causalità come uno degli elementi
costitutivi del fatto tipico dei reati di evento, senza però dire niente su come debba essere intesa la causalità.
Nella migliore delle ip. dunque, l’art. 40.1 può avere il significato generico di richiamare l’attenzione sul
fatto che nei reati di evento quest’ultimo deve essere collegato alla condotta attraverso un vero e proprio
requisito di fattispecie legalmente previsto e non già sulla base di una convinzione del giudice liberamente
formatasi.
In sostanza, quale elemento del fatto tipico legalmente previsto la causalità deve necessariamente avere una
natura oggettiva suscettibile di un riscontro di tipo empirico, come consentono le leggi scientifiche, le quali,
infatti, sono formulate sempre sulla base dell’osservazione dei fenomeni.
Art. 40.2 c.p. =>concerne specificamente la causalità nei reati omissivi (impropri): “Non impedire un vento,
che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
La vera disciplina della causalità dovrebbe essere dunque contenuta nell’art. 41 c.p., che disciplina il
“concorso di cause” .
_ Se per “cause” si intende (correttamente) l’insieme delle condizioni necessarie alla produzione dell’evento
(“causa sufficiente”), l’espressione ex art. 41 c.p. non è del tutto precisa, perché se c’è davvero un concorso
causale, cioè una convergenza di fattori nella produzione dell’evento, allora si tratterà + precisamente di
condizioni necessarie che concorrono nel determinare la causa sufficiente.
_ Se si intende alludere alla convergenza di fattori privi di efficacia condizionante sull’evento, non si tratterà
di un concorso di cause ma di un fenomeno diverso giuridicamente irrilevante.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 17. Il concorso di condizioni necessarie
In conclusione => l’art. 41 c.p. intende disciplinare il fenomeno del concorso di condizioni necessarie.
Questo per il fatto che cmq in natura nessun evento è mai il risultato di un unico fattore condizionante. Cos’
che, non solo il concorso di condizioni non può escludere la causalità, ma anzi è la stessa causalità: non c’è
causa senza concorso di condizioni necessarie. Da questo p. di vista però, se l’art. 41 dovesse essere inteso
per tale senso, esso sarebbe inutile nella sua ovvietà => ma evidentemente la norma non può essere intesa
come descrittiva di questo dato di fatto della realtà naturale, ma piuttosto come un criterio normativo di
imputazione dell’evento ad una condotta.
Così l’art. 41.1 è stato inteso come espressione di una scelta legislativa a favore della teoria dell’equivalenza
delle condizioni. Sennonché tale conclusione sembra essere smentita proprio dal 2° comma dello stesso art.,
il quale parrebbe imporre al giudice di effettuare una selezione tra i fattori determinanti l’evento, escludendo
dalla causalità “le cause (condizioni) sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento”, va inteso
come un temperamento, una correzione e integrazione della teoria dell’equivalenza.
Per quanto riguarda “le condizioni da sole sufficienti a determinare l’evento” si deve escludere il riferimento
ad una serie causale autonoma, e ciò per almeno 3 ragioni:
1_La serie causale autonoma, proprio perché autonoma, non concorre con le altre condizioni ma si pone in
un rapporto di mera con testualità o prossimità cronologica, mentre l’art. 41.2 c.p. intende disciplinare il
concorso di condizioni necessarie.
2_Il rapporto tra serie causali autonome non ha mai dato luogo a problemi applicativi di imputazione
dell’evento.
3_Se davvero il 2° comma dovesse essere inteso come facente riferimento all’ip. delle serie causali
autonome, il 1° comma risulterebbe l’unica norma disciplinante il concorso di condizioni necessarie, con la
conseguenza che risulterebbe adottata la soluzione dell’equivalenza delle condizioni senza temperamento
alcuno. Mentre tale teoria non è conforme alle esigenze del diritto penale.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 18. Art. 41.2 c.p.
Allora come devono essere intese le condizioni sopravvenute “da sole sufficienti a determinare l’evento?”
(es. incidente ambulanza mentre trasporta il ferito in ospedale)
Si impone un’operazione ermeneutica.
_ Quelle teorie che introducono un criterio di “calcolabilità” umana nella selezione delle condizioni
necessarie penalmente rilevanti, identificheranno le condizioni interruttive del nesso causale a norma
dell’art. 41.2 c.p. in quei fattori che possono dirsi “eccezionali” (causalità umana) o anche solamente
“atipici” (causalità adeguata) rispetto allo svolgimento delle azioni.
Es. è eccezionale se non addirittura atipico che un leggero tamponamento cittadino tra 2 autovetture produca
la morte del guidatore dell’auto tamponata in quanto colpito da un infarto a seguito dello spavento
provocatogli dall’incidente.
_ Ma anche per chi adotta la soluzione della spiegazione causale degli eventi mediante loro sussunzione
sotto leggi scientifiche di copertura, l’art. 41.2 c.p. ha un ruolo di delimitazione dell’equivalenza delle
condizioni proprio attraverso il ragionevole impiego delle leggi scientifiche. Da questo p. di vista tale norma
vale ad escludere la riferibilità dell’evento a quei fattori condizionanti che rimangono estranei ad una
spiegazione scientifica, esauriente e ragionevole, dell’evento stesso.
Es. nel caso del ferito ricoverato in ospedale che trovi la morte a seguito dell’incendio dell’edificio. In tale
caso l’evento è scientificamente provabile e spiegabile senza il bisogno di dover risalire alla causa del
ferimento che lo aveva portato in ospedale.
Le teorie della causalità adeguata e della causalità umana trovano un’ulteriore difficoltà interpretativa
nell’identificare le condizioni “da sole sufficienti” ex art. 41.2 c.p. con i fattori atipici o eccezionali.
L’art. 41.2 c.p. limita, infatti, l’efficacia interruttive alle sole condizioni sopravvenute, da sole sufficienti a
determinare l’evento. Mentre, l’atipicità o l’eccezionalità del decorso causale innescato da una determinata
azione ben può dipendere anche da una condizione, atipica o eccezionale, preesistente o simultanea alla
condotta criminosa.
Es. è preesistente => la malformazione ossea, la debolezza della calotta cranica che concorre a produrre la
morte insieme ad un leggero colpo di bastone, il quale solo in modo “atipico” o “eccezionale” può dirsi
causale rispetto a quella morte.
Es. è simultaneo => lo sbandamento sulla strada scivolosa per la pioggia di un auto che investe la bicicletta
spostatasi sulla carreggiata per evitare la manovra scorretta di un'altra vettura.
Come, dunque, si può estendere l’efficacia interruttive della causalità dalle condizioni atipiche o eccezionali
sopravvenute fino anche a quelle preesistenti o simultanee?
Le strade percorse sono 2:
1-si è fatto ricorso all’interpretazione analogica dello stesso art. 41.2 c.p. in quanto in bonam partem.
2-Si è invocato (+ correttamente) l’art. 45 c.p. riassumendo sotto il concetto + generale di “caso fortuito”
tutti i fattori atipici o eccezionali interruttivi del nesso causale, indipendentemente dal fatto che siano
sopravvenuti, concomitanti o preesistenti alla condotta. Nonostante la plausibilità di tale soluzione
interpretativa, non si può negare che essa finisce per rendere del tutto superflua la disposizione ex art. 41.2
che risulta riassorbita nell’art. 45 c.p.
Diversamente, nella prospettiva della spiegazione causale dell’evento mediante sussunzione sotto leggi
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale scientifiche, è del tutto plausibile limitare l’efficacia interruttiva del nesso ai soli fattori sopravvenuti. Infatti,
quando si muove dall’evento concreto hic et nunc per spiegarne la verificazione causale, è ben possibile che
la lex scientifica utilizzata consenta una spiegazione esauriente arrestandosi ad una condotta + prossima
all’evento, senza bisogno di risalire oltre nella catena causale ad altre condotte + remote, rispetto alle quali
la prima si porrà come un fattore interruttivo della catena causale.
Al contrario, i fattori preesistenti o simultanei alla condotta, se davvero concorrenti quali condizioni
essenziali alla produzione dell’evento, non potranno svolgere un ruolo esemplificativo del meccanismo di
produzione dell’evento in quanto essi si sono integrati con la condotta determinandone l’efficacia causale.
Es. un terrorista che porta indosso dell’esplosivo sensibile agli urti muore dilaniato a seguito di un modesto
tamponamento cittadino, la spiegazione causale dell’evento è esauriente in quanto consideri congiuntamente
la condizione dell’urto e quella preesistente della presenza dell’esplosivo.
Alla stregua delle altre teorie sulla causalità, invece, quell’evento non potrebbe essere ascritto alla condotta
del tamponamento, rispetto alla quale infatti l’esplosione costituisce un risultato anomalo se non addirittura
eccezionale, imputabile al fattore interruttivo preesistente dell’esplosivo.
Es. nel caso della morte del ciclista spostatosi sulla carreggiata a seguito della manovra di Tizio e investito
dall’auto di Caio sbandata per la pioggia, il fattore concomitante della sbandata di Caio:
mentre sulla base delle leggi scientifiche concorre con la condotta di Tizio alla spiegazione causale
dell’evento;
sulla base della causalità adeguata o umana deve dirsi dotato di efficacia interruttiva, in quanto eccezionale,
rispetto alla prima condotta.
È ovvio, che l’affermazione + estesa del nesso causale cui si perviene sulla base delle leggi scientifiche,
rispetto alle altre 2 teorie, non significa necessariamente affermazione di + estesa responsabilità. => affinché
sia possibile pervenire all’affermazione della responsabilità, occorre che sussista anche l’elemento
soggettivo del reato, almeno nella forma colposa.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 19. Definizione di reati omissivi propri e impropri
La causalità della condotta omissiva ha sempre dato luogo a problemi derivanti dalla mancanza di un
substrato naturalistico nell’omissione. In pratica, la constatazione che dal p. di vista naturalistico l’omissione
consista in un “nihil”, fa dubitare che essa possa realmente concorrere alla produzione di un evento.
La distinzione tra reati omissivi propri e impropri e il significato dell’art. 40.2 c.p.
Reati omissivi propri => sono privi dell’evento, dunque sono reati di pura condotta omissiva.
Es. l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale (art. 361 c.p.).
Reati omissivi impropri => sono quelli alla cui condotta omissiva deve seguire la produzione di un evento
naturalistico, in quanto elemento costitutivo del reato previsto dalla fattispecie incriminatrice. Tale categoria
è chiaramente prevista dall’art. 40.1 c.p., il quale, nell’affermare la necessità del nesso di derivazione
causale dell’evento, la riferisce sia all’azione che all’omissione.
La previsione legislativa del fatto tipico dei reati omissivi impropri può derivare da diverse tecniche di
tipizzazione:
1_ La fattispecie può essere prevista direttamente dalla stessa norma incriminatrice come omissiva. Es. art.
437.2 c.p.
2_ Il legislatore può indicare la condotta in modo indeterminato, utilizzando cioè un’espressione
lessicalmente capace di designare tanto una condotta attiva quanto una condotta omissiva. Es. art. 575 c.p.
I reati, così tipizzati, sono c.d. fattispecie “casualmente orientate” o “a condotta libera” e quando sono in
concreto realizzati mediante una condotta omissiva si parla di reati commissivi mediante omissione.
3_ Il legislatore può utilizzare una tecnica di “conversione” (e di “raddoppio”) di fattispecie configurate
espressamente come attive (“chiunque, con artifizi e raggiri, inducendo taluno in errore…” art. 640 c.p.) in
altrettante fattispecie omissive improprie, attraverso una clausola generale di equivalenza.
Es. dovrebbe essere punito anche colui che si procura un ingiusto profitto con altrui danno limitandosi ad
approfittare dell’errore in cui già versava il contraente, e tenendo così una condotta non già attiva di
induzione in errore mediante artifizi e raggiri, ma solamente omissiva di approfittamento dell’errore altrui.
Tali 3 tecniche legislative si pongono in un progressivo allontanamento dai principi di legalità e tipicità:
con la 1° => la condotta omissive è espressamente descritta dal legislatore;
con la 2° => è prevista solo implicitamente;
con la 3° => si avrebbe un vero e proprio vulnus a tali principi, poiché la tipizzazione effettuata dal
legislatore di una condotta esclusivamente attiva sarebbe smentita da una clausola generale di raddoppio
che, in quanto tale, aggiungerebbe a quella attiva una fattispecie omissiva sulla base di un giudizio
sostanziale di equivalenza rimesso all’esclusivo apprezzamento del giudice. Si ritiene, perciò, che tale
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale tecnica sia incompatibile con i principi di legalità e tipicità.
Sennonché, l’art. 40.2 c.p. (dedicato alla sola condotta omissiva): “Non impedire un evento, che si ha
l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, si presta a 2 possibili interpretazioni:
_ Da un lato => l’opinione largamente maggioritaria ritiene che l’art. 40.2 c.p. deve essere inteso come
clausola che consente l’individuazione delle fattispecie omissive improprie mediante il suo riferimento e il
suo “combinarsi” con le fattispecie casualmente orientate. Mediante tale soluzione interpretativa, il
legislatore, attraverso la configurazione di una fattispecie casualmente orientata, ha mostrato indifferenza
verso la realizzazione attiva o omissiva, “coprendole” entrambe con la sua previsione.
Lo stesso art. 40.1 c.p. afferma la plausibilità logico-naturalistica della causalità dell’omissione.
_ Dall’altro => secondo un altro modo di intendere l’art. 40.2, la clausola dell’equivalenza non sarebbe priva
di un suo contenuto normativo anche se assai modesto, trovando essa la sua ragion d’essere essenzialmente
nelle peculiarità “ontologiche” della causalità omissiva, cioè essendo poco plausibile riferire la causalità
naturalistica ad una condotta che naturalisticamente è nulla, con la clausola di equivalenza il legislatore
farebbe capire che, nei reati omissivi impropri, è si possibile parlare di causalità, ma in un senso tutto
normativo di “iscrizione” dell’evento al soggetto e cmq assolutamente peculiare e3 diverso da quello proprio
della causalità attiva.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 20. Naturalismo e normativismo nella causalità dell’omissione
Es. Tizio, Caio e Sempronio decidono di fare una gita al mare. Tizio ha maturato una forte ostilità nei
confronti di Caio, all’insaputa di quest’ultimo essendone invece a conoscenza Sempronio. Ad un certo
punto, Tizio invita Caio, che non sa nuotare, a fare una gita in barca, suscitando così i timori di Sempronio,
il quale, pur sospettando intenti poco amichevoli, non si decide a mettere il guardia Caio, che invece accetta
l’invito. Giunta la barca al largo, Tizio getta Caio in mare, il quale invoca aiuto, senza però che il bagnino
Mevio, in servizio su quel tratto di spiaggia, intervenga in soccorso in quanto distratto dal corteggiamento in
atto nei confronti di una ragazza villeggiante, Caio muore affogato.
Dal p. di vista naturalistico => si può dire che il meccanismo causale che ha portato alla morte per
affogamento di Caio sia costituito dall’invito di Tizio alla gita in barca, dalla spinta in mare, dall’aver
bevuto acqua fino all’affogamento? Si può dire cioè che tale meccanismo sia costituito da fattori tutti
positivi? Si può concludere che i comportamenti di Mevio e Sempronio, in quanto omissivi, rimangono
“esterni” al processo causale? Si può dire cioè che tali omissioni, prive di substrato naturalistico, possono
dirsi “causali” solo a seguito di una dichiarazione normativa di equivalenza? Nel senso, cioè, che la causalità
omissiva è un fenomeno sostanzialmente normativo, come normativa è l’essenza dell’omissione.
A questa conclusione si oppone l’idea che la causalità sia costituita:
sia da fattori condizionanti dinamici, che innescano l’azione di forze naturalistiche positive;
sia da fattori condizionanti statici, che permettono a quelle forza di sviluppare la loro efficacia modificativa
della natura. Condizioni statiche, senza le quali quelle dinamiche non sarebbero in grado di operare: e,
dunque, condiciones sine quibus non al pari di quella dinamiche.
Quindi => non solo vi è una causalità attiva (azione) e una causalità omissiva (omissione), ma addirittura
l’una e l’altra si intrecciano regolarmente nei concreti processi causali: in natura i fattori condizionanti
positivi (o dinamici) possono operare in quanto con essi concorrono fattori altrettanto condizionanti ma
negativi (o statici).
In conclusione => la causalità è sempre la stessa, e sempre naturalistica, si tratti di azione o di omissione,
così che anche all’omissione saranno applicabili quegli stessi criteri per la formulazione del giudizio causale
che vengono utilizzati per l’azione.
Dal p. di vista normativo => 2 aspetti peculiari della condotta omissiva:
1-vi è una ineludibile esigenza normativa di selezionare, tra le infinite condizioni statiche, quelle omissioni
rispetto alle quali può avere un senso giuridico porre un problema di causalità;
2-il giudizio di causalità dell’omissione, oltre ad essere controfattuale come quello dell’azione, presenta un
2° grado di ipoteticità in quanto consiste nell’accertare l’efficacia impeditiva dell’evento da parte di un
comportamento che non esiste in realtà, cioè l’azione doverosa omessa.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 21. L’obbligo giuridico di impedire l’evento (posizione di garanzia)
Quando la norma incriminatrice individua direttamente l’omissione, e cioè l’azione doverosa impeditiva
comandata, non c’è alcun problema poiché è lo stesso legislatore a selezionare nella tipizzazione della
fattispecie omissiva impropria la condotta rilevante.
Es. nell’art. 439 c.p. è il legislatore che individua nell’omessa collocazione delle cautele antinfortunistiche la
condotta omissiva rispetto alla quale il giudice poi dovrà accertare la causalità mediante il giudizio
sull’efficacia impeditiva dell’azione non compiuta.
Ma in tutte le ip., e sono la maggioranza, di reati causalmente orientati, es. art. 575 c.p., la condotta rilevante
non è descritta direttamente dalla lex ma deve essere individuata attraverso la sua idoneità causale alla
produzione dell’evento.
Quindi, in tali casi (reati commissivi mediante omissione), la ricerca della condotta omissiva rilevante
(azione impeditiva omessa) non può fondarsi esclusivamente su un giudizio puramente naturalistico di
“capacità impeditiva” dell’evento da parte dell’azione omessa: cioè non possono essere chiamate in causa
tutte le condizioni statiche che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento.
Es. nel caso dell’annegamento di Caio, di sicuro l’omesso avvertimento di Sempronio sulle cattive
intenzioni di Tizio, avrebbero potuto salvare Caio, potendosi affermare la sua probabile efficacia impeditiva.
Così come è altamente probabile che il soccorso del bagnino Mevio avrebbe potuto salvare Caio. => 2
omissioni, entrambe efficaci (seppur in senso naturalmente statico), ma delle quali solo la 2° può assumere
rilevanza penale in quanto riconducibile ad un vero e proprio obbligo giuridico, mentre la 1° viola al max
una regola morale dell’amicizia.
In conclusione => tra le innumerevoli omissioni concorrenti alla produzione dell’evento lesivo,
l’individuazione di quella penalmente rilevante avviane sulla base della sua contrarietà ad un obbligo
giuridico di impedire l’evento (art. 40.2 c.p.).
Allora, rileggendo l’art. 40.2 c.p. si capisce che il suo significato + pregnante attiene, non tanto alla clausola
di equivalenza ma al criterio di selezione delle omissioni rilevanti, costituito dalla natura giuridica
dell’obbligo di attivarsi e dalla finalità di impedimento di quella tipologia di eventi che ispira l’imposizione
di quel dovere di agire.
Una volta individuata l’omissione rilevante, cioè l’azione doverosa omessa, attraverso il parametro
dell’obbligo giuridico di agire, l’accertamento della causalità si sonda in un 2° momento diretto a verificare
se quell’azione doverosa omessa avrebbe avuto nella situazione concreta la capacità di impedire
effettivamente l’evento o se l’evento si sarebbe egualmente verificato nonostante il compimento dell’azione
doverosa.
Es. nel caso di annegamento di Caio, l’unica omissione rilevante penalmente è quella di Mevio, ma bisogna
cmq verificare se il suo soccorso avrebbe potuto essere efficace oppure no.
L’obbligo giuridico di impedire gli eventi lesivi di un certo tipo presuppone una situazione fattuale in cui il
destinatario dell’obbligo si trova in un rapporto di “particolare prossimità” con il bene la cui tutela gli viene
appunto confidata mediante l’imposizione dell’obbligo di agire.
È questa la posizione del bagnino nei confronti dei bagnanti, o dei genitori nei confronti dei figli minori. =>
tale situazione è c.d. posizione di garanzia.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 22. Caratteristiche della posizione di garanzia
Dalla posizione di garanzia traggono poi origine gli obblighi di garanzia, i quali, in quanto consistenti
nell’imposizione di specifiche azioni impeditive dell’evento, sono alla fine i veri strumenti di individuazione
della o delle omissioni tipiche.
Poiché gli obblighi di impedimento concorrono all’individuazione del fatto tipico commissivo mediante
omissione, ne viene che rispetto ad essi si pongono forti esigenza di legalità. Ma, non vi è dubbio che
nell’attuale realtà dell’ordine giuridico, sia la configurazione legale della posizione di garanzia che la
previsione degli obblighi di impedimento degli veneti lesivi, sono affetti da una certa carenza di legalità.
Questo perché cmq il diritto penale non può prevedere né le infinite relazioni interpersonali in cui un
soggetto viene ad instaurare legami di solidarietà con un altro, né può convertire qualunque potere fattuale di
modificare il corso degli eventi in un corrispondente obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40.2 c.p.
conseguenza pratica => la posizione di garanzia viene spesso ricavata in via interpretativa dalla presenza di
qualche norma che genericamente fa riferimento ad una relazione tra 2 soggetti o tra un soggetto e la “cosa”
fonte di pericolo.
Per quanto riguarda l’individuazione degli obblighi di garanzia => l’esigenza di legalità imporrebbe non
solo la specificità dell’obbligo, cioè della previsione di un’azione imposta dall’ordin. proprio per
l’impedimento di quell’evento lesivo costitutivo della fattispecie, ma anche la fonte rigorosamente
legislativa, con esclusione di tutte le altre fonti subordinate.
Sennonché, la realtà è ben diversa, poiché gli obblighi di impedimento vengono spesso tratti da enunciazioni
normative generiche che fanno riferimento + che altro alla complessiva posizione di garanzia, come ad es.
quella per cui il coniuge ha il dovere dell’”assistenza materiale” (art. 143 c.c.), lasciando al giudice la
successiva opera di concretizzazione degli obblighi specifici.
Precisazioni:
La contrapposizione tra esigenze liberal-garantiste di legalità e esigenze social-solidaristiche di tutela ha
condotto alla elaborazione di 2 orientamenti contrapposti nell’individuazione dottrinale e giurisprudenziale
degli obblighi di impedimento dell’evento e delle loro fonti.
orientamento c.d. funzionale o sostanziale => secondo cui la fonte degli obblighi di garanzia risiede
essenzialmente nella stessa posizione di garanzia, intesa come quella situazione di fatto in cui un soggetto
viene a trovarsi investito di un potere-dovere di salvaguardia dei beni giuridici di altri soggetti che sono
entrati con lui in tale rapporto di affidamento.
Tale orientamento. mentre risponde pienamente alle esigenze solidaristico-sociali di tutela nel desumere gli
obblighi dalle situazioni fattuali di reciproco affidamento tra i soggetti, si pone in plateale contrasto con le
esigenze di legalità sotto il duplice profilo sia della fonte non legislativa sia del contenuto indeterminato
degli obblighi di impedimento.
orientamento formale => secondo cui occorre che l’obbligo giuridico di agire sia espressamente stabilito da
una fonte normativa valida.
Se tale tesi è del tutto conforme alle esigenze di legalità, i suoi eccessi rischiano di dimenticare le esigenze
sostanziali di tutela soggiacenti al reato commissivo mediante omissione:
_ da un lato: il reato commissivo mediante omissione non può fondarsi semplicemente sulla mera violazione
di un obbligo di agire, senza cioè che l’obbligo sia funzionalmente diretto proprio all’impedimento
dell’evento lesivo.
_ dall’altro: non basta la invalidità della fonte dell’obbligo ad escludere la sua sussistenza e rilevanza penale.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale L’orientamento oggi dominante tende a realizzare una sintesi tra i 2 precedenti, assumendo:
dal 1°: la necessità che l’obbligo sia contenutisticamente finalizzato proprio all’impedimento dell’evento
lesivo costituito del reato.
dal 2°: il requisito di una base legale e di un contenuto determinato l’obbligo.
Fonti dell’obbligo
l’esigenza di legalità dovrebbe comportare la loro limitazione alla legge (e gli atti equiparati) e al contratto.
Il richiamo alla legge dovrebbe comportare l’esclusione di tutte le fonti subordinate alla legge, es. i
regolamenti, le circolari, le ordinanze.., salvo che esse abbiano un ruolo meramente specificativo dei
contenuti della legge.
Mentre il contratto potrebbe legittimamente essere fonte di obblighi giuridici di impedimento dell’evento (il
contratto stipulato con la guida alpina o con le agenzie di sicurezza privata) in virtù dell’art. 1372 c.c., il
quale stabilisce che il contratto ha forza di legge tra le parti.
In questa prospettiva dovrebbero essere escluse tra le legittime fonti dell’obbligo di impedimento la
negotiarum gestio e la consuetudine.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 23. Caratteristiche dei poteri giuridici impeditivi dell'evento
All’obbligo giuridico di impedire l’evento devono corrispondere effettivi poteri impeditivi. L’obbligo di
impedimento dell’evento può gravare solamente su specifiche categorie di soggetti a cui l’ordin., in via
astratta e preventivamente, attribuisce poteri non solo di vigilanza sulla situazione di pericolo ma anche di
effettivo intervento sulla situazione di pericolo già in atto.
Proprio l’esistenza di effettivi poteri giuridici di impedimento consente di equiparare il mancato
impedimento dell’evento alla sua attiva causazione. Infatti, se il legislatore chiamasse a rispondere per il
mancato impedimento dell’evento colui al quale non ha attribuito i necessari poteri per controllare la
situazione di pericolo finirebbe per configurare un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui.
Quando all’obbligo giuridico di agire per la tutela di un determinato bene corrispondono poteri solamente di
vigilanza sull’insorgenza della situazione di pericolo, ma non anche di impedimento dell’evento, si ha il c.d.
obbligo di sorveglianza.
Esso è caratterizzato:
da un lato => da poteri di semplice vigilanza sulla situazione di pericoli e di informazione nei confronti del
titolare o del garante del bene;
dall’altro lato => dalla assenza di effettivi poteri impeditivi che spettano solamente al titolare del bene e al
garante.
Es. è obbligo di sorveglianza quello di incaricati dal datore di lavoro di vigilare e riferire al garante sul
rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro senza peraltro essere stati delegati dal garante
stesso ad intervenire per l’assunzione delle cautele antinfortunistiche.
L’assenza di effettivi poteri giuridici impeditivi esclude che possa essere chiamato a rispondere il
sorvegliante per non aver impedito l’evento. Infatti, altrimenti;
da un lato => risulterebbe violato il principio di proporzionalità della pena;
dall’altro => risulterebbe violato il principio di responsabilità penale.
La violazione degli obblighi di sorveglianza, non potendo dar luogo a responsabilità penale per omesso
impedimento dell’evento, sarà punibile solo nei casi in cui sia espressamente sanzionata da specifiche norme
penali.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 24. Definizione degli obblighi di garanzia
si distinguono in: obblighi di protezione e obblighi di controllo
Obblighi di protezione => impongono al garante di proteggere determinati beni da tutte le possibili fonti di
pericolo. La ragione sostanziale di tali obblighi sta nel particolare legame esistente tra il garante e il titolare
del bene.
Es. sono obblighi di protezione quelli dei genitori di salvaguardare la vita e l’incolumità dei figli minori, ex
artt 30 Cost. e 147 c.c.
Obblighi di controllo => impongono di tutelare tutti i beni giuridici esposti ad una detrimanta fonte di
pericolo. il fondamento di tali obblighi è ravvisato nella titolarità da parte del garante di poteri giuridici di
“signoria” sulla fonte di pericolo che impediscono ai terzi che ad essa sono esposti di autoproteggersi
adottando le opportune misure di sicurezza.
Es. sono obblighi di controllo quelli legati alla proprietà, possesso, custodia, detenzione di cose o animali
pericolosi che impongono di adottare misure idonee per evitare danni ai terzi (artt. 2051, 2052, 2053 c.c.).
Nell’ambito degli obblighi di controllo possono essere fatti rientrare anche gli obblighi di impedimento dei
reati altrui.
Es. artt. 2047, 2048, 2049 c.c. a carico di genitori, insegnanti e datori di lavoro nei confronti dei reati
commessi dai figli minori, dagli allievi, e dai dipendenti.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 25. Il giudizio controfattuale nella causalità dell’omissione
Giudizio controfattuale nella condotta attiva => accertamento ex post. Tale giudizio che si verifica mediante
le leggi scientifiche di copertura, avviene potendo contare sulla conoscenza dell’intera catena causale, così
come si è effettivamente svolta nella realtà. Ecco perché tale accertamento causale avviene ex post, cioè
muovendo dall’evento e ripercorrendo a ritroso il processo causale dopo che esso si è compiutamente svolto,
così che la prova controfattuale può riferirsi ad ognuno dei fattori causali conosciuti e rilevanti.
Giudizio controfattuale nella condotta omissiva => accertamento necessariamente seppur parzialmente ex
ante. In tale caso l’accertamento causale assume a suo oggetto il compimento dell’azione doverosa omessa
(giudizio controfattuale, in quanto l’azione nei fatti non esiste) e ne valuta l’efficacia impeditiva sulla base
delle leggi scientifiche pertinenti, in pratica, si elimina mentalmente la condizione “statica” consistente
nell’omissione della azione doverosa, per verificare sulla base delle leggi causali se l’evento si sarebbe
verificato egualmente.
Sennonché, mentre nella causalità dell’azione l’accertamento condizionalistico controfattuale muove da un
dato della realtà, cioè l’azione compiuta, per ipotizzarne la mancanza; nell’omissione l’accertamento
condizionalistico prende le mosse da un dato solamente ipotizzato, cioè l’azione omessa, per ipotizzarne la
presenza e la sua efficacia impeditiva dell’evento: quindi una doppia ipotesi.
Il fatto che nella causalità dell’omissione si effettua un giudizio (ipotetico, perché controfattuale) su un dato
ipotetico impedisce di tener conto di tutti quei fattori che invece, nella realtà, avrebbero potuto verificarsi
insieme o dopo l’azione doverosa modificandone l’efficacia impeditiva. Con la conseguenza che il giudizio
causale dell’omissione ha una natura intrinsecamente prognostica, cioè si svolge necessariamente seppur
parzialmente ex ante.
Nell’area dei reati commissivi mediante omissione, si è ritenuto di poter ricondurre l’evento al
comportamento omissivo anche quando non sia possibile concludere che l’azione omessa avrebbe con
certezza o alta probabilità impedito la realizzazione dell’evento.
Quindi => si è finito per accontentarsi di leggi di copertura meno rigorose e + probabilistiche ingannati dal
fatto che in ogni caso il giudizio causale dell’omissione ha una struttura necessariamente probabilistica.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 26. Definizione di elemento soggettivo del reato
Elemento soggettivo del reato: 2 dati importanti
1-L’oggetto dell’elemento soggettivo è costituito dall’intero fatto materiale così come è descritto dalla
fattispecie incriminatrice, in quanto solo esso incarna compiutamente il disvalore del reato, rispetto al quale
si pone un’esigenza di iscrizione soggettiva dell’autore.
2-I criteri in base ai quali è possibile ascrivere soggettivamente il fatto al suo autore sono 2: o la volontà o il
difetto di attenzione.
Con la volontà => l’autore “assume come proprio” il fatto in quanto conseguenza cui è consapevolmente
diretta la propria condotta: la condotta è realizzata non solo perché sorretta dalla suitas, ma anche perché
accompagnata da un orientamento volontaristico alla realizzazione del complessivo fatto materiale, portatore
del suo disvalore. Tale criterio di iscrizione è costituito dal dolo.
Con il difetto d’attenzione => la condotta viene realizzata senza calcolare la sua capacità a produrre il fatto
materiale tipico e senza assumere le “contromisure” prescritte dall’ordinamento per evitare la produzione del
fatto materiale. Tale criterio di iscrizione è costituito dalla colpa.
Dolo :
ha una sostanza naturalistica e psicologica, esso consiste infatti: in un fatto psichico di natura conoscitiva e
volitiva;
ha una consistenza “positiva”, dovendo esistere nella realtà psichica dell’autore come un effettivo suo
atteggiamento psicologico nei confronti del fatto.
Colpa:
ha una sostanza normativa, essa consiste infatti: nella mancata osservanza di regole cautelari o
precauzionali, elaborate oggettivamente dall’ordinamento per la situazione in cui ha agito l’autore;
ha consistenza “negativa”, cioè mancata adozione delle cautele doverose.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 27. Caratteristiche di dolo e copla
Il dolo e la colpa costituiscono, alternativamente, l’elemento soggettivo del fatto tipico. Tuttavia, pur
appartenendo al fatto tipico, dolo e colpa hanno uno stretto rapporto anche con la colpevolezza.
Appartenenza al fatto tipico => la condotta criminosa è tale in quanto tipica, cioè potenzialmente idonea a
realizzare il fatto di reato, cioè a realizzare un disvalore per l’ordin. giuridico.
Nell’ip. dell’agire doloso, il soggetto agente deliberatamente orienta la propria condotta vero la
realizzazione del risultato di disvalore, l’autore “forgia” in sostanza la propria condotta in modo da
imprimerle quella idoneità alla realizzazione.
Es. Caio, per ottenere l’eredità dello zio, uccide gli altri parenti.
Nell’ip. dell’agire colposo, la condotta è già di per sé pericolosa per i beni giuridici e viene tenuta senza che
il soggetto la orienti verso la realizzazione di quel risultato offensivo insito nella sua pericolosità.
Es. il guidatore che, per arrivare puntuale all’appuntamento, non osserva un limite di velocità.
nell’agire doloso => la pericolosità delle condotta è cercata per la realizzazione del risultato offensivo;
nell’agire colposo => la pericolosità delle condotta non viene contenuta dall’osservanza della regola
cautelare per la realizzazione di un risultato indifferente o addirittura socialmente utile.
A parità di risultato offensivo, la pericolosità della condotta dolosa è maggiore in quanto l’autore si adopera
per indirizzare le caratteristiche del suo agire verso il risultato offensivo (es. l’eliminazione del concorrente
all’eredità); mentre è minore la pericolosità della condotta colposa in quanto l’inosservanza della regola
cautelare è solo uno dei fattori di rischi posti in essere dall’agente allo scopo di meglio avvantaggiarsi
dell’idoneità positiva della condotta pericolosa e non già al fine di realizzare il risultato offensivo.
La diversa pericolosità oggettiva dell’agire doloso e di quello colposo spiega come dolo e colpa
appartengono al fatto tipico, concorrendo alternativamente, con gli altri elementi essenziale del fatto tipico,
alla fondazione di un diverso disvalore del fatto di reato.
Questo spiega anche il perché non tutti i reati siano previsti anche nella forma colposa, ma solo quelli che
offendono i beni giuridici di maggiore rilevanza, rispetto ai quali si pione perciò un’esigenza di tutela più
ampia.
E infine spiega il perché non possa ragionevolmente sussistere una fattispecie incriminatrice colposa senza
che sia prevista anche quella corrispondente dolosa, non essendo ragionevole punire un fatto meno
pericoloso e perciò meno grave senza punire il corrispondente fatto + pericoloso e perciò + grave.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 28. La pericolosità come idoneità alla realizzazione del fatto
criminoso
quale idoneità alla realizzazione del fatto criminoso, è come un attributo di tipicità della condotta, diverso a
seconda che si tratti di condotta dolosa o colposa.
La pericolosità è un attributo che riguarda anche le condotte lecite o socialmente utili. Es. la guida degli
autoveicoli è un’attività pericolosa ma consentita, ovviamente nel rispetto delle regole cautelarti poste
dall’ordin. proprio per contenerne la pericolosità.
Esiste una soglia del pericolo che l’ordin. accetta e ammette, un rischio consentito, in ragione degli interessi
che le condotte pericolose sono in grado di realizzare. Perciò la condotta dolosa o colposa è tipica solo
quando la sua pericolosità supera la soglia ammessa dall’ordinamento.
_La condotta colposa diventa tipica quando sono violate le regole cautelari.
_ La condotta colposa è tipica quando la sua pericolosità, pur essendo “voluta” e “cercata”, si colloca al di là
dell’eventuale rischio consentito.
Questa caratteristica di tipicità della condotta consiste nel superamento della soglia di rischio con
sentito è solitamente indicata con “non c’è dolo senza colpa”. Quindi, anche nell’agire doloso, nonostante
l’orientamento della volontà dell’autore al risultato lesivo, la stessa tipicità della condotta è subordinata al
superamento di una misura oggettiva di rischio consentito, in assenza del quale il disvalore del fatto si
esaurirebbe nel mero atteggiamento psichico dell’autore.
Si distinguono 2 situazioni:
rischio consentito => es. il pugile che uccide il suo avversario con un colpo. In tale caso la responsabilità
dolosa è condizionata al superamento della soglia del rischio consentito fissata dalle regole cautelari.
rischio totalmente illecito => es. chi propina una minestra avvelenata ai propri parenti per prendersi l’intera
eredità. In tale caso l’attività è radicalmente bandita dall’ordinamento proprio perché alla pericolosità
impressale dall’agente non corrisponde nessuna utilità sociale.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 29. Caratteristiche della colpevolezza
il rimprovero, in cui consiste la colpevolezza è ovviamente possibile proprio in quanto riferito
all’atteggiamento psicologico del soggetto nei confronti del fatto tipico e del suo contenuto di disvalore, ed è
inoltre conseguentemente diversificato per intensità e qualità a seconda che si tratti di dolo o di colpa.
Nell’agire doloso => viene rimproverato al soggetto di essersi deliberatamente posto contro l’ordinamento,
di aver “voluto” il risultato offensivo del proprio agire: quindi, si rimprovera all’autore l’ostilità ai valori
dell’ordinamento dimostrata con la condotta dolosa.
Nell’agire colposo => viene rimproverata al soggetto la sua trascuratezza nei confronti della pericolosità
insita nel compimento di attività che sono peraltro socialmente utili, se svolte entro i limiti cautelari posti
dall’ordinamento; viene rimproverato di non aver “controllato” il pericolo per i beni giuridici: quindi, si
rimprovera l’insensibilità nei confronti dei valori dell’ordinamento.
Differenza:
dolo e colpa => sono la base o l’oggetto del giudizio di rimprovero in cui consiste la colpevolezza.
Colpevolezza => è un giudizio di valore, una qualificazione valutativa, un giudizio normativo di
rimproverabilità per l’atto di autodeterminazione del soggetto, mentre dolo e colpa sono cmq dati di realtà.
Questo spiega come:
da un lato => non sia possibile formulare un giudizio di colpevolezza senza dolo o colpa, cioè senza che
abbia ad oggetto un atteggiamento psicologico nei confronti del fatto del soggetto;
dall’altro => il giudizio di colpevolezza è qualcosa di ulteriore e di + articolato del dolo/colpa. Infatti non si
limita all’accertamento di essi ma guarda anche alle condizioni in cui si è formato il processo motivazionale
che ha condotto il reo al crimine.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 30. La disciplina legislativa dell’elemento soggettivo
Il dolo e la colpa sono le 2 forme di manifestazione dell’elemento soggettivo del reato.
Dolo = volontà del fatto tipico.
Colpa = non volontà del fatto tipico.
Il legislatore ha cmq un margine di autonomia nel configurare normativamente l’elemento soggettivo del
reato:
1_ il legislatore può anche ascrivere un reato prescindendo dall’esistenza del dolo o della colpa, e dunque
sulla sola e semplice base della riferibilità fisico-materiale del fatto al soggetto che ha posto in essere la
condotta criminosa.
Es. Tizio che voleva danneggiare con un sasso la vetrina di un negozio chiuso, è chiamato a rispondere
anche del ferimento della proprietario che si era appisolato dentro dopo l’orario di chiusura.
Questa è un’ip. di responsabilità oggettiva, in cui, prescindendosi dal dolo e dalla colpa, manca
oggettivamente la stessa base per un giudizio di colpevolezza: sono cioè ip. di responsabilità senza
colpevolezza.
2_ il legislatore può configurare l’elemento soggettivo di un certo reato accostando dolo e colpa rispetto a 2
parti o segmenti diversi del fatto tipico ma costituenti componenti essenziali della stessa fattispecie
incriminatrice. => 3° forma di elemento soggettivo: c.d. preterintenzione (la quale risulta piuttosto dalla
combinazione di dolo e colpa).
Es. omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) è costituito da un 1° segmento fattuale rappresentato dalle
percosse o lesioni (dolo e da un 2° segmento rappresentato dalla morte della vittima (colpa).
In sintesi => le forme “legali” che può assumere il nesso di imputazione soggettiva del fatto tipico al suo
autore sono 4:
1-responsabilità oggettiva => è assenza di elemento soggettivo, cioè di colpevolezza;
2-colpa => forma naturale da manifestazione dell’elemento soggettivo;
3-preterintenzione => è un “misto dolo e colpa”
4-dolo => forma naturale da manifestazione dell’elemento soggettivo.
L’elemento soggettivo del reato, come tutti gli elementi essenziali della fattispecie, deve essere previsto
dalla legge. => 2 esigenze di legalità:
1_ il dolo e la colpa (nonché la preterintenzione, e in certa misura, anche la responsabilità oggettiva) devono
essere oggetto di definizioni legislative descrittive del loro contenuto, cioè il legislatore deve precisare in
cosa consistono le varie specie di elemento soggettivo. A tale esigenza risponde l’art. 43.1 che da le
definizioni di dolo – preterintenzione – colpa. La definizione della responsabilità oggettiva è invece all’art.
42.3 ove si allude alle ip. in cui il fatto (l’evento) è “posto altrimenti a carico dall’agente, come conseguenza
della sua azione o omissione”.
2_ necessità che sia il legislatore a stabilire se un determinato reato (es. omicidio) deve essere punito solo se
commesso con dolo oppure anche con colpa o con preterintenzione: occorre cioè che il legislatore indichi
quale sia il c.d. “titolo soggettivo di responsabilità” per ogni reato.
Il legislatore per semplificare e per motivi di economia legislativa ha adottato un criterio secondo cui i reati
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale sono distinti in delitti e contravvenzioni (art. 39 c.p.).
Per i delitti ha stabilito che, in assenza di una espressa previsione legislativa nella singola fattispecie, devono
essere intesi come dolosi, mentre, perciò, per la loro punibilità a titolo di colpa o di preterintenzione o
responsabilità oggettiva deve essere espressamente stabilita nella singola norma incriminatrice.
Per le contravvenzioni è stabilito in via generale che esse sono di regola punibili indifferentemente sia a
titolo di colpa che a titolo di dolo (art. 42.4 c.p.) quindi il giudice dovrà accertare in concreto se il fatto
storico contravvenzionali è stato in concreto realizzato con dolo o con colpa.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 31. Caratteristiche della responsabilità oggettiva
L’art. 42. c.p. fissa:
al 1° comma => la regola per cui nessuno può essere punito per un’azione/omissione se non l’ha commessa
con coscienza e volontà;
al 2° comma => quella per cui, ai fini della punibilità, è richiesto il dolo, salvo i casi espressamente previsti
dalla legge di delitto preterintenzionale e colposo;
al 3° comma => aggiunge che “la lex determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico
dall’agente, come conseguenza della sua azione o omissione”.
La dottrina + la giurisprudenza ritengono che tale ultimo comma preveda, nel nostro ordinamento, la c.d.
responsabilità oggettiva, cioè quella forma di responsabilità attribuita non già in base ad un elemento
psicologico ma in base al solo rapporto di causalità.
Tale responsabilità, per la dottrina tradizionale (es. Antolisei) presenta tali caratteristiche:
esistenza di una condotta e di un evento legati da un nesso causale e corrispondenti ad una fattispecie di
reato;
mancanza di dolo o colpa dell’agente nella produzione dell’evento;
attribuzione del fatto all’agente sulla base del semplice rapporto di causalità;
attribuibilità della condotta al volere dell’agente, ex art. 42.1 c.p.;
prevedibilità ed evitabilità del danno, in quanto se si ha riguardo al fatto che “non è punibile chi ha
commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore” (art. 45 c.p.) e che la “responsabilità penale è
personale (art. 27 Cost.), anche ai fini della responsabilità oggettiva, deve sussistere per il soggetto la
possibilità di influire sul divenire causale.
Casi di responsabilità oggettiva
La dottrina moderna seguita dalla stessa Corte Cost.(sent.364/88), distingue:
Responsabilità oggettiva pura
in cui si prescinde del tutto dall’elemento soggettivo ed il fatto è attribuito esclusivamente sulla base del
rapporto di causalità.
Casi di responsabilità oggettiva pura:
l’aberratio delicti (art. 83 c.p.);
la responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto (art. 116 c.p.).
Responsabilità oggettiva mista a dolo o colpa
in cui alla base dell’attribuzione del fatto vi è sempre una fattispecie dolosa o colposa.
Casi di responsabilità oggettiva mista a dolo o a colpa:
preterintenzione;
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale i c.d. reati aggravati dall’evento;
le condizioni obiettive di punibilità (art. 44 c.p.).
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 32. Sent.364/88 Corte cost.: ammissibilità della responsabilità
oggettiva
_ La dottrina tradizionale => muovendo dal presupposto che l’art. 27.1 Cost. si limita ad escludere
l’ammissibilità della responsabilità per fatto altrui, riteneva che la responsabilità oggettiva non fosse in
contrasto con il dettato costituzionale, trattandosi di una responsabilità per fatto proprio, sia pure imputata
sulla base del solo nesso causale.
_ La dottrina attualmente prevalente => ritenendo che l’art. 27.1 Cost. sancisce il principio della
responsabilità per fatto proprio colpevole, afferma che tutti i casi di responsabilità oggettiva presenti
nell’ordinamento sono costituzionalmente illegittimi.
Il problema dell’ammissibilità e dei limiti della responsabilità oggettiva va completamente rivisto dopo la
sent.364/88 Corte cost. => infatti in questa sent. è stata definitivamente accolta la tesi secondo cui l’art. 27.1
Cost. pone il principio di colpevolezza a fondamento di qualsiasi responsabilità penale: “il fatto imputato
perché sia legittimamente punibile, deve necessariamente includere almeno la colpa dell’agente in relazione
agli elementi + significativi della fattispecie tipica”.
Ciò comporta che, nel nostro ordinamento, devono ritenersi:
inammissibili => tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva pura;
legittime => quelle ipotesi in cui 1 o + elementi non essenziali del fatto non siano coperti da dolo o colpa
dell’agente.
Attualmente l’unica figura di responsabilità oggettiva costituzionalmente legittima è quella delle condizioni
obiettive di non punibilità, mentre tutti gli altri casi, che la dottrina riconduceva alla responsabilità oggettiva,
vanno interpretati e risolti in chiave soggettivistica, cioè di esigere almeno la colpa.
Le ipotesi di responsabilità oggettiva tuttora vigenti vengono per lo + costituzionalmente salvate,e unificate
nella comune caratteristica di essere imputate al soggetto secondo la schema dell’ “in re illecita versari”. Si
individua cioè una possibilità di dominio personale dell’azione e dell’evento attraverso la valorizzazione dei
requisiti soggettivi della prevedibilità ed evitabilità.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 33. Caratteristiche del dolo
Il dolo consiste nella volontà del fatto. Ma occorre precisare.
La volontà non esaurisce il contenuto strutturale del dolo, che invero registra una 2° componente psichica
costituita dalla rappresentazione del fatto tipico. A differenza della volontà, questa componente di natura
conoscitiva ha ad oggetto la totalità degli elementi essenziali del fatto.
Da un lato => la condotta e l’evento non possono essere logicamente voluti se non sono anche
“previamente” oggetto di rappresentazione.
Dall’altro => anche tutti gli altri restanti elementi costituitivi devono essere oggetto di rappresentazione,
poiché solo così si realizza quell’integrale appartenenza psicologica del fatto al suo autore insita nel dolo.
La volontà costitutiva del dolo significa => volontà di realizzazione del fatto tipico, del fatto come descritto
dalla fattispecie.
Il dolo come rappresentazione e volontà del fatto tipico
_ La rappresentazione => che ha ad oggetto tutti gli elementi essenziali del fatto, assume poi +
specificamente la natura psichica:
della “conoscenza” quando verte sugli elementi preesistenti e concomitanti alla condotta,
della “coscienza” quando è riferita alla condotta,
della “previsione” quando concerne elementi futuri qual è essenzialmente l’evento del reato.
_ La volontà => si riferisce ai soli elementi della condotta e dell’evento (quando esso è previsto come
elemento essenziale).
Art. 43.1 c.p. “Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il
risultato dell’azione/omissione e da cui la lex fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e
voluto come conseguenza della propria azione/omissione”.
Tale art. mette in luce le 2 componenti strutturali del dolo: coscienza e volontà (“preveduto e voluto”),
mentre per quanto attiene all’oggetto, tale norma è sinteticamente incentrata sull’evento, che va inteso come
“fatto tipico”.
Art. 47 c.p., disciplinando “l’errore sul fatto” contribuisce a definire legislativamente il dolo, o meglio la sua
componente conoscitiva. Nessun dubbio sulla incompatibilità dell’errore sul fatto con dolo: “quando c’è
l’errore => non c’è mai il dolo”.
Art. 47.1 c.p.: l’errore essenziale “esclude la punibilità dell’agente”.
Art. 47.2 c.p.: l’errore sul fatto è compatibile con la colpa.
Per escludere il dolo l’errore deve essere essenziale, ed è tale quando cade su un elemento del fatto tipico
(vedi art. 47.1 c.p.)
La disciplina dell’errore sul fatto ex art. 47 c.p. concorre, seppur in negativo, a confermare legislativamente
la necessità della rappresentazione del fatto tipico quale componente del dolo.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 34. Definizione di errore in legge
Il nesso psichico tra l’agente e il fatto è ovviamente escluso dal difetto di uno dei presupposti su cui si regge
l’imputazione. La legge si preoccupa di definire le cause di esclusione del nesso psichico, proprio al fine di
far emergere in modo rigoroso e puntuale il contenuto positivo ch’esso assume. Le cause di esclusione del
nesso psichico si riferiscono necessariamente o al dolo o alla colpa, che, in quanto concetti eterogenei, non
sono suscettibili di una considerazione unitaria neanche in termini negativi: ciò che esclude il dolo non
esclude anche la colpa.
Il contrappunto negativo del dolo è l’errore che, in generale, può essere definito come la falsa
rappresentazione o l’ignoranza di un qualunque dato della realtà naturalistica o giuridica.
Si distingue un errore proprio e un errore improprio a seconda che l’effetto cui la lex si riferisce dipenda o
meno dalla falsa rappresentazione.
Costituisce:
Errore improprio
=> l’ip. del reato putativo (art. 49 .1 c.p. “non è punibili che commette il fatto non costituente reato, nella
supposizione erronea che esso costituisca reato”), es. chi sottrae una cosa mobile propria ritenendola però
altrui. In tale caso la non punibilità deriva dalla circostanza che il fatto commesso non è tipico, e non già
dall’errore in cui verso l’agente, che la lex considera al solo fine di ribadire che gli atteggiamenti soggettivi
non possono supplire alla carenza di previsione legislativa.
Costituisce
Errore proprio
=> l’ip. dell’errore sul fatto disciplinato dall’art. 47 c.p. Es. chi sottrae una cosa altrui ritenendola propria, la
non punibilità deriva esclusivamente dalla falsa rappresentazione.
In riferimento al momento in cui si realizza la falsa rappresentazione della realtà, si distingue un errore che
incide sulla formazione della volontà (c.d. errore motivo) da un errore che incide sulla sua attuazione (c.d.
errore inabilità).
Es. errore motivo => chi spara ad un uomo avendolo scambiato per un animale.
Es. errore inabilità => chi spara a Tizio, ma colpisce Sempronio perché la mira era imprecisa, o perché Tizio
si è repentinamente inclinato.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 35. I diversi tipi di errore in legge
ERRORE SUL FATTO E SUL DIRITTO
Rispetto all’oggetto su cui cade la falsa rappresentazione della realtà si distingue un errore che cade sul fatto
(es. un viaggiatore scambia la propria valigia con quella, molto simile, di una altro viaggiatore), da un errore
sul diritto (es. il musulmano contrae in Italia un 2° matrimonio, ignorando che la bigamia costituisce reato).
Tale distinzione non va confusa con quella tra errore di fatto e errore di diritto, che si riferisce piuttosto alla
causa della falsa rappresentazione, a seconda ch’essa derivi da un’erronea percezione della realtà
naturalistica o di quella giuridica. Un errore di fatto può risolversi anche in un errore sul diritto (es. Tizio
ignora l’esistenza di una norma, perché il testo ch’egli consulta non la riproduce esattamente), e per
converso, un errore di diritto può risolversi anche in un errore sul fatto (es. Tizio, male interpretando le
norme sulla successione ereditaria, ritiene che la cosa di cui ha il possesso sia divenuta di sua proprietà, e la
rivende: la falsa rappresentazione cade sul presupposto della condotta di appropriazione indebita).
L’ERRORE SUL FATTO:
Secondo l’art. 47.1 c.p. “l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente”, salvo che
si tratti di “errore determinato da colpa”, nel qual caso “la punibilità non è esclusa, quando il fatto è
preveduto dalla lex come delitto colposo”.
L’art. 47.3 c.p. chiarisce che “l’errore su una lex diversa dalla lex penale esclude la punibilità, quando ha
cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”.
L’art. 47.2 c.p. precisa che “l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità
per un reato diverso”.
L’errore sul fatto può essere:
di percezione => quando consiste in una mancante o difettosa conoscenza sensoriale della realtà. Es. Caio
che, per un difetto di vista o per sfavorevoli condizioni di luce, scambi un ragazzino per un cinghiale e
faccia fuoco.
di valutazione => quando consiste in una mancante o imperfetta consapevolezza del significato sociale o
normativo di un elemento essenziale del reato. Es. Tizio che ignori il significato ingiurioso di certe
espressioni verbali.
ERRORE SUL FATTO, DI FATTO E DI DIRITTO
l’errore sul fatto, e cioè su uno degli elementi costitutivi del fatto tipico, può derivare:
sia da un errore di fatto (cui implicitamente allude l’art. 47.1 c.p.) => in tale caso occorrerà solo accertare
che l’agente non si sia rappresentato il dato della realtà naturalistica rilevante per l’integrazione della
fattispecie (es. il cacciatore che ha scambiato l’uomo ucciso per un animale; o il viaggiatore che ha
scambiato il proprio bagaglio con quello di un altro, …).
sia da un errore di diritto (cui si riferisce l’art. 47.3 c.p.) => in tale caso l’art. 47.3 c.p. postula che l’errore su
una lex extrapenale sui sia risolto in un errore “sul fatto”: l’errore, che pur consistendo in una falsa
rappresentazione della lex extrapenale, si risolvesse invece in un errore sulla legge penale (e cioè sul divieto,
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Diritto Penale anziché sul fatto), ricadrebbe nella disciplina dell’art. 5 c.p. Es. l’errore di chi ritiene di essere ancora
proprietario della cosa mobile che in realtà è stata legittimamente acquisita da latri, incidendo sull’altruità,
ricade sul fatto del furto (art. 47.3 c.p.), mentre l’errore di chi ritiene di potersi impossessare della sabbia del
mare, come forma di utilizzazione consentita del bene demaniale, ricade sul divieto di furto (art. 5 c.p.).
_L’errore sul fatto => è sempre preclusivo del dolo, e lascia sussistere un’eventuale responsabilità colposa
nei soli casi in cui il fatto sia punibile anche a tale titolo;
_L’errore sul divieto => prima della Sent.364/1988 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale
illegittimità dell’art. 5 c.p., era sempre e cmq privo di efficacia scusante. In seguito a tale sentenza l’errore
sul divieto scusa quando sia “inevitabile”.
QUINDI => l’errore sul divieto non rivela di per sé (e cioè in quanto sussista), come invece l’errore sul
fatto, ma soltanto a condizione che non sia rimproverabile all’agente.
Perciò riconoscere che:
un errore sulla lex extrapenale si risolve in un errore sul fatto => comporta automaticamente l’esclusione del
dolo;
un errore sulla lex extrapenale consiste in un errore sul divieto => non solo non esclude il dolo, ma qualora
si tratti di errore “evitabile”, implica la responsabilità del soggetto.
CRITERI DISTINTIVI
Dato il diverso trattamento tra errore sul fatto e errore sul divieto, occorre individuare il criterio distintivo tra
errore sul fatto e errore sul divieto rispettivamente indotti da una falsa rappresentazione della realtà:
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Diritto Penale 36. Teoria dell'incorporazione della norma penale
Secondo un orientamento diffuso soprattutto in giurisprudenza, si tratta di distinguere a seconda che la
norma extrapenale sia “richiamata” o meno nella norma penale: se è “richiamata”, essa si “incorpora” nel
precetto penale, divenendone parte integrante ed assumendone la natura a tutti gli effetti => teoria
dell’incorporazione. L’approccio ermeneutico finisce con il risolversi in una vera e propria “interpretazione
abrogatrice” dell’art. 47.3 c.p.
Infatti, la condizione di rilevanza dell’errore sulla lex extrapenale risulta in pratica “impossibile”. Se la
norma extrapenale non è richiamata da quella penale, non si vede in quale modo l’errore su di essa possa
risolversi in un errore sul fatto previsto dalla lex penale: per incidere sul fatto, l’errore sulla lex extrapenale
deve riguardare un elemento della fattispecie normativa, e riferirsi dunque ad una lex in qualche modo
“richiamata”; ma se è “richiamata, si dovrebbe ritenere per ciò stesso “incorporata” nel precetto.
Il circolo diviene vizioso e può condurre ad un solo risultato: escludere che si diano errori su lex extrapenale
rilevanti per l’art. 47.3 c.p. => ciò che appunto si è verificato nella giurisprudenza della Corte, salvo qualche
modesta apertura nelle decisioni più recenti, che sembrano volersi discostare dalla teoria
dell’incorporazione.
In realtà, l’art. 47.3 c.p. si riferisce agli elementi normativi, e cioè agli elementi del fatto tipico, la cui
percezione assume carattere valutativo e implica il necessario riferimento ad un parametro normativo, ad
una “legge diversa dalla legge penale” sulla quale deve cadere l’errore:
esso si risolverà: in un errore sul fatto => ogni volta che la falsa rappresentazione del parametro normativo
abbia determinato la rappresentazione di un fatto diverso da quello tipico;
esso si risolverà: in un errore sul divieto => quando abbia determinato la rappresentazione di un fatto
corrispondente a quello tipico, e solo diversamente qualificato (come lecito anziché come illecito) da parte
dell’agente.
Es. l’errore del mussulmano che ritiene di poter contrarre in Italia un 2° matrimonio è un errore sul divieto:
il mussulmano vuole esattamente ciò che l’art. 556 c.p. proibisce (cioè la bigamia) ma suppone che esso sia
permesso anche in Italia, quando invece è proibito e punito.
Es. è errore sul fatto quello di chi si risposi attribuendo ad una sentenza straniera di divorzio, non delibata in
Italia, l’efficacia di far cessare gli effetti del suo 1° matrimonio: l’agente non vole contrarre un 2°
matrimonio oltre al 1°, e quindi non si rappresenta un fatto corrispondente a quello ex art. 556 c.p.
Precisazione: cosa deve intendersi per “legge diversa dalla legge penale”: deve intendersi una legge diversa
da quella incriminatrice.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 37. Art. 47.2 c.p.
L’errore sul fatto esclude sempre il dolo del fatto cui si riferisce; può però verificarsi che l’errore verta su un
elemento specializzante, e cioè su un requisito che caratterizza una figura criminosa rispetto ad un’altra, di
portata generale. In tale caso, come precisa l’art. 47.2 c.p., residua la responsabilità per il reato diverso, di
cui sussistano sia i requisiti obiettivi sia quelli soggettivi. Es. se Tizio offende l’onore di un pubblico
ufficiale presente, ignorandone la qualifica, non risponderà di oltraggio (art. 341.1 c.p.), ma risponderà di
ingiuria (art. 594.1 c.p.). rispetto alla quale l’agente versa senza dubbio in dolo.
Se l’errore è determinato da colpa, la responsabilità dell’agente sarà affermata a tale titolo, qualora il fatto
sia previsto dalla lex come delitto colposo (art. 47.1 c.p.).
Se si tratta di contravvenzione, la punibilità consegue alla regola generale stabilita all’art. 42.4 c.p.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 38. Art. 5 c.p.
Visto che il dolo implica sia la conoscenza sensoriale degli elementi essenziali del fatto tipico, sia la
consapevolezza del loro significato sociale e eventualmente normativo => ci si chiede se anche la
consapevolezza del carattere antigiuridico del fatto sia necessaria ai fini del dolo, se cioè l’errore sul precetto
(c.d. ignorantia legis) escluda il dolo al pari dell’errore sul fatto. => La coscienza dell’antigiuridicità del
fatto non è richiesta per la sussistenza del dolo. Così dispone l’art. 5 c.p. “Nessuno può invocare a propria
scusa l’ignoranza della legge penale”), anche dopo la sent.364/1988 Corte Cost.
Di fronte all’ignorantia legis ci si trova nel dilemma:
da un lato => della necessità “politica” di salvaguardare l’efficacia precettiva della norma, senza perciò
poterla condizionare alla effettiva consapevolezza che ne abbia l’agente;
dall’altro => di dover differenziare in nome del principio di colpevolezza la situazione di chi agisce nella
consapevolezza di violare una norma precettiva da quella di chi agisce senza tale consapevolezza.
Da ciò la necessaria distinzione della rilevanza giuridica dell’errore sul fatto e dell’errore sui precetto =>
mentre l’errore sul fatto è incompatibile con il dolo, in quanto produce il risultato finale di escludere cmq la
rappresentazione del fatto, quali ne siano le cause del suo insorgere; l’errore sul precetto assume rilevanza in
ragione delle cause del suo insorgere, in quanto cioè colpevole o incolpevole. L’ignorantia legis risulta del
tutto compatibile con il dolo, escludendo essa piuttosto la colpevolezza quando non sia rimproverabile il
soggetto.
Es. il soggetto che realizza una costruzione senza la prescritta concessione dell’autorità e nell’ignoranza
della legge che la impone => compie un fatto0 sicuramente doloso. Sussisterà, inoltre, la colpevolezza
nell’ip. in cui egli non si sia presa la briga di informarsi sulle norme e i vincoli legali concernenti l’attività
edificatoria (e dunque l’errore sul precetto sarà irrilevante); mentre l’ignorantia legis sarà incolpevole (e
dunque rilevante) nell’ip. in cui egli abbia ricevuto una falsa informazione dall’autorità competente.
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Diritto Penale 39. Definizione di conoscenza del fatto e conoscenza della norma
La diversa rilevanza dell’errore sul fatto e di quello sul precetto si basa sul diverso ruolo giocato dalla
conoscenza del fatto e dalla conoscenza della norma precettiva nella dinamica dei processi motivazionali
dell’agente:
_ La conoscenza del fatto => serve all’individuo per orientarsi nella realtà naturalistico-sociale che lo
circonda, per assumere le proprie decisioni d’azione in conformità dei propri scopi e interessi: è infatti dalla
struttura del fatto, dalla realtà “fattuale” del proprio agire che dipende la realizzazione dei propri interessi.
_ La conoscenza della norma precettiva => interviene anch’essa nel processo motivazionale, ma subentra in
una decisione di 2° grado: quella cioè relativa non già alla capacità “naturalistica” dell’azione di realizzare
l’interesse perseguito, ma alla sua conformità all’ordinamento e conseguentemente relativa alla costellazione
di conseguenze giuridiche connesse al compimento di quell’azione.
In sintesi => ai fini del processo motivazionale è più stretta e significativa la relazione conoscitiva che il
soggetto ha con il fatto rispetto a quella che egli ha con il diritto. Con la conseguenza che quel nesso di
appartenenza psicologica del reato al suo autore in cui consiste il dolo, non potrà prescindere dalla
conoscenza effettiva e attuale del fatto, mentre rispetto al precetto ci si potrà accontentare di qualcosa “di
meno” dal p. di vista psicologico (la conoscibilità).
_ errore sul fatto : art. 47 c.p. => il dolo risulta sempre escluso. Esso proprio in quanto cade su un dato
episodico, individuato e sostanzialmente irripetibile della realtà hic et nunc, ha il carattere della concretezza.
_ errore sul precetto: art. 5 c.p. => proprio in quanto cade su una fattispecie normativa destinata a
ricomprendere le infinite forme di manifestazioni fattuali alla prima conformi, ha il carattere dell’astrattezza.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 40. Art. 59.4 c.p.
Ai fini del dolo sull’antigiuridicità obiettiva, è sufficiente che il soggetto non si rappresenti la presenza di
una causa di giustificazione.
Se ciò si verifica, il dolo è escluso, secondo quanto dispone l’art. 59.4 c.p. “se l’agente ritiene per errore che
esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si
tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla lex come
delitto colposo”.
Anche in caso di errore sulle cause di giustificazione occorre distinguere tra errore (di fatto o di diritto) che
si risolva in un errore sul fatto (della scriminante) e errore sul divieto.
_Si avrà errore sul fatto => quando il soggetto si rappresenti una situazione materiale tale che, se
effettivamente sussistesse, il fatto da lui commesso si inquadrerebbe nella fattispecie incriminante.
Es. nel caso di chi creda erroneamente di essere aggredito da un losco figuro che gli si sta avvicinando in
una zona buia con un randello in mano (legittima difesa putativa).
L’errore sul fatto della scriminante può derivare anche da un errore di diritto: es. nel caso di chi interpreti
come pericolo attuale di un’offesa “ingiusta” l’arresto legittimamente eseguito da un privato (art. 383 c.p.p.).
_Si avrà errore sul divieto => quando l’agente suppone esistente una scriminante che in realtà non esiste (es.
il pescatore ritiene di poter esercitare la pesca sul fondo altrui anche contro la volontà del proprietario,
mentre l’art. 842.3 c.c. ne esige il consenso); oppure attribuisce ad una scriminante esistente limiti normativi
di applicabilità più vasti di quelli stabiliti dalla lex (es. il proprietario della cosa di pregio che sta per
bruciare, ritiene, sottraendo un estintore, che lo stato di necessità si riferisca anche a beni patrimoniali).
In entrambe i casi, l’agente si rappresenta il fatto correttamente, ma era sulla sua qualificazione, ritenendolo
giustificato, mentre non lo è: l’errore finisce allora con il riflettersi sui limiti di applicabilità della norma
penale violata, e quindi sul divieto.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 41. Definizione di Errore inabilità e Reato aberrante
All’errore sul fatto, di percezione o di valutazione ma in ogni caso radicato nel momento di conoscenza
rappresentativa della realtà, si contrappone il c.d. errore inabilità, che si produce nel momento (logicamente
e cronologicamente successivo) di esecuzione della deliberazione criminosa.
Il contrasto tra il “voluto” e “realizzato” può dipendere da un errore che incide sulla fase esecutiva del reato.
=> Si realizza allora l’ipotesi dell’aberratio (cioè “deviazione”) che ricorre quando si verifica (appunto) una
divergenza tra il fatto voluto dall’agente e quello effettivamente realizzato, per un errore nell’uso dei mezzi
esecutivi del reato, o per altri fattori.
In pratica, costituisce una “deviazione” nell’esecuzione rispetto alla rappresentazione (esatta) che il soggetto
ha della realtà.
Essa può assumere 3 diverse forme.
Aberratio causae
(deviazione del processo causale con identità di evento) è la prima forma. si verifica quando l’agente
cagiona l’evento nei confronti della vittima designata, ma con una serie causale diversa da quella prevista.
Es. Tizio getta Caio nel fiume perché affoghi; Caio muore invece sbattendo la testa su un pilone del ponte.
L’ipotesi, non espressamente regolata dalla legge (né dal c.p.), fa riferimento all’ip. in cui la divergenza tra
voluto e realizzato riguarda unicamente lo svolgimento della catena causale, cioè che l’agente ha previsto
l’evento come risultato di una determinata serie causale messa in moto dalla sua condotta (es. la morte come
conseguenza dell’affogamento del nemico buttato nel fiume in piena), ma invece la morte si verifica a
seguito di un diverso svolgimento causale pur sempre innescato dal comportamento dell’agente (es. la morte
come conseguenza delle ferite riportate sbattendo la testa sui massi durante al caduta verso il fiume).
Ammesso che la deviazione esecutiva rispetto alla rappresentazione non comporti un’interruzione del nesso
causale si ritiene che l’aberratio causae sia giuridicamente irrilevante non facendo venire meno il dolo del
fatto realizzato.
Infatti, ai fini del dolo non è necessaria la rappresentazione degli elementi empirici che non corrispondano a
requisiti del fatto tipico; e le peculiarità dell’iter causale non assumono certo una tale natura nell’art. 575
c.p., per il quale è sufficiente che la morte sia “cagionata”. => nella fattispecie dell’omicidio non si descrive
(perché non essenziale) il meccanismo causale in base al quale si produce l’evento.
Aberratio cause nei reati a condotta libera e vincolata
Reati a condotta libera => è sufficiente che un nesso causale sussista e che il soggetto si sia rappresentato
l’evento come conseguenza della sua condotta, rimanendo dunque indifferente se la sequenza causale reale
non coincide con quella prevista.
Naturalmente la soluzione si capovolge se il reato non è a forma libera, c.d. reati a condotta vincolata =>
cioè quando la fattispecie incriminatrice descrive dettagliatamente un particolare nesso causale, attribuendo
ad esso rilevanza “essenziale” ai fini della sussistenza del reato, e la deviazione esecutiva concerne proprio
quel nesso, così che il soggetto si sia rappresentato l’evento come prodotto dalla catena causale prevista
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale dalla lex mentre invece si sia prodotto in realtà secondo una diversa sequenza.
In tale ipotesi non si pone tanto il problema di divergenza tra rappresentazione e realizzazione e dunque
dolo, ma l’atipicità del fatto obiettivo: il fatto oggetto di rappresentazione corrisponde alla fattispecie, ma è
quello obiettivamente realizzato che non presenta tutti gli elementi costitutivi della previsione legislativa.
In pratica, in tale caso la deviazione del processo causale si limita ad evidenziare l’atipicità della condotta:
es. nel caso di chi si procuri un ingiusto profitto con altrui danno senza ricorrere ad un artificio o raggiro,
non sarà integrato il delitto di truffa (art. 640.1 c.p.)
QUINDI => l’aberratio causae:
non ha rilevanza nei reati a forma libera => nei quali le modalità di realizzazione del fatto non costituiscono
elementi essenziali del reato, ma rivela solo la realizzazione dell’evento.
ha rilevanza nei reati a condotta vincolata => nei quali le modalità dell’azione costituiscono elementi
essenziali del fatto, ove, in virtù di essa, il fatto non sussiste, perché atipico.
Aberratio ictus
(deviazione del processo causale con identità di evento nei confronti di persona diversa)
verifica “quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, è cagionata
offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta” (art. 82 c.p.).
Es. Tizio, con intento omicida, spara a Caio che proprio in quel momento si china, in modo che il colpo
uccide Sempronio, casualmente trovatosi sulla traiettoria.
L’art. 82 c.p. presuppone l’omogeneità dell’offesa realizzata rispetto a quella voluta: se si trattasse di offese
eterogenee ricorrerebbe l’ipotesi dell’aberratio delicti (art. 83 c.p.).
L’errore che determina l’aberratio ictus è irrilevante, perché, come precisa l’art. 82.1 c.p. “il colpevole
risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere”.
Nell’es. precedente perciò Tizio risponderà per omicidio volontario.
Questo perché l’identità della persona offesa non è requisito del fatto tipico, non fa perciò parte dell’oggetto
del dolo. => il soggetto intendeva causare la morte di un uomo, e la morte di un uomo ha cagionato; che non
si tratti dello stesso uomo ch’egli intendeva uccidere è circostanza giuridicamente irrilevante.
Di contro si rileva tuttavia che l’imputazione dolosa implica la rappresentazione e volizione del fatto storico
avvenuto hic et nunc e corrispondente di per sé al tipo legale: nell’aberratio ictus il fatto storico realizzato
invece è diverso da quello voluto (il soggetto non si è neppure rappresentato la vittima diversa, e, se lo ha
fatto, ne ha escluso in maniera assoluta l’offesa, altrimenti risponderebbe a titolo di dolo eventuale). Da
questo p. di vista, l’art. 82.1 c.p. darebbe luogo ad un ip. di responsabilità obiettiva: se la disposizione
mancasse, l’agente dovrebbe rispondere di tentativo nei confronti della vittima designata e di reato colposo
nei confronti della vittima offesa.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 42. Orientamenti dottrinali sull'aberratio ictus
_ Secondo l’orientamento tradizionale e maggioritario => l’art. 82.1 c.p. ha un’efficacia meramente
dichiarativa, in quanto la responsabilità dolosa di Tizio per l’offesa a persona diversa da quella designata
sarebbe del tutto conforme alle regole generali in materia di dolo: infatti, la divergenza tra voluto (l’offesa di
Caio) e realizzato (l’offesa di Sempronio) riguarderebbe un aspetto legislativamente non essenziale, in
quanto l’identità personale della vittima non è elemento costitutivo del delitto di omicidio. E dunque, in base
all’indifferenza legislativa rispetto all’identità della vittima, è ovvia la conclusione della piena
“sovrapponibilità” tra le rappresentazione del fatto e il fatto realizzato.
_ Secondo un orientamento minoritario => l’art. 82.2 c.p. avrebbe un’efficacia costitutiva, imponendo la
soluzione di una responsabilità dolosa per un fatto realizzato diverso da quello rappresentatosi dall’agente,
mediante un’operazione di “trasposizione per equivalente” del dolo da un fatto al un altro. In pratica si
intende affermare il principio della c.d. concretezza del dolo, in base al quale non sarebbe sufficiente che la
rappresentazione abbia un oggetto corrispondente all’elemento essenziale di fattispecie (es. un uomo), ma
sarebbe altresì necessario che l’oggetto rappresentatosi dall’autore sia proprio quello esistente nel fatto
realizzato (l’uomo Sempronio). Tale orientamento tiene conto della differenza sostanziale che esiste tra l’ip.
di un’erronea identificazione della vittima designata e l’ip. dell’aberratio ictus monoffeniva.
nel caso dell’erronea identificazione della vittima designata => l’agente intende colpire e colpisce la persona
designata e presa di mira, credendo che sia Tizio e invece è Caio (errore in persona): il fatto realizzato
coincide con quello voluto, salvo appunto che per l’identità dell’offeso;
nel caso dell’aberratio ictus => la persona colpita è diversa da quella designata: la divergenza riguarda,
prima che l’identità personale, la stessa identità fisica della vittima. Il fatto realizzato non coincide con
quello voluto.
Stando al principio della c.d. “concretezza del dolo”, sulla base delle regole generali sul dolo, la soluzione
dovrebbe dunque essere quella di una eventuale responsabilità a titolo di colpa per il fatto realizzato nei
confronti della persona diversa da quella designata, alla quale potrebbe aggiungersi una responsabilità a
titolo di tentativo qualora ne sussistano gli estremi nei confronti della persona designata.
Sicuramente in deroga alle nome generali sul dolo sono le altre 2 ipotesi di aberratio: l’aberratio ictus
bioffensiva e l’aberratio delicti.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 43. Caratteristiche dell' Aberratio Ictus
Nell’Aberratio Ictus si distinguono 2 ipotesi:
-Aberratio ictus monoffensiva:
art. 82.1 c.p. “Quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, è
cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se
avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere.
In pratica: è offesa una persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta (es. Tizio spara a Caio, ma
uccide Sempronio, che si trova lì vicino). In questo caso l’agente risponde del fatto effettivamente criminoso
come se avesse commesso quello voluto.
-Aberratio ictus plurioffensiva:
art. 82.2 c.p. “qualora oltre alla persona diversa sia offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta, il
colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave aumentata fino alla metà”.
In pratica: si realizza quando, oltre alla persona diversa, è offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta
(es. Tizio spara a Caio, ma uccide insieme a lui anche Sempronio). L’art. 82 c.p. dispone che in tale caso il
colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 44. Caratteristiche della Aberratio delicti
si verifica “fuori dei casi preveduti dall’art. precedente, se, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del
reato, o per un’altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di
colpa, dell’evento non voluto, quando il fatto è preveduto come delitto colposo. Se il colpevole ha
cagionato altresì l’evento voluto, si applicano le regole sul concorso di reati”.(art. 83.1. c.p.).
Qui la divergenza tra quanto voluto e quanto realizzato riguarda non già la persona della vittima ma più
radicalmente la stessa natura del fatto criminoso che deve corrispondere ad una diversa fattispecie.
Es. Tizio, lanciando un sasso contro la vettura di Caio per danneggiarla, ferisce un bambino.
Si tratta di una forma di aberratio che presuppone l’eterogeneità dell’offesa voluta rispetto a quella
realizzata. In pratica, il fatto realizzato non corrisponde integralmente alla rappresentazione dell’agente a
causa di un errore di esecuzione. L’assenza del dolo dovrebbe comportare, stando alle regole generali, la
responsabilità per il fatto (o parte di esso) non voluto solamente a condizione che rispetto ad esso sia in
concreto accertabile una colpa del soggetto e che il fatto realizzato sia previsto anche nella forma colposa.
Infatti, l’art. 83.1 c.p. sancisce la responsabilità “a titolo di colpa, dell’evento non voluto, quando il fatto è
preveduto dalla legge come delitto colposo”.
Nonostante il riferimento al “titolo di colpa” si tratta di un’ipotesi di responsabilità obiettiva: diversamente,
la disposizione non avrebbe alcun senso, perché nessuno dubita che di un evento non voluto si possa
rispondere per colpa (se la colpa sussiste), quando esso è stato cagionato nel mentre si esegue una qualche
attività criminosa.
La lex, dunque, punisce con la pena prevista per il delitto colposo un fatto che può anche non essere
colposo, secondo la logica del “qui in re allieta versatur, tenetur etiam pro casu”.
In pratica, l’art. 83 c.p. indicherebbe la volontà legislativa di prescindere dalla colpa reale, alludendo il
“titolo” colposo della responsabilità alla necessità di qualificare cmq formalmente la natura della
responsabilità per il fatto diverso a tutti gli altri effetti giuridici che da tale qualificazione discendono.
Quindi => nell’es. di Tizio che ferisce il bambino lanciando il sasso contro la vettura di Caio, Tizio
risponderà per responsabilità per lesioni colpose (oltre che nel tentativo di danneggiamento, qualora ne
sussistano gli estremi).
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 45. Confronto tra Aberratio Ictus e Aberratio Delicti
In definitiva => aberratio ictus e aberratio delicti costituiscono ipotesi in cui la divergenza tra quanto voluto
e quanto realizzato, derivante da una “deviazione” verificatasi nello svolgimento esecutivo del reato, fa
venire meno il dolo rispetto al fatto oggettivamente realizzato senza però poter ignorare l’esistenza di una
deliberazione cmq criminosa e per ciò l’affermazione di una qualche forma di responsabilità anche per il
fatto diverso. Con l’avvertenza, però che:
mentre ciò è incondizionatamente vero per l’aberratio ictus bioffensiva,
per quella monoffeniva e per l’aberratio delicti => l’affermazione è vera solo se si muove da determinate
premesse interpretative ancora oggi discusse in ordine alla natura “costitutiva” e non già meramente
“dichiarativa” delle relative norme.
quindi (più precisamente):
per l’aberratio ictus monoffensiva => se si muove dal p. della c.d. concretezza del dolo e dunque dall’idea
che la divergenza concernente la persona della vittima sia in realtà essenziale e tale dunque da escludere il
dolo rispetto al fatto realizzato;
per l’aberratio delicti => se si muove dall’idea che la responsabilità per il fatto diverso sia solo formalmente
colposa ma in realtà discenda “automaticamente” ed oggettivamente per la sola ragione dell’aberratio.
Se all’evento non voluto si aggiunge quello voluto (aberratio delicti plurioffensiva) => si applicano le regole
sul concorso di reati, art. 83.3 c.p.
Un’ip. speciale di aberratio delicti plurilesiva è prevista dall’art. 586 c.p., quando l’evento voluto integri gli
estremi di “un fatto preveduto dalla lex come delitto colposo” e la “conseguenza non voluta” sia costituita
della “morte” o dalle “lesioni di una persona”.
Es. il costringimene esercitato nella violenza privata (art. 610.1 c.p.) provoca la morte non voluta della
persona coartata. In tale caso “si applicano le disposizioni dell’art. 83 c.p. (e l’agente risponde quindi per
omicidio o di lesioni colpose), ma le pene stabilite negli artt. 589 e 590 sono aumentate.
È ovvio che il fatto doloso non può essere costituito:
a)né da lesioni o percosse, perché risulterebbe allora integrata la fattispecie dell’omicidio preterintenzionale;
b)né da un reato in cui la morte e le lesioni costituiscano evento aggravante autonomamente previsto (es. art.
438 c.p.).
Ragioni sostanziali per cui in queste ipotesi l’errore di esecuzione porta a conseguenze giuridiche diverse da
quelle dell’errore di rappresentazione nonostante che entrambi i fenomeni conducano alla fine alla stessa
mancata corrispondenza tra voluto e realizzato.
Ci si chiede perché:
nell’aberratio ictus monoffeniva => il soggetto risponde come se fosse stata colpita al persona designata;
nell’aberratio ictus bioffensiva => il soggetto risponde come se si trattasse di 2 reati dolosi;
nell’aberratio delicti => il soggetto risponde come se si trattasse di u reato colposo.
RATIO DELLE DEROGHE
Queste deroghe alle regole generali sull’elemento soggettivo nascono evidentemente dal fatto che
l’ordinamento, nonostante la mancata integrale convergenza tra la rappresentazione e la realizzazione, non
rimane del tutto indifferente alla duplice peculiarità che la rappresentazione ha pur sempre ad oggetto un
fatto criminoso e che l’agente ha realizzato il fatto (diverso) proprio nell’esecuzione di quella deliberazione
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale criminosa.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 46. L'errore di rappresentazione in legge
Nell’ip. di errore di rappresentazione non si pone l’esigenza di “estendere” il dolo (erroneamente formatosi
rispetto ad un certo fatto) al diverso fatto oggettivamente realizzato.
Es. se Mevio intende uccidere Sempronio facendogli esplodere l’auto su cui viaggia nella erronea
convinzione che sia solo, l’ulteriore evento letale ai danni del passeggero gli sarà attribuito non già in base
all’art. 82.2 c.p. come se fosse dolo, ma come un autonomo reato colposo e sempre che sussista una colpa
reale ed effettiva.
Es. se Tizio da fuoco alla casa di Caio erroneamente convinto che il proprietario sia fuori, egli risponderà
dell’omicidio di Caio non già in base all’art. 83 c.p. a “mero titolo colposo”, ma solo in presenza di una
reale colpa.
In entrambe i casi, la divergenza tra quanto voluto e quanto realizzato trova la sua origine in errore di
rappresentazione, poiché è del tutto evidente che il processo esecutivo dell’azione criminosa si è svolto
esattamente come programmato dall’agente: l’esplosione dell’auto di Sempronio e l’incendio della casa di
Caio.
E allora perché nel caso di aberratio gli effetti giuridici della divergenza sono meno radicali e l’ordinamento
ammette un fenomeno di “estensione” o “dilatazione” della deliberazione criminosa per l’attribuzione di una
fatto parzialmente diverso da quello voluto?
Bisogna muoversi dalla constatazione del diverso orientamento offensivo che la condotta rivela nei 2
differenti fenomeni:
_ Nell’ip. di errore di rappresentazione, la direzione offensiva della condotta viene circoscritta dall’autore al
fatto (erroneamente) rappresentatosi e solo a quello.
Es. Tizio intende bruciare la casa di Caio e orienta il suo comportamento in tale direzione, impedendogli
l’errore di rappresentazione di cogliere la pericolosità della condotta anche verso l’ulteriore risultato lesivo.
_ Nell’ip. di aberratio, invece, il soggetto assume una condotta che lo svolgimento successivo della vicenda
mostra come se fosse aperta a sviluppi offensivi ulteriori: e, concernendo l’errore l’esecuzione, ciò significa
che la condotta realizzata, anche se è poi “degenerata” verso altri risultati offensivi, è proprio quella stessa
programmata dal soggetto.
Es. quando Tizio incendia l’auto di Caio, la sua condotta già nella rappresentazione dell’agente corrisponde
esattamente alle potenzialità offensive di quella poi realizzata, anche se i risultati offensivi ulteriori si sono
verificati per una deviazione esecutiva.
In definitiva => le ipotesi di aberratio sembrano essere caratterizzate dalla circostanza che il soggetto si pone
consapevolmente in una situazione di illiceità potenzialmente aperta a sviluppi diversi e ulteriori rispetto a
quelli direttamente presi di mira => in pratica, una situazione di rischio assunto consapevolmente.
Precisazioni
1) Riconoscere l’esistenza di un rischio nascente dal compimento di un’attività penalmente illecita non
significa perciò solo ammettere la possibilità o addirittura la necessità di derogare alle regole generali in
materia di responsabilità dolosa e colposa.
2) Una volta che sia prevista la disciplina delle ipotesi di aberratio in deroga alle regole generali, occorrerà
in ogni caso interpretarla e applicarla in modo coerente alla sua ratio. La condotta esclusiva si deve rivelare
in concreto almeno idonea a produrre il risultato offensivo perseguito dall’autore, che cioè integri gli estremi
del tentativo del reato da lui rappresentatosi.
Infatti, la disciplina dell'aberratio si fonda sulla circostanza che il soggetto tiene consapevolmente una
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale condotta pericolosamente aperta a plurimi sviluppi offensivi. Se la condotta producesse il risultato non
voluto senza nemmeno creare il pericolo di quello voluto, ciò significherebbe che si è oggettivamente
sviluppato un processo esecutivo in senso radicalmente diverso a quello rappresentatosi dall’agente, del
quale egli potrebbe rispondere solo in “via autonoma” e per colpa.
Es. Tizio che vuole uccidere la suocera Mevia, prepara dei cioccolatini avvelenati e li conserva nella
dispensa attendendo il momento per poterli m’offrire a Mevia. Se nel frattempo, la domestica, trovati i
cioccolatini, se li mangia e muore => è ovvio che si ha la morte di una persona diversa da quella designata
per una deviazione esecutiva del proposito criminoso, ma non sarà possibile applicare l’art. 82.1 c.p., ma
solo eventualmente l’omicidio colposo. Infatti, non avendo la condotta ancora raggiunto la soglia della
pericolosità nei confronti della persona designata, non è possibile “estendere” il dolo che la sorregge ad uno
sviluppo esecutivo non solo anomalo ma addirittura estraneo alla produzione di quel pericolo
(oggettivamente inesistente) su cui faceva conto l’agente.
Ricorrerebbe invece l’aberratio, nel caso in cui Mevia, dopo aver preso il cioccolatino offertogli da Tizio,
invece di mangiarlo lei lo passi ad un altro ospite sopraggiunto: in tale caso la deviazione esecutiva viene a
colpire una persona diversa dalla designata, essendosi però già prodotto il pericolo nei confronti
dell’originario destinatario.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 47. Caratteristiche del momento volitivo del dolo
Il momento volitivo e l’intensità del dolo (dolo intenzionale – dolo diretto – dolo eventuale – dolo d’impeto
o di proposito). Oggetto della volizione
Non tutti gli elementi del fatto tipico possono, a stretto rigore, essere oggetto di volizione in quanto in
suscettibili di essere modificati dal comportamento criminoso: es. le qualità personali del soggetto attivo o
passivo, i presupposti della condotta e le sue modalità spazio-temporali.
L’oggetto del momento volitivo del dolo muta a seconda della concezione della volontà da cui si muova.
Non è inesatto definire sinteticamente il dolo come coscienza e volontà del fatto tipico (nel suo complesso),
mentre si rivela improprio identificare riduttivamente l’oggetto del dolo nella sola condotta dell’agente.
Quindi => l’oggetto della volontà deve essere identificato nella condotta e nel suo risultato.
_ Se reati dotati di evento naturalistico => il momento volitivo del loro dolo dovrà investire anche l’evento
oltre la condotta.
_ Se reati di pura condotta => (cioè senza evento), pur essendo di regola la volontà dell’agente orientata a
conseguire un determinato risultato con la propria condotta (es. mediante una falsità conseguire un indebito
vantaggio), sarà sufficiente accertare che la condotta fosse sostenuta dalla volontà: naturalmente una volontà
attuale e consapevole, in ciò differenziandosi la volontà dolosa ex art. 43.1 da quella semplice suitas ex art.
42.1 c.p.
L’art. 43.1 c.p. definisce il dolo: “il delitto è doloso (..) quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il
risultato dell’azione/omissione e da cui la lex fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e
voluto come conseguenza della propria azione/omissione”.
L’evento di cui parla l’art. 43.1 c.p. non può essere inteso:
né come evento del reato in senso naturalistico => in quanto non tutti i reati ne sono dotati;
né come evento in senso giuridico => in quanto non tutti i reati sono provvisti di offesa, vedi ad es. i c.d.
reati di scopo.
La soluzione + appagante è quella di considerare l’espressione “evento” nel senso di “fatto tipico”.
Struttura del momento volitivo
Ovvero della componente psichica della volontà. Si individuano plurime forme di dolo, differenziate quanto:
all’intensità della volizione => dolo intenzionale – dolo diretto – dolo eventuale (in un decrescendo di
intensità);
alla contrapposizione tra dolo d’impeto – dolo di proposito.
Per quanto riguarda la prima tripartizione delle forme del dolo si deve muovere dalla fondamentale
considerazione che la realizzazione del fatto tipico può costituire o meno lo scopo, e dunque la “causa
psichica” della condotta del soggetto.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 48. Definizione di dolo intenzionale
In tale caso la realizzazione del fatto tipico è l’obiettivo consapevole del comportamento, l’intensità con cui
il fatto è voluto è massima => la volontà del fatto tipico assume i caratteri psichici dell’intenzione di
produrlo.
Es. Tizio spara a Caio per sopprimere un temibile concorrente nei propri traffici illeciti.
In pratica => si persegue l’evento come scopo finale della condotta o come mezzo necessario per ottenere un
ulteriore risultato.
Non è detto che il fatto tipico, pur essendo lo scopo immediato della condotta criminosa, costituisca sempre
anche lo scopo ultimo dell’agente.
Es. è indubbio che la morte di Caio è intenzionalmente voluta da Tizio, visto che tiene una condotta omicida
allo scopo di uccidere; ma è evidente che lo scopo ulteriore è quello di liberarsi di un concorrente e quindi di
realizzare maggiori profitti illeciti. => Ai fini della sussistenza del dolo intenzionale non interessa andare ad
accertare quali siano gli scopi ulteriori o addirittura ultimi perseguiti dall’agente, essendo sufficiente
verificare che il fatto tipico sia stato cmq perseguito, voluto come scopo della condotta.
Ripercorrere gli eventuali scopi ulteriori alla realizzazione del fatto tipico, fino ad arrivare allo scopo ultimo,
serve solo per accertare i moventi del reo: il movente, infatti, rappresenta in qualche modo la causa psichica
generica ed indistinta, quasi la “forza psichica” sprigionata da un bisogno della persona.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 49. Definizione di dolo diretto
In tale caso la realizzazione del fatto tipico non costituisce lo scopo né ultimo né intermedio della condotta
del soggetto, ma ciò nonostante può dirsi cmq “voluto”. La realizzazione del fatto tipico, in tali ip.,
costituisce una conseguenza accessoria, connessa alla realizzazione del diverso scopo per il quale il soggetto
invece agisce intenzionalmente.
In pratica => (non intenzionale) l’evento non costituisce l’obiettivo diretto della condotta, ma l’agente, lo
prevede e lo accetta come risultato certo o altamente probabile della propria condotta. Dolo =
rappresentazione del fatto tipico come certo.
Es. chi fa esplodere un ordigno lungo il muro di cinta del carcere al fine di agevolare la fuga dell’amico
detenuto, persegue lo scopo immediato di creare un diversivo e un fattore di confusione nella sorveglianza al
fine ultimo di consentire l’evasione, e non quello di uccidere o ferire il passante che si trova sul luogo
dell’esplosione e la cui offesa costituisce una conseguenza connessa al risultato intenzionale perseguito.
Il risultato “connesso” allo scopo perseguito intenzionalmente può essere:
la conseguenza di un’attività già di per sé penalmente illecita (come nell’es.);
la conseguenza di un’attività di per sé lecita (es. Tizio cagiona la morte del suo avversario Caio in un
incontro di boxe).
In entrambe i casi, affinché si possa configurare una responsabilità dolosa per il fatto così realizzato, occorre
che esso sia:
1-il risultato di una condotta pericolosa inosservante di regole cautelari oppure totalmente illecita;
2-il risultato deve essere “voluto”, nonostante non sia stato intenzionalmente perseguito.
Per l’esistenza del dolo non è sufficiente che esso sia stato oggetto di rappresentazione da parte dell’agente,
visto ad es. che lo stesso legislatore all’art. 61 n.3 c.p. prevede una particolare specie di colpa caratterizzata
dalla previsione dell’evento, dimostrando così che la rappresentazione del fatto non è ancora sufficiente a
integrare il dolo.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 50. Il momento volitivo del dolo
Il momento volitivo del dolo va ricercato oltre la mera rappresentazione del fatto. Occorre distinguere 2
situazioni, a seconda che:
1_ Il soggetto si rappresenti come certa la realizzazione dell’evento accessorio rispetto a quello
intenzionalmente perseguito => rappresentazione del dolo come certo: dolo diretto.
Es. il soggetto agente allo scopo di produrre il risultato A non può estendere la sua volontà anche all’evento
B, la cui verificazione egli prevede come certamente collegata ad A. dato il rapporto che lega
indissolubilmente A e B, è come se egli volesse la produzione del fatto complessivamente unitario A+B.
2_ Il soggetto si rappresenti solamente come probabile o possibile la realizzazione dell’evento accessorio
rispetto a quello intenzionalmente perseguito => in tale caso non è facile precisare concettualmente quale sia
il reale atteggiamento della volontà rispetto a tale evento. In pratica nello “schema mentale” dell’agente
l’evento accessorio compare come oggetto insieme di un certo num. di probabilità positive di verificazione e
di un certo num. di probabilità negative di non-verificazione.
Es. la morte del passante investito dall’esplosione dell’ambasciata è prevista dall’attentatore come evento
che potrà o meno verificarsi.
Problema da risolvere => Dinnanzi alla rappresentazione della compresenza di probabilità positive e
negative di verificazione dell’evento, non è facile accertare se la volontà del soggetto “accetti” oppure no
l’evento come conseguenza accessoria del risultato perseguito intenzionalmente.
Nella realtà psichica del soggetto egli accetta indubbiamente il “rischio” di verificazione dell’evento, ma il
rischio è costituito dalla compresenza di probabilità positive e negative di verificazione dell’evento.
Soluzione => la dottrina penalistica ha elaborato uno strumento concettuale che consente di verificare
quando l’accettazione del rischio, cioè la rappresentazione delle probabilità positive o negative, possa essere
considerata come accettazione anche dell’evento e dunque sostanzialmente analoga ed equivalente al dolo
diretto.
Ci si chiede se il soggetto avrebbe egualmente agito per realizzare il risultato perseguito (es. l’esplosione) se
si fosse rappresentato come certa la realizzazione dell’evento accessorio (es. morte del passante), che in
realtà ha invece previsto come solo probabile/possibile:
_ se risposta affermativa => si conclude per la sussistenza del dolo seppure nella particolare e meno intensa
forma del dolo eventuale (dolo eventuale = forma autonoma e meno intensa di dolo).
_ se risposta negativa => si conclude per la sussistenza della colpa, sia pure nella forma + grave della colpa
con previsione (art. 61 n.3 c.p.).
In sostanza, attraverso la formulazione di un’ip. (previsione dell’evento come certo), si verifica la possibilità
di far corrispondere l’atteggiamento psicologico reale (l’accettazione del rischio) a quella del dolo diretto
(accettazione del rischio) e dunque di ritenere fondatamente esistente la volontà del fatto.
Attualmente, nel silenzio del legislatore che non definisce né il dolo diretto né quello eventuale, la dottrina
maggioritaria e la giurisprudenza sono orientate nel senso di ridurre l’uno e l’altro, insieme al dolo
intenzionale, alla categoria generale del dolo, inteso come coscienza e volontà del fatto, quali forme diverse
per intensità della volontà.
Il dolo eventuale può sussistere, non solo quando il soggetto preveda come probabile/possibile l’evento del
reato, ma anche quando egli agisca nel dubbio sull’esistenza o meno di un altro elemento essenziale del
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale reato: es. Tizio lacera un foglio scritto rappresentandosi la possibilità che si tratti di un documento pubblico.
Anche in tale caso il fatto potrà dirsi voluto a titolo di dolo eventuale se si accerta che Tizio avrebbe agito
cmq se avesse avuto la certezza di realizzare il fatto tipico.
Anche la contrapposizione tra dolo d’impeto e dolo di proposto esprime una diversa intensità della volizione
del soggetto rispetto al fatto tipico. Tale contrapposizione si riferisce alla presenza + o meno efficace di
motivi inibitori antagonisti alla spinta a delinquere.
Entrambe le nozioni sono caratterizzate da un dato di natura cronologica, che rileva come indizio esteriore di
un interno processo motivazionale diverso.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 51. Definizione di dolo d'impeto e di dolo di proposito
Dolo d’impeto => è quando la deliberazione criminosa è seguita immediatamente dall’esecuzione della
condotta.
Dolo di proposito => è quando tra la formazione della decisione criminosa ed il passaggio all’atto intercorra
un consistente lasso di tempo.
Per cui si ritiene che la differenza meramente cronologica che distingue il dolo d’impeto dal dolo di
proposito sia il segno esteriore di un diverso processo motivazionale in cui alla (presumibile) assenza o
presenza di contromotivi all’azione criminosa corrisponda, rispettivamente, una minore o maggiore
“persistenza” ed intensità della volontà a delinquere.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 52. Definizione di premeditazione
Una specie particolare di dolo di proposito è => la premeditazione: nell’intervallo intercorrente tra la
decisione che persiste immutata e l’esecuzione criminosa, si aggiunge l’ulteriore requisito di una
preparazione accurata del delitto.
Mentre le nozioni di dolo intenzionale – dolo diretto – dolo eventuale – dolo d’impeto e dolo di proposito
non sono oggetto di un’espressa previsione legislativa => la premeditazione si, ed è prevista dalla lex come
circostanza aggravante speciale dei delitti c.d. di sangue (omicidio o lesioni) art. 577.1 n.3 c.p., senza
peraltro che il legislatore ne precisi gli elementi costitutivi.
L’art. 133.1 n.3 c.p. prescrive, però, che il giudice deve tenere conto nel determinare la pena dell’”intensità
del dolo”.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 53. Il dolo nei reati omissivi
Le altre forme del dolo. IL DOLO NEI REATI OMISSIVI. PUNTI PROBLEMATICI.
Ci si chiede se il dolo dei reati omissivi sia strutturalmente identico a quello dei reati di condotta attiva. 3 i
punti problematici:
oggetto della rappresentazione
oggetto della rappresentazione, cioè del momento conoscitivo del dolo => i problemi derivano dalla natura
normativa dell’omissione. Coerentemente alla struttura concettuale dell’omissione:
a)il momento rappresentativo del dolo dovrà investire prima di tutto i presupposti di fatto della situazione
tipica in presenza dei quali sorge l’obbligo giuridico di agire: es. il soggetto dovrà conoscere che ha avuto
inizio l’utilizzazione del macchinario produttivo rispetto ala quale, essendo egli garante, ha un obbligo di
controllo per la tutela dei lavoratori.
b)Il momento conoscitivo dovrà estendersi alla possibilità di agire nel senso prescritto dall’obbligo
giuridico: es. non sarà in dolo colui che per errore sul fatto ritenga che il macchinario di cui ha il controllo
sia programmato in modo tale da non poter + essere disattivato manualmente.
c)Infine, perché sussista la consapevolezza di omettere l’azione giuridicamente richiesta occorrerà anche la
conoscenza dell’obbligo di agire. Tale consapevolezza è necessaria tanto nei reati omissivi impropri (per i
quali l’obbligo giuridico è di regola di fonte extrapenale, con la conseguenza che l’errore su di esso darà
luogo ad un errore irrilevante ex art. 47.3 c.p.) quanto in quelli omissivi propri (nei quali la fonte
dell’obbligo si identifica con la stessa lex penale che incrimina il fatto commesso, perciò in tali reati il dolo
comporta un’evidente deroga al principio della irrilevanza dell’errore sulla lex penale ex art. 5 c.p.: posta la
necessità della coscienza dell’obbligo di agire, ne viene che l’errore o l’ignoranza del precetto penale
contenente l’obbligo di agire escluderà il dolo ex art. 47 c.p.)
l’esistenza di un atto decisionale di volontà
Momento volitivo => nei reati di azione è decisamente facile rintracciare il concreto atto decisionale di
volontà con cui il soggetto decide di “passare all’azione”. Nell’omissione è decisamente + ardua
l’individuazione di questo atto decisionale di volontà, proprio perché la natura normativa dell’omissione
priva la volontà di un suo p. di riferimento determinato in rapporto al quale formarsi e manifestarsi.
Una integrale osservanza dei principi in materia di dolo imporrebbe di rintracciare anche nel reato omissivo
un atto di volontà di intensità pari a quello normalmente individuabile nel reato di azione: diversamente, si
corre il rischio di convertire tacitamente in dolosa una responsabilità in realtà colposa. Questo rischio è +
elevato quando si tratta di reati omissivi propri, dato che in quelli impropri è + arduo individuare un punto di
riferimento per la volontà omissiva.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale la compatibilità del dolo diretto ed eventuale con il reato omissivo
Parte della dottrina li ritiene incompatibili con il reato omissivo improprio.
Es. Tizio guida alpina che, vedendo il suo nemico Caio in pericolo di vita, decide di non intervenire allo
scopo di liberarsi una volta per tutte del suo nemico => reato omissivo improprio sorretto da dolo
intenzionale, perfettamente compatibile con il fatto omissivo.
Es. Tizio che, vedendo Caio in pericolo di vita, non gli rechi soccorso per paura o per altro motivo diverso
cmq dall’intenzione di lasciarlo morire. => rappresentandosi Tizio la probabilità o addirittura la certezza
della morte di Caio, si dubita che l’evento lesivo possa considerarsi volontaristicamente “accettato” da Tizio
in assenza di un positivo atto decisionale di volontà capace di condizionare il decorso causale verso
quell’evento.
In pratica => l’evento criminoso non sarebbe una conseguenza accessoria di un risultato positivamente
perseguito dal soggetto, bensì una condotta omissiva, cioè del mancato compimento dell’azione doverosa,
che è stata tenuta senza un orientamento finalisticamente volontario al soggetto.
Il discorso sarebbe diverso nell’ip. in cui l’evento lesivo non intenzionale fosse però accessorio ad altro
evento intenzionalmente perseguito con la condotta omissiva.
Es. Tizio non presta soccorso a Caio per liberarsi di lui pur rappresentandosi l’eventualità che anche Mevio
venga travolto dalla caduta di Caio => in tale caso l’accessorietà che lega l’evento ulteriore a quello
intenzionale fa sì che rispetto al 1° sia configurabile un dolo diretto o eventuale.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 54. Definizione di dolo generico e dolo specifico
Dolo generico => consiste nella rappresentazione e nella volontà dell’intero fatto tipico.
Dolo specifico => indica un elemento essenziale previsto espressamente dalla fattispecie incriminatrice,
avente natura psichica e consiste in uno scopo ulteriore verso cui deve tendere la volontà del soggetto
agente, ma che, ai fini dell’esistenza della fattispecie, non occorre che sia effettivamente conseguito.
Es. perché si configuri il delitto di fraudolenta distruzione della cosa propria (art. 642 c.p.) non basta che il
soggetto abbia la volontà di distruggere, disperdere, deteriorare o occultare cose di sua proprietà (dolo
generico), essendo indispensabile anche che tali condotte siano tenute “al fine di conseguire per sé o per latri
il prezzo di un’assicurazione contro infortuni” (dolo specifico), senza che tuttavia sia necessario
l’ottenimento di tale prezzo.
Quindi => il dolo specifico consiste nella tipizzazione dell’obiettivo finalistico ulteriore rispetto alla
realizzazione del reato, che il soggetto si deve proporre al momento della condotta, ma di cui non è
necessaria l’obiettiva realizzazione.
Problema sollevato dalla dottrina => dato che proprio la circostanza che il dolo specifico rappresenta un
elemento essenziale meramente psichico ci si interroga sulla sua compatibilità con il principio di offensività
e con quello di materialità.
Bisogna, però, distinguere le diverse funzioni che il dolo specifico può svolgere nelle dinamiche di
tipizzazione del contenuto di disvalore della fattispecie incriminatrice.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 55. Definizione di dolo specifico di offesa
1_ Esistono reati in cui il dolo specifico serva ad anticipare la soglia della tutela, ponendosi in una certa
tensione con la necessaria offensività e materialità del reato => c.d. dolo specifico di offesa.
Es. le fattispecie che incriminano la condotta di associarsi, come l’art. 416 c.p.: delitto di associazione per
delinquere, in cui si puniscono 2 o + persone che si associano “allo scopo di commettere + delitti” => in tale
caso non solo l’offesa al bene giuridico è tutta incentrata su di uno scopo, ma la condotta incriminata,
consistente nell’associarsi, costituisce addirittura un diritto costituzionalmente garantito (art. 18 Cost.).
In queste fattispecie, in cui il dolo specifico “incarna” l’offesa, la tensione con il p. di offensività e
materialità è superabile in via interpretativa. Il vero problema è in pratica la circostanza che è la stessa
condotta tipica ad essere descritta in termini inoffensivi, ma tale offensività mancante può essere ricavata
proprio dal dolo specifico, cioè valorizzando il particolare legame che sussiste tra la direzione finalistico del
soggetto e la pericolosità della condotta tipica è possibile affermare che la finalità offensiva che anima
l’agente deve riflettersi anche sulla condotta tipica. Ne consegue che la condotta tipica deve consistere in un
comportamento di per sé idoneo a raggiungere lo scopo illecito.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 56. Definizione di dolo specifico differenziale e dolo specifico di
ulteriore offesa
2_ Esistono ip. in cui la presenza del dolo specifico svolge la funzione di mutare il titolo del reato e di
differenziare, in forma + grave, il trattamento sanzionatorio. => c.d. dolo specifico differenziale.
Es. reato di sequestro a scopo di estorsione (art. 630 c.p.) si differenzia da quello di sequestro di persona
(art. 605 c.p.) solo per il fatto che il soggetto ha agito con lo scopo di conseguire un ingiusto profitto come
prezzo della liberazione.
3_ E’ compatibile con l’offesa il dolo specifico previsto al fine di ridurre l’ambito della tutela penale. =>
c.d. dolo specifico di ulteriore offesa.
Es. nel delitto di furto (art. 624 c.p.) il dolo specifico, consistente nel fine di trarre profitto
dall’impossessamento mediante sottrazione della cosa mobile altrui, si inserisce in una fattispecie già di per
sé offensiva e non incide sul trattamento sanzionatorio, determinando solo una riduzione dell’ambito di
applicazione della fattispecie.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 57. Definizione di dolo iniziale, concomitante e successivo
Sotto il profilo cronologico, soprattutto in dottrina, si distingue tra dolo iniziale – dolo concomitante – dolo
successivo.
Dolo iniziale => quando, in presenza di una esecuzione frazionata in + atti, il soggetto si rappresenta e vuole
il fatto tipico solo rispetto ai primi atti e non anche rispetto all’ultimo atto che è quello tipico.
Es. al fine di uccidere la propria moglie, ogni giorno Tizio mette nel caffè una piccola dose di veleno; dopo
alcuni gg., tuttavia, si pente del proprio comportamento e decide di non continuare, ma il giorno dopo,
confonde il veleno con lo zucchero e per errore avvelena la moglie.
Dolo concomitante => è il dolo che esiste al momento della realizzazione della condotta tipica.
Dolo successivo => quando il soggetto si rappresenta e vuole l’intero fatto tipico soltanto dopo averlo
realizzato senza volerlo.
Es. Tizio investe Caio e lo uccide per colpa, e solo quando scopre che la vittima è l’amante di sua moglie, se
ne compiace.
Dolo iniziale e susseguente sono penalmente irrilevanti in quanto il dolo deve sussistere al momento della
condotta tipica e + precisamente, quando si tratta di reati causalmente orientati, al momento dell’ultimo atto
che innesca il procedimento causale. Con la conseguenza che è penalmente rilevante solo il dolo
concomitante.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 58. Il dolo generale
Si riferisce a quelle ipotesi in cui un soggetto vuole realizzare un determinato fatto con una certa condotta e
invece lo realizza con un altro comportamento successivo, volto a compiere un altro fatto diverso.
Es. Tizio percuote Caio con intento omicida. Dopo diversi pugni Caio sviene e Tizio, credendolo morto, per
sbarazzarsi del presunto cadavere, da fuoco al corpo di Caio, che sta volta muore veramente per
combustione.
_ In un primo momento => tali ipotesi sono state risolte nel senso che il soggetto deve rispondere di un solo
reato perfetto doloso, e quindi, nell’es. di omicidio doloso, facendo leva proprio sul dolo generale.
_ successivamente => abbandonata tale figura del dolo generale, la corretta qualificazione di tali casi è stata
ottenuta sul piano della tipicità.
Sotto il profilo oggettivo: se è vero che nei reati causalmente orientati l’atto tipico è quello causalmente
idoneo a produrre l’evento e quindi quello che cronologicamente risulta essere l’ultimo, appare evidente che
il 1° frammento (percosse) da luogo ad un delitto tentato, mentre il 2° (combustione) che cagiona la morte di
un uomo è tipico rispetto alla fattispecie di omicidio.
Sotto il profilo soggettivo: se è vero che nei reati causalmente orientati l’atto tipico al quale riferire il dolo è
l’ultimo, allora si deve concludere che la momento della realizzazione del 2° comportamento con cui si
cagiona la morte, il soggetto non è in dolo, perché erra un elemento essenziale del fatto tipico (lo crede già
morto). Ne consegue che il 1° frammento è coperto da dolo, mentre il 2° è colposo. Dunque non si tratta di
omicidio doloso per dolo generale, ma di concorso tra tentato omicidio doloso e omicidio colposo.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 59. Definizione di dolo alternativo
Quando un soggetto si rappresenta 2 fatti di reato, ma non sa quale in concreto si realizzerà, nel senso che
egli no vuole i 2 fatti cumulativamente, ma indifferentemente: o l’uno o l’altro, cioè alternativamente.
Es. Tizio, volendo fermare ad ogni costo Caio che lo sta inseguendo a cavallo, spara verso il suo inseguitore
con l’intento di colpire o Caio o il suo cavallo.
In tali ip. si pone il problema se il soggetto che ha realizzato un solo vento debba rispondere, a titolo di
delitto tentato, anche dell’altro fatto non realizzato.
La soluzione sembra mutare a seconda che il soggetto abbia agito con dolo oppure con dolo eventuale.
Nel caso di dolo eventuale => il soggetto risponderà del solo reato realizzato, non solo perché ha voluto e
realizzato un solo reato, ma anche perché il dolo eventuale è incompatibile con il delitto tentato.
Nel caso di dolo => l’alternativa della rappresentazione è neutralizzata dalla sua certezza, con la
conseguenza che il soggetto, avendo finito per volere i 2 fatti, risponderà per quello realizzato in concorso
formale con quello tentato.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 60. La colpa : il nesso psichico tra il nesso e l'autore
L’analisi della colpa va condotta a 3 diversi livelli:
1-struttura del legame di natura psichica che nella colpa si insatura tra il fatto di reato e il suo autore;
2-componente normativa della colpa, consistente nella violazione della regola cautelare (c.d. “misura
oggettiva” della colpa);
3-componente soggettiva, consistente nella attribuibilità della violazione della regola cautelare al soggetto,
nella quale in definitiva risiede la colpevolezza del reato colposo (c.d. “misura soggettiva” della colpa).
Il nesso psichico tra il fatto e l’autore
Dolo e colpa sono incompatibili rispetto allo stesso fatto:
mentre il dolo consiste nella rappresentazione e volontà dell’intero fatto oggettivo tipico. Il legame psichico
tra il fatto e il suo autore si manifesta in un’unica forma (la rappresentazione e volontà del fatto tipico);
la colpa presuppone necessariamente che la rappresentazione e la volontà non abbiano investito l’intero fatto
tipico. La colpa esibisce una pluralità di forme di manifestazione del legame, tutte idonee a fondare la
struttura psicologica di questa specie dell’elemento soggettivo.
Es. nel caso del guidatore distratto che, senza riflettere, getti il mozzicone di sigaretta accesa fuori dal
finestrino cagionando così un incendio, rispetto all’intero fatto tipico (costituito dalla condotta incendiaria
ed evento incendio legati da rapporto di causalità) manca la rappresentazione e volontà. Non vi è, infatti, la
previsione e volontà dell’evento tipico quale conseguenza della propria azione, ma neppure vi è la coscienza
e volontà attuale della stessa condotta. Sussiste però, della condotta incendiaria, quella coscienza e volontà
potenziale sufficiente a fondare la responsabilità penale.
Es. nel caso del guidatore che, per giungere puntuale all’appuntamento importante, effettui un sorpasso in
curva con la consapevolezza della probabilità di un incidente, e quest’ultimo si verifichi effettivamente, il
soggetto avrà agito non solo con la coscienza e volontà attuale della condotta ma anche con la
rappresentazione dell’evento di lesione o morte, che tuttavia egli non ha voluto. Il legame psichico, perciò,
pur non identificandosi con il dolo, si estende questa volta, in termini di previsione (rappresentazione) fino
all’evento tipico. In questa caso si configura la colpa.
Il c.p. prevede espressamente questa specie di colpa c.d. “colpa con previsione”, caratterizzata da un legame
psichico con il fatto che si estende fino ad investire, in termini di rappresentazione, l’evento del reato. Essa è
prevista come circostanza aggravante comune, ovviamente per i soli reati colposi (art. 61 n.3 c.p.).
Il legame costitutivo della colpa può arrivare addirittura ad identificarsi con la coscienza e volontà (attuale)
sia della condotta che dell’evento, nel caso di errore su un elemento essenziale del fatto tipico. In tale caso
non si ha cmq il dolo, in quanto esso è coscienza e volontà dell’intero fatto tipico.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 61. L’inosservanza della regola cautelare
L’”essenza” del reato colposo è data dalla sua pericolosità di una condotta finalisticamente orientata però
dall’agente alla realizzazione di un risultato diverso da quello realizzato: chi cagione un incidente stradale
per eccesso di velocità non intende provocare un pregiudizio ad alcuno ma soltanto arrivare puntuale
all’appuntamento.
L’ordinamento impone l’osservanza di regole cautelari dirette a scongiurare il pericolo, o cmq ad attenuarlo.
Quando si tratta di azioni pericolose socialmente utili, attraverso la regola cautelare l’ordinamento esprime
anche la soglia del rischio consentito, cioè il limite entro il quale la pericolosità della condotta viene
accettata in ragione dell’utilità cosciale dei risultati che essa è in grado di produrre e ai quali viene orientata.
Dal p. di vista formale, cioè della formulazione della fattispecie incriminatrice del reato colposo =>
solitamente le regole cautelari non sono richiamate né individuate direttamente dalla norma incriminatrice.
Quest’ultima si limita a dichiarare la punibilità del fatto “per colpa”, lasciando al giudice l’individuazione
delle regole cautelari sulla base del tipo di attività pericolosa di cui si tratta e della situazione concreta in cui
si è agito: si pone, perciò, l’esigenza di una “concretizzazione” della fattispecie colposa.
Sotto tale profilo si deve dunque osservare che la fattispecie di reato colposo da luogo ad una caduta della
legalità. E ciò sia perché il richiamo espresso o implicito alla norme cautelari abbraccia solitamente anche
regole di fonte non legislativa, sia perché l’ineliminabile processo di concretizzazione presenta margini di
incertezza entro i quali si muove il giudice. Peraltro, nessuno ha mai dubitato della legalità del reato
colposo. E questo perché la nozione di colpa, pur avendo una componente normativa, ha un significato
sociale sufficientemente definito dagli elementi concettuali che definiscono il perimetro logico di questa
categoria giuridico-culturale.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 62. Le regole cautelari
Meccanismi con i quali esse si formano nell’ordinamento giuridico per poi integrarsi con la fattispecie
colposa. L’individuazione della regola cautelare è condizionata da 3 fattori fondamentali:
1-essa dipende necessariamente dalla pericolosità della situazione concreta e, dunque, varia con il variare di
quest’ultima: es. le regole cautelari per contenere il pericolo di crollo delle costruzioni saranno diverse a
seconda che si tratti o meno di zona sismica.
2-essa presuppone logicamente sia la riconoscibilità del pericolo che la evitabilità dello stesso. Quando, ad
es., 20-30 anni, si utilizzava la fibra d’amianto quale rivestimento coibente ed ignifugo di larghissimo
impiego, la scienza non aveva ancora accertato il nesso causale esistente tra l’esposizione dell’uomo a quella
sostanza e l’insorgenza di una grave e spesso letale patologia polmonare, qual è l’asbestosi. Con la
conseguenza che, non essendo allora riconoscibile il pericolo insito in quella attività di utilizzazione della
fibra di amianto, non erano nemmeno individuabili quelle regole cautelari idonee ad eliminare o attenuare il
rischio delle patologie polmonari, che invece furono poi elaborate successivamente.
Riconosciuto il pericolo, occorre che la scienza e l’esperienza dell’uomo mettano a disposizione conoscenze
e tecniche adeguate perchè sia possibile escogitare i mezzi idonei a fronteggiare la pericolosità e,
conseguentemente, assumerli come contenuto di regole cautelari doverose.
3-Se la specificità fenomenica della situazione concreta e i parametri di riconoscibilità ed evitabilità del
pericolo sono fattori logico-conoscitivi di individuazione della regola cautelare, il 3° fattore ha una natura
normo-valutativa. L’individuazione del contenuto della regola cautelare in una prescrizione e non in altra è
il risultato di una “scelta” valutativa che esprime un punto di equilibrio tra le contrapposte esigenze di
contenere la pericolosità dell’attività e avvantaggiarsi della usa utilità sociale.
L’individuazione della regola cautelare, e dunque lo stesso carattere essenziale della colpa, oscilla sempre
tra una tendenza alla standardizzazione della regola ed un’opposta tendenza alla sua concretizzazione. Si
distinguono 3 fondamentali processi di formazione della regola cautelare.
1_ Es. quasi tutte le “norme di comportamento” del codice della strada sono regole cautelari relative ad
un’attività intrinsecamente pericolosa come è la guida degli autoveicoli.
Si tratta di regole cautelari poste a tutela di beni fondamentali quali la vita e l’incolumità dell’uomo nonché
l’integrità dei beni patrimoniali. La caratteristica saliente è che sono “positivizzate”, cioè espresse e
formalizzate in testi scritti promanati da soggetti istituzionali, pubblici o anche privati, ai quali
l’ordinamento riconosce cmq la potestà di “emanare” norme cautelari. Si tratta di un processo di
“giuridicizzazione” formale (del contenuto) della regola cautelare. La violazione delle regole cautelari di
tale tipo, cioè positivizzate, danno luogo alla c.d. colpa specifica: art. 43 c.p. “per inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline”.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 63. La colpa specifica
Leggi e regolamenti
Esse si identificano nelle fonti di diritto ex art. 1 n.1 e 2, disp. prel. c.c.
Si deve pur sempre trattare in ogni caso di leggi o regolamenti aventi una specifica finalità cautelare, con la
conseguenza che la violazione di leggi penali non può integrare questo tipo di colpa per il solo fatto che le
norme penali incriminatrici hanno la generica finalità di prevenire la realizzazione di fatti offensivi.
Es. non è possibile configurare una colpa specifica nella condotta di chi, mediante lo spaccio di stupefacenti,
finisca per cagionare la morte del consumatore nonostante l’incriminazione del traffico di stupefacenti sia
genericamente finalizzata alla salvaguardia della salute.
Ordini e discipline
Mentre gli ordini possono avere anche carattere individuale, le discipline hanno invece carattere generale.
Entrambe, poi, possono provenire da soggetti sia pubblici che privati. In tale ultima ip. però alcuni ritengono
che, in nome dell’esigenza di legalità penale, la facoltà di soggetti privati di formulare regole cautelari debba
in qualche modo discendere da un’attribuzione di poteri prevista seppure indirettamente dalla legge, es. art.
1372 c.c.
Domanda: quali sono le condizioni in presenza delle quali il processo di giuridicizzazione delle regole
cautelari imbocca la via della colpa specifica, cioè la colpa per inosservanza di leggi, cioè in definitiva la via
massima standardizzazione delle cautele doverose.
1_ La formulazione delle regole cautelari in testi “positivi”, cioè scritti e dotati di generalità e astrattezza,
presuppone che le regole siano ovviamente suscettibili di generalizzazione: il che, a sua volta, implica che le
condotte pericolose e le situazioni di pericolo si ripresentino nella realtà in forma tendenzialmente regolare e
uniforme, così da poter essere oggetto di una previsione normativa. Di fronte, ad una situazione atipica e
nuova, infatti, la regola cautelare non potrà per contro che essere individuata in forma individualizzata.
2_ Le regole cautelari tendono ad essere positivizzate allorquando il loro contenuto presenta un alto tasso di
tecnicismo.
3_ L’ordin. giuridico si impegna nella positivizzazione delle regole cautelari quando si tratta di attività
pericolose di particolare rilevanza sociale ed economica (es. circolazione stradale) rispetto alle quali è
opportuno che i soggetti sociali possano agire sulla base di standard uniformi e previamente conoscibili.
Infatti, dato che si tratta di attività pericolose, è bene poter contare su un adeguato tasso di certezza della
loro disciplina normativa e, dunque, anche e soprattutto della loro disciplina prevenzionistica. Inoltre,
proprio in considerazione della rilevanza sociale di tali attività è bene che la soglia di accettazione del
rischio sia stabilita una volta per tutte e in modo eguale per tutti dall’ordin. attraverso la positivizzazione
delle regole cautelari.
Quindi => la colpa specifica, quale violazione di regole cautelari scritte, è caratterizzata dal + alto tasso di
standardizzazione e “spersonalizzazione” della colpa in quanto indifferente alle peculiarità della situazione
concreta diverse da quelle considerate nella disposizione normativa cautelare.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 64. Consuetudini ed usi della colpa specifica
2_ Regole cautelari costituite dalla consuetudine e dagli usi.
Es. è un uso altamente consolidato quello di evitare che i bambini possano entrare in ossesso di oggetti
pericolosi (coltelli).
Anche questa 2° forma di giuridicizzazione delle regole cautelati presuppone che si tratti di attività e
comportamenti che tendono a ripetersi con una certa uniformità, dato che altrimenti non sarebbe possibile la
formazione della consuetudine comportamentale.
La regola consuetudinaria proprio perché non è rigidamente cristallizzata in un testo scritto normativo,
consente una maggiore adattabilità della regola cautelare alle peculiarità del caso concreto. Inoltre, in
ragione della “quotidianità” e della diffusione sociale di questo genere di attività, il contenuto della cautela è
privo di tecnicismo così che l’elaborazione della relativa regola può essere affidato alla produzione
spontanea dell’uso.
Infine, tale tipi di regola cautelare, proprio per essere il risultato di una ripetizione costante, uniforme e
spontanea, è in grado di esprimere la soglia di accettazione del rischio condivisa dalla comunità in relazione
all’orientamento ai valori da essa assunto. Ciò attribuisce alla regola cautelare una certa flessibilità anche nel
tempo e nello spazio di cui il giudice dovrà tener conto nell’accertamento della colpa.
La duttilità della regola cautelare consuetudinaria dipende non solo dal fatto che essa è capace di meglio
adattarsi alle molteplici e differenziate situazioni obiettive in cui è svolta una certa attività pericolosa, ma
oltre ciò essa è capace di adattarsi diversamente alla varie caratteristiche e condizioni del soggetto agente
dalle quali dipende la diversa capacità soggettiva di reagire alla situazione di pericolo.
L’incidenza delle caratteristiche e delle capacità soggettive nell’individuazione delle regole cautelari
consuetudinarie è notevole perché può portare sia alla loro differenzazione3, sia anche al loro abbandono a
favore di una regola “individuale” non standardizzata e dunque fuori dalla consuetudine. È questa l’ip. delle
c.d. conoscenze superiori, che si ha quando il soggetto agente concreto è munito di particolari conoscenze,
che egli solo possiede e che gli rendono riconoscibile/evitabile un pericolo che non sarebbe fronteggiabile
con la regola consuetudinaria.
Ovviamente, le conoscenze inferiori dell’agente non possono portare ad un abbassamento della cautela
doverosa sotto la standard consuetudinario minimo relativo a quel tipo di attività.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 65. Definizione di colpa generica
La colpa per inosservanza delle regole cautelari consuetudinarie è cd. Colpa generica: art. 43.1 c.p.
“negligenza, imprudenza, imperizia”.
Negligenza => richiama l’idea di una condotta la cui pericolosità è illecitamente accentuata dall’omessa
adozione della cautela doverosa.
Es. nel caso di chi non indossa la cintura di sicurezza o il caso protettivo.
Imprudenza => richiama l’idea di una condotta che, in sé e per sé superando il rischio consentito, avrebbe
dovuto essere conformata diversamente.
Es. nel caso della guida alpina che faccia camminare i gitanti troppo prossimi al precipizio.
Imperizia => indica un’incautela che deriva da una insufficiente competenza o abilità di tipo “professionale”
nell’affrontare la situazione pericolosa.
Es. il caso del guidatore inesperto che viola una regola cautelare imposta da condizioni di guida (sulla neve
o su strade ghiacciate) particolarmente difficili.
Sotto il profilo formale, “negligenza, imprudenza, imperizia” costituiscono una clausola normativa
attraverso la quale le regole cautelari consuetudinarie, costituenti “usi” ex art. 1 n.4 disp. prel. c.c. vengono
richiamate dalla legge (art. 43.1 c.p.).
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale 66. Definizione di agente modello
3_ tale ultima forma di giuridicizzazione delle regole cautelari realizza un equilibrio tra le contrapposte
esigenze di generalizzazione della regola e di adattamento della stessa all’individualità del caso. Nonostante
la tendenziale uniformità di un certo genere di situazioni pericolose, tale dunque da consentire la
standardizzazione delle regole cautelari (es. consuetudinarie) accade spesso che la situazione di pericolo si
presenti nella realtà dotata di varianti tale da rendere inadeguata la regola cautelare standardizzata. Oppure
possono esserci situazioni pericolose totalmente nuove, rispetto alle quali perciò nessuna regola cautelare ha
avuto modo di essere elaborata.
Es. nel caso in cui le tradizionali regole cautelari per scongiurare il pericolo di diffusione di un virus si
rivelino inadeguata a causa di una mutazione dello stesso.
In tali evenienza, la produzione della regola cautelare avviene sulla base della peculiare situazione di
pericolo come si è prodotta in concreto: la regola è perciò priva dei caratteri della generalità e astrattezza e,
in pratica, non preesiste ma è successiva alla realizzazione concreta della situazione di pericolo hic et nunc.
In questo caso, dunque, la regola presenta il massimo grado di individualizzazione e concretezza.
Ma un’esigenza di standardizzazione, di generalità, sussiste cmq, poiché diversamente la cautela sarebbe il
risultato di una decisione arbitraria.
Gli strumenti logici per l’individuazione delle regole cautelari sono dati dalla riconoscibilità del pericolo e
dalla evitabilità del risultato dannoso. Ma l’uso di tali criteri non sempre da necessariamente un risultato
unico, cioè non individuano ineluttabilmente un’unica regola cautelare; in pratica, conducono a risultati
diversi a seconda dei parametri di riconoscibilità ed evitabilità che si assumono.
L’ordin. ha escogitato l’espediente dell’”agente modello” (homo eiusdem conditionis et professionis) per
alludere ad un parametro di riferimento che, da un lato tenga conto delle caratteristiche personali e
professionali dell’agente concreto, e dall’altro però consenta di pervenire ad una standardizzazione della
regola.
Questo “agente modello” viene individuato dal giudice sulla base dell’osservazione criticamente
consapevole della realtà sociale.
Beatrice Cruccolini Sezione Appunti
Diritto Penale