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L'aberratio delicti concorsuale, art. 116 c.p.


L'art. 116 co. 1 stabilisce che «qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave».

Fondamento dell’art. 116 c.p.: “imprudenza particolarmente grave che si ha nell’affidarsi anche alla condotta altrui per realizzare un proprio proposito criminoso”.
Si tratta in pratica di un'aberratio delicti in sede concorsuale: rispetto ad uno dei concorrenti si verifica una discrepanza tra ciò che egli ha «voluto» e ciò che altri, in concorso con lui, ha «realizzato» (es. Tizio dà mandato a Caio di ferire Sempronio, e Caio invece lo uccide volontariamente; Tizio accetta di far da palo ad un furto: art. 624.1, ma i suoi complici commettono una rapina: art. 628.1).
 Naturalmente, è necessario che il reato commesso sia stato voluto da almeno uno dei concorrenti: se così non fosse, esso risulterebbe diverso da quello voluto da tutti (e non solo «da taluno»), e l'art. 116.1 non potrebbe essere applicato. Es. se Tizio dà mandato a Caio di ferire Sempronio, e Caio lo uccide involontariamente, la responsabilità concorsuale si riferisce all'omicidio preterintenzionale.
La formula letterale dell'art. 116.1 indica chiaramente che la responsabilità per il reato diverso è posta a carico di chi non lo volle a titolo obiettivo, sulla sola base del nesso di causalità, che potrebbe dunque essere escluso soltanto quando il reato diverso derivi da un fattore eccezionale nel senso dell'art. 41.2 => inoltre egli non deve essere in dolo, neppure eventuale rispetto a questo fatto. Es. il palo in un furto potrebbe essere chiamato a rispondere della violenza sessuale commessa dai complici su una donna presente nell'abitazione. In mancanza di nesso causale, il concorrente finirebbe per rispondere per un fatti altrui perché si addossa ad un soggetto, come se l'avesse voluta, un'iniziativa criminosa altrui ch'egli ha bensì provocato o agevolato sul piano meramente obiettivo, ma che può essergli del tutto estranea su quello soggettivo.
In presenza di dolo, anche solamente eventuale, il concorrente dovrebbe rispondere regolarmente della partecipazione dolosa.   
GIURISPRUDENZA SUL PUNTO

La giurisprudenza (sent. Corte Cost. 42/1965) ha ritenuto che per imputare il reato diverso a chi non lo volle, è necessario anche un nesso psichico in forma di prevedibilità del reato realizzato non voluto (e quindi una sorta di colpa, anche se di colpa non è propriamente il caso di parlare, per il difetto di una regola obiettiva di diligenza nello svolgimento di un'attività criminosa).
Si tratta di una prevedibilità in astratto: il reato diverso deve «potere rappresentarsi alla psiche dell'agente, nell'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto» (come potrebbe essere la rapina rispetto al furto). In questo senso l'art. 116.1 dà luogo ad una forma di responsabilità anomala, perché all'imputazione di natura colposa corrisponde una responsabilità a titolo di dolo.
La prevedibilità può essere valutata anche in concreto: cioè la prevedibilità deve essere valutata tenendo conto delle circostanze concrete in cui si realizza il concorso (es. furto a cui segue lo una violenza sessuale se la padrona di casa è una avvenente signora!).
Il reato diverso può essere indifferentemente più grave o meno grave di quello voluto (ad es., Tizio dà mandato a Caio per una violenza privata: art. 610, e Caio si limita ad ingiuriare. art. 594). Nel caso sia più grave, «la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave» (art. 116.2).

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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