Ottimi appunti che trattano del volume "Lezioni di diritto processuale civile" di Proto Pisani (fino al capitolo nono).
Dopo un'introduzione sulla strumentalità del processo e sul concetto di giurisdizione, si approfondiscono: il concetto di diritto sostanziale, l'oggetto del processo e del giudizio nei processi a cognizione piena, lo svolgimento del processo ordinario di primo grado, il contenuto delle sentenze, i principi fondamentali del processo, i requisiti di forma-contenuto degli atti processuali e la relativa disciplina delle nullità, i requisiti extraformali relativi al giudice e alle parti, connessione, limiti soggettivi del giudicato, interventi e successione nel processo.
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte
di Stefano Civitelli
Ottimi appunti che trattano del volume "Lezioni di diritto processuale civile" di
Proto Pisani (fino al capitolo nono).
Dopo un'introduzione sulla strumentalità del processo e sul concetto di
giurisdizione, si approfondiscono: il concetto di diritto sostanziale, l'oggetto del
processo e del giudizio nei processi a cognizione piena, lo svolgimento del
processo ordinario di primo grado, il contenuto delle sentenze, i principi
fondamentali del processo, i requisiti di forma-contenuto degli atti processuali e
la relativa disciplina delle nullità, i requisiti extraformali relativi al giudice e alle
parti, connessione, limiti soggettivi del giudicato, interventi e successione nel
processo.
Università: Università degli Studi di Firenze
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Diritto processuale civile (modulo primo), a.a.
2007/2008.
Titolo del libro: Lezioni di diritto processuale civile
Autore del libro: Andrea Proto Pisani1. Carattere strumentale della norma processuale
Mentre il diritto sostanziale è un sistema di norme dirette a risolvere conflitti di interessi contrapposti,
determinando gli interessi prevalenti attraverso la previsione di poteri, doveri e facoltà, il diritto processuale
è costituito, invece, da un sistema di norme che disciplinano più o meno complessi meccanismi (processi)
diretti a garantire che la norma sostanziale sia attuata anche nell'ipotesi di mancata cooperazione spontanea
da parte di chi vi è tenuto.
La prima caratteristica da evidenziare è, quindi, la natura strumentale del diritto processuale.
Affermare la diversità fra diritto sostanziale e diritto processuale, della strumentalità del secondo rispetto al
primo, non significa affatto autonomia (nel senso di indifferenza) tra i due complessi di norme.
Pur nella diversità, vi è una stretta interdipendenza (cioè dipendenza reciproca) tra diritto sostanziale diritto
processuale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 2. Interdipendenza tra diritto sostanziale e diritto processuale
La presenza nel nostro ordinamento del divieto di autotutela privata significa che il diritto sostanziale può
dirsi effettivamente esistente solo ove esistano norme processuali idonee a garantirne l'attuazione in ipotesi
di mancata cooperazione spontanea di chi vi è tenuto, attraverso la messa a disposizione, a favore del
privato, della forza dello Stato.
Ne segue che senza diritto processuale il diritto sostanziale non può esistere in un ordinamento caratterizzato
dal divieto di autotutela privata.
Un ordinamento che si limitasse ad affermare una situazione di vantaggio (un diritto) a livello di diritto
sostanziale, senza predisporre a livello di diritto processuale strumenti idonei a garantire l'attuazione del
diritto anche in caso di sua violazione, sarebbe un ordinamento incompleto.
Si comprende quindi l'importanza del diritto processuale: dalla sua esistenza dipende la stessa esistenza, a
livello di effettività, del diritto sostanziale.
Perché sia assicurata la tutela giurisdizionale di una determinata situazione di vantaggio, non basta che a
livello di diritto processuale sia predisposto un procedimento quale che sia, ma è necessario che il titolare
della situazione di vantaggio violata possa utilizzare un procedimento strutturato in modo tale da potergli
fornire una tutela effettiva e non meramente formale o astratta del suo diritto.
Ne consegue che strumentalità del diritto processuale non significa neutralità; il diritto processuale non me,
non può essere, indifferente rispetto alla natura degli interessi in conflitto: non lo è poiché dalla
predisposizione di procedimenti idonei a fornire forme di tutela giurisdizionale adeguate agli specifici
bisogni delle singole situazioni di vantaggio dipende resistenza o il modo di esistenza dello stesso diritto
sostanziale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 3. Esempi del conflitto tra diritto sostanziale e diritto processuale
Si consideri innanzitutto il diritto di proprietà: il legislatore si è preoccupato di tutelare tutti i possibili
bisogni di tutela del proprietario, in considerazione delle molte diverse violazioni che possono essere
arrecate al suo diritto: così sono previsti efficaci strumenti di reazione contro violazioni che si siano
concretizzate nello spossessamento, nell'esercizio di poteri di fatto corrispondenti a inesistenti diritti reali di
godimento, né l'inizio della costruzione da parte del vicino di un'opera illegittima sul proprio o sull'altrui
fondo, nel compimento di turbative o molestie, ecc…
Si consideri poi, in voluta contrapposizione, il diritto del locatore alla restituzione alla scadenza del contratto
di locazione dell'immobile locato ad uso abitativo.
È esperienza comune come però per il locatore sia estremamente difficile riottenere la disponibilità
dell'immobile; e ciò perché una miriade di provvedimenti legislativi o sospendono l'esecuzione degli sfratti
(non consentono al locatore di avvalersi del processo esecutivo) o pongono in essere complessi meccanismi
di graduazione nel tempo dell'esecuzione degli sfratti e, nella sostanza consentendo nell'esecuzione a favore
dei locatori che si trovino nella necessità di utilizzare per sé o per la propria famiglia l'immobile locato.
Agendo sul piano processuale il legislatore modifica il punto di equilibrio fra gli opposti interessi stabilito
dalla legge sostanziale.
Come altro esempio si consideri il diritto del lavoratore illegittimamente licenziato ad essere reintegrato nel
posto di lavoro: anche qui, nonostante la declamazione del testo legislativo, in caso di mancata cooperazione
spontanea da parte del datore di lavoro, il lavoratore non riesce a ottenere la reintegra nel posto, ma solo il
risarcimento del danno commisurato all'entità della retribuzione, in quanto, ad avviso della giurisprudenza,
non esistono processi esecutivi o modalità di attuazione dei provvedimenti di condanna alla reintegra.
Si considerino infine i diritti della personalità e di libertà in genere: sia alla presenza di diritti a contenuto
non patrimoniale per la cui tutela è indispensabile che l'ordinamento preveda un complesso di processi
idonei ad assicurare una tutela urgente.
Si consideri da ultimo la libertà sindacale affermata dall'art. 39 cost.; fino al 1970 la tutela di questa libertà
era nella sostanza rimessa esclusivamente alla "azione diretta", alla autotutela, che in questa ipotesi è però
considerata legittima (art. 40 cost.).
A seguito dei mutamenti di forza avvenuti nella società nel corso degli anni ‘60, il legislatore ha previsto il
cosiddetto procedimento di repressione della condotta antisindacale, a tutela della libertà ed attività
sindacale nei luoghi di lavoro: si tratta di uno speciale procedimento sommario che si svolge innanzi al
tribunale e che è destinato a concludersi in tempi brevissimi con un provvedimento che è immediatamente
esecutivo e deve contenere la condanna del datore di lavoro alla cessazione della condotta illegittima e alla
rimozione degli effetti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 4. Obiettivi principali di un corso sulla giustizia civile
Riassuntivamente gli obiettivi principali cui lo studio del diritto processuale dovrebbe servire sono i
seguenti:
- individuare quale sia il diritto sostanziale effettivamente esistente, cioè giustiziabile;
- individuare quali siano le tecniche utilizzate per la tutela delle situazioni sostanziali e accertare come
queste tecniche sono state utilizzate;
- accertare entro quale misura a tecniche di tutela già presenti nel nostro ordinamento possano essere
utilizzate per allargare o fornire di tutela situazioni di vantaggio diverse.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 5. La nozione di giurisdizione
Le norme costituzionali si rivelano, già di per sé, sufficienti per una prima individuazione della nozione di
giurisdizione.
Da queste si desume che la giurisdizione è una funzione statuale, espressione diretta della sovranità popolare
(art. 1011-2 cost.), il cui esercizio è necessariamente "diffuso" fra una pluralità di giudici i quali sono
soggetti soltanto alla legge (art. 1012 cost.) e sono caratterizzati dalla terzietà ed imparzialità (art. 1112
cost.).
Il contenuto della giurisdizione civile e poi chiaramente individuato dall'art. 24 cost., nella "tutela
giurisdizionale" dei diritti soggettivi.
Accanto alla giurisdizione ordinaria e costituzionale, la Costituzione prevede la giurisdizione
amministrativa, contabile e militare, nonché la possibilità di sopravvivenza delle giurisdizioni speciali
esistenti alla data di entrata in vigore della Costituzione, purché adeguatamente "revisionate", cioè messe ad
unisono con le esigenze di indipendenza affermata dalla Costituzione stessa (si pensi per tutte alla
giurisdizione tributaria).
In questo variegato contesto nel quale il principio della giurisdizione unica emerge solo come valore
tendenziale, tramite il divieto di istituzione di nuovi giudici straordinario speciali (art. 1022 cost.), la
giurisdizione ordinaria assume carattere privilegiato: infatti le modalità, anche organizzative, della
autonomia e indipendenza dei magistrati addetti alla giurisdizione ordinaria sono previste nei loro principi
generali da norme di rango costituzionale.
Dall'art. 1 c.p.c. e dell'ordinamento giudiziario, si desume che la giurisdizione civile è esercitata dai giudici
ordinari.
La fonte primaria della legittimazione democratica dei giudici ordinari che amministrano la giustizia in
nome del popolo si rinviene nella professionalità tramite la quale si realizza la soggezione del giudice
soltanto alla legge.
Espressione di queste scelte di fondo è la regola enunciata nell'art. 1061 cost. secondo cui i giudici ordinari
sono selezionati tramite concorso.
Eccezionali rispetto a questa regola sono la previsione di partecipazione diretta del popolo
all'amministrazione della giustizia (art. 1023 cost., valido per le Corti d'Assise in materia penale) e la
possibilità di "nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli e",
cioè per tutte le funzioni di cosiddetta giustizia minore.
Il modello italiano di ordinamento giudiziario si distingue da quelli che trovano attuazione negli altri paesi
di analoga struttura politico-costituzionale (ed in specie da quello francese e tedesco) principalmente:
- per il riconoscimento del potere giudiziario come autonomo ed indipendente da ogni altro potere (art. 104
cost.);
- per la garanzia di tale autonomia ed indipendenza realizzata attraverso l'attribuzione delle funzioni
amministrative, ma strumentale all'esercizio della giurisdizione, ad un organo a struttura democratica e
pluralistica quale il Consiglio Superiore della Magistratura;
- per il riconoscimento del pluralismo nell'esercizio delle funzioni giudiziarie che è implicito nell'adozione
del principio di "precostituzione" del giudice (art. 25 cost.);
- per l'esclusione di ogni gerarchia di tipo burocratico tra i "giudici" (art. 107 cost.) e di ogni dipendenza nei
confronti di qualunque altra autorità che non sia quella della "legge";
- per l'attribuzione al Ministro della giustizia solo della facoltà di promuovere l'azione disciplinare e della
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte responsabilità relativa all'organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 6. Le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura
Il cuore delle modalità organizzative attraverso cui assicurare, a livello di effettività, l'indipendenza dei
giudici ordinari è il Consiglio Superiore della Magistratura: organo non giurisdizionale di raccordo tra il
potere giudiziario e gli altri poteri, cui sono state assegnate "la generalità delle funzioni amministrative
capaci di influire sullo status del giudice (o del pubblico ministero) e pertanto strumentali all'esercizio della
giurisdizione che in precedenza erano assegnate al Ministro della giustizia".
Il Consiglio Superiore della Magistratura è l'organo garante della autonomia interna (rispetto ai capi degli
uffici giudiziari) ed esterna (rispetto all'esecutivo o ad ogni altro centro di poteri) dell'ordine giudiziario che
responsabile del suo assetto organizzativo.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 7. La distinzione dei magistrati per le funzioni e il problema della
carriera
La seconda grossa modalità organizzativa prevista dalla Costituzione a garanzia dell'indipendenza ed
autonomia dei singoli giudici è indicata dall'art. 1073 cost., secondo cui "i magistrati si distinguono fra loro
soltanto per diversità di funzioni".
Questa enunciazione suona, innanzitutto, come il ripudio del sistema di ordinamento giudiziario gerarchico-
burocratico-piramidale ereditato dal modello francese.
Essa ha comportato la soppressione del sistema che ricollegare la "carriera" dei magistrati all'esercizio di
funzioni (o gradi) superiori cui si accedeva tramite concorsi interni gestiti dai magistrati dei gradi superiori e
l'introduzione di un sistema di progressione della carriera, cosiddetta a ruoli aperti, a seguito di una
valutazione positiva deliberata dal Consiglio Superiore, previo esame del parere espresso dai Consigli
giudiziari (cioè da organi istituiti presso le Corti d'appello e costituiti da magistrati eletti fra i giudici del
distretto).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 8. Le norme della Costituzione relative al processo
Altre norme della Costituzione in tema di giurisdizione sono:
L’art. 25 cost., secondo cui "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge".
L'art. 24(1) cost., secondo cui "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi".
Questa disposizione costituzionalizza il cosiddetto diritto di azione; questo non vuol dire, come ha chiarito
la Corte costituzionale, che il diritto d'azione non possa subire limitazioni, condizionamenti, ma tali
condizionamenti o limitazioni, per un verso, non devono essere mai tali da rendere eccessivamente difficile
l'esercizio del diritto d'azione, per altro verso, devono essere funzionali ad interessi interni al processo che
non ad interessi extraprocessuali.
L'art. 24(2) cost., secondo cui "la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento" e l'art.
1112 cost., secondo cui "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti in condizione di parità".
Queste disposizioni sono idonei ad individuare un minimum di garanzie necessarie in qualsiasi processo.
L'art. 24(3) cost., secondo cui "sono assicurati ai non abbienti con appositi istituti, i mezzi per agire e
difendersi davanti ad ogni giurisdizione".
L'art. 111(6) cost., secondo cui "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati", e ciò sia per
funzioni endoprocessuali, onde consentire alla parte soccombente di articolare i propri rimedi, sia per
funzioni extraprocessuali, allo scopo di consentire, tramite il controllo della pubblica opinione, un raccordo
tra il giudice e quel popolo nel cui nome la giustizia è amministrata.
L'art. 111(7) cost., secondo cui è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge contro tutte le
sentenze dei giudici ordinari e speciali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 9. La legge sull'ordinamento giudiziario e i giudici chiamati a
rendere la giustizia civile
È opportuno dedicare ora alcuni cenni alla struttura dell'ordinamento giudiziario.
La legge sull'ordinamento giudiziario è più volte richiamata dalla Costituzione come la legge base che, nel
rispetto del disegno emergente dalla Costituzione, dovrebbe dettare i principi generali sullo status di quei
particolari segni pubblici funzionari che sono i magistrati.
A distanza di cinquant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione "la nuova legge sull'ordinamento
giudiziario in conformità con la Costituzione" non è stata ancora emanata e la legge base, in materia,
continua ad essere il r.d. 12/41, ancorché profondamente svuotato non solo dallo smantellamento della
vecchia disciplina sulla carriera dei magistrati, ma anche dall'emanazione di numerose importanti leggi
successive.
Questa era la situazione al 2002; negli ultimi quattro anni la situazione è in via di evoluzione.
Dopo anni di accesi dibattiti, ben quattro scioperi dei magistrati, due pareri pesantemente critici della
Consiglio Superiore della Magistratura ed un rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica, è
stata conferita al governo la delega per la riforma dell'ordinamento giudiziario nel 2005.
In estrema sintesi, il Governo è stato delegato a:
- modificare la disciplina dell'accesso in magistratura prevedendo che possono partecipare al concorso i
laureati in giurisprudenza che hanno conseguito il diploma presso la scuola di specializzazione o abbiano
conseguito un dottorato di ricerca in materie giuridiche o siano abilitati all'esercizio della professione di
avvocato o abbiano svolto funzioni direttive presso pubbliche amministrazioni per tre anni o abbiano svolto
funzioni di magistrato onorario per quattro anni;
- introdurre la separazione delle funzioni tra giudici e pubblici ministeri prevedendo che al momento del
concorso il partecipante debba indicare la funzione cui aspira e che nel corso della carriera è possibile un
solo mutamento di funzioni accompagnato dal mutamento del distretto nel quale si esercitano;
- disciplinare in modo distinto la progressione economica e delle funzioni e prevedendo per l'accesso ai posti
di appello, di legittimità, semidirettivi e direttivi, il positivo superamento di un concorso per titoli innanzi a
commissioni composte da magistrati e con funzioni di legittimità e docenti universitari;
- istituire, in totale autonomia dal Consiglio Superiore, una Scuola superiore della magistratura quale ente
pubblico autonomo con funzioni di formazione e di valutazione;
- riorganizzare l'ufficio del pubblico ministero prevedendo una accentuazione rilevante della sua struttura
gerarchica;
- rivedere il sistema disciplinare introducendo i principi dell'obbligatorietà dell'azione penale e della tipicità
degli illeciti disciplinari;
- prevedere forme di pubblicità per gli incarichi extragiudiziari.
Svolti questi rilievi preliminari, esaminiamo ora quale sia la composizione e la struttura degli uffici
giudiziari chiamati a rendere la giustizia in materia civile.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 10. Il giudice di pace
Gli uffici del giudice di pace "hanno sede in tutti i capoluoghi dei mandamenti esistenti fino all'entrata in
vigore della l. 30/89": le sedi sono 828 e il numero dei giudici ad esse addetti e 4700.
Il giudice di pace è un giudice onorario, cioè un giudice non togato, non selezionato tramite concorso e non
legato da un rapporto organico di servizio con l'amministrazione della giustizia.
Egli fa parte, però, dell'ordine giudiziario e come tale è soggetto unicamente alla legge, è tenuto
all'osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari ed è sottoposto alla sorveglianza del CSM.
Pur non essendo un giudice professionale è previsto un compenso per la sua attività sotto la forma della
indennità commisurata al lavoro effettivamente svolto.
Requisiti per la nomina a giudice di pace sono la laurea in giurisprudenza, una età non inferiore a 30 anni e
non superiore a 70 anni, l'avere cessato l'esercizio di qualsiasi attività lavorativa dipendente pubblica o
privata, la residenza in un comune della circoscrizione del tribunale dove ha sede l'ufficio di giudice di pace.
I giudici di pace sono nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura.
L'incarico di giudice di pace dura 4 anni e può essere confermato una sola volta.
Le competenze del giudice di pace sono descritte dall'art 7 c.p.c. e ricomprendono tutte le cause relative a
beni mobili di valore non superiore ai 5 milioni, tutte le controversie da infortunistica stradale con danni a
cose o a persone non superiori 30 milioni, nonché un primo, ma significativo, nucleo di competenze per
materia in tema di quello che con espressione suggestiva è stato chiamato contenzioso della vicinanza e
della tolleranza.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 11. Il tribunale: giudice togato di primo grado
Giudice togato di primo grado è solo il tribunale.
I tribunali si articolano in una sede principale e in sezioni distaccate: sono previste 166 sedi principali (che
hanno sede nei 102 capoluoghi di provincia e in altri 62 comuni) e 220 sezioni distaccate.
Ad essi sono assegnati giudici professionali o togati i quali si pronunciano in materia civile in composizione
monocratica, e in materie tassativamente indicate in composizione collegiale (nel qual caso le controversie
sono devolute sempre alla sede principale).
In materia civile il tribunale è altresì giudice d'appello rispetto alle sentenze del giudice di pace.
La durata media di un processo di cognizione di primo grado innanzi al giudice di pace è di circa 320 giorni
che innanzi al tribunale di 888 giorni.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 12. La Corte d'appello
Gli uffici di Corte d'appello sono attualmente 26 oltre a 3 sezioni distaccate ed hanno sede in tutti i
capoluoghi di regione, nonché in 6 città capoluogo di provincia.
Hanno composizione sempre collegiale e competenza di giudice d'appello rispetto alle sentenze civili di
primo grado pronunciate dal tribunale, nonché limitate attribuzioni di giudice di primo e unico grado.
La durata media di un processo svolgentesi presso la Corte d'appello di circa 894 giorni.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 13. La Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha sede a Roma.
Dovrebbe assolvere le funzioni di assicurare l'esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge,
oltre al rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni.
La durata media di un processo è di circa tre anni.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 14. La struttura del codice di procedura civile del 1942
Il codice di procedura civile vigente è stato emanato il 28 ottobre 1940 e è entrato in vigore in pieno periodo
bellico nella fatidica data del 21 aprile 1942.
Importanti modifiche al testo originario sono state introdotte con la tecnica della novellazione.
Il codice di procedura civile del 1942 ha carattere dogmatico.
Questo carattere presenta vantaggi svantaggi: esso consente la rapida e facile individuazione dei principi
generali, espressi in esplicite disposizioni di legge; in negativo un simile carattere rischia di vincolare
l'interprete a formulazioni dogmatiche ormai superate e di rendergli più complessa l'opera di adeguamento
dei principi generali alla evoluzione della legislazione.
Il codice si divide in quattro libri intitolati Disposizioni generali, Del processo di cognizione, Del processo
di esecuzione, Dei procedimenti speciali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 15. Il primo libro sulle disposizioni generali
Il legislatore ha avuto la pretesa di ricomprendere in questo libro le disposizioni generali che, come tali,
dovrebbero poter trovare applicazione in tutti i processi disciplinati dai tre libri successivi.
L'operazione è solo in parte riuscita poi che numerosissime disposizioni contenute nel primo libro sono
formulate con riferimento esclusivo ai processi di cognizione di cui al libro II.
Il primo titolo del libro I è dedicato agli organi giudiziari che si suddivide al suo interno in tre capi intitolati
"del giudice", "del cancelliere e dell'ufficiale giudiziario", "a del consulente tecnico, del custode e degli altri
ausiliari del giudice".
L'ufficio giudiziario è costituito non solo dal giudice e, ma anche da altre persone fisiche che rappresentano
gli ausiliari del giudice; tali ausiliari possono essere fissi o eventuali: alla prima categoria appartengono il
cancelliere (il soggetto cui sono devolute le funzioni di segreteria) e l'ufficiale giudiziario (che provvede alla
notificazione degli atti, all'esecuzione degli ordini del giudice), alla seconda categoria appartengono i
consulenti tecnici, i custodi e gli altri ausiliari, quali ad esempio i traduttori, gli interpreti, i notai, ecc…
Il secondo e il terzo titolo del libro I sono dedicate al pubblico ministero (che nel processo civile assume
sempre un ruolo marginale) e alle parti private (e ai loro difensori).
Riassuntivamente i primi tre titoli del libro I individuano i soggetti di ogni processo giurisdizionale: le parti
(normalmente private, o anche eccezionalmente pubbliche) e il giudice.
I titoli quarto e quinto del libro I ci conducono al nucleo centrale del fenomeno processuale: all'azione (titolo
IV) e alla giurisdizione (ovvero poteri del giudice, a titolo V).
L'azione altro non è se non il potere di far valere un diritto in giudizio allo scopo di ottenere un
provvedimento del giudice che si pronunci sulla richiesta di tutela.
Caratteristica del processo giurisdizionale è che il giudice non possa provvedere se la parte, contro cui è
richiesta la tutela, non sia stata prima messa in condizione di far valere le proprie ragioni (principio del
contraddittorio).
Il titolo sesto del libro I è dedicato agli atti processuali.
Il processo non è altro che un complesso di atti ordinati nel tempo poste in essere dalle parti e dal giudice.
Il livello di astrazione a cui il legislatore si muove è tale da rendere spesso prive di specifico contenuto
normativo molte disposizioni contenute in tale titolo poiché tutti libri II, III e IV non sono altro che
disciplina di processi, cioè di atti e provvedimenti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 16. Il secondo libro sui processi a cognizione piena
Il secondo libro è intitolato "del processo di cognizione", ma sarebbe più esatto dire "dei processi a
cognizione piena", cioè dei processi di cognizione in cui il giudice emana la sua statuizione in ordine a chi
ha ragione e a chi ha torto, dopo che entrambe le parti sono state messe in condizione di far valere tutte le
proprie ragioni.
I processi di cognizione disciplinati dal secondo libro hanno carattere totalmente atipico: loro oggetto può
essere qualsiasi diritto, purché affermato, indipendentemente da qualsiasi altro requisito.
Qualsiasi processo di cognizione dovrà necessariamente articolarsi in 3 fasi, che risultano con particolare
chiarezza nella intitolazione dei primi tre capi del titolo primo del libro II; esse sono:
la fase introduttiva o preparatoria del processo, fase nella quale occorre individuare il giudice che dovrà
conoscere la controversia e individuare le parti e il diritto fatto valere;
la fase istruttoria, destinata all'acquisizione al processo delle prove necessarie per conoscere i fatti
controversi;
la fase decisoria, destinata a sussumere la fattispecie concreta, così come accertata tramite le prove, sotto la
fattispecie legale astratta, allo scopo di trarne la statuizione finale circa l'esistenza o no del diritto azionato.
Il terzo titolo del libro II è relativo alle impugnazioni, cioè ai controlli che le parti possono provocare sulla
validità e sulla giustizia della sentenza di primo grado o anche di quella d'appello.
Il titolo si articola in un primo capo relativo alle impugnazioni in generale, contenente disposizioni
applicabili a tutti i mezzi di impugnazione, e in quattro capi successivi, ciascuno relativo ad un singolo
mezzo di impugnazione; tra questi l'appello, volto a dare sfogo nel nostro ordinamento alla garanzia
soggettiva dell'impugnazione ed a realizzare tendenzialmente il cosiddetto principio del doppio grado di
giurisdizione, e il ricorso per Cassazione, volto ad assicurare la garanzia oggettiva dell'impugnazione, cioè
l'esatta ed uniforme interpretazione della legge.
Il quarto titolo del libro II disciplina, infine, uno speciale processo a cognizione piena relativo alle
controversie di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, nonché alle controversie in materia di
locazione di immobili urbani.
Le differenze tra cosiddetto rito ordinario, disciplinato dai primi tre titoli del secondo libro, il rito speciale
del lavoro, disciplinato dal titolo IV, si sono ridotte di molto a seguito della riforma del rito ordinario
disposto dalla l. 353/90.
Fuori dal codice è situata la disciplina del processo societario introdotto dal d.l. 5/2003 e di altri processi
speciali a cognizione piena.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 17. Il terzo libro sull'esecuzione forzata
Il terzo libro è intitolato "del processo di esecuzione", ma tratta solo dei processi di esecuzione forzata.
Il primo titolo è dedicato al titolo esecutivo ed al precetto.
Il titolo esecutivo individua un requisito speciale di ammissibilità dei processi esecutivi; a differenza del
processo di cognizione, per mettere in moto un processo di esecuzione forzata non è sufficiente
l'affermazione del creditore di essere tale, ma occorre che questi disponga di un titolo esecutivo, cioè di un
provvedimento atto o documento, tipicamente individuato dal legislatore, idoneo ad offrire una certa qual
certezza in ordine all'esistenza del diritto.
La funzione del titolo esecutivo e quella di bandire dai processi di esecuzione forzata qualsiasi accertamento
in ordine al diritto per la cui esecuzione il creditore agisce.
Questo non significa sopprimere il diritto alla difesa del debitore, ma semplicemente incanalarlo nell'ambito
di un processo a cognizione estraneo all'esecuzione forzata; la proposizione dell'opposizione all'esecuzione
non sospende automaticamente il processo esecutivo, ma su istanza del debitore opponente il giudice
dell'esecuzione può disporne la sospensione ove sussistano gravi motivi, cioè ove i motivi di opposizione
appaiano fondati ad una prima delibazione sommaria.
I processi di esecuzione forzata consistono in un complesso di attività giuridiche e materiali, dirette a fare
conseguire concretamente al titolare del diritto le utilità che avrebbe dovuto conseguire tramite
l’adempimento spontaneo.
I processi di esecuzione forzata si distinguono a seconda del contenuto o dell'oggetto dell'obbligazione o
dell'obbligo inadempiuto.
Così il secondo titolo disciplina l'espropriazione forzata relativa all'esecuzione forzata di obblighi di pagare
somme di denaro; il terzo titolo disciplina l'esecuzione forzata degli obblighi di consegna di beni mobili o di
rilascio di beni immobili; il quarto titolo a disciplina l'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare
opere materiali.
I momenti centrali di ogni specie di processo di espropriazione si colgono, agevolmente, seguendo il
succedersi delle sezioni in cui si articola il capo I relativo all'espropriazione forzata in generale.
Tali momenti sono:
- il pignoramento, tramite il quale si crea un vincolo di indisponibilità giuridica e materiale su singoli beni;
- l'intervento dei creditori, eventuale, ma indispensabile per la realizzazione almeno tendenziale della par
condicio e per consentire ai creditori diversi dal creditore pignorante di partecipare alla distribuzione della
somma ricavata dalla vendita del bene pignorato;
- la vendita forzata o la assegnazione, tramite la quale l'ufficio giudiziario vende il bene pignorato a un terzo
o lo assegna ad un creditore previo pagamento del prezzo;
- la distribuzione del ricavato, tramite la quale la somma ricavata dalla vendita o dalla assegnazione è
distribuita tra i creditori intervenuti o è pagato il creditore pignorante, ove non vi siano stati interventi.
Molto più semplici sono le esecuzione per consegna o rilascio di (titolo III) e l'esecuzione per obblighi di
fare o di disfare (titolo IV).
Nella prima, le operazioni da compiere consistono nello spossessamento dell'obbligato e nell'immissione nel
possesso o nella detenzione dell'avente diritto, nella seconda, una volta determinate le modalità
dell'esecuzione, le operazioni da compiere consistono nel conferimento ad un terzo dell'incarico di eseguire
o distruggere l'opera materiale.
C'è da dire che l'esecuzione forzata incontra due specie di limiti invalicabili: innanzitutto, in quanto tecnica
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte fondata sulla surrogazione di un terzo all'obbligato, essa presuppone la fungibilità della prestazione, pertanto
sarà inapplicabile per l'esecuzione di obblighi infungibili la cui attuazione forzata è conseguibile solo
attraverso la diversa tecnica delle misure coercitive (tale tecnica consiste nell'inasprire la sanzione per
l'inadempimento, allo scopo di indurre l'obbligato ad adempiere spontaneamente); in secondo luogo
l'esecuzione forzata presuppone un obbligo inadempiuto, è perciò idonea solo ad assicurare una tutela
repressiva e non preventiva.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 18. Il quarto libro sui procedimenti speciali
Nel quarto libro del codice di procedura civile è il legislatore ha sistemato tutti gli istituti che non era
riuscito a collocare utilmente nei libri precedenti.
Di qui la sua asistematicità e l'inutilità di un qualsiasi tentativo di coglierne le linee unitarie.
Nell'esporne, succintamente, il contenuto essenziale, occorre partire mettendo in evidenza l'equivocità
dell'espressione procedimenti speciali: un procedimento speciale infatti può essere a cognizione piena, ma
differenziato rispetto al rito ordinario disciplinato dai primi tre titoli del secondo libro, o può essere speciale
perché a cognizione sommaria.
Ciò che accomuna quasi tutti i processi disciplinati dal libro IV è la loro tipicità: si è alla presenza di
processi utilizzabili solo alla presenza di speciali requisiti di ammissibilità.
Il libro IV è, fra i quattro libri da cui è composto il codice di procedura civile, quello che più di ogni altro
mostra i segni del tempo in cui è stato redatto e necessiterebbe di una radicale riscrittura politica.
Il primo titolo è relativo ai procedimenti sommari, cioè processi la cui cognizione non è piena secondo
quanto si avuto modo di accennare.
I motivi per cui il legislatore fanno ricorso, accanto alla cognizione piena, anche alla cognizione sommaria
posso essere ricondotti a tre:
- evitare il costo del processo a cognizione piena allorché manchi, o sia altamente probabile che manchi, una
contestazione effettiva: si sia alla presenza di una lite da pretesa insoddisfatta e non da pretesa contestata; a
questa esigenza di economia processuale rispondono il procedimento di ingiunzione e il procedimento per
convalida di sfratto;
- evitare che l'attore che ha ragione subisca pregiudizi irreparabili (non suscettibili di essere riparati ex post
nella forma della tutela risarcitoria), o comunque gravi, a causa o anche a causa della durata del processo; a
questa esigenza rispondono i procedimenti cautelari, attraverso i quali, a seguito di un accertamento
sommario sulla probabile esistenza del diritto (cosiddetto fumus boni iuris) e sulla probabilità di danno dalla
durata del processo (cosiddetto periculum in mora), si emanano provvedimenti diretti o a conservare la
situazione di fatto e di diritto esistente al momento della proposizione della domanda (ad esempio il
sequestro conservativo o giudiziario) o ad anticipare la soddisfazione del diritto;
- evitare che il convenuto abusi del diritto di difesa, delle forme proprie di ogni processo a cognizione piena:
questa esigenza è soddisfatta dalla possibilità, prevista solo in ipotesi predeterminate, per l'attore di ottenere
un provvedimento di condanna esecutivo sulla base della cognizione piena dei soli fatti costitutivi del suo
diritto, riservando all'ulteriore corso del processo la cognizione dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi
eccepiti dal convenuto (cosiddetta condanna con riserva di eccezioni).
Il secondo titolo tratta dei procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone.
Il nesso è disciplinato il procedimento di separazione giudiziale e consensuale dei coniugi, il giudizio di
interdizione e inabilitazione, nonché una serie di procedimenti che non sembrano avere ad oggetto la tutela
di diritti soggettivi.
Il terzo titolo è relativo alla copia e collocazione di atti pubblici; il quarto titolo ai procedimenti relativi
all'apertura delle successioni; il quinto titolo al processo di divisione giudiziale; il sesto titolo al processo di
liberazione degli immobili dalle ipoteche: la frammentazione non potrebbe essere maggiore.
Di grossa importanza sono gli ultimi due titoli.
Il settimo titolo è stato abrogato dalla l. 218/95 e sostituito dagli artt. da 64 a 71 di tale legge relative
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte all'efficacia delle sentenze e dei provvedimenti giurisdizionali stranieri.
L'ottavo titolo è dedicato all'arbitrato.
In materia di diritti disponibili le parti hanno la possibilità di devolvere la risoluzione delle proprie
controversie a giudici privati, la cui decisione può essere resa esecutiva nell'ordinamento statuale è
sottoposta a controllo giurisdizionale tramite un particolare mezzo di impugnazione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 19. Diritto sostanziale e processo
Si è già accennato nell’introduzione al carattere strumentale del processo rispetto al diritto sostanziale e si è
detto come il processo civile si ponga quale sorta di contropartita che lo Stato dà ai cittadini a seguito della
imposizione del divieto di farsi ragione da sé.
Si deve però rilevare che questo non significa affatto che il processo non possa essere utilizzato dal
legislatore per assolvere anche una funzione diversa: come vedremo vi sono casi in cui il nostro
ordinamento assegna alla tutela giurisdizionale contenziosa una funzione non strumentale rispetto al diritto
sostanziale, consentendo alla "autorità giudiziaria di costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici"
sostanziali: a intendo riferirmi a talune ipotesi di azioni o sentenze cosiddette costitutive nelle quali solo
attraverso il processo è possibile conseguire determinate utilità di diritto sostanziale.
Limitando per ora l'esposizione alle ipotesi in cui il processo assume una funzione strumentale rispetto al
diritto sostanziale, è agevole constatare come la diversità strutturale delle situazioni sostanziali bisognose di
tutela impone l'adozione da parte dello Stato di forme diverse di tutela giurisdizionale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 20. Crisi di cooperazione
Consistente nella violazione di un obbligo di astensione che grava su tutti i consociati al fine di consentire
ad un soggetto (od una collettività) il godimento di una res (sulla base di un diritto reale o personale di
godimento)
Si è alla presenza di una mancata cooperazione da parte di un soggetto obbligato, mancata cooperazione che
impedisce al titolare della situazione di vantaggio di ottenere tutte quelle utilità che il diritto sostanziale gli
attribuisce.
In tal caso la violazione dell'obbligo può concretizzarsi in tre ipotesi (comune a tutte e tre le ipotesi di
violazione prospettate è solo un processo a cognizione piena diretto ad accertare il diritto del titolare della
violazione dell'obbligo ed a condannare l'autore della violazione; con ciò l'identità di tutela termina del tutto
e sia il contenuto della condanna sia le sue modalità di attuazione sono diversi in quanto devono
necessariamente riflettere la specificità di ciascuna singola ipotesi di violazione e del relativo bisogno di
tutela).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 21. Crisi di cooperazione nella privazione del titolare della
situazione di vantaggio del possesso della detenzione della res
Schematicamente si può dire che nella prima ipotesi la condanna avrà per contenuto l'eliminazione degli
effetti della violazione, cioè l'ordine di adempiere l'obbligo derivato di restituire.
In caso di inottemperanza dell'obbligo a questo provvedimento del giudice, il titolare del diritto potrà
mettere in moto un processo di esecuzione forzata e ottenere che, tramite un terzo (nella specie l'ufficiale
giudiziario), gli venga restituita la res.
La tutela giurisdizionale esplica in questo caso una funzione meramente repressiva della violazione già
effettuata, e solo parzialmente riesce a dare al titolare del diritto "tutto quello e proprio quello" che egli
aveva diritto di conseguire sulla base del diritto sostanziale: in particolare non riesce a dargli il godimento
del bene per tutto il periodo in cui la violazione ha prodotto i suoi effetti.
Il processo, allorché interviene quando la violazione è già stata compiuta, può tutt’al più impedire che la
violazione continui, ma non può certo eliminare il fatto che la violazione vi sia stata e non potrà dare al
titolare del diritto le stesse utilità che avrebbe dovuto conseguire attraverso la cooperazione doverosa
dell'obbligato, ma solo utilità equivalenti, cioè il risarcimento del danno.
La constatazione di questo scarto tra utilità garantite dal diritto sostanziale e utilità che riesce ad assicurare il
processo, induce però a riflettere in ordine al se sia possibile limitare o impedire addirittura un simile scarto.
L'analisi delle tecniche giuridiche mostra che questa possibilità esiste; la sua realizzazione però non passa
attraverso il canale del processo a cognizione piena e talvolta neanche attraverso quello dell'esecuzione
forzata.
Le tecniche giuridiche su cui occorre richiamare l'attenzione possono essere ricondotte a due specie
principali:
- in primo luogo, attraverso l'adozione di procedimenti a cognizione sommaria (sommari o cautelari) si
possono ridurre al minimo i tempi della cognizione preliminare all'esecuzione forzata dell'obbligo derivato
di restituzione: in tal modo lo scarto se non può essere mai eliminato, può essere limitato di molto;
- in secondo luogo, ove si consenta che il processo possa essere messo in moto prima che la violazione sia
perpetrata, ma sin dal momento in cui essa è semplicemente minacciata (a causa ad esempio della
contestazione del diritto), la tutela giurisdizionale, specie se realizzata nelle forme di processi a cognizione
sommaria, potrebbe prevenire la violazione stessa impedendone l'effettuazione.
L'esecuzione di questo provvedimento non potrebbe essere garantita dalle forme dell'esecuzione forzata,
poiché non è pensabile la sostituzione di un terzo all'obbligato: alla presenza di condanne concernenti ordini
in futuro di non fare, l'unica forma di esecuzione possibile è costituita dalle cosiddette misure coercitive,
cioè dall'inasprimento della sanzione per l'inadempimento allo scopo di stimolare l'adempimento spontaneo
dell'obbligato; in tal modo lo scarto potrebbe essere pressoché eliminato ed il processo potrebbe assolvere in
pieno la sua funzione strumentale.
Questi rilievi non devono condurre a concludere frettolosamente che la forma di tutela preferibile è quella
indicata per ultimo, stante la sua idoneità ad eliminare lo scarto tra diritto sostanziale e processo.
È infatti opportuno rilevare che le tecniche di tutela preventiva, accanto ai vantaggi illustrati, presentano
rischi notevoli soprattutto in considerazione sia delle minori garanzie offerte dai processi a cognizione
sommaria rispetto a quelle offerte dei processi a cognizione piena, sia per la struttura di pena in senso
tecnico delle misure coercitive.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte Cosa dovrà fare allora il legislatore?
Alla presenza di una situazione di tale genere, per cui l'incisività della tutela giurisdizionale è collegata con
un progressivo aumento della sua pericolosità, il legislatore dovrà individuare un punto di equilibrio fra
queste due opposte esigenze.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 22. Crisi di cooperazione nella costruzione di opere materiali che
limitano il godimento della res
La condanna avrà per contenuto l'eliminazione degli effetti della violazione, cioè l'ordine di adempiere
l'obbligo derivato di distruggere le opere illegittimamente costruite; in caso di inottemperanza dell'obbligato
a questo provvedimento del giudice, il titolare del diritto potrà mettere in moto un processo di esecuzione
forzata per ottenere, tramite la distruzione da parte di un terzo delle opere compiute, il pieno godimento
della res.
Con riferimento questa seconda ipotesi valgono le stesse identiche osservazioni svolte nel paragrafo
precedente; la differenza relativa al diverso contenuto dell'obbligo derivato (di restituire nella prima ipotesi,
di distruggere nella seconda) si riflette infatti unicamente sulla diversità del contenuto della condanna e delle
modalità dell'esecuzione forzata.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 23. Crisi di cooperazione nel compimento di atti materiali che
limitino il godimento del titolare della situazione di vantaggio
Crisi di cooperazione nel compimento di atti materiali ad efficacia istantanea, anche se suscettibili di essere
ripetuti nel tempo (passaggio sul fondo altrui), accompagnati o meno dall'affermazione di un diritto sulla
res, i quali arrechino turbative o molestie, cioè limitino il godimento del titolare della situazione di
vantaggio
In questa ipotesi la situazione muta notevolmente rispetto a quella delle due ipotesi precedentemente
esaminate.
In quelle la violazione dell'obbligo si era concretata in un atto ad efficacia permanente, per cui il titolare del
diritto poteva riottenere il godimento della res solo attraverso l'intervento giurisdizionale.
Nelle ipotesi ora in esame, invece, l'efficacia istantanea dell'atto in cui si è concretizzata la violazione
dell'obbligo, pur avendo a suo tempo limitato il godimento della res, non pone il titolare del diritto nella
necessità di rivolgersi all'autorità giurisdizionale per riottenere il godimento della res; in questa ipotesi lo
scarto tra utilità garantita dal diritto sostanziale e utilità che il processo riesce ad assicurare fa sì che il
processo possa dare al titolare del diritto solo utilità equivalenti (il risarcimento del danno).
Tal che in questa ipotesi l'eliminazione degli effetti della violazione consisterà solo nel risarcimento del
danno e la condanna potrà avere per contenuto solo la liquidazione di tale danno; ove, poi, l'obbligato non
adempia spontaneamente all'obbligo di pagare le somme di danaro a cui è stato condannato, si potrà mettere
in moto l'esecuzione forzata.
L'aspetto interessante di questa ipotesi, però, è dato dal fatto che si è alla presenza di un caso in cui il
godimento del titolare della situazione di vantaggio è limitato da un atto ad efficacia istantanea suscettibile
di essere ripetuto nel tempo; in un caso di tale genere l'interesse del titolare della situazione di vantaggio
consiste non tanto nel domandare all'autorità giudiziaria l'eliminazione degli effetti (mero risarcimento del
danno) della violazione già compiuta ed esaurita, ma fondamentalmente nel domandare l'emanazione di
provvedimenti giurisdizionali idonei ad impedire che la violazione si ripeta nel futuro.
Il tipo di tutela di cui il titolare del diritto ha bisogno è una tipica forma di tutela preventiva che impedisca il
ripetersi della violazione; e ciò si realizza ponendo a contenuto della condanna l'ordine di astenersi in futuro
dal ripetere determinati atti in quanto violazione di obblighi non fare (inibitoria) e garantendo l'attuazione di
tale condanna attraverso adeguate misure coercitive dirette a premere sulla volontà dell'obbligato.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 24. Considerazioni sui rapporti tra diritto sostanziale e processo
Già dall'esame di questo primo gruppo di ipotesi occasionate da una "crisi di cooperazione" è possibile
cominciare a trarre queste conseguenze:
- il processo a cognizione piena se accoppiato unicamente alla successiva esecuzione forzata è in grado di
offrire solo una tutela repressiva della violazione già effettuata;
- una tutela di tale genere presuppone sempre uno scarto tra le utilità garantite dal diritto sostanziale e le
utilità che il processo riesce a rassicurare;
- questo scarto può essere limitato notevolmente riducendo i tempi della cognizione attraverso il ricorso ai
procedimenti sommari;
- questo scarto può essere eliminato solo attraverso forme di tutela che prevengano la violazione stessa;
- l'attuazione del provvedimento di condanna ad astenersi nel futuro dal violare obblighi di non fare può
essere garantita solo attraverso la tecnica delle misure coercitive e mai attraverso quella dell'esecuzione
forzata;
- l'esecuzione forzata non può mai avere ad oggetto l'attuazione di un obbligo originario di non fare, ma solo
l'eliminazione degli effetti (consistenti in obblighi, fungibili, derivati di restituire, di disfare, e/o di pagare
somme di denaro) causati dalla violazione dell'obbligo originario.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 25. Crisi di cooperazione nella violazione di un obbligo originario
Crisi di cooperazione consistente nella violazione di un obbligo originario (e non derivato dalla violazione di
un obbligo di non fare) di consegnare o rilasciare una res oggetto di un diritto reale o personale di godimento
(ad esempio l'obbligo del venditore di consegnare il bene al compratore, l'obbligo del conduttore di restituire
il bene locato al locatore, ecc…)
In caso di violazione dell'obbligo, attraverso il ricorso al processo a cognizione piena e all'esecuzione forzata
per consegna o rilascio effettuata sulla base della sentenza di condanna, il titolare della situazione di
vantaggio è in grado di ottenere attraverso il processo "tutto quello e proprio quello" cui aveva diritto in base
alla legge sostanziale.
Poiché però il processo a cognizione piena ha un suo tempo necessario, il titolare del diritto potrebbe si
ottenere "tutto quello e proprio quello" cui ha diritto, ma solo dopo che sia decorso un lasso di tempo più o
meno breve dal giorno in cui suo diritto era divenuto esigibile.
Per cui la necessità di servirsi del processo finirebbe per essere causa di un pregiudizio che potrebbe trovare
soddisfazione solo nella forma del risarcimento del danno.
Per ovviare a inconvenienti di simile natura, il nostro e da altri legislatori hanno fatto ricorso principalmente
a due specie di tecniche:
- la prima consiste nel consentire che alla esecuzione forzata per consegna o rilascio possa pervenirsi senza
avere percorso la via del processo a cognizione piena, ma sulla base di un provvedimento emanato a seguito
di un procedimento sommario;
- la seconda consiste nel consentire che, ove l'obbligazione di consegnare o rilasciare sia sottoposta a
termine o condizione, il processo a cognizione piena (o il procedimento sommario) possa essere iniziato
prima della scadenza del termine o dell'avverarsi della condizione (prima quindi che si sia potuta verificare
la violazione dell'obbligo) e sfociare in un provvedimento di condanna in futuro: cioè in un provvedimento
che ordini giudizialmente all'obbligato di adempiere la sua obbligazione di consegnare o rilasciare non
appena scada il termine o si avveri la condizione; un provvedimento di tale natura non abilita il titolare del
diritto ad iniziare immediatamente l'esecuzione forzata, ma lo premi unici di un titolo esecutivo che diverrà
azionabile non appena, scaduto il termine o avveratasi la condizione, si sia avuta la violazione, senza dover
attendere il tempo, lungo o breve, necessario per la formazione di un titolo esecutivo giudiziale
successivamente alla violazione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 26. Crisi di cooperazione nella violazione di obblighi di fare
materiali correlati a diritti reali o personali di godimento
Consistente nella violazione di obblighi di fare materiali fungibili correlati a diritti reali o personali di
godimento (ad esempio l'obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in buono stato locativo)
Il carattere fungibile di obblighi di questa specie li rende suscettibili di esecuzione forzata.
Le ipotesi è affine a quella esaminata al paragrafo precedente: l'unica differenza è data dal fatto che la specie
di esecuzione forzata cui può dare adito un provvedimento di condanna all'adempimento degli obblighi ora
in esame sarà all'esecuzione forzata per obblighi di fare e non per consegna o rilascio.
È però da rilevare che il ritardo nell'adempimento di obblighi della specie ora in esame può molto spesso
essere fonte di pregiudizi gravissimi.
Ciò comporta che la tutela giurisdizionale occasionata dalla violazione di obblighi della specie ora in esame
deve molto spesso realizzarsi non solo attraverso le forme del processo a cognizione piena seguito
dall'esecuzione forzata, ma anche, e soprattutto, attraverso forme di tutela urgente caratterizzate da
procedimenti sommari destinati a concludersi in tempi brevissimi, in provvedimenti di condanna la cui
attuazione sia garantita dalla possibilità di mettere in moto immediatamente l'esecuzione forzata e/o da
misure coercitive dirette a premere sulla volontà dell'obbligato perché adempia spontaneamente.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 27. Crisi di cooperazione consistenti nell'emanazione di una
dichiarazione di volontà
Determinata dalla violazione di obblighi consistenti nell'emanazione di una dichiarazione di volontà (c.d.
facere giuridici) sorti da contratto o direttamente dalla legge (ad esempio l'obbligo di stipulare il contratto
definitivo sorto dal contratto preliminare)
La particolarità delle ipotesi ora in esame è data non dalla infungibilità (cioè dalla loro inidoneità ad essere
attuati in via surrogatoria da parte di un terzo), bensì dall'essere alla presenza di un facere il quale non
consiste nel compimento di un opera materiale, per la quale solo è utilizzabile l'esecuzione forzata.
Ne segue che in caso di violazione di un obbligo di questa natura, ove il titolare della situazione di vantaggio
potesse utilizzare l'solo tecniche del tipo tutela di condanna + esecuzione forzata, il processo non potrebbe
mai dargli "tutto quello e proprio quello" che ha diritto di conseguire in base alla legge sostanziale.
A differenza della violazione degli obblighi di non fare, l'obbligo derivato sorto dalla violazione di un
obbligo avente ad oggetto facere giuridici è il solo mero obbligo al risarcimento dei danni e non un obbligo
avente ad oggetto il bene di cui il titolare del diritto godeva prima della violazione dell'obbligo originario.
Pertanto lo scarto tra utilità garantite dal diritto sostanziale e utilità che il processo riesce ad assicurare
sarebbe di particolare gravità ove l'ordinamento e non conoscesse forme di tutela diverse dalla condanna +
esecuzione forzata.
Il nostro conosce però tecniche idonee a superare, ed eliminare, questo scarto; esse sono:
- il garantire l'esecuzione della condanna ad un facere giuridico non attraverso l'esecuzione forzata, ma
attraverso misure coercitive;
- il ricollegare direttamente all'accertamento dell'obbligo compiuto dal giudice, la modificazione giuridica
che normalmente sarebbe dovuta conseguire all'adempimento spontaneo dell'obbligo di emanare la
dichiarazione di volontà: attraverso una tecnica di questo tipo il processo di cognizione è chiamato ad
assolvere ad un tempo funzione cognitiva (di accertamento dell'esistenza dell'obbligo insoddisfatto) ed
esecutiva (di attribuzione all'avente diritto del bene che avrebbe dovuto conseguire).
Tradizionalmente ipotesi di questo genere sono considerate una species della più vasta categoria delle azioni
costitutive.
Nulla esclude che il procedimento giurisdizionale al termine del quale è emanato il provvedimento che tiene
luogo della mancata dichiarazione di volontà dell'obbligato possa essere un procedimento sommario e non
solo un procedimento cognizione piena.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 28. Crisi di cooperazione consistente nella violazione di obblighi di
non fare
Consistente nella violazione di obblighi di non fare che gravano su tutti i soggetti dell'ordinamento, o su
alcuni di essi soltanto, diretti ad assicurare il godimento ad un soggetto (o ad una collettività) di una
"situazione di libertà"
Il contenuto e/o la funzione normalmente non patrimoniale delle situazioni di vantaggio correlate agli
obblighi ora in esame, rende particolarmente acuta l'esigenza di ridurre al minimo lo scarto tra utilità
garantite dal diritto sostanziale e utilità che il processo riesce ad assicurare; in particolare il contenuto
normalmente non patrimoniale di queste situazioni di vantaggio fa sì che la violazione è sempre e
necessariamente causa di un pregiudizio irreparabile rispetto al quale la tutela per equivalente monetario si
presenta per definizione come inadeguata; pertanto la tutela per sua natura prevalentemente repressiva
offerta dal solo processo a cognizione piena non serve, poiché non sarà mai in grado di restituire al titolare
del diritto quelle utilità non patrimoniali di cui non ha potuto godere a causa della violazione.
Di conseguenza, per consentire al processo di assolvere la sua funzione istituzionale di assicurare al titolare
della situazione di vantaggio "e tutto quello e proprio quello" cui ha diritto in base alla legge sostanziale, il
legislatore in questi casi dovrà:
- ove la violazione sia già compiuta, predisporre forme urgenti di tutela, cioè procedimenti sommari destinati
a concludersi in tempi brevissimi in provvedimenti immediatamente esecutivi aventi per contenuto l'ordine
di cessare la violazione, cioè l'ordine di astenersi per il futuro dal porre in essere ulteriori violazioni degli
obblighi di non fare: stante il contenuto di tali provvedimenti, la loro attuazione potrà essere assicurata solo
attraverso misure coercitive e non attraverso l'esecuzione forzata;
- consentire l'utilizzazione di queste forme urgenti di tutela anche allorché la violazione non sia stata ancora
consumata, ma sia semplicemente minacciata o oggettivamente probabile.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 29. Crisi di cooperazione consistente nella violazione di obblighi di
fare
Consistente nella violazione di obblighi di fare diretti ad assicurare il godimento di una "libertà sostanziale"
Sono da porre in evidenza due punti: il primo attiene al contenuto e/o alla funzione normalmente non
patrimoniale delle situazioni di vantaggio correlate agli obblighi ora in esame, il che impone (per motivi in
gran parte analoghi a quelli indicati al paragrafo precedente) la predisposizione di forme urgenti di tutela le
quali pervengano o impediscano immediatamente la continuazione della violazione; il secondo punto attiene
al fatto che obblighi di fare è di questa specie sono molto spesso obblighi complessi non sempre
integralmente fungibili, non sempre cioè suscettibili di essere attuati integralmente da parte di un soggetto
diverso dalla persona dell'obbligato: ciò significa che l'attuazione dei provvedimenti giurisdizionali di
condanna all'adempimento di obblighi di tale specie deve essere garantita attraverso il ricorso prevalente a
forme di misure coercitive, più che attraverso l'esecuzione forzata.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 30. Crisi di cooperazione consistente nella violazione di obblighi
(originari o derivati) di pagare somme di denaro
Consistente nella violazione di obblighi (originari o derivati) di pagare somme di denaro
La tutela giurisdizionale dei crediti di somme di danaro è grosso modo sempre uguale per quanto riguarda
l'esecuzione forzata, la quale si svolgerà sempre nelle forme dell'espropriazione forzata.
Per quanto concerne, invece, il provvedimento idoneo a mettere in moto l'espropriazione forzata, le scelte
del legislatore possono essere, e sono, assai diversificate:
- innanzitutto questo provvedimento potrà essere una sentenza di condanna emanata a seguito di un processo
a cognizione piena;
- in secondo luogo questo provvedimento dovrà essere un provvedimento sommario (cautelare o no) ogni
qualvolta il credito alla somma di danaro assolva istituzionalmente o, nel caso concreto, una funzione non
patrimoniale: cioè sia destinato a consentire al creditore di soddisfare bisogni non patrimoniali, ad
"assicurargli una esistenza libera e dignitosa" (si pensi ai crediti alimentari); in questi casi il creditore, ove
dovesse rimanere insoddisfatto durante tutto il tempo necessario per ottenere una sentenza esecutiva tramite
il processo a cognizione piena, subirebbe un pregiudizio irreparabile perché durante tutto il tempo del
processo non potrebbe destinare le somme alla soddisfazione di quei bisogni non patrimoniali cui sono
destinate;
- in terzo luogo il legislatore nella sua discrezionalità può prevedere che, per esigenze di economia dei
giudizi, per evitare l'abuso del diritto di difesa e o per volontà di privilegiare alcuni creditori, il creditore di
somme di danaro possano ricorrere alla tutela sommaria anche ove non ricorra il cosiddetto pericolo da
tardività prima evidenziato;
- infine, sempre nella sua discrezionalità il legislatore, in talune ipotesi, prescinde addirittura dalla necessità
di un provvedimento giurisdizionale, e consente che l'espropriazione forzata possa essere messa in moto
anche sulla base di un titolo esecutivo c.d. di formazione stragiudiziale.
È possibile, poi, che in ipotesi di crediti di somme di denaro lo scarto tra utilità garantite dal diritto
sostanziale e utilità assicurata dal processo possa essere causato dall'insufficienza del patrimonio del
debitore a soddisfare il creditore o i creditori: nei limiti in cui questo scarto è addebitabile alla durata del
processo, l'ordinamento conosce da sempre strumenti idonei a neutralizzarlo (si pensi all'istituto del
sequestro conservativo).
Prima di concludere su questo punto è da rilevare che, ove si sia alla presenza di un obbligo periodico di
pagare somme determinate di danaro, nulla dovrebbe poter escludere che il provvedimento di condanna
possa riguardare non solo il pagamento delle somme già scadute ma anche le somme future, salvo
ovviamente l'idoneità del provvedimento a costituire titolo esecutivo solo alla scadenza delle singole rate
dell'obbligazione periodica.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 31. Crisi di cooperazione consistente nella mera contestazione del
diritto
In tutte le ipotesi sinora esaminate il discorso è stato quanto meno iniziato partendo sempre dal presupposto
che la "crisi di cooperazione" che rendeva necessario il ricorso al processo consistesse nella violazione in
senso stretto di un obbligo; nel corso dell'indagine però spesso si è accennato alla necessità di predisporre
forme di tutela giurisdizionale c.d. preventive, che intervengano prima che la violazione sia consumata,
quando la violazione semplicemente minacciata a motivo, ad esempio, della contestazione del diritto.
Alla presenza di vanti o contestazioni della titolarità del diritto altrui, il bisogno di tutela giurisdizionale è
tutto e solo un bisogno di certezza: di ripristinare tramite la certezza legale del provvedimento
giurisdizionale quella certezza nelle relazioni sociali e giuridiche infrante dai vanti o contestazioni altrui.
Il minimum di tutela giurisdizionale necessaria per reagire, neutralizzata anni, agli effetti pregiudizievoli
della contestazione è un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento di mero accertamento
dell'esistenza o no del diritto contestato: un provvedimento di tale specie è infatti sufficiente ad eliminare
l'incertezza causata dalla contestazione.
È sin d'ora opportuno porre in evidenza che la tutela di mero accertamento è un minimo, cui spesso è
necessario ricorrere per la mancanza di forme di tutela più incisive; ove pertanto si potesse fare ricorso a
forme più incisive di tutela preventiva consistenti in condanne in futuro ad astenersi dal compiere atti di
violazione in senso stretto del diritto, l'ambito del ricorso alla tutela di mero accertamento risulterebbe
notevolmente limitato in concreto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 32. La necessità di servirsi del processo non deriva da alcuna "crisi
di cooperazione"
In tutte le ipotesi finora passato in rassegna il processo assume una funzione strumentale rispetto al diritto
sostanziale, in quanto mira ad assicurare le stesse utilità garantite dal diritto sostanziale al titolare del diritto.
In tutte queste ipotesi, comunque, il titolare della situazione di vantaggio, ove non fosse intervenuto quel
fatto patologico che si è chiamato "crisi di cooperazione", avrebbero potuto sempre conseguire le utilità cui
avevano diritto senza fare ricorso al processo.
A fronte di queste ipotesi, viene sono altre molto meno numerose in cui il legislatore da un lato riconosce
determinate utilità di diritto sostanziale, ma allo stesso tempo impone alle parti che vogliano conseguire
queste utilità di servirsi del processo.
In questi casi (si pensi al divorzio, all'annullamento del matrimonio, al disconoscimento di paternità o
maternità) la necessità di servirsi del processo non deriva da una "crisi di cooperazione" in senso lato, non
deriva dalla violazione di un obbligo o dalla contestazione del diritto, ma dal fatto che quella determinata
utilità può conseguirsi solo a seguito di un provvedimento giurisdizionale che accerti preventivamente la
sussistenza di tutti i presupposti di fatto e di diritto cui la legge subordina il prodursi di un determinato
effetto giuridico.
In queste ipotesi (che sul piano tecnico prendono il nome di azioni costitutive necessarie) la funzione
giurisdizionale cessa di avere carattere strumentale rispetto al diritto sostanziale e si presenta essa stessa
come elemento costitutivo indispensabile e non sul erogabile della fattispecie cui la legge sostanziale
subordina il prodursi di un determinato effetto giuridico.
Le azioni costitutive cosiddette necessarie si pongono i confini estremi della giurisdizione contenziosa; non
sempre infatti nei processi diretti a provocare l'emanazione di una sentenza costitutiva necessaria è dato
ravvisare una effettiva controversia tra le parti (si pensi in molti processi di divorzio in cui entrambi i
coniugi sono favorevoli).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 33. Giurisdizione non contenziosa
I cenni svolti da ultimo consentono di accennare alla possibilità che il legislatore attribuisca al giudice non
solo la tutela giurisdizionale dei diritti, ma anche funzioni ulteriori.
È questo il settore della giurisdizione volontaria o non contenziosa, settore che concerne funzioni ulteriori
rispetto a quello della tutela giurisdizionale dei diritti, settore che il legislatore ordinario potrebbe
legittimamente dimettere nella sua discrezionalità anche totalmente ai poteri privati o alla potestà
amministrativa.
Alcuni rapidi esempi:
- la nomina e la rimozione di rappresentanti legali e minori, agli incapaci, a patrimoni separati o a gruppi
collettivi;
- la valutazione dell'opportunità di porre in essere atti di straordinaria amministrazione nell'interesse di
minori, incapaci, persone giuridiche;
- la liquidazione di patrimoni separati o del patrimonio delle persone giuridiche;
- le vendite coattive.
In queste e nelle molte consimili ipotesi il giudice è chiamato non a risolvere controversie relative a diritti
di, non ad assicurare la tutela giurisdizionale di diritti violati (o meramente contestati), bensì a gestire
interessi di minori, incapaci, patrimoni separati, gruppi collettivi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 34. Cenni sulla teoria dell'azione
L'analisi condotta sui rapporti tra diritto sostanziale e processo mostra come la funzione giurisdizionale, per
assolvere il suo scopo primario di assicurare al titolare del diritto le stesse utilità garantitegli dal diritto
sostanziale, debba articolarsi in modo estremamente vario e complesso.
Un discorso del tutto analogo potrebbe essere svolto riguardo alla nozione di azione.
La nozione di azione come categoria generale atipica assolse un compito storico di notevolissima portata la
cui importanza ancora oggi non può essere disconosciuta: il garantire a tutti coloro che si affermassero
titolari di un diritto sostanziale riconosciuto come tale dall'ordinamento, la possibilità di ricorrere alla tutela
giurisdizionale civile predisposta dallo Stato; l'assicurare tale possibilità indipendentemente dalla previsione
di una norma che attribuisse con riferimento a ciascun singolo diritto e/o a ciascuna singola violazione il
diritto d'azione.
L'analisi svolta precedentemente mi sembra concorra però a porre in evidenza quanto sia inappagante
risolvere i problemi relativi ai rapporti tra diritto sostanziale e processo solo in termini di teoria dell'azione.
La teoria dell'azione è idonea a raccordare tutti i diritti previsti dalla legge sostanziale al processo, in quanto
riconosce a tutti, per il semplice fatto di affermarsi titolari di un diritto sostanziale, il potere di agire in
giudizio, di mettere in moto il processo.
Nulla o poco la teoria dell'azione ci dice però circa le modalità ed il contenuto della tutela giurisdizionale
chiesta attraverso l'esercizio del cosiddetto diritto d'azione, e proprio l'analisi condotta in questo capitolo
indica come le modalità ed il contenuto della tutela giurisdizionale civile sono e devono o possono essere
estremamente varie per rispondere alla diversità dei bisogni di tutela propri dei singoli diritti e per assicurare
in tal modo una tutela giurisdizionale effettiva, cioè adeguata.
Ed invero, dopo aver difeso il significato dell'elaborazione ottocentesca della teoria dell'azione, è doveroso
ora mettere in rilievo anche i limiti intrinseci a tale elaborazione.
L'ideologia liberale dell'uguaglianza formale di tutti i cittadini nel cui contesto la teoria dell'azione fu
elaborata, dell'alto grado di astrazione a cui l'elaborazione fu svolta, ebbero non poche conseguenze
negative, in quanto concorsero a determinare il convincimento che il diritto di azione fosse qualcosa di
unitario, che il processo messo in moto attraverso l'esercizio del diritto d'azione potesse anch'esso essere
configurato come una categoria unitaria e fosse sempre idoneo ad offrire tutela giurisdizionale a tutti i diritti
previsti dalla legge sostanziale, indipendentemente dalla specificità dei loro contenuti o dei soggetti reali che
ne erano titolari.
In tal modo si viene creare una pericolosa cesura tra diritto sostanziale e processo, cesura che non è stata
ancora superata.
In questa prospettiva dovrebbero apparire chiare le finalità dell'analisi svolta precedentemente.
Partiti dalla nozione per così dire classica del diritto d'azione, secondo cui se vi è diritto sostanziale
automaticamente è da riconoscere al preteso titolare il potere di agire in giudizio per la tutela giurisdizionale
del diritto sostanziale, si è constatato come questa concezione è stata oggi costituzionalizzata dall’art. 241
cost.; dal coordinamento di questa disposizione costituzionale con il capoverso dell’art. 3 cost. si è avvertita,
quindi, l'esigenza di verificare con riferimento alle singole categorie di diritti sostanziali, ed in particolare
alle singole specie di violazioni che possono subire, quali modalità e quali contenuti la tutela giurisdizionale
debba o possa assumere per assicurare una tutela effettiva, cioè per consentire al processo di assolvere, sia
pur tendenzialmente, la sua funzione strumentale di "dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un
diritto tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire" alla stregua della legge sostanziale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 35. Gli atti introduttivi dei processi a cognizione piena: atto di
citazione e ricorso
I processi a cognizione piena, come ogni altra specie di processo, sono soggetti al principio della domanda.
L'atto attraverso cui si esercita il cosiddetto potere d'azione o si fa valere un diritto nell'ambito di un
processo di cognizione può assumere forma diversa a seconda che la domanda si inserisca o no in un
processo già iniziato da altri ed a seconda che il processo a cognizione piena sia il rito ordinario (i primi tre
titoli del secondo libro) o il rito speciale del lavoro (quarto titolo del secondo libro).
Mentre nel sistema dell'atto di citazione la domanda è portata prima conoscenza della controparte e poi del
giudice, nel sistema del ricorso la domanda apportata prima conoscenza del giudice e poi della controparte.
Gli elementi comuni all'atto di citazione e al ricorso concernono i requisiti necessari all'individuazione della
domanda ovvero del diritto che si vuol far valere in giudizio.
Tali elementi sono dati dalle indicazione delle parti, dell'oggetto e delle ragioni della domanda.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 36. Parti, "petitum" e "causa petendi"
È opportuno soffermarsi su questi tre elementi:
- L'individuazione delle parti concerne l'individuazione del soggetto che propone la domanda (attore) e del
soggetto contro cui la domanda è proposta (convenuto), nonché dei loro rappresentanti legali o volontari ove
si sia alla presenza di incapaci o di rappresentanza processuale volontaria.
- La determinazione della cosa oggetto della domanda coincide con il requisito tradizionalmente indicato
come oggetto o petitum: esso consiste nel diritto sostanziale fatto valere in giudizio.
A livello convenzionale può essere utile distinguere un oggetto sostanziale da un oggetto processuale della
domanda ed individuare l'oggetto sostanziale nel diritto fatto valere in giudizio e l'oggetto processuale nel
contenuto del provvedimento (di mero accertamento, di condanna, ecc…) giurisdizionale richiesto.
- L'indicazione delle ragioni della domanda ovvero l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto
costituenti le ragioni della domanda coincide con il requisito tradizionalmente indicato con l'espressione
titolo o causa petendi.
Volendo esemplificare, nell'azione di rivendica oggetto sostanziale sarà il diritto di proprietà, oggetto
processuale il provvedimento di condanna alla restituzione richiesto, e causa petendi uno dei modi di
acquisto a titolo originario previsti; nell'azione di divorzio il petitum sarà lo scioglimento del rapporto
coniugale e la causa petendi uno di quei fatti indicati nell’art. 3 della l. 898/70.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 37. Le difese del convenuto: mere difese, eccezioni e domanda
riconvenzionale
A fronte dell'atto di citazione o del ricorso che costituiscono i primi atti del processo posti in essere
dall'attore, si pone la comparsa di risposta o, secondo una variante meramente terminologica, memoria
difensiva, quale primo atto difensivo del convenuto.
Contenuto della comparsa di risposta sono le attività difensive del convenuto.
Limitando l'analisi alle sole difese di merito, si può dire sin d'ora che la strategia difensiva del convenuto
può atteggiarsi in vari modi.
Essa in particolare può consistere:
- in un atteggiamento di cosiddetta "mera difesa": a il convenuto si limita a contestare l'esistenza dei fatti
costitutivi posti dall'attore a fondamento della sua domanda senza allegare alcun fatto ulteriore a quelli già
indicati dall'attore.
Un atteggiamento di questa specie, oltre a lasciare inalterato il diritto fatto valere in giudizio, non allarga
neanche il settore dei fatti rilevanti allegati al giudizio; serve solo a rendere controversi, e quindi bisognosi
di prova, i fatti costitutivi posti dall'attore a fondamento della propria domanda;
- il secondo atteggiamento difensivo del convenuto può consistere nella proposizione di "eccezioni di
merito", cioè nel far valere in giudizio la rilevanza di fatti impeditivi, modificativi e estintivi del diritto fatto
valere in giudizio dall'attore.
Un atteggiamento di questo tipo, se lascia inalterato il diritto fatto valere in giudizio dall'attore, allarga il
settore dei fatti giuridicamente rilevanti allegati al giudizio che dovranno essere conosciuti dal giudice per
pronunciarsi sulla esistenza o no del diritto fatto valere in giudizio.
Le eccezioni di merito si distinguono in due grandi categorie a seconda che siano rilevabili anche d'ufficio
(il che costituisce la regola) o siano rilevabili solo ad istanza di parte; esempi della seconda specie sono le
eccezioni di prescrizione, di annullamento, di compensazione, di rescissione, di inadempimento; esempi
della prima specie sono l'eccezione di adempimento, di novazione, di nullità, ecc…
L'eccezione ha funzione meramente difensiva; essa mira solo a provocare il rigetto della domanda
dell'attore; pertanto il giudice dovrà necessariamente pronunciarsi sull'eccezione solo quando intenda
accogliere la domanda, non quando ritenga di respingerla ad esempio per difetto di fatto costitutivo;
- il terzo atteggiamento difensivo del convenuto consiste nel proporre domande riconvenzionali
incompatibili con l'accoglimento della domanda originaria dell'attore.
La domanda riconvenzionale è domanda a tutti gli effetti e come tale su di essa il giudice (a differenza di
quanto si e visto per l'eccezione) dovrà sempre pronunciarsi (anche se rigetti la domanda originaria per un
motivo diverso dall'accoglimento della domanda riconvenzionale incompatibile).
Esempi di domande riconvenzionali incompatibili sono la domanda di accertamento del diritto di proprietà a
fronte di una domanda originaria di rivendica o di riconsegna del bene locato o dato in comodato; la
domanda di risoluzione per inadempimento, di nullità, di annullamento, ecc… a fronte della domanda
originaria di esecuzione del contratto, ecc…
È opportuno sin d'ora avvertire che il convenuto può proporre non solo domande riconvenzionali difensive
in quanto incompatibili con l'accoglimento della domanda dell'attore, ma anche domande riconvenzionali
non aventi funzione difensiva, il cui cumulo nel processo originario si giustifica per altri motivi che saranno
a suo tempo esaminati.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte Si pensi alla domanda riconvenzionale di pagamento del prezzo del contratto di compravendita a fronte della
domanda originaria di consegna del bene;
- è infine da accennare alla possibilità per il convenuto di chiamare in causa terzi, il che molto spesso
risponde ad esigenze difensive del convenuto stesso.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 38. Punti e questioni pregiudiziali: i c.d. fatti-diritti
Sulla base di questi rilievi è possibile notare come normalmente il diritto fatto valere in giudizio è
individuato dall'attore nell'atto introduttivo del giudizio, mentre i fatti rilevanti ai fini dell'esistenza o no del
diritto azionato sono non solo i fatti costitutivi, allegati dall'attore, ma anche i fatti impeditivi, modificativi
ed estintivi posti dal convenuto a fondamento delle eccezioni di merito.
Il diritto quindi entra in giudizio attraverso i fatti: mentre però i fatti costitutivi non potranno mancare, i fatti
impeditivi, modificativi ed estintivi ove non allegati al giudizio non impediscono al giudice di pronunciarsi
sulla esistenza o no del diritto fatto valere dall'attore.
I fatti, se controversi, hanno bisogno di prova e danno luogo sul piano logico a questioni pregiudiziali che
dovranno essere risolte dal giudice per statuire sull'esistenza o no del diritto fatto valere dall'attore.
È opportuno sin d'ora accennare alla possibilità che i fatti (costitutivi, impeditivi, modificativi ed estintivi)
rilevanti ai fini del diritto fatto valere siano o meri fatti o fatti-diritti.
Per meri fatti si intendono quei fatti che rilevano unicamente come fatti costitutivi, modificativi, ecc… del
diritto fatto valere in giudizio: ad esempio colpa nella responsabilità extracontrattuale, prescrizione,
adempimento.
Per fatti-diritti si intendono invece quei fatti che, oltre ad avere rilievo di fatti costitutivi, impeditivi, ecc…
ai fini del diritto fatto valere in giudizio dall'attore sono a loro volta l'effetto di una autonoma fattispecie,
così che potrebbero anche essi costituire oggetto di un'autonoma domanda: ad esempio qualità di erede
dell'attore (o del contenuto) ai fini del credito (o del debito) del de cuius, qualità di proprietario ai fini del
diritto al risarcimento dei danni causati al bene dell'attore, al rapporto di parentela ai fini del diritto agli
alimenti.
Ove sia allegato un fatto-diritto e sorga su di esso questione pregiudiziale, l'unico diritto su cui il giudice
dovrà pronunciarsi con autorità di cosa giudicata è il diritto fatto valere in giudizio dall'attore e non anche il
fatto-diritto contestato; di questo il giudice conoscerà solo in via incidentale (incidenter tantum), a meno che
una delle parti proponga domanda di accertamento con autorità di cosa giudicata anche del fatto-diritto, o sia
la legge ad imporre che l'accertamento del fatto-diritto pregiudiziale sia coperto da autorità di cosa giudicata.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 39. I diritti oggetto del processo e del giudicato
Secondo l'impostazione tradizionale, abbiamo determinato l'oggetto del processo e del conseguente
giudicato sostanziale attraverso gli elementi di identificazione dell'azione.
Tanto è desunto da una serie di disposizioni che indicano nel diritto fatto valere in giudizio l'oggetto della
domanda e della tutela giurisdizionale.
Oggetto del processo e del giudicato non sono mai fatti o atti (né tantomeno le norme giuridiche), ma
sempre solo diritti: il diritto fatto valere in giudizio tramite la domanda dell'attore.
Tale diritto a sua volta si determina, alla stregua delle norme di diritto sostanziale, sulla base dei tre classici
elementi delle personae, del petitum e della causa petendi.
Secondo questa ricostruzione l'oggetto del processo e del giudicato si determinerebbe sulla base della
domanda dell'attore: in particolare il diritto fatto valere in giudizio sarebbe individuato nella misura in cui
l'indicazione delle parti, della "cosa oggetto della domanda" (o petitum), dei fatti costitutivi (o causa
petendi) ed eventualmente anche degli elementi di diritto serve per l'individuazione del diritto fatto valere in
giudizio.
Alla stregua di questa ricostruzione, la cosa dedotta in giudizio destinata a divenire al termine del processo
cosa giudicata sarebbe solo il diritto affermato dall'attore e mai i fatti costitutivi o, volta a volta, impeditivi,
modificativi o estintivi che a livello di fattispecie legale rilevano ai fini dell'esistenza o inesistenza del
diritto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 40. Il giudicato copre il dedotto e il deducibile e prevale rispetto allo
ius superveniens retroattivo
È opportuno indicare in cosa consista l'essenza del giudicato sostanziale.
L'art. 2909 c.c. individua tale essenza nel fare stato a ogni effetto dell'accertamento contenuto nella sentenza
passata in giudicato ex art. 324 c.p.c. (la cosa giudicata formale, cioè, individuerebbe quella situazione di
relativa immutabilità in cui si viene a trovare la sentenza non più soggetta ad impugnazioni cosiddette
ordinarie, mentre la cosa giudicata sostanziale individuerebbe un fenomeno diverso: l'operare
dell'accertamento contenuto nella sentenza al di fuori del processo in cui si è formato).
Ciò che destinato a "fare stato a ogni effetto" è l'accertamento del diritto fatto valere in giudizio tramite la
domanda dell'attore, e non anche l'accertamento dei fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi che a
livello di fattispecie legale rilevano ai fini dell'esistenza o inesistenza del diritto.
Con ciò si acquisisce un risultato di indubbia importanza riguardo al giudicato civile, ma ancora non si
coglie il significato di quel "fare stato a ogni effetto dell'accertamento del diritto" in cui l'art. 2909 c.c.
ravvisa l'essenza del giudicato sostanziale.
Storicamente la caratteristica del giudicato sostanziale è stata sempre colta in questi due principi:
- il giudicato copre il dedotto e il deducibile;
- il giudicato prevale rispetto allo ius superveniens retroattivo.
L'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato "tronca il nesso che collega la norma con la
fattispecie concreta sostituendosi a quella nella disciplina di questa".
A seguito del formarsi del giudicato sostanziale la fattispecie da cui deriva il diritto fatto valere in giudizio
rinviene la fonte della propria rilevanza giuridica unicamente nell'accertamento contenuto nella sentenza
passata in giudicato e non più nella norma generale ed astratta.
Di qui:
- la inattaccabilità del giudicato sulla base di fatti (meri fatti o fatti-diritti) anteriori al referente temporale del
giudicato, cioè deducibili nel processo in cui si è formato il giudicato ancorché non dedotti (è il principio
secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile);
- la inoperatività dello ius superveniens retroattivo sulla fattispecie da cui deriva il diritto oggetto del
giudicato, ed ancora l'inoperatività della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità della norma
generale e astratta sulla cui base si è deciso.
Il diritto o rapporto accertato dalla sentenza passata in giudicato continua però a vivere, a svolgersi anche
dopo il giudicato.
Di qui la pacifica operatività su di esso dei fatti estintivi o modificativi sopravvenuti; nonché l'idoneità dello
ius superveniens irretroattivo o no a disciplinare, in ipotesi di rapporti di durata, quella tranche del diritto o
rapporto di durata che si svolga successivamente al giudicato.
Sembra opportuno in questa sede spendere ancora qualche parola sul principio secondo cui il giudicato
copre il dedotto e il deducibile.
Questo principio non influisce in modo alcuno nel senso di restringere o ampliare i limiti oggettivi del
giudicato: individuato l'ambito oggettivo del giudicato, il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto
e il deducibile ci sta a dire solo che il risultato del primo processo non potrà essere rimesso in discussione e
peggio diminuito o disconosciuto attraverso la deduzione in un secondo giudizio di questioni (di fatto o di
diritto, rilevabili d'ufficio o solo su eccezione di parte, di merito o di rito) rilevanti ai fini dell'oggetto del
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte primo giudicato e che sono state proposte (dedotto) o che si sarebbero potute proporre (deducibile) nel corso
del primo giudizio.
Ne deriva che le questioni di mero fatto o le questioni relative a diritti o rapporti pregiudiziali dedotti o
deducibili nel primo giudizio, ben possono essere dedotte in un secondo processo senza che alcuna
preclusione (da giudicato esplicito o implicito) derivi dalla prima pronuncia.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte 41. La diversa rilevanza del fatto costitutivo nei diritti
eterodeterminati e autodeterminati
Si può procedere ora ad alcune integrazioni dello schema fin qui proposto.
La prima integrazione deriva dalla diversa rilevanza dei fatti costitutivi (cioè della causa petendi) a seconda
della specie di diritto fatto valere in giudizio.
La dottrina e la giurisprudenza concordano nel distinguere i diritti in diritti eterodeterminati e diritti
autodeterminati.
Diritti eterodeterminati sono i diritti che possono sussistere simultaneamente più volte con lo stesso
contenuto fra gli stessi soggetti.
Diritti di tale specie, cui appartengono con assoluta sicurezza i diritti di credito, sono individuati non dalla
mera indicazione del loro contenuto, ma anche dalla indicazione del fatto costitutivo, che ha quindi valore
sia in tema di prova sia, e prima, di requisito di validità della domanda.
A livello di oggetto del processo e del giudicato ciò significa che il mutamento del fatto costitutivo comporta
mutamento del diritto e pertanto la domanda giudiziale con cui si faccia valere in un secondo processo un
diritto dallo stesso contenuto di quello fatto valere nel primo giudizio, ma basato su di un diverso fatto
costitutivo, sarà domanda con cui si fa valere un diritto diverso, su cui non può di conseguenza operare in
modo alcuno il primo giudicato che aveva un diverso ambito oggettivo.
Diritti autodeterminati sono invece i diritti che non possono sussistere simultaneamente più volte con lo
stesso contenuto tra gli stessi soggetti.
Diritti di tale specie, cui appartengono con assoluta sicurezza del diritto di proprietà e gli altri diritti reali di
godimento nonché i diritti della personalità e i diritti assoluti in genere, sono individuati sulla base della sola
indicazione del loro contenuto (del bene che ne costituisce l'oggetto e della relazione giuridica che l'attore
vanta rispetto ad esso); il fatto costitutivo non è necessario per la loro individuazione, e pertanto rileva
soprattutto come tema di prova e non potrebbe mai rilevare come requisito di validità della domanda.A
livello di oggetto del processo e del giudicato ciò significa che il mutamento del fatto costitutivo non
comporta mutamento del diritto fatto valere e pertanto la domanda giudiziale con cui si faccia valere in un
secondo processo un diritto dello stesso contenuto, ma basato su di un fatto costitutivo diverso, sarà
domanda con cui si fa valere lo stesso diritto oggetto del primo giudicato e come tale preclusa da questo.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Lezioni di diritto processuale civile - prima parte