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Crisi di cooperazione nella privazione del titolare della situazione di vantaggio del possesso della detenzione della res


Schematicamente si può dire che nella prima ipotesi la condanna avrà per contenuto l'eliminazione degli effetti della violazione, cioè l'ordine di adempiere l'obbligo derivato di restituire.
In caso di inottemperanza dell'obbligo a questo provvedimento del giudice, il titolare del diritto potrà mettere in moto un processo di esecuzione forzata e ottenere che, tramite un terzo (nella specie l'ufficiale giudiziario), gli venga restituita la res.
La tutela giurisdizionale esplica in questo caso una funzione meramente repressiva della violazione già effettuata, e solo parzialmente riesce a dare al titolare del diritto "tutto quello e proprio quello" che egli aveva diritto di conseguire sulla base del diritto sostanziale: in particolare non riesce a dargli il godimento del bene per tutto il periodo in cui la violazione ha prodotto i suoi effetti.
Il processo, allorché interviene quando la violazione è già stata compiuta, può tutt’al più impedire che la violazione continui, ma non può certo eliminare il fatto che la violazione vi sia stata e non potrà dare al titolare del diritto le stesse utilità che avrebbe dovuto conseguire attraverso la cooperazione doverosa dell'obbligato, ma solo utilità equivalenti, cioè il risarcimento del danno.
La constatazione di questo scarto tra utilità garantite dal diritto sostanziale e utilità che riesce ad assicurare il processo, induce però a riflettere in ordine al se sia possibile limitare o impedire addirittura un simile scarto.
L'analisi delle tecniche giuridiche mostra che questa possibilità esiste; la sua realizzazione però non passa attraverso il canale del processo a cognizione piena e talvolta neanche attraverso quello dell'esecuzione forzata.
Le tecniche giuridiche su cui occorre richiamare l'attenzione possono essere ricondotte a due specie principali:
- in primo luogo, attraverso l'adozione di procedimenti a cognizione sommaria (sommari o cautelari) si possono ridurre al minimo i tempi della cognizione preliminare all'esecuzione forzata dell'obbligo derivato di restituzione: in tal modo lo scarto se non può essere mai eliminato, può essere limitato di molto;
- in secondo luogo, ove si consenta che il processo possa essere messo in moto prima che la violazione sia perpetrata, ma sin dal momento in cui essa è semplicemente minacciata (a causa ad esempio della contestazione del diritto), la tutela giurisdizionale, specie se realizzata nelle forme di processi a cognizione sommaria, potrebbe prevenire la violazione stessa impedendone l'effettuazione.
L'esecuzione di questo provvedimento non potrebbe essere garantita dalle forme dell'esecuzione forzata, poiché non è pensabile la sostituzione di un terzo all'obbligato: alla presenza di condanne concernenti ordini in futuro di non fare, l'unica forma di esecuzione possibile è costituita dalle cosiddette misure coercitive, cioè dall'inasprimento della sanzione per l'inadempimento allo scopo di stimolare l'adempimento spontaneo dell'obbligato; in tal modo lo scarto potrebbe essere pressoché eliminato ed il processo potrebbe assolvere in pieno la sua funzione strumentale.
Questi rilievi non devono condurre a concludere frettolosamente che la forma di tutela preferibile è quella indicata per ultimo, stante la sua idoneità ad eliminare lo scarto tra diritto sostanziale e processo.
È infatti opportuno rilevare che le tecniche di tutela preventiva, accanto ai vantaggi illustrati, presentano rischi notevoli soprattutto in considerazione sia delle minori garanzie offerte dai processi a cognizione sommaria rispetto a quelle offerte dei processi a cognizione piena, sia per la struttura di pena in senso tecnico delle misure coercitive.
Cosa dovrà fare allora il legislatore?
Alla presenza di una situazione di tale genere, per cui l'incisività della tutela giurisdizionale è collegata con un progressivo aumento della sua pericolosità, il legislatore dovrà individuare un punto di equilibrio fra queste due opposte esigenze.

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