La tutela c.d. costitutiva: strumento di attuazione coattiva di pretese insoddisfatte
La tutela c.d. costitutiva: strumento di attuazione coattiva di pretese insoddisfatte
In ipotesi di questa specie scompare del tutto l'elemento del "potere" di attribuire rilevanza a fatti: scompare cioè la figura del diritto potestativo, e, a livello di potere, residua solo il potere (tutto processuale, non sostanziale) di agire o no per l'attuazione coattiva della pretesa insoddisfatta a causa dell'inadempimento di obblighi consistenti nell'emanazione di dichiarazione di volontà.
La necessità di servirsi del processo non deriva affatto dalla necessità dell'intermediazione del previo accertamento del giudice per conseguire effetti ricollegati a dati fatti, ma solo (come in ogni ipotesi di pretese insoddisfatte) dalla necessità di ottenere in via coattiva tramite un terzo il bene (nella specie l'effetto della dichiarazione di volontà) che non si è riusciti a ottenere in via di adempimento spontaneo.
Il carattere "costitutivo" di tali processi non è altro che il carattere costitutivo proprio di ogni esecuzione forzata.
La peculiarità propria dell'obbligo di emanare una dichiarazione di volontà non è affatto l'infungibilità, bensì un facere il quale non consiste nel compimento di un opera materiale, per il quale solo è utilizzabile l'esecuzione forzata; di qui la predisposizione da parte del legislatore di un processo che assolva ad un tempo sia la funzione cognitiva di accertamento della pretesa sia la funzione esecutiva di attuazione coattiva tramite un terzo della pretesa stessa, cioè di attribuzione tramite il giudice all'avente diritto del bene che avrebbe dovuto conseguire a seguito dell'adempimento dell'obbligo insoddisfatto di rilasciare una dichiarazione unilaterale di volontà o di stipulare un contratto.
Ma se le cose stanno davvero in questi termini, in ipotesi di tale specie non ha senso parlare di azioni costitutive di cognizione, poiché la costitutivi tra attiene solo alla funzione esecutiva che il processo è chiamato ad assolvere.
Quanto poi all'individuazione dell'oggetto del processo e del giudicato, mi sembra che l'indagine non possa non muovere dal dato sistematico di fondo secondo cui anche l'esecuzione forzata mette capo a risultati sostanziali stabili, cioè non suscettibili di essere rimessi in discussione dall'esecutato, alla stessa stregua di come il processo di cognizione si conclude con un accertamento immutabile in ordine al diritto fatto valere in giudizio.
Se si muove da questa premessa, diviene agevole allora comprendere come oggetto del processo e del giudicato in tali ipotesi sia:
- la pretesa insoddisfatta;
- un accertamento immutabile circa l'esistenza delle situazioni soggettive di pretesa, facoltà, obbligo, soggezione che sarebbero dovute conseguire al rilascio spontaneo della dichiarazione di volontà, e che consegue in via coattiva.
A seguito dello svolgimento di un processo della specie ora in esame si avrà cioè:
- un accertamento immutabile sull'esistenza o no della pretesa fatta valere dall'attore;
- un accertamento immutabile circa l'esistenza delle situazioni soggettive di pretesa, facoltà, obbligo, soggezione che sarebbero dovute conseguire al rilascio spontaneo della dichiarazione di volontà.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto processuale civile (modulo primo), a.a. 2007/2008.
- Titolo del libro: Lezioni di diritto processuale civile
- Autore del libro: Andrea Proto Pisani
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