L'ordinanza del giudice alle parti per precisare le conclusioni che intendono sottoporre al collegio
Il giudice, a seguito della delibazione con cui anticipa in senso positivo la decisione sulla questione, emana un provvedimento in forma di ordinanza con cui invita le parti a precisare le conclusioni che intendono sottoporre al collegio.
Le conclusioni di merito devono essere interamente formulate, in quanto il collegio è investito dell'intera controversia e può risolverla anche prescindendo dalla questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito che ha occasionato la rimessione.
Se il collegio ritiene che non esiste un fatto costitutivo del diritto oppure reputa inesistente un fatto costitutivo diverso da quello che ha occasionato la rimessione o parimenti accerta come esistente un fatto impeditivo, modificativo, estintivo, pronuncia una sentenza definitiva di merito con cui chiude il processo negando l'esistenza del diritto fatto valere in giudizio.
La sentenza definitiva, emessa in questa circostanza, sarà sempre una sentenza di rigetto nel merito ed avrà attitudine ad acquisire autorità di giudicato sostanziale.
Parallelamente, ove la questione che accertata come inesistente sia una questione pregiudiziale di rito, la sentenza definitiva sarà sempre di rigetto, ma trattandosi di pronuncia di rito non avrà attitudine al giudicato sostanziale.
Qualora, al contrario, in sede decisoria si pervenga alla conclusione che il fatto costitutivo sussiste o che il fatto estintivo, modificativo, impeditivo non sussiste, il giudice dovrà emanare una pronuncia che non statuisce sul diritto fatto valere in giudizio: sentenza non definitiva di merito.
La sentenza non definitiva sarà, ovviamente, di rito se la questione rimessa al collegio e da questo risolta nel senso di non definire il giudizio era una pregiudiziale di rito.
È evidente che, qualora in fase decisoria la delibazione dell'istruttore risulti infondata in quanto il giudice ritenga la questione concretamente inidonea a chiudere il processo, si sarà verificata solo una perdita di tempo dovendo la causa tornare in fase istruttoria.
La forma di sentenza fa sì che in quel grado di giudizio non si possa più ridiscutere la questione.
Si può infine sottolineare che l'art. 279 c.p.c. individua varie ipotesi di sentenza definitiva.
Con questa espressione si fa riferimento sia al merito che al rito: sia, cioè, che si stabilisca dell'esistenza o inesistenza del diritto fatto valere in giudizio, sia che si accerti come inesistente un requisito processuale per cui non si possa procedere all'esame del merito.
Tutte le sentenze indicate nei primi tre numeri dell'art. 279 c.p.c. sono sentenze definitive:
- quelle che decidono questioni di giurisdizione, di competenza o relative ad altra questione pregiudiziale di rito astrattamente idonea a definire il giudizio nel senso del difetto del requisito processuale;
- quelle che definiscono il giudizio risolvendo una questione pregiudiziale di merito;
- quelle che definiscono il giudizio decidendo totalmente il merito.
"Definitiva" è, pertanto, una qualificazione che indica soltanto che con essa si chiude il processo davanti al giudice adito, indipendentemente dalle idoneità della pronuncia al giudicato sostanziale (che manca nella prima e sussiste nelle altre due ipotesi suindicate).
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto processuale civile (modulo primo), a.a. 2007/2008.
- Titolo del libro: Lezioni di diritto processuale civile
- Autore del libro: Andrea Proto Pisani
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