Questi ottimi appunti trattano i volumi di "Diritto del Lavoro" di Ghera e di "Solidarietà, mercato e concorrenza nel welfare italiano" di Sciarra.
Si parte da un'evoluzione storica del diritto del lavoro, si passa poi ad approfondire la disciplina sul lavoro subordinato e in generale sulle varie forme di prestazione di lavoro. Si approfondiscono i temi della retribuzione, del lavoro delle donne e dei minori, l'estinzione del rapporto di lavoro, i rapporti speciali di lavoro, la tutela del lavoratore nel mercato del lavoro.
Si passa poi ai temi legati alla solidarietà e alla concorrenza nel Welfare italiano: monopoli previdenziali, diritto comune antitrust, politiche sociali e divieti di aiuto allo Stato, libera prestazione, servizi sociali e politiche di accesso alla cura.
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano
di Stefano Civitelli
Questi ottimi appunti riassumono i volumi di "Diritto del Lavoro" di Ghera e di
"Solidarietà, mercato e concorrenza nel welfare italiano" di Sciarra.
Si parte da un'evoluzione storica del diritto del lavoro, si passa poi ad
approfondire la disciplina sul lavoro subordinato e in generale sulle varie forme
di prestazione di lavoro. Si approfondiscono i temi della retribuzione, del lavoro
delle donne e dei minori, l'estinzione del rapporto di lavoro, i rapporti speciali di
lavoro, la tutela del lavoratore nel mercato del lavoro.
Si passa poi ai temi legati alla solidarietà e alla concorrenza nel Welfare
italiano: monopoli previdenziali, diritto comune antitrust, politiche sociali e divieti
di aiuto allo Stato, libera prestazione, servizi sociali e politiche di accesso alla
cura.
Università: Università degli Studi di Firenze
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Diritto del lavoro, a.a. 2007/2008
Titolo del libro: "Diritto del Lavoro" di E. Ghera, "Solidarietà,
mercato e concorrenza nel welfare italiano" di S.
Sciarra1. Le fonti del diritto del lavoro in generale: la interrelazione tra
legge e contrattazione collettiva
Una volta abrogato l’ordinamento corporativo, l’unica particolarità sul sistema delle fonti del diritto del
lavoro degna di nota è offerta dall’art. 20781 c.c. a mente nel quale gli usi, contrariamente alla regola
generale sancita dall’art. 8 disp. prel. c.c., prevalgono sulle norme dispositive di legge se più favorevoli al
prestatore di lavoro.
Anche qui si è in presenza di una diversa e rafforzata efficacia della fonte consuetudinaria rispetto a quella
legale, ai soli fini, però, dell’integrazione degli effetti del contratto; su questo piano l’efficacia degli usi resta
naturalmente dispositiva e quindi derogabile, in ogni caso, dall’autonomia privata individuale o collettiva.
La storia del diritto del lavoro si identifica con quella delle sue fonti: l’autonomia collettiva è infatti
produttiva non soltanto di effetti diretti e perciò rilevanti sul piano dell’autonomia negoziale e
dell’ordinamento intersindacale, ma altresì di effetti indiretti rilevanti sul piano della formazione
dell’ordinamento (e perciò della politica del diritto).
Infatti, le tecniche della ricezione, della consolidazione e dell’estensione dei contenuti della contrattazione
collettiva sono tipiche della legislazione del lavoro, la quale si caratterizza sotto questo aspetto per la sua
funzione ausiliaria della contrattazione collettiva.
Peraltro, il rapporto tra legislazione e contrattazione collettiva si può sviluppare anche secondo il modello
della c.d. legislazione di sostegno dell’attività sindacale e dell’autonomia collettiva, nel quale, viceversa, è
lo sviluppo della seconda ad essere promosso per mezzo dell’intervento della prima.
Nell’ambito di tale modello, la legislazione del lavoro ha una funzione promozionale: anziché una ricezione
legislativa dei contenuti della contrattazione si ha qui, piuttosto, una incentivazione dell’autonomia
collettiva, che della contrattazione è la matrice.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 2. Storia del diritto del lavoro: la prima legislazione sociale
In cui le leggi in materia di lavoro si presentano soprattutto come norme eccezionali rispetto al diritto
privato comune.
In epoca precedente al codice civile vigente è possibile rinvenire richiami specifici più che a un sistema de
diritto del lavoro, ad una legislazione del lavoro.
Sul piano formale, la legislazione sociale si presentava in posizione eccezionale rispetto al sistema del diritto
comune, come risposta dell’ordinamento alla questione sociale sorta per effetto del processo di
industrializzazione (c.d. rivoluzione industriale).
Il codice civile del 1865, d’altra parte, non prevedeva una disciplina del contratto di lavoro.
La regolamentazione del lavoro industriale non era prevista dalla legge, poiché si riteneva che in questo
campo l’autonomia privata dovesse essere e restare sovrana.
Tuttavia, nel corso del XIX secolo, in seguito all’estendersi del processo di industrializzazione ed al
parallelo aggravarsi della questione sociale, lo Stato cominciò ad intervenire dappertutto in Europa,
introducendo una speciale legislazione e contestualmente cadevano i divieti di organizzazione sindacale.
In tal modo, alla fine del XIX secolo, di fronte al sistema del diritto civile inteso come diritto comune dei
privati, si veniva sviluppando tutta una serie di disposizioni di legge dettate in deroga ai principi del codice
civile, per proteggere il lavoratore in quanto contraente più debole nel rapporto di lavoro (c.d. legislazione
sociale).
Al metodo legislativo si accompagnava, per la tutela degli interessi di classe dei lavoratori, il metodo
contrattuale o dell’autotutela collettiva.
In Italia lo sviluppo della prassi sindacale portò la giurisprudenza all’elaborazione delle norme concernenti
la disciplina del contratto di lavoro operaio; e ciò soprattutto in seguita alla istituzione dei collegi dei
probiviri (1893).
In ciascuno di tali collegi erano costituiti un ufficio di conciliazione ed una giuria, alla quale era demandata
una funzione giurisdizionale di decisione delle controversie di lavoro tra operai e industriali, qualora non si
giungesse ad un accordo tra le parti in sede conciliativa.
In assenza di norme di legge, i giudizi dovevano essere decisi secondo equità sulla base delle regole
collettive ricavate dalla prassi (formazione extra-legislativa del diritto del lavoro).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 3. Storia del diritto del lavoro: incorporazione nel diritto privato e
codificazione del 1942
Caratterizzata dall’inserzione della disciplina delle leggi e dei contratti collettivi nell’ambito della
codificazione civile.
Successivamente, è proprio l’intervento del legislatore che si manifesta determinante per il passaggio alla
seconda fase del diritto del lavoro, caratterizzata da un’accresciuta rilevanza giuridica del fenomeno sociale
del lavoro dipendente e dalla progressiva incorporazione dei principi della sua disciplina nel sistema del
diritto privato, in posizione di diritto speciale.
Dal punto di vista formale, questo processo si è realizzato attraverso il passaggio all’inserzione del diritto
del lavoro nella codificazione unificata del diritto privato.
Mentre per il diritto commerciale si può parlare di unificazione almeno testuale con il diritto civile, per il
diritto del lavoro si può parlare soltanto di incorporazione nel diritto privato.
Infatti tale incorporazione, realizzata sul piano della tecnica legislativa, non ha fatto venir meno l’autonomia
dei principi fondamentali propri del diritto del lavoro.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 4. Storia del diritto del lavoro: la fase di costituzionalizzazione
La fase della costituzionalizzazione del diritto del lavoro: dalla tutela del contraente debole alla tutela del
cittadino sottoprotetto
Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana inizia una nuova fase nell’evoluzione storica del
diritto del lavoro, il quale si vede attribuita una rilevanza costituzionale di grado notevolmente superiore
rispetto al diritto civile e a quello commerciale.
La disciplina di istituti tipici del diritto civile o del diritto commerciale, come la locazione o il contratto di
agenzia, ha registrato modifiche sostanziali proprio a seguito delle scelte di politica legislativa introdotte
sulla base di un nuovo concetto della dignità sociale del cittadino, la cui espressione forse più saliente si
rinviene proprio nel diritto del lavoro.
E’ evidente che il carattere prevalente della normativa della materia è quello originario della protezione del
lavoratore come soggetto-contraente più debole.
Ma la tutela del soggetto-contraente debole non rappresenta più la finalità esclusiva: ad essa si aggiunge
infatti quella ulteriore e più ampia della garanzia dei diritti sociali.
Si introduce, così, il nuovo concetto secondo cui il cittadino, in quanto tale, deve essere titolare dei diritti
soggettivi idonei a realizzare l’obiettivo dell’uguaglianza sostanziale garantita dall’art. 32 cost.
In definitiva viene riconosciuta dal legislatore costituzionale la posizione soggettiva di sottoprotezione
sociale del lavoratore.
Quanto detto finora offre, altresì, una chiara attestazione del più ampio fenomeno della
“costituzionalizzazione” del diritto privato: quest’ultimo, abbandonata la tradizionale neutralità si raccorda
direttamente al modelli di sistema economico configurato dalla Costituzione, privilegiando la tutelategli
interessi dei soggetti più deboli.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 5. Storia del diritto del lavoro: i principi costituzionali e la
legislazione speciale
Nell’ambito della codificazione unificata del diritto privato, la peculiarità del diritto del lavoro, così evidente
nella Carta costituzionale, non è altrettanto marcata.
È stato questo uno degli aspetti maggiormente dibattuti dalla dottrina ed esso è all’origine di contrasti nella
giurisprudenza.
Si comprende, allora, come il processo di attuazione della Costituzione abbia dominato l’evoluzione del
diritto del lavoro nella fase del consolidamento della democrazia e dell’industrializzazione della società
italiana.
Se a ciò si aggiunge che la liberalizzazione dell’attività sindacale e della contrattazione collettiva, nella
quale è da ravvisare la maggiore caratteristica del nuovo assetto costituzionale, ha reciso le radici stesse
della rigida connessione tra la legge e il contratto collettivo, come fonti di regolamentazione eteronoma del
rapporto di lavoro contrapposta all’autonomia individuale dei privati esistente nel passato ordinamento
corporativo, è agevole comprendere come si sia pervenuti ad una progressiva erosione dell’area della
disciplina del lavoro nel codice civile ed alla sua sempre più larga sostituzione con le norme delle leggi
speciali e dei contratti collettivi.
Storicamente, se si guarda all’evoluzione del diritto del lavoro nel periodo successivo alla emanazione della
Costituzione, è possibile distinguere due linee di tendenza e quindi di politica del diritto.
La prima di esse è rivolta soprattutto all’integrazione della disciplina codicistica e quindi al perfezionamento
del sistema di tutela c.d. minimale del lavoratore come soggetto contrattualmente debole e bisognoso di
protezione.
Nella seconda, diviene prevalente l’orientamento verso una tutela più ampia del lavoratore, considerato non
più soltanto come un contraente debole nell’ottica del rapporto di scambio, ma anche nella sua duplice
qualità di soggetto inserito in un rapporto di produzione e di appartenente ad una classe o categoria
socialmente sottoprotetta.
Così intesa, la tutela non è più limitata alle condizioni minime di trattamento, ma si estende alla dignità
sociale e quindi alla persona del lavoratore, specificandosi anche come tutela contro le discriminazioni.
Sulla medesima linea si colloca poi l’ulteriore tendenza a riequilibrare a favore dei lavoratori i rapporti di
potere, non solo nell’azienda, ma nella sfera più ampia della società civile, attraverso lo strumento della
legislazione c.d. promozionale: così lo Statuto dei Lavoratori.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 6. Storia del diritto del lavoro: la crisi e la legislazione contrattata
Successivamente (già a partire dal 1975), si può individuare una nuova fase della legislazione del lavoro.
Al riguardo si è parlato di “diritto del lavoro della crisi”.
In linea generale si può dire che gli interventi legislativi, pur continuando ad avere di mira i tradizionali
obiettivi della stabilità dell’occupazione e della continuità del reddito dei lavoratori, si sono posti in misura
prevalente l’obiettivo di favorire la difesa e la crescita dei livelli di occupazione (e non, necessariamente, dei
singoli posti di lavoro) prevedendo l’estensione delle forme di impiego flessibile della forza lavoro ed
insieme l’introduzione di misure idonee ad ottenere una riduzione del tasso di inflazione attraverso il
rallentamento dei meccanismi di indicizzazione salariale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 7. Diritto del lavoro: la riforma del Titolo V della Costituzione
Gli interventi legislativi degli anni ’90 hanno rappresentato per molti aspetti un’ulteriore sviluppo della
politica del diritto del lavoro del precedente decennio, orientato verso nuovi modelli di governo delle
relazioni industriali, in parallelo con il consolidarsi delle pratiche concertative tra Governo e parti sociali,
ma anche di flessibilizzazione e snellimento burocratico del mercato del lavoro.
Inoltre sono da ricordare gli importanti interventi legislativi che, in una riconsiderazione della situazione di
sottoprotezione sociale del lavoratore, hanno mirato al rafforzamento di istituti-chiave del sistema delle
tutele nel contratto e nel rapporto di lavoro con particolare riferimento alla protezione della persona del
lavoratore e dei suoi diritti fondamentali.
Va poi segnalata, per la sua importanza, la riforma del pubblico impiego, incentrata sulla c.d.
contrattualizzazione dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni e sulla loro sottoposizione alle
norme del codice civile e delle leggi speciali.
Ancora, va osservato che molta parte dell’attività legislativa di questo decennio è stata influenzata
dall’esigenza di adeguare l’ordinamento nazionale ai vincoli e agli obiettivi derivanti dalla partecipazione
all’UE.
Questo spiega come i forti vincoli economici sul versante dell’inflazione, del deficit di bilancio e del debito
pubblico, abbiano fortemente condizionato le politiche legislative più recenti, soprattutto in materia di
previdenza sociale.
Infine, merita di essere ricordata la riforma del Titolo V della Costituzione.
Tale riforma introduce una forma di federalismo legislativo e, per quel che riguarda la nostra materia,
attribuisce “l’ordinamento civile”, nonché la “previdenza sociale”, alla competenza esclusiva dello Stato
mentre affida alla competenza concorrente tra Stato e Regioni l’”istruzione e formazione professionale”, la
“tutela e sicurezza del lavoro” e la “previdenza complementare integrativa”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 8. La crisi del modello concertativo e le politiche neo-liberiste di
flessibilizzazione del mercato del lavoro
Importanti novità hanno caratterizzato il diritto del lavoro nei primi anni del decennio in corso.
Il nuovo Governo nominato nel 2001 ha aperto la legislatura con la pubblicazione di un Libro bianco sul
mercato del lavoro in Italia.
Nel documento l’attenzione del Governo si era concentrata soprattutto sulle esigenze di una maggiore
liberalizzazione del mercato del lavoro, sulla rivalutazione del ruolo dell’autonomia individuale rispetto a
quello dell’autonomia collettiva, nella definizione delle condizioni di lavoro e sul superamento dei vincoli
derivanti dal precedente sistema di concertazione con le parti sociali.
La più significativa manifestazione del nuovo corso è senza dubbio costituita dalla normativa di riforma del
mercato del lavoro del 2003, con la quale sono state introdotte nuove figure contrattuali di lavoro c.d.
“atipico”, nonché ridisciplinate alcune delle figure contrattuali già esistenti (ad esempio, il part-time e
l’apprendistato), il tutto sempre nella prospettiva di conferire maggiore flessibilità.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 9. L’evoluzione delle politiche sociali comunitarie
Sul tema delle politiche sociali in ambito della CE, va notato che le originarie previsioni contenute nel
Trattato di Roma istitutivo della CEE hanno subito rilevanti modifiche, per effetto delle quali le politiche
sociali (alle quali era stato attribuito originariamente un rilievo marginale nel processo di instaurazione del
mercato comune europeo) hanno acquisito un’importanza centrale nella costituzione dell’UE.
Emblematici di ciò sono anzitutto l’art. 2 del Trattato CE, il quale colloca ormai tra gli obiettivi
fondamentali della Comunità “un elevato livello di occupazione e di protezione sociale”, ma soprattutto
l’art. 136 Trattato CE, dove si specifica che “la Comunità e gli Stati membri (…) hanno come obiettivi la
promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro
parificazione nel progresso,una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse
umane atto a conseguire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione”.
Un ruolo importante è stato riconosciuto all’autonomia collettiva di livello europeo.
Al riguardo, il Trattato CE riconosce al dialogo sociale, e dunque alla contrattazione collettiva di livello
europeo, la natura di vera e propria fonte formale in materia sociale: esso, infatti, prevede una procedura
obbligatoria di consultazione tra la Commissione e le parti sociali, stabilendo che a fronte di interventi in
materia di politica sociale, queste ultime possano richiedere alla Commissione di sospendere per 9 mesi la
sua azione, al fine di consentire loro la ricerca di un accordo.
Accanto al tradizione intervento operato attraverso regolamenti e direttive, la preoccupazione di rendere le
politiche sociali comunitarie il più possibile compatibili con il principio di sussidiarietà nonché di
promuovere uno sforzo di convergenza degli Stati membri su obiettivi di comune interesse, ha indotto il
legislatore comunitario a sviluppare un tipo di intervento meno autoritario e più cooperativo: la tecnica di
regolazione dei comportamenti degli Stati membri fondata sul c.d. soft-law, ovvero su una normativa di tipo
non prescrittivo che presuppone l’individuazione di obiettivi rispetto ai quali gli Stati membri vengono
sollecitati a sviluppare forme di coordinamento nelle azioni di politica attiva in materia.
Merita, poi, di essere ricordato il principio sancito dall’art. 137 par. 4 del Trattato CE, secondo cui
l’emanazione in una determinata materia sociale di una direttiva comunitaria, non osta “a che uno Stato
membro mantenga o stabilisca misure, compatibili con il presente Trattato, che prevedano una maggiore
protezione”.
Si tratta di un formale riconoscimento del favor dell’ordinamento comunitario per la conservazione di
trattamenti nazionali di maggior favore, il quale trova un’ulteriore rafforzamento nelle c.d. clausole di non
regresso, contenute in molte delle direttive sociali, in forza delle quali viene espressamente stabilito che
l’attuazione di una direttiva non può costituire giustificazione per un regresso del preesistente livello
generale di protezione dei lavoratori.
È infine da segnalare che restano ancora escluse dall’azione comunitaria alcune materie di rilievo, quali le
retribuzioni, il diritto di associazione, il diritto di sciopero e quello di serrata.
Nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, siglato a Roma nel 2004, hanno alla fine trovato
spazio, accanto ad altri diritti sociali fondamentali, anche la libertà di associazione sindacale e il diritto di
contrattazione collettiva e di sciopero.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 10. La Corte costituzionale e il suo contributo allo sviluppo del
lavoro
Un ruolo ancora significativo è da riconoscere all’attività della Corte costituzionale, rivolta ad assicurare il
costante adeguamento delle norme di legge ai principi della Costituzione.
Ai fini di un’adeguata conoscenza della disciplina del rapporto individuale di lavoro, è indispensabile
considerare come la fonte costituzionale si estrinsechi non soltanto per il tramite diretto delle disposizioni,
anche di principio, contenute nella Carta costituzionale, ma soprattutto attraverso le sentenze della Corte
costituzionale.
Queste ultime rilevano come atti produttivi dell’annullamento delle norme illegittime e
contemporaneamente attraverso il canale della c.d. interpretazione adeguatrice delle leggi ordinarie (in
sostanza, si tratta dell’uso della tecnica dell’interpretazione evolutiva tendente all’adeguamento delle norme
ai principi costituzionali).
In molti casi, la Corte costituzionale ha pronunciato sentenze esclusivamente interpretative dichiarando nel
dispositivo la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale, ma esplicando nella motivazione
della sentenza l’interpretazione in base alla quale la disposizione sottoposta a suo giudizio può essere
considerata non in contrasto con la Costituzione.
Questa particolare attività interpretativa è vincolante nel giudizio a quo ma non pone alcun vincolo di
osservanza ai giudici che si trovino in seguito ad essere investiti della cognizione di fattispecie in tutto o in
parte simili.
Diverso è il casi in cui la Corte costituzionale dichiari l’illegittimità di una o più tra le possibili
interpretazioni ricavabili dalla disposizione legislativa sottoposta al suo giudizio: in questo casi di ha la
pronuncia di una sentenza c.d. interpretativa di accoglimento, che individuando l’enunciato normativo
conforme alla Costituzione (e disponendo l’annullamento con efficacia erga omnes dell’enunciato normativo
giudicato illegittimo) modifica sostanzialmente il contenuto precettivo della disposizione, lasciando tuttavia
immutato il testo.
Sulla stessa premessa della scindibilità di uno o più enunciati normativi dal testo formulato dal legislatore si
giustificano anche le c.d. sentenza di accoglimento parziale, la cui tipologia è peraltro diversificata.
Si va dalle sentenze c.d. sostitutive, le quali eliminano una parte del testo sostituendola con un enunciato
normativo conforme alla Costituzione, alle c.d. sentenze additive, con le quali, restando invariato il testo,
viene integrata non solo la disposizione, ma anche la norma di legge al fine di porre rimedio ad
un’omissione del legislatore.
Quanto detto, mette in evidenza quale sia il contributo della giurisprudenza costituzionale nell’evoluzione
del diritto del lavoro ed in particolare delle sue fonti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 11. La collocazione del rapporto di lavoro nel Libro V del codice
civile dedicato all’impresa
Il rapporto di lavoro è regolato dagli articoli 2094 e ss. c.c. nel Titolo II, Capo I, del Libro V intitolato “Del
lavoro” e dedicato, essenzialmente, alla disciplina dell’impresa.
Questa collocazione corrisponde all’esigenza di istituire uno stretto collegamento tra l’ordinamento del
rapporto di lavoro subordinato e quello dell’impresa, secondo una prospettiva conforme all’obiettivo
perseguito dal legislatore del codice civile, il quale ha inteso realizzare l’unificazione del diritto civile con il
diritto commerciale.
Nello stesso Libro V sono collocate, accanto alle norme del Titolo II relative al lavoro nell’impresa, quelle
concernenti i rapporti di lavoro che si svolgono al di fuori dell’impresa quali il lavoro autonomo o il lavoro
domestico.
Tuttavia, il lavoro organizzato nell’impresa viene considerato come il più rilevante socialmente e come il
modello normativo tipico di rapporto di lavoro, intorno al quale si dispongono a corona i c.d. rapporti di
lavoro speciali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 12. Il codice civile del 1865: la “locazione delle opere”
In passato il lavoro subordinato non trovava una specifica ed organica regolamentazione né nel codice di
commercio del 1882 né nel codice civile del 1865.
Questo disciplinava in generale la “locazione delle opere”, nella quale erano ricompresi tanto il lavoro
subordinato (locatio operarum) che il lavoro autonomo (locatio operis).
In tale ambito, la disciplina del contratto di locazione delle opere si occupava quasi esclusivamente del
lavoro autonomo o locatio operis contemplato nelle sue forme tipiche del trasporto e dell’appalto, regolando
le obbligazioni e la responsabilità delle parti.
L’unica norme specificamente riferibile al lavoro subordinato era l’art. 1628 c.c., dove si disponeva che
“nessuno può obbligare la propria opera all’altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa”, con
ciò vietando, in sostanza, la perpetuità o la tendenziale perpetuità del contratto anche se era concordemente
ammessa la stipulazione del contratto sine die, giustificato come contratto sottoposto a disdetta.
Gli artt. 1627 e 1628 c.c. rappresentavano il punto di arrivo di una tradizione millenaria, risalente addirittura
al pensiero e all’insegnamento dei giuristi romani, secondo cui la determinazione del contenuto della locatio
operarum era lasciata alla più ampia e indiscriminata autonomia della volontà privata.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 13. Il rischio dell’utilità del lavoro e quello dell’impossibilità del
lavoro
Nella dottrina pandettistica la distinzione tra locatio operis e locatio operarum aveva rilievo al fine di
stabilire la diversa imputazione e ripartizione tra le parti dei rischi inerenti alla realizzazione della
prestazione lavorativa.
Il primo di tali rischi, detto anche rischio del lavoro, è quello incidente sull’utilità prodotta dalla prestazione
di lavoro, che incide sul risultato produttivo dell’erogazione delle energie di lavoro.
Il secondo rischio è quello dell’impossibilità (o mancanza) del lavoro, sopravvenuta per effetto del caso
fortuito o della forza maggiore eventualmente ostativi dell’esecuzione della prestazione: cioè l’alea
incidente sulla perdita totale o parziale del corrispettivo da parte del lavoratore.
Il rischio dell’impossibilità o c.d. mancanza di lavoro è sempre sopportato dal lavoratore, sia nella locatio
operis che nella operatio operarum.
Il rischio dell’utilità del lavoro è invece collegato concretamente alla variabilità economica del rendimento
delle energie di lavoro prestate dal locatore.
Questo rischio è ripartito tra i contraenti in modo diverso nella locazione d’opera e nella locazione delle
opere: nella prima è integralmente a carico del locatore o lavoratore autonomo, il quale si obbliga appunto a
prestare l’opera finita, qualunque sia il costo sopportato per ottenere il risultato futuro; nell’altra, il rischio
del risultato produttivo è a carico del conduttore o imprenditore, poiché il lavoratore subordinato si obbliga a
prestare le proprie energie di lavoro limitandosi a sopportare soltanto il rischio della mancanza di lavoro.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 14. La distinzione tra attività e risultato del lavoro e l’emersione
della subordinazione contrattuale
La distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo distingue l’attività del lavoro e il risultato del
lavoro come oggetto della locazione, rispettivamente, di opere e dell’opera.
Ma, per quanto apparentemente chiara e netta, la distinzione tra attività e risultato del lavoro in realtà è
ambigua.
Essa, infatti, se da un lato mette in rilievo la sostanziale identità dell’oggetto della prestazione (che è sempre
il bene economico della forza-lavoro), dall’altro ne differenzia la natura secondo la diversa imputazione del
rischio (dell’utilità o produttività) del lavoro, senza nulla dire intorno al contenuto oggettivo-funzionale
delle due specie di obbligazioni.
Si spiega così il successivo ricorso al criterio della subordinazione o dipendenza verso il conduttore, nel
quale viene identificato il connotato socialmente tipico della locatio operarum.
Si perviene così attraverso l’utilizzazione della categoria della locazione delle opere, ad estendere ai
lavoratori subordinati la disciplina dell’antica locazione di cose ed in tal modo si fa maturare gradualmente
il distacco del contratto di lavoro subordinato dall’originario tronco comune anche ai differenti tipi di
contratto di lavoro autonomo.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 15. La subordinazione: sottoposizione del lavoratore al datore di
lavoro
Secondo le leggi sociali di fine XIX secolo, il fenomeno della subordinazione del lavoratore da un padrone o
sorvegliante veniva individuato in chiave prevalentemente descrittiva sulla base del collegamento tra la
prestazione e l’azienda industriale: si parla, così, di operai addetti “agli opifici industriali”, nonché
all’esercizio delle miniere, alle imprese di trasporto, ecc…
È dunque evidente la tendenza alla progressiva sostituzione alla nozione di locatio operarum di quella più
moderna di contratto di lavoro subordinato.
Va tuttavia notato come nella legislazione del periodo esaminato fosse assente una definizione positiva della
subordinazione.
Piuttosto, è stata la giurisprudenza, in particolare quella dei probiviri, ad utilizzare praticamente la nozione
del rapporto di servizio come criterio distintivo dell’obbligazione del lavoratore a sottoporsi alle
determinazioni dell’imprenditore per ciò che concerne sia l’organizzazione del lavoro sia la disciplina
aziendale.
In questi termini la subordinazione tendeva ad identificarsi con il comportamento dovuto dal lavoratore in
attuazione della propria obbligazione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 16. La legge sull’impiego privato del 1924 e il codice civile del 1942
In una prospettiva analoga si colloca anche il legislatore del codice civile del 1942 e, prima ancora, della
legge sul contratto di impiego provato e/o lavoro non prevalentemente manuale (r.d.l. 1825/24).
Quest’ultimo, infatti, ha ravvisato nell’attività professionale e nell’esercizio di mansioni di collaborazione
c.d. fiduciaria, intesa cioè come svolgimento di funzioni continuative di amministrazione e di fiducia
nell’azienda, il connotato specifico della subordinazione dell’impiegato.
Nel codice civile il legislatore ha ripreso il concetto della collaborazione per precisare quello della
subordinazione: l’art. 2094 c.c. identifica la collaborazione con lo scopo o, meglio, con il risultato tecnico-
funzionale della prestazione di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.
Se l’art. 2094 c.c. viene inserito nel sistema normativo introdotto dalla Costituzione ed ispirato a principi
profondamente diversi da quelli corporativi, l’elemento della collaborazione si può ritenere tuttora attuale.
In questo senso ampio può dirsi che la collaborazione è l’espressione storicamente datata della funzione
organizzativa assegnata dal legislatore al contratto di lavoro; e perciò delle finalità di realizzare
l’integrazione dell’attività prestata dai collaboratori nell’impresa, intesa come organizzazione del lavoro.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 17. La distinzione tra il contratto di lavoro subordinato ed il
contratto di lavoro autonomo (artt. 2094 e 2222 c.c.)
L’evoluzione storica sottolinea la continuità esistente tra la nozione moderna del contratto di lavoro e quella
tradizionale della locatio operarum, ma dimostra altresì come l’alternativa tra risultato ed attività del lavoro
sia stata progressivamente sostituita da quella tra autonomia e subordinazione della prestazione resa dal
lavoratore.
Il concetto di subordinazione si ricava direttamente e testualmente dell’art. 2094 c.c.
Questo fornisce la definizione di prestatore di lavoro subordinato, qualificando come tali colui che si obbliga
a collaborare all’impresa prestando il proprio lavoro manuale o intellettuale alle dipendenze e, perciò, sotto
la direzione dell’imprenditore.
Questo concetto della subordinazione tecnico-funzionale è riaffermato in negativo anche dalla norma
dell’art. 2222 c.c. che definisce il contratto d’opera mettendo in rilievo l’assenza del vincolo della
subordinazione.
D’altra parte, il concetto di subordinazione si presenta sostanzialmente ambiguo già sul piano empirico e
sociologico.
Da qui l’esigenza di precisare il ruolo e quindi la rilevanza della subordinazione del prestatore nel rapporto
di lavoro.
In questa prospettiva, la subordinazione è stata identificata con la dipendenza o sottoposizione del debitore
al potere del creditore del lavoro e, in particolare, all’autorità dell’imprenditore.
In questo modo, però, la subordinazione si identifica con il contenuto tipico dell’obbligazione di lavoro: si
tratta, infatti, della definizione del comportamento solutorio del debitore di fronte al creditore del lavoro e si
configura perciò come un elemento esterno all’oggetto della prestazione.
Al riguardo, non sembra possibile ritenere la struttura dell’obbligazione di lavoro autonomo diversa da
quella di lavoro subordinato: in entrambi i casi, infatti, oggetto dell’obbligazione è il lavoro come
prestazione di facere e quindi di attività personale economicamente utile.
L’elemento differenziale è dato proprio dall’assenza del vincolo della subordinazione, per cui è diverso
l’oggetto della prestazione: questa nel contratto d’opera è un facere finalizzato al compimento di un’opera o
di un servizio con l’attività prevalentemente personale del lavoratore; viceversa, nel lavoro subordinato il
facere è finalizzato alla collaborazione e cioè all’utilizzazione dell’attività del debitore, il quale è obbligato a
mettere le proprie energie od opere a disposizione del creditore e della sua organizzazione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 18. I contratti di lavoro autonomo: il contratto d’opera
Proprio la finalizzazione al risultato dell’opera finita è il connotato tipico che contraddistingue la categoria
dei contratti di lavoro autonomo.
Nel sistema del codice tale categoria comprende, oltre al contratto d’opera previsto dall’art. 2222 c.c., che si
pone quale fattispecie generica e residuale, quattro figure fondamentali:
- l’appalto;
- il trasporto;
- il deposito generico;
- il mandato e le sue sottospecie (commissione, spedizione e agenzia).
In tutte le ipotesi di lavoro autonomo la prestazione tende al risultato dell’opera finita o, più in generale, al
risultato economico dell’attività organizzata dal debitore, mentre nel lavoro subordinato il risultato è
costituito dall’attività del debitore in se stessa e quindi di quella messa a disposizione dell’organizzazione
del creditore.
Vale la pena di aggiungere che un vincolo, avvicinabile alla subordinazione, di sottoposizione del debitore
all’ingerenza del creditore nell’esecuzione della prestazione si può avere nel contratto d’opera come negli
altri contratti di lavoro autonomo: il committente, infatti, può stabilire nel contratto le condizioni per
l’esecuzione dell’opera pattuita, fissando altresì unilateralmente il termine entro il quale il prestatore è
tenuto a conformarsi alle stesse, pena il recesso per giusta causa ed il diritto del committente al risarcimento
del danno.
Carattere comune di queste obbligazioni di lavoro autonomo è, peraltro, la coesistenza dell’ingerenza o
direzione del committente con l’esecuzione dell’opera a rischio del prestatore o appaltatore: diversamente
dal lavoratore subordinato, il lavoratore autonomo può essere vincolato alla direzione ma non può essere alle
dipendenze del committente.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 19. La causa del contratto: la collaborazione e la sua relazione d
scambio con la retribuzione
Nel contratto di lavoro subordinato, come negli altri contratti tipici, la funzione o causa è individuata in
astratto dal legislatore il quale la identifica nello scambio tra le obbligazioni del prestatore e del datore di
lavoro e dunque tra la collaborazione e la retribuzione.
La subordinazione, invece, può essere definita come l’effetto giuridico essenziale del contratto: essa si
identifica con la prestazione di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore ed insieme si
presenta come il contenuto del vincolo obbligatorio (e quindi della situazione soggettiva).
Nella struttura dell’obbligazione di lavoro, l’elemento oggettivo è rappresentato non dalla subordinazione
ma dalla collaborazione.
Questa sottolinea l’importanza dell’aspettativa del creditore al risultato della prestazione.
Non si tratta del risultato finale dell’organizzazione produttiva nel suo complesso, ma del risultato
dell’attività prestata dal lavoratore nell’adempimento della sua obbligazione.
La collaborazione nell’impresa si identifica, insomma, con lo scopo tipico della prestazione e quindi con la
stessa causa individuatrice del tipo negoziale del contratto di lavoro subordinato.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 20. La continuità o disponibilità nel tempo della prestazione di
lavoro
Da quanto precede viene in evidenza l’identificazione almeno tendenziale della subordinazione, finalizzata
al risultato della collaborazione, con l’inserzione del prestatore di lavoro nell’organizzazione dell’impresa e,
in definitiva, con la continuità o disponibilità nel tempo della prestazione di lavoro verso il datore, nella
quale è da ravvisare l’essenza del vincolo della subordinazione tecnico-funzionale.
Intesa come disponibilità al coordinamento della prestazione nello spazio e nel tempo, la continuità qualifica
la subordinazione come dipendenza dal controllo dell’imprenditore.
Tale disponibilità si identifica in concreto con la persistenza nel tempo dell’obbligo primario di prestazione
e degli obblighi secondari che lo integrano e da essa discende, tra l’altro, che il prestatore di lavoro
subordinato resta obbligato anche durante le pause interruttive (intervalli giornalieri, riposi e ferie)
dell’esecuzione, pur non essendo tenuto alla stessa.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 21. Collaborazione e subordinazione nella giurisprudenza
Questa ricostruzione trova riscontro nell’insegnamento della giurisprudenza, la quale è solita indicare nei
quattro requisiti dell’onerosità, della collaborazione, della continuità e della subordinazione, gli elementi
costitutivo della fattispecie tipica del rapporto di lavoro subordinato; e ne precisa altresì il contenuto facendo
riferimento ad una pluralità di elementi non tutti esplicitamente indicati dal legislatore: l’oggetto della
prestazione, identificato non con il risultato prodotto dal lavoratore ma con l’applicazione delle energie
lavorative e quindi con l’attività stessa da lui messa a disposizione del creditore; la collaborazione intesa
come inserzione del lavoratore nell’organizzazione produttiva dell’impresa; la continuità ideale e cioè come
durata nel tempo del vincolo di disponibilità funzionale del lavoratore all’impresa; l’incidenza del rischio
dell’attività lavorativa, e quindi dell’organizzazione, sul datore di lavoro.
Questi criteri di qualificazione non sono tuttavia sufficienti.
La loro applicazione viene infatti integrata dalla stessa giurisprudenza mediante l’utilizzazione di una
molteplicità di criteri o c.d. indici empirici per la distinzione sul piano concreto tra fattispecie di lavoro
autonomo e fattispecie di lavoro subordinato.
In particolare l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di
lavoro, che si estrinseca nell’emanazione di ordini specifici e nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza
e controllo sull’esecuzione della prestazione.
Da tale assoggettamento deriva una limitazione dell’autonomia del lavoratore ed il suo inserimento
nell’organizzazione aziendale.
Tuttavia vanno utilizzati in via sussidiaria elementi quali l’assenza del rischio, la continuità della
prestazione, l’osservanza di un orario e la cadenza e la misura fissa della retribuzione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 22. La tesi della subordinazione come situazione di soggezione
socio-economica: critica
Quanto si è detto conferma come la subordinazione vada ricostruita quale situazione soggettiva tipica del
contratto individuale di lavoro ed emergente dal suo interno.
Non si può quindi condividere l’indirizzo dottrinale che configura la subordinazione non come vincolo
obbligatorio nascente dal contratto, ma come un presupposto economico-sociale del rapporto, derivante
dalla situazione di debolezza contrattuale del lavoratore, necessitato dalle esigenze di vita ad offrire la
propria forza-lavoro.
Infatti, non vi è coincidenza tra subordinazione e condizione di alienazione rispetto alla proprietà o controllo
dei mezzi di produzione.
Se si può ammettere che la posizione di inferiorità economica del lavoratore ne condizioni l’autonomia
contrattuale e ne caratterizzi la posizione sociale, tale effetto condizionante non è sempre e nella stessa
misura generatore di disuguaglianza effettiva, in quanto non è omogeneamente distribuito all’interno della
classe dei lavoratori; né può essere confuso con la subordinazione del prestatore di lavoro al potere di
direzione e organizzazione dell’impresa.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 23. La nozione di parasubordinazione
Su queste premesse si può concludere che non la situazione di sottoprotezione sociale, ma la collaborazione
del prestatore nell’impresa qualifica la subordinazione come vincolo finalizzato all’obiettivo
dell’organizzazione del lavoro sotto il controllo e la responsabilità dell’imprenditore e funge da criterio per
l’identificazione della causa del contratto.
Se si può convenire in linea generale che l’inserzione nel prestatore nell’organizzazione aziendale è un
sicuro indice presuntivo della sussistenza della collaborazione, non si può dire che tale presunzione abbia
valore assoluto e che collaborazione e subordinazione siano la necessaria conseguenza dell’inserzione
nell’azienda.
In effetti, l’inserzione del prestatore nell’organizzazione aziendale si può avere sotto forma di
collaborazione coordinata e continuativa anche nel lavoro autonomo.
L’art. 409 n°3 c.p.c. ha disposto l’equiparazione dei rapporti di lavoro autonomo al rapporto di lavoro
subordinato limitatamente alla disciplina processuale e della composizione anche stragiudiziale delle
controversie di lavoro, quando la prestazione d’opera si presenti caratterizzata da un’attività
prevalentemente personale, continuativa e coordinata ma non subordinata di collaborazione ad un’impresa.
Tutte le volte che il lavoro autonomo si presenta finalizzato alla produzione di un risultato o di una sequenza
di risultati integrati stabilmente nell’attività del committente, anche il contratto d’opera, nonostante sia
qualificato proprio per l’assenza del vincolo della subordinazione, si caratterizza sul piano economico e
giuridico per la sua funzione di durata e, in specie, per una prestazione rivolta al soddisfacimento di un
interesse durevole del creditore.
In definitiva, nel contratto di lavoro coordinato, ma non subordinato (c.d. parasubordinato) viene soddisfatto
un interesse dell’imprenditore che si può dire continuativo sul piano della reiterazione nel tempo delle
singole prestazioni di risultato, ma non sul piano della programmazione o coordinamento nello spazio e nel
tempo dell’attività e quindi della disponibilità del lavoratore.
Proprio i tratti caratteristici delle collaborazioni coordinate e continuative hanno avviato un processo
legislativo di graduale estensione dello statuto protettivo del lavoro subordinato.
Tale processo è culminato, da ultimo, nella previsione della figura della collaborazione coordinata e
continuativa “a progetto”, dotata di una particolare disciplina.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 24. L’utilità e l’attuale significato della distinzione tra lavoro
subordinato e lavoro autonomo
A questo punto può essere utile interrogarsi sull’attuale significato della tradizionale distinzione tra locatio
operis e locatio operarum.
Ormai non si tratta più di distinguere due sottotipi nell’ambito unitario del contratto di locazione, ma di
delimitare l’ambito della disciplina di due contratti la cui funzione economica e sociale è diversa e che,
soprattutto, hanno una regolamentazione molto differenziata.
Il rapporto di lavoro subordinato è il presupposto per l’applicazione e, prima ancora, per l’identificazione
dello statuto protettivo del lavoratore subordinato, e perciò si comprende come il lavoratore abbia interesse
ad agire anche sul piano giudiziario per domandare il riconoscimento del vincolo della subordinazione, dal
quale discende tutta una serie di effetti diretti e indiretti.
Si possono definire effetti diretti quelli destinati a incidere sul contenuto del rapporto e, perciò, sul
regolamento contrattuale: tali le condizioni della prestazione e della remunerazione del lavoro.
Si possono definire effetti indiretti quelli destinati a incidere sui presupposti e sulle conseguenze della
costituzione del rapporto di lavoro, dalla cui esistenza deriva una serie collegata ma distinta di situazioni
soggettive esterne, di rilevanza previdenziale oppure di rilevanza amministrativa e perfino penale, come
avviene per la sicurezza del lavoro.
Tutto questo spiega come l’identificazione della natura del rapporto venga a rivestire un ruolo di grande
importanza ai fini concreti della tutela del lavoratore.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 25. Il rapporto di previdenza sociale: il sistema previdenziale
Tra i più rilevanti effetti indiretti derivanti dalla costituzione del rapporto di lavoro subordinato va
annoverata la costituzione obbligatoria del c.d. rapporto di previdenza sociale, intercorrente tra due soggetti
del rapporto di lavoro e gli enti previdenziali.
L’origine di questa legislazione va inquadrata nell’ambito della problematica del rischio professionale
dell’imprenditore.
La dottrina, traendo spunto dalla norma del codice civile del 1865 che stabiliva la presunzione assoluta di
colpa dell’imprenditore nei confronti dei terzi per il fatto dei dipendenti, aveva elaborato una costruzione
teorica in base alla quale anche il rischio degli infortuni sul lavoro doveva gravare necessariamente
sull’imprenditore a titolo di responsabilità oggettiva.
Il passo successivo, tenuto conto della scarsa efficacia pratica dello strumento della responsabilità senza
colpa, è stato il ricorso all’istituto dell’assicurazione obbligatoria: in virtù di tale meccanismo l’imprenditore
viene esonerato dalla responsabilità civile in cambio del versamento di un premio assicurativo che si
aggiunge alla retribuzione (c.d. salario previdenziale).
Il medesimo sistema assicurativo è stato in seguito utilizzato per far fronte ad altre situazioni di bisogno
collegabili alla posizione di sottoprotezione del lavoratore nella società (c.d. rischio sociale), con
contribuzione di solito posta anche a carico dei lavoratori, benché in misura minore.
Si può affermare tuttavia che, benché nel sistema di previdenza sociale sia tutt’ora utilizzato lo schema
assicurativo, questo presenti scostamenti, talora notevoli, rispetto alle assicurazioni di carattere privatistico.
Innanzi tutto, vige il principio di automaticità delle prestazioni in virtù del quale le prestazioni sono dovute
dall’istituto assicuratore in tutti i casi in cui l’evento assicurato si verifichi, indipendentemente dal concreto
versamento dei contributi da parte dell’imprenditore.
Nella fase attuale, le assicurazioni sociali intervengono a garanzia più o meno estesa del reddito del
lavoratore tutte le volte che la sua capacità di lavoro, e quindi il guadagno, sia menomata in conseguenza di
eventi collegati non solo agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, ma anche alla malattia
comune, alla maternità, all’invalidità, alla vecchiaia e alla morte.
Alla base dell’intervento assicurativo vi è la valutazione, secondo parametri generali, della situazione di
bisogno in cui versa il lavoratore o la sua famiglia.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 26. Le pensioni di anzianità e vecchiaia
Un cenno a parte merita il sistema delle pensioni di anzianità e vecchiaia.
Per questo istituti vige un sistema c.d. a ripartizione, in base al quale la copertura finanziaria per
l’erogazione delle pensioni è assicurata dai contributi dei lavoratori in servizio.
Questo sistema, tuttavia, è entrato in crisi nel corso degli anni, soprattutto a causa dell’invecchiamento della
popolazione: al progressivo aumento del numero dei pensionati è corrisposta una diminuzione del numero
degli occupati, con la conseguenza che il finanziamento delle pensioni di anzianità e vecchiaia, fondato
come si è detto sul versamento dei contributi da parte della forza-lavoro attiva, si rivela insufficiente.
Tutto questo ha condotto alla revisione dell’intera materia avvenuta con la l. 335/95, la quale ha sostituito al
sistema retributivo di calcolo dei trattamenti pensionistici, un sistema c.d. contributivo, anche se impostato
ancora sul regime tecnico-finanziario a ripartizioni.
Il nuovo sistema è sostanzialmente simile a quello tipico delle assicurazioni ed assicura un trattamento
pensionistico calcolato sull’ammontare dei contributi versati nel corso della vita lavorativa, salvo alcuni
correttivi che tendono ad assicurare una maggiore equità sociale.
La legge di riforma delle pensioni ha introdotto un sistema più vicino a quello assicurativo per quanto
attiene ai meccanismi di calcolo delle pensioni di vecchiaia, tuttavia l’insieme dei trattamenti previdenziali
si può dire ancora ispirato al concetto di sicurezza sociale e fondato sulla solidarietà sociale.
Proprio l’utilizzazione del concetto di sicurezza sociale spiegala tendenza ad attribuire un trattamento
previdenziale anche ai lavoratori autonomi e ai piccoli imprenditori.
Ciò non può cancellare le differenze tra i due tipi di tutela previdenziale: soltanto nel lavoro subordinato si
ha la traslazione del rischio sociale dal prestatore al datore e il rapporto previdenziale si può configurare
quale effetto indiretto del contratto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 27. Il lavoro gratuito ed il volontariato
Come si è visto, la struttura del rapporto di lavoro è articolata intorno alle due obbligazioni fondamentali
della retribuzione da un lato e dell’attività lavorativa dall’altro.
Questo nesso di corrispettività (o sinallagma) conferisce al contratto di lavoro la sua fisionomia di contratto
tipicamente oneroso.
Tuttavia, una prestazione di lavoro può essere ricondotta ad un contratto caratterizzato dall’intento di
obbligarsi gratuitamente e finalizzato a un interesse meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.
Da ciò deriva che il contratto di lavoro gratuito è lecito ma innominato: cioè non si tratta dello stesso
contratto previsto e disciplinato dagli artt. 2094 e ss. c.c., ma di un contratto avente causa e quindi natura
diversa.
È opportuno sottolineare che la prestazione gratuita può dar luogo a forti sospetti di frode alla legge, ma ciò
non basta a far ritenere che il contratto di lavoro gratuito sia immeritevole di tutela giuridica.
Vi sono, poi, organizzazioni a scopo benefico o solidaristico, oppure ideologico e di tendenza (partiti,
giornali, sindacati, ecc…) che si avvalgono di prestazioni gratuite.
In simili casi la prestazione sembra configurare una sorta di obbligazione naturale finalizzata a una
collaborazione dalla quale è assente il vincolo della subordinazione tecnico-funzionale.
Al lavoro gratuito può essere avvicinato anche il c.d. volontariato.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 28. Il lavoro familiare e l’impresa familiare prevista dall’art. 230 bis
c.c.
Un’ipotesi a sé è quella del lavoro familiare: in simili casi la prestazione di lavoro, non essendo dovuta in
forza di un vincolo obbligatorio, ma resa spontaneamente nell’adempimento di un dovere familiare, è
assimilabile ad una prestazione gratuita.
Tuttavia, l’art. 230 bis c.c. sembra considerare il lavoro prestato in modo continuativo nell’ambito della
famiglia o dell’impresa familiare come un rapporto di tipo associativo: all’attività del lavoro del familiare
non corrisponde soltanto il diritto al mantenimento, ma altresì quello ad una vera e propria partecipazione
agli utili dell’impresa in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Con queste disposizioni si è almeno in parte superata la tradizionale presunzione di gratuità del lavoro
familiare.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 29. La nozione di prestazione di lavoro nei contratti di società,
associazione in partecipazione e amministratori di società
La distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato non esaurisce le possibili forme di organizzazione
del lavoro.
Infatti la prestazione di lavoro può essere offerta e impiegata utilizzando modelli contrattuali non solo
innominati (come quelli del lavoro gratuito e del lavoro volontario) ma anche nominati.
Sotto quest’ultimo profilo una particolare considerazione meritano le ipotesi in cui un’obbligazione di facere
finalizzata alla collaborazione nell’impresa venga inserita nello schema tipico dei contratti associativi.
Simili rapporti di lavoro c.d. associativi, non sono riconducibili alla figura tipica del contratto di lavoro
subordinato in quanto è assente l’elemento causale dello scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione;
tuttavia, sotto il profilo economico presentano una situazione di sottoprotezione sociale del prestatore di
lavoro associato a quella solitamente riferibile al lavoratore subordinato.
Tale obiettivo può essere perseguito attraverso il conferimento in società di una prestazione d’opera (c.d.
socio d’opera).
L’obiettivo di cointeressare il lavoratore ai risultati dell’impresa può essere perseguito altresì utilizzando lo
schema dell’associazione in partecipazione, in cui la gestione spetta all’associante, mentre l’associato
partecipa agli utili verso il corrispettivo di un determinato apporto che può consistere anche in un’attività
lavorativa.
Queste figure sono degne di nota per la loro contiguità rispetto al lavoro c.d. parasubordinato o addirittura
subordinato.
Quanto al primo, essendo normalmente caratterizzate da un’inserzione del lavoratore nell’organizzazione
produttiva dell’impresa sembrano da ricomprendere nell’area della collaborazione personale coordinata e
continuativa (o c.d. lavoro parasubordinato).
Quanto al secondo, ai fini della distinzione tra rapporto associativo e lavoro subordinato, è da ritenere
decisivo, in applicazione dei criteri generalmente utilizzati dalla giurisprudenza, non il nomen dichiarato ma
il contenuto e lo svolgimento effettivo del rapporto.
Nel quadro della distinzione tra rapporto di lavoro e contratto di società si colloca infine la fattispecie del
lavoro degli amministratori di società, i quali possono essere o meno soci, ma che sono in ogni caso titolari
di un rapporto organico con la società e la cui posizione può coesistere con un rapporto di lavoro
subordinato alle dipendenze della stessa società.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 30. Le cooperative di produzione e lavoro: il socio lavoratore
Proseguendo l’esame dei rapporti di lavoro associato, viene in rilievo il lavoro dei soci delle cooperative di
produzione e lavoro.
La l. 142/2001 ha inteso, per quanto possibile, assimilare la posizione del socio lavoratore a quella del
prestatore di lavoro subordinato.
La nuova legge fa riferimento alle cooperative nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la
prestazione di attività lavorativa da parte del socio e su tale premessa definisce la figura del socio lavoratore,
investendolo della titolarità di due rapporti: uno associativo e l’altro di lavoro con la stessa cooperativa.
Il socio lavoratore, oltre a partecipare alla gestione ed al rischio di impresa, mette a disposizione della
cooperativa la propria capacità professionale.
In analogia con il principio di retribuzione sufficiente applicabile ai lavoratori subordinati, le cooperative
sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla
quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe,
dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria.
Alle cooperative di lavoro si avvicinano le cooperative sociali.
Tali cooperative hanno il fine prioritario di perseguire l’interesse generale della comunità “alla promozione
ed all’integrazione sociale dei cittadini attraverso la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi, nonché lo
svolgimento di attività economiche finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 31. La disciplina del contratto e del rapporto di lavoro
Nella disciplina dettata dal codice civile il profilo del rapporto prevale su quello del contratto di lavoro
subordinato.
L’esecuzione del contratto e la concreta attuazione delle obbligazioni che scaturiscono dal rapporto di
lavoro, di solito non è demandata all’autonomia negoziale dei contraenti, poiché la legge si preoccupa di
imporre direttamente o indirettamente, attraverso il rinvio alle norme dei contratti collettivi, tutta una serie di
precise limitazioni al contenuto del contratto e, ancor più, ai comportamenti delle parti nella esecuzione
dello stesso.
In definitiva, la legge disciplina il rapporto nel suo svolgimento effettuale mentre l’accordo delle parti, pur
presente e indispensabile, viene compresso da una serie di limiti sia legali sia convenzionali (questi ultimi
provenienti dall’autonomia collettiva).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 32. La fonte contrattuale del rapporto di lavoro
In merito alla natura contrattuale del rapporto di lavoro, il cui contenuto (e cioè il regolamento contrattuale)
è determinato in grandissima misura dalla legge e dai contratti collettivi, cioè da fonti estranee e
sovraordinate all’autonomia contrattuale individuale.
Tuttavia queste considerazioni non possono portare alla conclusione dell’acontrattualità del rapporto di
lavoro.
La disciplina del rapporto è una disciplina inderogabile che, però, non ha natura strettamente imperativa
potendo essere in ogni momento derogata dall’autonomia privata, anche se soltanto con disposizioni di
favore per il lavoratore.
L’inderogabilità del regolamento non è elemento decisivo per escludere la natura contrattuale di un rapporto.
Nel caso del rapporto di lavoro, la fonte rimane pertanto il contratto, anche se si deve tenere conto
dell’esistenza di rapporti di lavoro costituiti coattivamente (ad esempio l’assunzione obbligatoria).
Anche in questi casi anomali la disciplina non prevede l’eliminazione del contratto, pur se la sua
conclusione e il suo contenuto sono imposti in forza della legge.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 33. L’inderogabilità del regolamento contrattuale imposto dalla
legge
I limiti imposti all’autonomia negoziale nel rapporto di lavoro subordinato e sanciti a pena di nullità dai patti
contrari mirano infatti a realizzare l’effetto dell’inderogabilità del regolamento contrattuale, in virtù del
quale le clausole volute dai contraenti in difformità dai precetti delle norme imperative di legge sono dalle
stesse sostituite di diritto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1419 c.c.
Tutto ciò avviene in considerazione della tutela inderogabile degli interessi del lavoratore.
Tale disciplina imperativa è caratterizzata dall’unilateralità o flessibilità verso l’alto che le deriva dalla
validità dei patti più favorevoli al prestatore (c.d. inderogabilità in pejus) introdotti dall’autonomia
individuale o collettiva.
In conclusione, merita di essere ricordata la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali, le cui disposizioni si applicano anche per quanto attiene alle obbligazioni derivanti
da un contratto di lavoro.
In caso di mancanza di scelta delle parti contraenti, esso è regolato:
dalla legge del Paese nel quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro;
dalla legge del Paese in cui si trova la sede che ha proceduto all’assunzione del lavoratore, qualora questo
non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso Paese.
Ciò sempre che non risulti “dall’insieme delle circostanze” che il contratto di lavoro presenti un
collegamento più stretto con un altro Paese, nel qual caso si applicherà la legge di quest’ultimo.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 34. Autonomia privata e tipo contrattuale
Su queste premesse, anche il problema dell’interpretazione del contratto e della qualificazione del rapporto
come di lavoro subordinato o autonomo, viene a collocarsi sul terreno dell’autonomia contrattuale.
In pratica sarà necessario accertare se dall’intenzione comune dei contraenti risulti o meno la volontà di
stabilire un rapporto di lavoro subordinato oppure autonomo.
Tuttavia è noto che nella pratica si perviene all’interpretazione del contratto di lavoro muovendo più che
dalla volontà dichiarata dalle parti, soprattutto dalla rilevazione della situazione materiale determinata dal
loro comportamento, cioè dal rapporto considerato nella fase della sua attuazione.
Di qui l’esigenza di orientare l’indagine rivolta all’interpretazione e alla successiva qualificazione del
rapporto di lavoro, al comportamento tenuto dai contraenti anche posteriore alla conclusione del contratto.
In questo modo, la sottoposizione del lavoratore al potere organizzativo e di controllo viene in rilievo non
soltanto come comportamento esecutivo del vincolo obbligatorio, ma altresì come comportamento dotato di
valore presuntivo sul piano negoziale (e cioè dell’accertamento della volontà contrattuale) ai fini
dell’individuazione della causa.
In pratica, essa rileva come indicatore, sul piano della realtà sociale, della ricorrenza in concreto della figura
del lavoratore subordinato.
La prevalenza del momento attuativo del rapporto sul momento dichiarativo dell’accordo è la conseguenza
della compressione dell’autonomia individuale: di qui il collegamento tra il tipo legale (o normativo) del
contratto e la disciplina imperativa del rapporto o statuto protettivo del lavoratore come persona o come
contraente debole.
In questo modo, il contratto di lavoro sembra distaccarsi dal modello civilistico del contratto, nel quale
l’autonomia contrattuale include anche la scelta del tipo negoziale preferibile dalle parti, oppure la
costituzione di un contratto atipico purché l’interesse perseguito sia meritevole di tutela.
Viceversa, nel contratto di lavoro, alla volontà delle parti è inibito separare la subordinazione dallo statuto
protettivo.
Proprio perché essa non può essere separata dal tipo legale del contratto di lavoro subordinato, che
diversamente dagli altri tipi legali quale tipo o modello rigido di regolamento imperativo di interessi, si parla
in proposito d’indisponibilità del tipo legale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 35. Il principio del favor
Il principio dell’inderogabilità del regolamento contrattuale si combina con il principio della prevalenza del
trattamento più favorevole al lavoratore (c.d. favor), lasciando all’autonomia privata individuale soltanto la
possibilità di stabilire patti o clausole, anche taciti, migliorativi dei trattamenti normativi ed economici
fissati dal contratto collettivo applicabile; è questo il caso, tra gli altri, dei c.d. usi aziendali.
Un ridimensionamento di questi principi di tutela della debolezza contrattuale del lavoratore si può tuttavia
ravvisare in determinate ipotesi normative introdotte dalla c.d. legislazione della flessibilità, nelle quali
all’autonomia collettiva è riconosciuto il potere di introdurre modifiche sfavorevoli in via regolamentare
oppure di controllo (e cioè autorizzando accordi individuali deteriori), in funzione delle esigenze
dell’occupazione e dell’impresa.
Si può quindi ritenere che, anche in difetto di una statuizione testuale, le norme imperative poste a tutela
degli interessi del prestatore di lavoro siano dotate della efficacia inderogabile, disposta attraverso il
meccanismo della sostituzione automatica di diritto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 36. L’art. 2126 c.c. e la c.d. inefficacia dell’invalidità del contratto
Per quel che riguarda l’invalidità del contratto di lavoro, la disciplina dettata dal codice civile per la
generalità dei contratti deve essere integrata con quella posta dall’art. 2126 c.c.
La norma dispone che “la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetti per il periodo
in cui il rapporto ha avuto esecuzione”.
Sul presupposto dell’irripetibilità delle prestazioni di lavoro già eseguite, la norma sancisce l’irretroattività
delle vicende tendenti all’eliminazione del negozio invalido.
In definitiva, dall’esecuzione del contratto invalido (c.d. prestazione di fatto) deriva non la costituzione del
rapporto di lavoro ma soltanto la conservazione degli effetti del rapporto posto in essere in attuazione del
contratto il quale, pertanto, funge, nonostante la sua invalidità e perciò in via eccezionale, da fonte del
rapporto obbligatorio.
Viceversa, non appare riconducibile all’art. 2126 c.c. l’ipotesi della prestazione di fatto di natura
extracontrattuale.
Si tratta di casi in cui la prestazione viene eseguita allorché la controparte non venga a conoscenza del fatto
che il lavoratore presta il proprio lavoro o, addirittura, manifesti la propria volontà contraria.
Nell’ipotesi ora considerata la giurisprudenza, al massimo, riconosce al lavoratore, ove ne ricorrano gli
estremi, l’azione di ingiustificato arricchimento.
Occorre ancora segnalare che lo stesso art. 2126 c.c. esclude la conservazione degli effetti del contratto
invalido quando si sia in presenza di nullità derivante da illiceità dell’oggetto o della causa.
Al di fuori di questi casi, in tutte le altre ipotesi di annullamento o di nullità l’invalidità sarà
temporaneamente inefficace e dal rapporto sorgeranno valide obbligazioni (c.d. inefficacia dell’invalidità).
Si tratta, a ben vedere, non di una specie di sanatoria del contratto invalido, ma della conservazione di una
serie di effetti negoziali dipendenti dall’esecuzione della prestazione di lavoro e individuati dal legislatore
(come il diritto alla retribuzione) stabilita in funzione protettiva del prestatore.
La conservazione degli effetti del contratto di lavoro invalido, insomma, si pone in alternativa alla
eliminazione degli stessi in conseguenza della normale azione di nullità o di annullamento ed alla successiva
eventuale ripetizione dell’indebito: il che ha la funzione di rafforzare la tutela degli interessi del lavoratore,
garantendo allo stesso, mediante l’acquisizione dei corrispondenti diritti soggettivi, il trattamento economico
e normativo disposto dalle norme imperative per il periodo in cui la prestazione sia stata effettivamente
eseguita in violazione delle stesse.
Tutto questo spiega come nei casi di nullità del contratto di lavoro, la sostituzione automatica degli effetti
legali a quelli voluti si presenti finalizzata all’inderogabilità del regolamento contrattuale ed
all’adeguamento di quest’ultimo agli standards legali di protezione del lavoratore.
Tali standards sono da identificare, essenzialmente, con i diritti riconosciuti dalla disciplina del trattamento
minimo e sono garantiti dall’art. 2126 c.c. sul piano dell’effettività della tutela degli interessi del lavoratore.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 37. La capacità del prestatore di lavoro
Fra i presupposti del contratto di lavoro riveste particolare importanza la considerazione della capacità dei
soggetti stipulanti ai fini della valida costituzione del rapporto.
Accanto alla nozione di capacità giuridica si può collocare quella di capacità giuridica speciale, intesa come
idoneità del soggetto ad essere titolare di una particolare situazione giuridica.
Proprio la materia del lavoro subordinato consente di chiarire quest’ultima nozione, poiché la capacità di
prestare lavoro, e quindi la legittimazione soggettiva del prestatore alla titolarità del rapporto di lavoro,
dipende dall’attitudine fisiologica o capacità naturale della persona all’esecuzione della prestazione.
Da ciò conseguono non pochi effetti caratteristici sul piano della disciplina della legittimazione soggettiva
nel rapporto di lavoro.
Anzitutto, proprio nell’implicazione delle energie del lavoratore nella prestazione è rinvenibile la ragione
per cui soltanto le persone fisiche sono capaci di prestare il proprio lavoro.
In secondo luogo, questo significa che alla capacità giuridica e alla capacità di agire in materia di lavoro sia
applicano tutte le regole generalmente dettate per la capacità delle persone fisiche: così in materia di
incapacità legale o di incapacità naturale ad agire.
L’art. 2 c.c. detta una disciplina speciale sia della capacità di legittimazione soggettiva sia della capacità di
agire, intesa come capacità di stipulare il contratto di lavoro e di esercitare i diritti e le azioni che ne
discendono.
Da questa disposizione è dato anzitutto desumere che il minore acquisisce la capacità di stipulare il contratto
di lavoro alla stessa età prevista dalle disposizioni speciali in tema di capacità di prestare il proprio lavoro,
età inferiore rispetto a quella fissata per la capacità di agire in generale.
La capacità di essere titolare delle situazioni soggettive attinenti alla posizione di lavoratore subordinato si
acquista, dunque, per effetto del raggiungimento dell’età minima di ammissione al lavoro, e questa è fissata
dalla legge al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione scolastica obbligatoria, ma non
può essere comunque inferiore ai 15 anni di età.
In conclusione, data la coincidenza tra capacità giuridica e capacità d’agire, non vi è spazio per l’intervento
del genitore o di qualunque altro rappresentante legale nella stipulazione del contratto, salvo nei casi in cui
questo sia espressamente previsto da norme speciali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 38. La c.d. spersonalizzazione dell’imprenditore ed il principio della
continuità dell’impresa
Per ciò che concerne la figura del datore di lavoro, non sono previsti requisiti soggettivi speciali e si
applicano senza eccezioni le norme dettate per la capacità giuridica e di agire della generalità dei soggetti.
A proposito della figura soggettiva del datore di lavoro è rilevante soprattutto la distinzione tra gli
imprenditori e gli altri datori di lavoro, titolari di attività organizzate a fini non lucrativi.
Ciò avviene allorché si impongono una serie di obblighi e di limiti soltanto al datore-imprenditore, in
ragione di un complesso di particolari normative per la tutela individuale e collettiva del lavoro subordinato
alle dipendenze dell’impresa soprattutto media e grande.
La qualità di imprenditore del datore di lavoro viene in rilievo anche sotto il profilo della c.d.
spersonalizzazione dell’imprenditore agli effetti della formazione e conclusione del contratto e della
successione nel medesimo.
Sotto il primo aspetto la proposta o l’accettazione provenienti da un imprenditore restano ferme anche in
caso di morte o di sopravvenuta incapacità prima della conclusione del contratto.
Sotto il secondo aspetto, il principio della continuità dell’impresa è alla base della successione
dell’imprenditore nel contratto di lavoro in caso di trasferimento d’azienda.
Da tutto ciò si deve desumere il principio della normale irrilevanza della persona dell’imprenditore.
All’opposto la successione nel contratto di lavoro sia mortis causa sia inter vivos è da ritenere esclusa dal
lato del lavoratore, in ragione della rilevanza essenziale della sua persona si fini dell’esecuzione della
prestazione e della costituzione del rapporto di lavoro.
In effetti, la considerazione della persona del prestatore comporta l’infungibilità c.d. soggettiva della
prestazione.
La relativa obbligazione, infatti, oltre ad essere intrasmissibile mortis causa, non può essere adempiuta
legittimamente da un terzo, in qualità di sostituto del debitore, senza disporne nello stesso tempo la
novazione soggettiva.
La ragione di siffatta intrasmissibilità è da rinvenire nell’insostituibilità del debitore agli effetti della
subordinazione che caratterizza l’organizzazione di lavoro.
Viceversa, la fiducia c.d. soggettiva, quale affidamento del creditore su determinate qualità soggettive del
lavoratore, inerendo al rapporto di lavoro sotto il profilo della prestazione attiene non alla formazione del
contratto bensì alla sua esecuzione: si tratta dunque della idoneità personale del prestatore all’adempimento
dell’obbligazione di lavoro, mentre la c.d. infungibilità soggettiva riguarda piuttosto l’imputazione degli
effetti della stessa obbligazione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 39. Il procedimento di formazione del contratto
La rilevanza del consenso non tanto sul contenuto quanto sulla genesi del contratto
Per quanto attiene al procedimento di formazione del contratto di lavoro, la fattispecie non presenta
particolarità rispetto alla normativa generale.
La conclusione del contratto è l’effetto di un accordo della volontà dei contraenti e la sua formazione
dipende dall’incontro (consenso) fra una proposta e un’accettazione.
Se si prendono in considerazione due elementi essenziali, e cioè la forma e il consenso, o accordo tra le
parti, risulta evidente come nel contratto di lavoro il ruolo di entrambi questi elementi sia caratterizzato dalla
presenza di molteplici limiti imposti dalla legge all’autonomia contrattuale, in funzione non della tutela
bilaterale dei contraenti, ma della tutela unilaterale del lavoratore quale contraente debole.
Riguardo alla forma è noto che vige il principio della libertà della forma.
A questa regola generale fanno eccezione il contratto di arruolamento marittimo (che deve essere concluso
addirittura per atto pubblico), i contratti di lavoro a tempo parziale (per i quali è richiesta la forma scritta ad
probationem), il contratto di inserimento (per il quale è richiesta la forma scritta ad sibstantiam), ecc…
Va evidenziata, comunque, la tendenza ad imporre la forma scritta ad substantiam per particolari patti o
elementi accidentali del contratto di lavoro (ad esempio l’apposizione di un termine), che potrebbero
risultare lesivi di un interesse del lavoratore.
È ancora da segnalare che le esigenze di tutela del lavoratore sotto il profilo della trasparenza delle
condizioni di lavoro hanno suggerito l’adozione della direttiva 91/533, con cui si è imposto al datore di
lavoro l’obbligo di comunicare per iscritto al lavoratore le principali condizioni applicabili al contratto o al
rapporto di lavoro.
Quest’obbligo di informazione non costituisce una deroga al principio della libertà di forma, ma piuttosto è
da ascrivere alla categoria degli obblighi autonomi di informazione attinenti all’esecuzione del contratto di
lavoro.
Per ciò che concerne, poi, la manifestazione del consenso si deve notare che il momento genetico della
formazione e il momento attuativo dell’esecuzione vanno tenuti distinti.
È innegabile che nel rapporto di lavoro il secondo momento ha un ruolo prevalente sia, come si visto, per la
concreta qualificazione del rapporto come autonomo oppure subordinato, sia ai fini della prova dei fatti
costitutivi o impeditivi della sua esistenza e quindi della stessa conclusione del contratto, sia per la rilevanza
che si deve riconoscere al comportamento di attuazione tenuto dalle parti nell’esecuzione del contratto (ad
esempio, ai fini della prova del contratto e dell’interpretazione del suo contenuto).
Di solito la proposta di un contratto di lavoro proviene dall’iniziativa del datore ed è formulata o sulla base
di condizioni prefissate da un contratto collettivo o per prassi.
Dunque, nella formazione de contratto di lavoro, oggetto del consenso non è tanto il contenuto quanto la
stipulazione stessa del contratto; pur se non mancano ipotesi in cui il prestatore ha la possibilità effettiva di
richiedere ed ottenere modificazioni anche cospicue dell’offerta del datore di lavoro.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 40. Il patto di prova all'assunzione
Il patto di prova all'assunzione
Tra gli elementi accidentali del contratto acquista una notevole rilevanza il patto di prova, per la cui validità
sono previsti precisi requisiti formali.
L’art. 2096 c.c. prevede che l’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare per
atto scritto.
In mancanza di essa il patto di prova deve considerarsi nullo e l’assunzione del lavoratore va considerata
definitiva.
La legge dispone che ciascuna delle parti, durante il decorso del periodo previsto dai contratti collettivi o
dalle pattuizioni individuali, possa risolvere il rapporto facendo uso del diritto di recesso senza l’obbligo del
preavviso o dell’indennità sostitutiva.
Per questa ragione il legislatore è intervenuto a limitare a 6 mesi la durata massima del periodo di prova.
Va detto, comunque, che la posizione del lavoratore in prova è equiparata, almeno tendenzialmente, a quella
derivante dall’assunzione definitiva.
Così, ad esempio, in ogni caso di recesso al lavoratore spettano il trattamento di fine rapporto e le ferie
retribuite; inoltre, nel caso di assunzione definitiva, il servizio prestato durante la prova si computa
nell’anzianità di servizio.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 41. I vizi della volontà nella conclusione del contratto di lavoro
Lo spazio per la concreta realizzazione di fattispecie in cui la volontà dei contraenti sia inficiata dai vizi
(errore, dolo e violenza) si riduce in misura direttamente proporzionale al ruolo effettivamente occupato
dall’autonomia individuale nella formazione del consenso medesimo: è questo, appunto, il caso della
conclusione del contratto di lavoro.
Hanno rilievo pratico indubbiamente ridotto le ipotesi della violenza morale e del dolo che sia, al pari
dell’errore, determinante del consenso e quindi essenziale alla conclusione del contratto.
Va rilevato come la formazione del contratto di lavoro sia piuttosto lineare e la tendenziale coincidenza tra
la volontà dichiarata e la sua attuazione per mezzo dell’esecuzione della prestazione lasci uno spazio
alquanto ridotto alla concreta influenza dei vizi.
A ciò si aggiunga che l’effettiva instaurazione del rapporto, poiché comporta una volontaria esecuzione del
contratto da parte del contraente legittimato ad agire per l’annullamento, è da considerare un’ipotesi di
convalida tacita del contratto e quindi di sanatoria.
L’ipotesi principale resta quella che si verifichi un errore essenziale e riconoscibile dall’altro contraente
sulla persona (e precisamente sull’identità o sulle qualità essenziali della persona) di quest’ultimo.
Nel rapporto di lavoro una simile rilevanza è strettamente connessa alla considerazione soggettiva della
persona dell’obbligato, soprattutto nei rapporti caratterizzati da un elevato contenuto di professionalità o di
fiducia.
Più raro, o addirittura eccezionale, si presenta il caso in cui decisiva sia la considerazione soggettiva della
persona del datore di lavoro: si pensi ad un’organizzazione c.d. di tendenza oppure artistica.
Si consideri, poi, che la coincidenza tra le attitudini professionali necessarie per l’espletamento delle
mansioni richieste e quelle possedute dal singolo lavoratore è normalmente verificata attraverso il patto di
prova, nel cui esperimento è anzi da ravvisare lo strumento legale tipico ai fini della considerazione
soggettiva della persona nel contratto di lavoro.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 42. Il divieto di indagine su fatti non rilevanti ai fini dell’attitudine
professionale
Particolare significato, dal punto di vista della considerazione soggettiva della persona del lavoratore, deve
essere riconosciuto all’art. 8 St. lav., il quale prevede il divieto per il datore di lavoro di assumere
informazioni non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore (c.d. indagini
personali), non soltanto ai fini dell’assunzione, ma anche durante lo svolgimento del rapporto.
La norma ha l’evidente scopo di tutelare la riservatezza del lavoratore.
Essa, peraltro, in virtù della sua stessa formulazione riconosce implicitamente la legittimità delle indagini
tendenti alla valutazione dell’idoneità professionale e psico-fisica del prestatore di lavoro.
Il divieto di effettuare indagini sulle opinioni del lavoratore è sanzionato penalmente dall’art. 38 St. lav.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 43. Il trattamento dei dati personali
Un significativo ampliamento del diritto di riservatezza (anche) del lavoratore si è realizzato con
l’emanazione del d.lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), che naturalmente
riguarda anche le c.d. banche-dati aziendali ed il trattamento dei dati personali dei lavoratori dipendenti.
Accanto all’istituzione di un’apposita autorità indipendente (Garante per la protezione dei dati personali)
con compiti di controllo e poteri sanzionatori, sono stati riconosciuti a tutte le persone interessate i c.d.
“diritti informatici”.
Essi consistono, in primo luogo, nel diritto di avere conoscenza preventiva, mediante la c.d. informativa
(cioè una comunicazione circa l’esistenza, la natura e le finalità), della raccolta dei propri dati personali; in
secondo luogo, nel diritto di accesso: in ogni momento l’interessato ha diritto di ottenere la conferma
dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano e di conoscere l’origine, le finalità e le modalità del
trattamento.
Un ruolo marginale, invece, è assegnato al consenso dell’interessato, che è richiesto solo in talune ipotesi,
tra le quali il trattamento dei dati c.d. ”sensibili”.
Questi dati possono essere oggetto di trattamento da parte di soggetti privati solo con il consenso
dell’interessato e sulla base della preventiva autorizzazione del Garante.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 44. La simulazione nel contratto di lavoro
Il problema della divergenza tra la volontà e la dichiarazione si presenta a proposito della simulazione, nella
quale la volontà dichiarata verso l’esterno si contrappone alla volontà dichiarata verso l’interno dagli stessi
contraenti (controdichiarazione).
Quest’ultima è l’unica manifestazione di volontà efficace tra le parti in virtù dell’accordo simulatorio che le
vincola, ove sussistano i requisiti di sostanza e di forma prescritti per la valida esistenza del negozio.
È da dire, tuttavia, che, con riguardo al rapporto di lavoro, siffatta prevalenza del contratto effettivo
dissimulato su quello apparente simulato, può operare soltanto entro i limiti posti dall’ordinamento
all’autonomia privata sia in generale a tutela della meritevolezza dell’interesse perseguito in concreto dalle
parti (dell’ordine pubblico e del buon costume) sia, in particolare, dalla disciplina imperativa del rapporto di
lavoro: troverà applicazione la regola della nullità del contratto in frode alla legge tutte le volte che un
intento fraudolento sia rinvenibile all’origine del contratto dissimulato.
Di quo l’invalidità del contratto simulato come del contratto dissimulato, con l’applicazione dell’art. 2126
c.c. e, ove possibile, la sostituzione automatica della disciplina imperativa del rapporto.
Ciò è quanto si verifica nelle ipotesi in cui un apparente contratto di lavoro autonomo, così di opera come di
altro tipo, venga concluso allo scopo di eludere, dissimulando un effettivo contratto di lavoro subordinato, la
disciplina imperativa imposta per la tutela del lavoratore.
Diversamente deve dirsi per il caso in cui il contratto di lavoro dissimulato sia direttamente illecito quanto
all’oggetto o alla causa: in questi casi il contratto dissimulato deve reputarsi illecito, e quindi nullo, e
l’eventuale prestazione di lavoro eseguita di fatto ai sensi dell’art. 2126 c.c.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 45. Il contenuto della subordinazione del lavoratore
Si è detto che la collaborazione è il connotato fondamentale della causa del contratto di lavoro subordinato e
dunque il risultato tipico che lo caratterizza rispetto agli altri contratti aventi ad oggetto lo scambio tra
un’attività lavorativa ed un corrispettivo.
L’obbligazione di lavoro vincola il debitore a sottoporsi, nell’esecuzione dell’attività, alle direttive del
creditore, il quale è titolare non di una semplice pretesa alla prestazione, ma anche di un potere direttivo
sulla sua esecuzione.
La norma fondamentale in materia è l’art. 2104 c.c. che fissa i due requisiti caratteristici della prestazione e,
quindi, della subordinazione: la diligenza e l’obbedienza.
Tali requisiti indicano i criteri per la valutazione dell’adempimento dell’obbligo di lavorare, alla cui stregua,
cioè, si potrà stabilire se il debitore della prestazione di lavoro subordinato è adempiente o inadempiente.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 46. La diligenza del prestatore di lavoro
L’art. 2104 c.c. stabilisce che “il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della
prestazione dovuta”.
Questo, peraltro, non significa che esista un obbligo autonomo di diligenza, come affermano alcuni autori;
esiste semplicemente un obbligo relativo all’esecuzione della prestazione di lavoro intellettuale e manuale
da soddisfare mediante la subordinazione, di cui la diligenza non è altro che la misura.
Il rinvio al criterio della “natura della prestazione” impone anche un riferimento alle mansioni, che non sono
altro che il criterio di determinazione qualitativa dell’oggetto della prestazione di lavoro.
Infatti, il primo comma dell’art. 2104 c.c. ha previsto che la diligenza possa differenziarsi secondo il tipo di
lavoro e quindi di mansioni (c.d. diligenza professionale).
Tuttavia, il riferimento alle mansioni resta alquanto descrittivo, perché anche a parità di mansioni può essere
necessario un diverso comportamento del prestatore in vista dell’adempimento.
Quindi le mansioni non sono che uno degli indici che denotano la natura della prestazione; sempre nel primo
comma dell’art. 2104 c.c. ne sono previsti contestualmente altri due: l’interesse superiore della produzione
nazionale e l’interesse dell’impresa.
Quanto al primo parametro, la formula adoperata dal legislatore rinvia all’ideologia corporativa dello
statalismo economico: tale riferimento è stato abrogato implicitamente per effetto della caduta
dell’ordinamento corporativo.
Quanto al secondo parametro, è possibile intenderlo in senso oggettivo (interesse dell’impresa in sé, come
istituzione) oppure soggettivo (interesse dell’imprenditore).
In questo secondo senso la portata della norma sarebbe modesta: il prestatore di lavoro, in virtù dell’obbligo
di diligenza, deve in ogni caso tenere un comportamento conforme all’interesse dell’imprenditore.
Parte degli interpreti si sono quindi orientati nel senso oggettivo: poiché l’attività del lavoratore viene
organizzata dal datore di lavoro nell’ambito della collaborazione che caratterizza il rapporto di lavoro, si
deve concludere che la diligenza andrà commisurata al risultato di tale collaborazione e quindi all’attività
organizzatrice dell’imprenditore.
In sostanza, l’interesse dell’impresa va individuato con riferimento all’imprenditore e quindi inteso in senso
soggettivo; ma non come generico interesse del creditore all’esatto adempimento dell’obbligazione da parte
del debitore, bensì come specifico interesse dell’imprenditore all’esercizio della propria attività di
organizzazione del lavoro alle proprie dipendenze.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 47. L’obbedienza e il potere direttivo del datore di lavoro
Il secondo requisito caratteristico dell’obbligazione di lavoro è quello dell’obbedienza.
Essa si manifesta nell’osservanza delle disposizioni impartite per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro,
in cui si estrinseca il potere direttivo del datore di lavoro.
I comportamenti o i comandi dell’imprenditore possono essere di due tipi: o attinenti all’organizzazione del
lavoro, cioè al modo di rendere utilizzabile la prestazione resa dal lavoratore e quindi ai necessari controlli
sull’esecuzione della prestazione del lavoro; oppure attinenti alla disciplina del lavoro, cioè alla
regolamentazione della convivenza della comunità formata da coloro che collaborano all’impresa.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 48. L’obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro
L’art. 2105 c.c. fa scaturire dal contratto, a carico del prestatore di lavoro, l’ulteriore obbligo di fedeltà, a
tutela dell’interesse dell’imprenditore alla capacità di concorrenza (o competitività) dell’impresa.
Esso si configura come un obbligo accessorio a quello principale relativo alla prestazione di lavoro e rientra
nei c.d. obblighi di protezione posti a tutela di un interesse del creditore; nel caso del contratto di lavoro
questo specifico interesse di identifica con quello dell’imprenditore a proteggersi dalla concorrenza
differenziale che potrebbe essere posta in atto dal lavoratore.
Ciò risulta chiaramente dal contenuto negativo dell’obbligo, che si sostanzia in:
divieto di svolgere attività in concorrenza con quella dell’impresa.
Il divieto di concorrenza investe il dovere di leale comportamento che il lavoratore assume nei confronti del
datore di lavoro.
Inoltre, il divieto, in quanto derivante dal contratto di lavoro, vige solo in permanenza dello stesso.
Non costituisce, invece, concorrenza l’attività inventiva del lavoratore, disciplinata dalla legge anche negli
aspetti patrimoniali, sul presupposto del diritto del lavoratore ad essere riconosciuto autore dell’invenzione
creata nello svolgimento del rapporto di lavoro.
Al riguardo, il recente codice della proprietà industriale stabilisce che i diritti derivanti dall’invenzione
eventualmente fatta dal lavoratore nell’esecuzione o nell’adempimento del contratto (cioè nei casi in cui
l’attività inventiva sia oggetto del contratto di lavoro: c.d. invenzione di servizio) appartengono al datore di
lavoro, salvo il diritto del lavoratore ad esserne riconosciuto autore; quando, invece, l’attività inventiva non
sia oggetto del contratto di lavoro, ma l’invenzione sia fatta comunque “nell’esecuzione o
nell’adempimento” di un contratto o rapporto di lavoro (c.d. invenzione aziendale), i diritti derivanti dalla
stessa spettano al datore di lavoro, mentre al lavoratore spetta un “equo premio”; infine, quando l’invenzione
sia fatta indipendentemente dal rapporto di lavoro (c.d. invenzioni occasionali) ma rientri nel campo di
attività del datore di lavoro, i diritti che ne derivano spettano al prestatore, ma il datore di lavoro ha diritto di
opzione, da esercitarsi entro 3 mesi dalla data di ricevimento della comunicazione di avvenuto deposito della
domanda di brevetto, per l’uso della stessa o per l’acquisto del brevetto.
divieto di divulgare o utilizzare a vantaggio proprio o altrui “notizie attinenti all’organizzazione e a i metodi
di produzione dell’impresa”.
Diverso dall’obbligo di non concorrenza è l’obbligo di fedeltà in senso stretto: tale obbligo consiste nel
divieto di divulgare oppure di utilizzare i c.d. segreti aziendali, attinenti all’organizzazione e ai metodi di
produzione della stessa.
Il segreto aziendale è tutelato anche in sede penale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano 49. Il potere disciplinare del datore di lavoro
L’inosservanza delle disposizioni impartite dall’imprenditore può essere sanzionata, secondo quanto
previsto dall’art. 2106 c.c., mediante l’irrogazione di speciali pene private dette sanzioni disciplinari, che
l’imprenditore può applicare in proporzione alla gravità della infrazione e in conformità delle norme dei
contratti collettivi.
In particolare, le sanzioni previste dai contratti in relazione alle inadempienze (c.d. mancanze) elencate dagli
stessi, sono il rimprovero verbale oppure scritto, la multa, la sospensione dal lavoro e della retribuzione, ed
il licenziamento (nel quale è da ravvisare la massima fra le sanzioni disciplinari).
Come il potere direttivo (al quale è legato da un nesso di strumentalità), anche il potere disciplinare è
espressione dell’autorità gerarchica dell’imprenditore.
Il suo fondamento è, infatti, nella responsabilità contrattuale del prestatore: nel potere e quindi nella
responsabilità disciplinare è da ravvisare il riflesso della subordinazione in relazione all’inadempimento.
D’altro canto il riconoscimento del potere privato unilaterale di reagire all’inosservanza degli obblighi
contrattuali non è estraneo al diritto privato, dove l’autonomia contrattuale può prevedere sanzioni punitive
dell’inadempimento: basti pensare alla clausola penale.
Il potere disciplinare di collega strettamente agli artt. 2104 e 2105 c.c.
Il suo esercizio, infatti, rappresenta la reazione all’inadempimento dell’obbligo di prestazione di lavoro sia
sotto il profilo della diligenza sia sotto quello dell’obbedienza; inoltre esso è correlato all’inadempimento
dell’obbligo di fedeltà.
Va detto, peraltro, che il criterio di proporzionalità tra infrazione e sanzione indicato nell’art. 2106 c.c.
costituisce un limite alquanto generico del potere disciplinare e di conseguenza la sua applicazione può
risultare particolarmente elastica e soggettiva.
Di qui l’importanza degli ulteriori limiti sostanziali e procedurali introdotti in materia dallo Statuto dei
lavoratori.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano