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Il rapporto di lavoro domestico


Il rapporto di lavoro domestico è caratterizzato da una prestazione eseguita nell’abitazione del datore di lavoro o, meglio, in convivenza familiare con lo stesso.
Il codice civile disciplina questo rapporto con una serie di norme (artt. 2240-2246 c.c.) che, peraltro, sono state in gran parte derogate dalla l. 339/58.
In realtà, il rapporto tra le due fonti normative è complementare e, in certo modo, quantitativo, dato che la l. 339/58 regolamenta esclusivamente i rapporti di lavoro domestico in cui la prestazione di lavoro sia resa con caratteristiche di continuità e prevalenza presso un datore di lavoro, per la durata di almeno 4 ore giornaliere.
Riguardo a questa legge, va innanzi tutto sottolineato che essa ha svolto per lungo tempo una funzione parzialmente sostitutiva della contrattazione collettiva che, in questo settore, è piuttosto recente.
Il contenuto e l’oggetto della prestazione di lavoro domestico non si differenziano da quelli della prestazione di lavoro subordinato; sua caratteristica è, invece, la destinazione dell’attività lavorativa a vantaggio dell’organizzazione familiare e non di un’impresa o di un esercente un’attività professionale, sia pure non imprenditoriale.
Proprio da tale caratteristica e per effetto della convivenza deriva l’obbligo, a carico del datore di lavoro, di corrispondere oltre alla retribuzione in danaro, il vitto e l’alloggio, nonché di provvedere alle cure e all’assistenza medica in caso di malattia di breve durata del lavoratore.
In ragione dell’inserzione della prestazione lavorativa nell’ambito della comunità familiare, si può anche comprendere perché il lavoro domestico sia escluso dall’ambito di applicazione della tutela reale ed obbligatoria contro i licenziamenti.
Passando ad esaminare i contenuti della contrattazione collettiva, gli aspetti più rilevanti della disciplina da essa introdotta riguardano la fissazione dei minimi salariali, dell’orario di lavoro, le ferie, della conservazione del posto in caso di malattia.

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