La disciplina del trasferimento del lavoratore
In linea di principio, la determinazione del luogo come di ogni altra modalità della prestazione, appartiene all’esercizio del potere direttivo del datore di lavoro.
L’art. 2103 c.c. così come novellato dallo Statuto dei lavoratori, disciplina anche il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva.
Il trasferimento può essere disposto dall’imprenditore nell’esercizio del potere direttivo soltanto per comprovate ragioni tecniche od organizzative.
Si può dunque dire che, per effetto dell’art. 2103 c.c., il potere di trasferimento risulta vincolato all’esistenza di sufficienti esigenze organizzative, che l’imprenditore ha non solo l’obbligo di provare ma altresì l’onere o obbligo di comunicare al lavoratore interessato.
Qualora il trasferimento sia disposto in assenza dei presupposti legali, esso deve essere considerato illegittimo ed il lavoratore può domandare in giudizio l’accertamento della nullità e rifiutarsi di ottemperare al provvedimento del datore di lavoro.
A questa garanzia si deve aggiungere la necessità del nullaosta delle associazioni sindacali di appartenenza, qualora il trasferimento riguardi i dirigenti delle r.s.a.
Naturalmente è vietato in ogni caso il trasferimento che sia dettato da motivi di discriminazione e si deve altresì ricordare che è vietato il trasferimento non consensuale del lavoratore “che assista con continuità un parente o affine entro il terzo grado handicappato”.
Va infine sottolineato che lo stesso art. 2103 c.c. stabilisce la nullità dei patti contrari, anche con riferimento al trasferimento.
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto del lavoro, a.a. 2007/2008
- Titolo del libro: "Diritto del Lavoro" di E. Ghera, "Solidarietà, mercato e concorrenza nel welfare italiano" di S. Sciarra
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