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Le origini storiche del pubblico impiego


Un rapporto di lavoro che pure può considerarsi speciale è quello che intercorre tra le amministrazioni pubbliche e un prestatore di lavoro e che, fino alle radicali riforme degli anni ’90, era definito “rapporto di pubblico impiego”.
Inizialmente, essendo alquanto limitate le funzioni dello Stato, i dipendenti pubblici erano riguardati soprattutto nella loro veste di “funzionari”, cioè di soggetti che, titolari di organi dell’amministrazione pubblica, ne manifestavano all’esterno la volontà e traducevano in pratica, sotto la responsabilità degli organi politici, le scelte operate dal potere legislativo per la soddisfazione dei bisogni della collettività.
Così dopo varie dispute su come conciliare i due profili nell’ambivalente figura dell’impiegato pubblico (quello di “funzionario” e quello di “lavoratore subordinato”) la dottrina pubblicistica si era assestata nell’idea secondo la quale l’impiegato pubblico intratteneva con l’amministrazione un duplice rapporto:
- il rapporto organico, o d’ufficio, in base al quale egli era inserito nell’organizzazione amministrativa ed era, quindi, legittimato ad esercitare i poteri connessi a quell’ufficio;
- il rapporto di servizio, che era un vero e proprio rapporto di lavoro dal quale discendevano, sia per l’amministrazione sia per il dipendente, diritti e obblighi reciproci, sostanzialmente non diversi da quelli scaturenti dal contratto di lavoro.
Nel regolare l’organizzazione degli uffici, la legge finiva col regolare anche tutte le situazioni giuridiche che attengono al rapporto di lavoro.
In definitiva, la sicura prevalenza del rapporto organico su quello di servizio aveva da un lato determinato la sistemazione del pubblico impiego nel diritto pubblico (e precisamente nel diritto amministrativo) e, dall’altro, aveva impresso al relativo rapporto un carattere autoritario (o di c.d. supremazia speciale dell’amministrazione pubblica), da cui discendevano le seguenti conseguenze, solo oggi superate:
- il rapporto non si costituiva con il contratto, ma nasceva da un atto unilaterale dell’amministrazione pubblica (provvedimento di nomina);
- il rapporto era interamente disciplinato da leggi e da regolamenti ed era gestito, in tutte le sue vicende, mediante l’emanazione di atti amministrativi;
- la subordinazione era gerarchica e non meramente tecnico-funzionale, cioè non strumentale all’adempimento dell’obbligazione di lavoro, ma connessa con la struttura gerarchica degli uffici;
- il giudice competente a conoscere le relative controversie era quello amministrativo.
Questa particolare configurazione del rapporto, costruita all’inizio a misura del “funzionario” statale, aveva finito col riguardare progressivamente anche i dipendenti statali non investiti di una pubblica funzione.
Particolare rilevanza ha rivestito l’emanazione della l. 93/83, denominata legge-quadro sul pubblico impiego, la quale, pur ribadendo l’unità giuridica del pubblico impiego e la distinzione rispetto al lavoro privato, aveva apprestato nuovi strumenti sia per favorire l’omogeneizzazione delle posizioni giuridiche sia per avvicinare nei contenuti la normativa dei rapporti di impiego pubblico a quella del lavoro privato.
In particolare, la legge-quadro aveva previsto l’inserimento sistematico dell’accordo sindacale (pur se attraverso la sua recezione in decreti presidenziali o leggi regionali) tra le fonti di disciplina del rapporto di pubblico impiego.

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