Questo piccolo bignami di storia contemporanea è stato redatto riassumendo vari libri di storia.
Utilissimo per un ripasso dei più importanti avvenimenti internazionali dal 1848 ai giorni nostri.
Si trovano riassunti, tra gli altri, i moti del '48, la riunificazione italiana, la Prima Guerra Mondiale, la nascita di nazismo e fascismo, la crisi del 1929, la Seconda Guerra Mondiale, la guerra fredda, il periodo del boom economico, la nascita dell'Unione Europea e i nuovi e più recenti conflitti con il Medio Oriente.
Piccolo bignami di storia contemporanea
di Marco Cappuccini
Questo piccolo bignami di storia contemporanea è stato redatto riassumendo
vari libri di storia.
Utilissimo per un ripasso dei più importanti avvenimenti internazionali dal 1848
ai giorni nostri.
Si trovano riassunti, tra gli altri, i moti del '48, la riunificazione italiana, la Prima
Guerra Mondiale, la nascita di nazismo e fascismo, la crisi del 1929, la
Seconda Guerra Mondiale, la guerra fredda, il periodo del boom economico, la
nascita dell'Unione Europea e i nuovi e più recenti conflitti con il Medio Oriente.
Facoltà: Scienze della Comunicazione
Esame: Storia contemporanea
Docente: Adriana Roccucci1. Il moto rivoluzionario dell'Europa continentale - 1848 -
Nel 1848 l’Europa fu scconvolta da una crisi rivoluzionaria di ampiezza e di intensità eccezionali non solo
per l’estensione dell’area geografica interessata dalle agitazioni, ma anche per la rapidità con cui il moto
rivoluzionario si estese in tutta l’Europa continentale, dalla Fancia all’Italia, all’Impero asburgico e alla
Confederazione germanica. Fra le potenze europee, solo la Russia e la Gran Bretagna non furono toccate
dall’ondata delle rivoluzioni. Un moto così ampio non sarebbe stato possibile se non fosse stato favorito da
alcuni fattori comuni, presenti nell’intera società europea: un primo elemento comune era dato dalla
situazione economica di crisi nel biennio 1846-47; ma il disagio economico e l’inquietudine sociale non
sarebbero bastati di per sè a provocare una crisi di così vaste proporzioni se su di essi non si fosse inserita
l’azione consapevole svolta dai democratici di tutta Europa, in particolare dagli intellettuali. Un altro tratto
comune delle rivoluzioni del ’48 fu rappresentato dalla massiccia partecipazione dei ceti popolari urbani.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 2. Il moto rivoluzionario in Francia - 1848 -
Come già era accaduto nel 1830, il moto rivoluzionario ebbe il suo centro di irradiazione in Francia. La
“monarchia liberale” di Luigi Filippo d’Orleans era certamente uno dei regimi europei meno oppressivi ma
per i democratici l’obiettivo da raggiungere era il suffragio universale maschile. Nettamente minoritari in
Parlamento, i democratici cercarono di trasferire la loro protesta nel paese reale attraverso la cosiddetta
campagna dei banchetti: riunioni svolte in forma privata che aggiravano i divieti governativi e consentivano
ai capi dell’opposizione e ai loro seguaci di tenersi in contatto e di far propaganda per la riforma elettorale.
Fu proprio la proibizione di unbanchetto previsto per il 22 febbraio a Parigi, a innescare la crisi
rivoluzionaria. Lavoratori e studenti parigini, già mobilitati da giorni, organizzarono una grande
manifestazione di protesta. Per impedirla, il governo ricorse alla Fuardia nazionale che però finì col fare
causa comune con i dimostranti. Il successivo intervento dell’esercito radicalizzò la situazione e rese
impossibile qualsiasi soluzione di compromesso. Dopo due giorni di barricate e di violenti scontri, gli insorti
erano padroni della città. Il 24 Febbraio, dopo un vano tentativo di placare la piazza con la destituzione del
primo ministro Guizot, Luigi Filippo abbandonò Parigi e la sera stessa veniva costituito un governo che si
pronunciava decisamente a favore della Repubblica e annunciava la prossima convocazione di
un’Assemblea costituente da eleggere a suffragio universale. I primi passi della Seconda Repubblica
francese si svolsero in un clima di generale entusiasmo e furono caratterizzati da una ripresa in grande stile
del dibattito politico. Fu abolita la pena di morte per i reati politici, venne stabilito in undici ore la durata
massima della giornata lavoratica e veniva affermato il principio del diritto al lavoro. Per dare attuazione al
diritto al lavoro, furono istituiti degli ateliers nationaux allo scopo di aiutare i lavoratori colpiti dalla
disoccupazione. Una prima secca sconfitta per le correnti di estrema sinistra venne, però, dalle elezioni per
l’Assemblea costituente, che si tennero il 23 aprile 1848. Il suffragio universale rivelò un insuccesso netto
dei socialisti e dell’ala più radicale dello schieramento democratico. I veri vincitori furono i repubblicani
moderati. Invano il popolo parigino tentò di riprendere l’iniziativa sul terreno delle manifestazioni di piazza.
Il 15 maggio una grande dimostrazione conclusasi con l’invasione dell’Assemblea costituente fu
prontamente repressa dalla Guardia nazionale e moli leader della sinistra rivoluzionaria furono arrestati. Un
mese dopo, il governo emanò un decreto con cui si stabiliva la chiusura degli ateliers nationaux e si
obbligavano i disoccupati più giovani ad arruolarsi nell’esercito. La reazione dei lavoratori di Parigi fu
immediata e spontanea: il 23 giugno oltre 50.000 persone scesero in piazza, e in risposta l’Assemblea
costituente concesse pieni poteri al ministro della Guerra, il generale Louis Eugene Cavaignac, che represse
la manifestazione con spietata durezza. Tutta la società francese , dalla borghesia al clero, ai contadini irritati
per l’aumento delle tasse, fu attraversata da un’ondata di riflusso conservatore. In novembre l’Assemblea
costituente approvò a stragrande maggioranza una costituzione democratica che prevedeva un presidente
della Repubblica eletto direttamente dal popolo per la durata di quattro anni e un’unica Assemblea
legislativa eletta anch’essa a suffragio universale. Ma alle lezioni presidenziali del 10 dicembre i
repubblicani si presentarono divisi, mentre i conservatori di ogni gradazione fecero blocco sulla candidatura
di Luigi Napoleone Bonaparte, figlio di un fratello dell’imperatore. Una vera e propria valanga di suffragi si
riversò su Bonaparte: si chiuse così la fase democratica della Seconda Repubblica.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 3. La rivolta di Vienna - 1848 -
Il moto rivoluzionario iniziato a Parigi alla fine di febbraio si propagò nel giro di poche settimane a gran
parte dell’Europa. Il primo importante episodio insurrezionale ebbe luogo a Vienna, il 13 marzo.
L’occasione della rivolta fu data da una grande manifestazione di studenti e lavoratori duramente repressa
dall’esercito. Le notizie dell’insurrezione di Bienna fecero precipitare la situazione nelle giù irrequiete
province dell’Impero asburgico e nella vicina Confederazione germanica. Nella primavera del ’48 il grande
impero plurinazionale sembrava sull’orlo del collasso. In maggio l’imperatore dovette abbandonare la
capitale e promettere la convocazione di un Parlamento dell’Impero (Reichstag) eletto a suffragio
universale. In Ungheria le promesse del governo imperiale di concedere ai magiari una propia costituzione e
un proprio parlamento non bastarono a fermare l’agitazione autonomistica. Sotto la spinta dell’ala
democratico-radicale, che faceva capo a Lajos Kossuth, i patrioti ungheresi profittarono della crisi in cui
versava il potere centrale per creare un governo nazionale e per agire in totale autonomia da Vienna. Fu
eletto un niovo parlamento a suffragio universale; in luglio, infine, Kossuth cominciò a organizzare un
esercito nazionale, primo passo verso la piena indipendenza. Anche a Praga, in aprile, venne formato un
governo provvisorio e proprio a praga, ai primi di giugno, si riunì un congresso cui parteciparono delegati di
tutti i territori slavi soggetti alla corona asburgica. Ma il 12 giugno, pochi giorni dopo l’apertura del
congresso, la capitale boema fu assediata e bombardata. Il congresso slavo fu disperso e il governo ceco
sciolto d’autorità. La sottomissione di Praga segnò l’inizio della riscossa per il traballante potere imperiale.
Mentre il Reichstag, riunitosi per la prima volta in luglio, era paralizzato dai contrasti fra le diverse
nazionalità, il governo centrale riprendeva gradualmente il controllo della situazione. In agosto, sotto la
protezione dell’esercito, infatti, l’imperatore rientrava a Vienna. La rivoluzione nell’Impero asburgico
veniva così stroncata nella sua punta più avanzata. Poche settimane dopo, l’imperatore Ferdinando I
abdicava in favore del nipote, il diciottenne Francesco Giueppe. Nel marzo 1849 il nuovo imperatore sciolse
d’autorità il Reichstag e promulgò una costituzione “moderata”, che prevedeva un Parlamento eletto a
suffragio ristretto e dotato di poteri molto limitati e ribadiva al tempo stesso la struttura centralistica
dell’Impero. Un corso per molti aspetti simile ebbero gli avvenimenti in Germania. Le grandi manifestazioni
popolari iniziate a Berlino il 18 marzo 1848 costrinsero il re Federico Guglielmo IV di Prussia a concedere
la libertà di stampa e a convocare un Parlamento prussiano (Landtag). Ne era scaturita, quasi
spontaneamente, la richiesta di un’Assemblea costituente dove fossero rappresentati tutti gli Stati tedeschi,
Austria compresa. Ben presto fu chiaro però che la Costituente di Francoforte non aveva i poteri necessari
per imporre la propria autorità ai sovrani e ai governi degli Stati tedeschi e per avviare un processo di
unificazione nazionale. Ai primi di dicembre Federico Guglielmo sciolse il Parlamento prussiano ed emanò
una costuituzione assai poco liberale. Frattanto, i lavori dell’Assemblea di Francoforte erano quasi
completamente assorbiti dalle dispute sulla questione nazionale e dalla contrappossizione fra “grandi
tedeschi” e “piccoli tedesci, i primi fautori di una unione di tutti gli Stati germanici attorno all’Austria
imperiale; i secondi sostenitori di uno Stato nazionale più compatto, da costruirsi sul nucleo principale del
Regno di Prussia. Prevalse, dopo lunghe discussioni, la tesi “piccolo tedesca”, ma quando una delegazione
dell’Assemblea si recò a Berlino per offrire al re di Prussia la corona imperiale, questi la rifiutò in quanto gli
veniva offerta da un’assemblea popolare, nata da un moto rivoluzionario. Il gran rifiuto di Federico
Guglielmo segnò la fine della Costituente di Francoforte: L’Assembea fu sciolta il 18 giugno 1849.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 4. La rivoluzione del '48 in Italia
La rivoluzione del ’48 in Italia ebbe, nella sua fase iniziale, uno sviluppo autonomo rispetto agli altri paesi
europei. Già all’inizio dell’anno, tutti gli Stati italiani apparivano percorsi da un generale fermento. Primo e
fondamentale obiettivo comune a tutte le correnti politiche era la concessione di costituzioni fondate sul
sistema rappresentativo. Fu la sollevazione di Palermo del 12 Gennaio 1848 a determinare il primo successo
in questa direzione, inducendo Ferdinando II di Borbone ad annunciare il 29 gennaio la concessione di una
costituzione nel Regno delle due Sicilie. Spinti dalla pressione dell’opinione pubblica e dalle continue
dimostrazioni di piazza, prima Carlo Alberto di Savoia, poi Leopoldo II di Toscana, infine lo stesso Pio IX
si decisero a concedere la costituzione. Nei giorni immediatamente successivi alla rivolta di Bvienna, si
sollevarono anche Venezia e Milano. A venezia, il 17 marzo, una frande manifestazione popolare aveva
imposto al governatore autriaco la liberazione dei detenuti politici, fra cui er a il capo dei democratici,
l’avvocato Daniele Manin. Pochi giorni dopo, una rivolta degli operai dell’Arsenale militare costringeva i
reparti austriaci a capitolare. Il 23 un governo provivisorio presieduto da Manin proclamava la costituzione
della Repubblica veneta.A Milano l’insrrezione iniziò il 18 marzo, con un assalto al palazzo del governo e si
protrasse per cinque giorni, le celebri “cinque giornate” milanesi. La direzione delle operazioni fu assunta da
un consiglio di guerra composto prevalentemente da democratici e guidato da Carlo Cattaneo. Anche gli
esponenti dell’aristocrazia liberale, inizialmente favorevoli a un compromesso col potere imperiale, finirono
per appoggiare la causa degli insorti e diedero vita, il 22 marzo, a un governo provvisorio. Il giorno stesso,
Radetzky, comandante delle truppe austriache, preoccupato per l’eventualità di un intervento del Piemonte,
decise di ritirare le sue truppe ai confini tra Veneto e Lombardia. Il 23 marzo, all’indomani della cacciata
degli austriaci da Venezia e da Milano, il Piemonte dichiarava guerra all’Austria. Preoccupti dal diffondersi
dell’agitazione democratica e patriottica che mnacciava la stabilità dei loro troni, Ferdinando II di Napoli,
Leopoldo II di Toscana e Pio IX decisero di unirsi alla guerra antiaustriaca e inviarono contingenti di truppe
regolari che partirono accompagnati da grande entusiasmo popolare, assieme a folte colonne di volontari..
La guerra piemontese sembrava così trasformarsi in una guerra di indipendenza nazionale e federale
benedetta dal papa e combattuta col concorso di tutte le forze patriottiche. Ma l’illusione durò poco. Carlo
Alberto mostrò scarsa risolutezza nel condurre le operazioni militari e si preoccupò soprattutto di preparare
l’annessione del Lombardo Veneto al Piemonte. Il 29 aprile il papa annunciò il ritiro delle sue truppe, lo
imitavano, poco dopo, il granduca di Toscana e Ferdinando di Borbone, che nel frattempo aveva sciolto il
Parlamento appena eletto. Accorse dal Sud America Giuseppe Garibaldi, che si mise a disposizione del
governo provviorio lombardo, ma il contributo dei volontari fu poco e male utilizzato da Carlo Alberto,
deciso a combattere la “sua” guerra e a non lasciare spazio all’azione dei democratici. Dopo alcuni modesti
successi iniziali dei piemontesi, l’iniziativa tornò nelle mani dell’esercito asburgico e il 23-25 luglio, nella
prima grande battaglia campale, che si combattè a Custoza, presso Verona, le truppe di Carlo Alberto furono
nettamente sconfitte e si ritirarono oltre il Ticino. Il 9 agosto fu firmato l’armistizio con gli austriaci.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 5. Nuovo Paragrafo
Negli ultimi 30 anni del XIX secolo il sistema dell economia capitalistica subi una seriedi trasformazioni tali
da giustificare l’uso del termine “Seconda rivoluzione industriale”. Si modificarono letecniche
produttive,con la nascita di buove branche dell’industria, cambiarono anche i rapporti economici
internazionali e le gerarchie mondiali della potenza industriale: negli anni ’90 la gran Bretagna perse il
primato in alcuni settori chiave a favore di Germania e USA. La nuova fase ebbe inizio con una improvvisa
crisi di sovrapproduzione che, scoppiata nel 1873,continuò a far sentire i suoi effetti nei due decenni
successivi, caratterizzati da una prolungata caduta dei prezzi. Questa fase vene definita Grande
Depressione.in realtà lacaduta dei prezzi fu un prodotto delle trasformazioni organizzative e delle
innovazioni tecnologiche che permisero di ridurre progressivamente i costi di produzione. Il volume degli
scambi commerciali continuò a crescere ovunque. uno dei segni più vistosi della nuova stagione cominciata
negli anni ’70 fu il declino dei valori della libera concorrenza. Le nuove dimensioni assunte da un mercato
internazionale dove diventava sempre più difficile farsi largo spinsero gli imprenditori a cercare
nuovesoluzioni, nacquero così le grandi consciazioni (HOLDINGS) peril controllo finanziario delle grandi
imprese. i consorsi CARTELLI o POOLS fra aziende dello stesso settore,le vere e proprie concentrazioni
(TRUSTS) ra imrese prima indipendenti. Le concentrazioni erano orizzontali se riguardavano aziende
operanti nello stesso settore, verticali se coinvolgevano imprese interessate alle diverse fasi della
lavorazione di un prodotto. Fenomeni di questo genre assunsero dimensioni imponenti soprattutto in
Germania e USA. Negli USA già negli anni ’80 la Standard OIL di John Rockfeller controllava il 90%
dellaroduzione petrolifica del paese.In Germania nlo stesso periodo il settoreelettrico era quasi
completamente nelle mani della Siemens-AEG. Un ruolo decisivo fu svolto dalle grandi banche che
assicuravano gli imponenti e costanti afflussi finanziari. Questo intreccio tra industria e finanza venne
definito Capitalismo Finanziario. Il tramonto dei principi liberisti si fece sentire fortemente anche
nell’azione dei poteri pubblici: governi allargarono l’area dei loro interventi (inasprimento di tariffe doganali
per proteggere a produzione interna). Solo la Gran Bretagna restòestranea alla tendenza generale ma ne fu
danneggiata: fra il 1880 e il 1914 la partecipazione britannica al commercio mondiale diminuì di circa la
metà, a ciòreagì ampliando il suo già vasto impero d’oltremare. La corsa ai nuovi mercati si ingrandi
enormemente cominciando quella fase della storia del capitalismo identificata com Età dell’Imperialismo.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 6. La crisi del settore agricolo anni '70-'80
Il settore in cui la caduta dei prezzi si fece sentire maggiormente fu quello agricolo;cause l’usosemprepiù
diffuso dei concimi chimici, le prime meccanizzazioni, l’irrigazione resa possibile dai progressi
dell’ingegneria idraulica. Questi progressi interessarono però solo determinate aree geografiche. In quesi
tutta lìeuropa orientale e mediterranea la persistenzadel latifondo di origine feudale e delle antiche gerarchie
sociali costituivano ostacli insuparabili per l’innovazione tecnologica. Negli USA si andava invece
sviluppando una nuova agricoltura. Qui anche il piccolo coltivatore indipendente poteva affrontare il rischio
dell’investimento e quando i progressi della naviazione a vapore consentirono ai prodoti dell’agricoltura
nord americana di raggiungere i mercati del vecchio continente tutta l’agricoltura europea ne ricevette un
colpo durissimo.a partire dagli anni ‘70’80 i prezzi dei prodotti agricoli calarono bruscamente. Il che
provocò ildeclino di molte aziende agricole e quindi disoccuazione e fame nelle campagne.le conseuenze
furono l’aumento delle tensioni sociali entro il mondo rurale e l’intensificazione dei movimenti migratori
verso le aree industriali e i paesi d’oltreoceano. Fu anche per far fronte alle conseguenze della crisi agraria
che i governi europei finirono per imboccare la stradadel protezionismo. Questi interventi riuscirono a
tamponare arzialmente gli effetti della crisi ma ebbero costi economici e sociali molto elevati.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 7. I nuovi strumenti - 1870/1900-
Negli anni fra il 1870 e il 1900 fecero la prima apparizione una serie di strumenti che sarebbero diventati
parte integrante della nostra vita quotidiana. (lampadina,motore a scoppio, telefono, automobile ecc.).
Questa seconda rivoluzione industriale mutò le abitudini e i modelli di consumo di centinai di milioni di
uomini. Le scoperte di Hertz sulle onde elettromagnetiche 1885, diedero origine ai primi esperimenti di
telegrafia senza fili di Marconi. La vera novità di questo periodo consistette nell’applicazione delle
scoperteai vari rami dell’industria. Scenziati di grande prestigio misero i loro studi a disposizione
dell’industria come Edison, Siemens, Bell, Dunlop, Bayer, ancora oggi associati indissolubilmente a marchi
industriali.
Gli sviluppi più interessanti si concentrarono in industrie relativamente giovani, come chimica e
mettallurgia. Lìimpiego dell’acciaio fu uno dei tratti distintivi della nuova epoca.con l’impiego di nuove
tecniche di fabbricazione fu possibile produrre acciaio a costi molto più bassi ( nel 1889 l’ingegnere
francese Alexander Eiffel realizza una torre d’acciaio alta 300 metri). Produzioni comequelledella soda
edell’acdo solforico costituirono la base per l’industria chimica. Nel 1875 un chimico svedese Alfred Nobel
depositò il brevetto della dinamite, nel 1888 lo scozzese Dunlop inventa il pneumatico.
La seconda rivoluzione industriale fu caratterizzata dall’invenzione del motore a scoppio e dall’utilizzazione
sempre più larga dell’elettricità. Due ingegneri tedeschi riuscirono a montare dei motori a scoppio su
autoveicoli a ruote realizzando così nel 1885 le prime automobili. Nel 1897 un altro ingegnere tedesco
(Rudolf Disel) inventò il motore a nafta. Solo all’inizio del ‘900 l’automobile iniziò ad essere prodotta in
serie. Vennè applicata in larga scala l’elettricità con la creazione di dinamo, batterie e motori elettrici. La
lampadina fu inventata da Edison nel 1879. di fronte allarichiesta semprepiu frequente di energia elettrica si
faceva streda l’energia idrica, sempre legata all’elettricitàci furono novità come il telefono 1871 (Meucci) e
il cinematografo (fratelli Lumiere 1895). anche la medicna subì un evoluzione profonda, la trsformazione
scientfica della medicina si fondò su 4 cardini fondamentali:1- la diffusione delle pratiche igeniste.2- lo
sviluppo della microscopia ottica. 3- i progressi della farmacologia. 4- la nuova ingegneria sanitaria con la
costruzione dei grandi policlinici.
Nel 1857 fu sintetizzato il bromuro, nel 1875 fu la volta dell’aspirina. questa rivoluzione tecnologica non si
limitò a cambiare la qualità della vita, ma ne allungò considerevolmente la durata media. Epidemie e
carestie che avevano inciso sull’andamento demografico sembravano ormai definitivamente eliminate, la
vita media dell’uomo europeo potè quindi salire a 50 anni, la popolazione del vecchio continente aumentò
del 60% in 50 anni.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 8. La seconda rivoluzione industriale
La seconda rivoluzione industriale fu caratterizzata dall’invenzione del motore a scoppio e dall’utilizzazione
sempre più larga dell’elettricità. Due ingegneri tedeschi riuscirono a montare dei motori a scoppio su
autoveicoli a ruote realizzando così nel 1885 le prime automobili. Nel 1897 un altro ingegnere tedesco
(Rudolf Disel) inventò il motore a nafta. Solo all’inizio del ‘900 l’automobile iniziò ad essere prodotta in
serie. Vennè applicata in larga scala l’elettricità con la creazione di dinamo, batterie e motori elettrici. La
lampadina fu inventata da Edison nel 1879. di fronte allarichiesta semprepiu frequente di energia elettrica si
faceva streda l’energia idrica, sempre legata all’elettricitàci furono novità come il telefono 1871 (Meucci) e
il cinematografo (fratelli Lumiere 1895). anche la medicna subì un evoluzione profonda, la trsformazione
scientfica della medicina si fondò su 4 cardini fondamentali:1- la diffusione delle pratiche igeniste.2- lo
sviluppo della microscopia ottica. 3- i progressi della farmacologia. 4- la nuova ingegneria sanitaria con la
costruzione dei grandi policlinici.
Nel 1857 fu sintetizzato il bromuro, nel 1875 fu la volta dell’aspirina. questa rivoluzione tecnologica non si
limitò a cambiare la qualità della vita, ma ne allungò considerevolmente la durata media. Epidemie e
carestie che avevano inciso sull’andamento demografico sembravano ormai definitivamente eliminate, la
vita media dell’uomo europeo potè quindi salire a 50 anni, la popolazione del vecchio continente aumentò
del 60% in 50 anni.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 9. L'espansione del colonialismo Europeo XIX sec.
Negli ultimi decenni dei secoli XIX il colonialismo europeo conobbe una forte accelerazione alla
penetrazione commerciale subentrò un disegno più sistematico di assoggettamento politico e sfruttamento
economico, territori dell’Africa, dell’Asia e del pacifico furono ridotti alla condizione di vere e proprie
colonie. Fra il 1876 ed il 1914 la Gran Bretagna aggiunse al suo già vastissimo impero 11 milioni di
chilometri quadrati, la Francia 10 milioni di chilometri quadrati. I motivi tradizionali del colonialismo erano
l’accaparramento di materie prime a basso costo e la ricerca di sbocchi commerciali, le motivazioni politico
ideologiche ebbero spesso un’importanza pari a quelle economiche. Esse affondavano le loro radici in una
mescolanza di nazionalismo, di razzismo e spirito missionario. “Il fardello dell’uomo bianco” di cui parlava
Kipling era appunto il dovere di redimere le popolazioni selvagge. L’interesse dell’opinione pubblica fu
inoltre fortemente alimentato dall’eco delle grandi esplorazioni che ebbero per teatro soprattutto l’Africa, in
questo interesse confluivano grandi ricchezze nascoste, la curiosità scientifico-geografica, la moda
dell’esotismo.
L’Europa portò nellecolonie l’impronta della sua civiltà.di solito non ne portò la faccia migliore, quasi tutte
le conquiste coloniali furono segnate dall’uso indiscriminato della forza, soprattutto nell’Africa nera le
frequenti rivolte delle popolazioni locali si concludevano con veri e propri massacri: terribile quello del
1905 nell’Africa del sud-ovest dove i tedeschi distrussero quasi completamente la tribù Bantù degli Herero.
Dal unto di vista economico l’esperienza coloniale ebbe alcuni effetti positivi nei paesi che ne furonbo
investiti: vennero messe a culuras nuove terre, costruite infrastrutture, avviate attività industriali e
commerciali. Ma tutto ciò avveniva al prezzo di un continuo depauperamento di risorse materiali e umane. I
sistemi culturalipiù organizzati come quelli dell’Asia e del Nord-Africa si difesero meglio, per un verso
seppero opporre una resistenza più consapevole agli apporti estranei,er l’altro finirono per assimilare questi
apporti. Ben diverso fu il caso dell’Africa più arcaica: qui la presenza degli europei alterò dalle fondamenta
l’equilibrio delle tribù. Interi sistemi di vita, di riti e credenze, di costumi e valori entrarono rapidamente in
crisi.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 10. L'inaugurazione del canale di Suez - 1869 -
Alla corsa verso oriente contribuì l’inaugurazione nel 1869 del canale artificiale che tagliando l’istmo di
Suez metteva in comunicazione ilMediterraneo col Mar Rosso. Passata nel ‘700 sotto ilcontrollo britannico,
l’India fu a lungo governata dalla Compagnia delle IndieOrientali, diretta emanazione del governo inglese.
Dopo 100 anni di dominazione inglese l’economia restava fondata su un agricoltura povera ed arretrata, la
struttura sociale era basata su una rigida divisione in caste edilpotere statale era carante o addirittura assente.
I tentativi inglesi di avviare un processo di modernizzazione provocarono in più di un caso reazioni di
stampo tradizionalistico religioso. La più importante fu la cosidettarivolta dei Sepoys nel 1857. la rivolta
indusse il governo britannico a riorganizzare la presenza inglese in India. Soppressa nel 1858 la compagnia
delle Indie, il paese passò sotto la diretta amministrazione della corona britannica, rappresenata da un
vicerè.il rpincipio seguito fu quello di promuoveregli elementi indigeni fedeli alla Gran Bretagna
affiancandoli però ad elementi inglesi. Nel 1876 la regina Vittoria fu proclamata imperatrice dell’India. La
penetrazione francese dell’Indocina avviata negli anni ’50 si limitò all’inizio a qualche stazione
commerciale e a missioni cattoliche. Furono le persecuzioni contro i missionari a fornire alla Francia un
pretesto per un intervento militare. Nel 1862 i francesi occuparono la Cocincina e imposero il protettorato
alla Cambogia. Se sul fianco orientale dell’India la GB doveva guardarsi dalla Francia, su quello Nord-
Occidentale doveva preoccuparsi della Russia. L’impero zarista seguiva da tempo in Asia due direttrici di
espansione: la prima verso la Siberia e l’estremo Oriente; la seconda verso l’Asia centrale. I risultati furono
notevoli: nei primi 50 anni dell’800 la Siberia vide più che raddoppiata la sua popolazione e notevolmente
incrementate le attività produttive e commerciali. Si accentuava nel frattempo la spinta della Russia a
consolidare le proprie posizione strategiche verso la Cina e il Pacifico. Il governo zarisa ritenne opportuno
rinunciare all’Alaska che venne venduta agli USA nel 1867 per 7 milioni di dollari. Nel 1891 fu avviata la
costruzione delle ferrovia trasiberiana: lapiù lunga del mondo, completata nel 1904 collegò Mosca a
Vladivostok. Nella zona compresa fra il Turkestan, il regno dell’Afhganistan e il Pakistan settentrionale,
Russia e GB si affrontarono in una sorta di guerra combattuta tramite le tribù locali. Nel 1885 le due potenze
giunsero ad un accordo. La GB occupò le isole Fiji, le Salomone e le Marianne; mentre la Nuova Guinea fu
divisa tra Tedeschi e Inglesi;ma intanto nell’area del pacifico si andavano affacciando due nuove potenze
con ambizioni egemoniche: Giappone e USA. Alla fine del XIX secolo, in seguito a contrasti che avevano
come ogetto la Corea, i giapponesi mossero guerra alla Cina e la sconfissero per terra e per mare. La Cina
dovette rinunciare ad ogni influenza sulla Corea. La prospettiva di uno sgretolamento dell’impero provocò la
nascita di un movimento conservatore nazionalista e xenofobo. Questo movimento trovò il suo braccio
armato in una società segreta nota come Movimento dei Boxers. Nel 1900 in seguito ad una serie di violenze
compiute dai boxers, le grandi potenze si accordarono in un intervento militare congiunto. In 2 settimane la
rivolta fu sedata ePechino venne occupata dalle truppe alleate.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 11. John Friske : Manifest Destiny
Nati essi stessi da una rivoluzione anticoloniale,gli USA non potevano seguire il modello coloniale europeo
senza tradire i valori sui quali avevano costruito la loro nazione. Ciò non impedì agli USA di proiettare
verso l’esterno il suo dinamismo economico assicurandosi il controllo di territori anche lontani; di praticare
cioè una sorta di imperialismo informale, fondato essenzialmente sull’esportazione di merci e di capitali.
Verso la fine del scolo si sviluppò un movimento d’opinione che ebbe il suo testo in un saggio di John Fiske
intitolato: “Manifest Destiny” che sosteneva il diritto degli USA di esportare in tutto il mondo i
propriprincipi e la propria organizzazione. L’espansionismo statunitensesi esercitò in 2 direzioni. La prima
verso il Pacifico, la seconda verso l’America Latina. La prima importante manifestazione della nuova
politica di potenze degli USA si ebbe co l’intervento a Cuba dove già dal1895 era in atto una violenta rivolta
contro i dominatori spagnoli:questi attuarono una dura repressione che suscitò vivaci reazioni nell’opinione
pubblica americana;ma anche preoccupazioni per i cospiqui interessi nelle piantagioni di canna da zucchero.
L’affondamento nel 1848 di una corazzata americana nel porto dell’Havana portò così alla guerra con la
Spagna che fu rapidamente sconfitta. Cuba divenne una repubblica indipendente sottoposta tuttavia alla
tutela degli USA. Sempre nel ‘98 la presenza americana nel Pacifico fu rinforzata dall’annessione della
Hawaii.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 12. Gli Europei e la conquista dell'Africa
Quando gli europei procedettero alla conquista dell’Africa ben poco restava in piedi delle antiche civiltà
locali entrate in crisi ormai da secoli per le guerre e per gli effetti devastanti della tratta degli schiavi reticata
dai primi coloni europei. La regione Shariana e quella della costa Nord-Occidentale erano controllate da una
serie di potentati locali e di regni musulmani. Compattamente cristiano era invece l’impero etiopico. Quelle
che restavano erano società tribali disaggregate, dedite alla caccia, alla pastorizia nomade o a un’agricoltura
primitiva. I primi atti della nuova espansione furono l’occupazione francese della Tunisia (1881) e quella
inglese dell’Egitto (1882). Negli anni ’70 sia l’Egitto che la Tunisia si erano lanciati in ambiziosi programmi
di modernizzazione che avevano finito però col dissestare le finanze dei due paesi e col far salire a livelli
altissimi il debito nei confronti delle banche europee; per tutelarsi contro il rischio di una banca rotta,
Francia e GB scelsero la strada dell’intervento militare. La prima a muoversi fu la Francia che trasse
pretesto da un incidente avvenuto nella primavera del 1881 alla frontiera con l’Algeria, per inviare un
contingente militare a Tunisi e imporre un regime di protettorato. Gli avvenimenti tunisini ebbero immediate
ripercussioni in Egitto dove la nascita di un forte movimento nazionalista guidato da un colonnello di nome
Arabi Pascià parve mettere in pericolo non solo il recupero dei crediti esteri ma anche il controllo sul canale
di Suez. Nell’estate ’82 il governo inglese sconfisse le truppe di Pascià e assunse il controllo del paese che
divenne di fatto una semi colonia britannica. L’azione unilaterale dell’Inghilterra in Egitto provocò il
risentimento della Francia e contribuì a scatenare la corsa alla conquista dell’Africa nera. I primi contrasti si
delinearono nel bacino del Congo, dove re Leopoldo II di Belgio si era costruito una sorta di impero
personale. La questione del Congo fu oggetto di una conferenza internazionale che fu convocata a Berlino
nel 1884-85. La conferenza codificò le norme che avrebbero dovuto regolare la spartizione dell’Africa, il
principio adottato fu quello della effettiva occupazione come unico titolo atto a legittimare il possesso del
territorio, questo principio lasciava in realtà larghi margini di incertezza. In concreto la conferenza
riconobbe la sovranità personale di Re Leopoldo sull’immenso territorio pio definito come Congo Belga. In
Africa occidentale la Germania si vide riconosciuto il protettorato sul Togo e sul Camerun,l’Inghilterra ebbe
il controllo sul basso Niger. Fra il 1885 e il 1895 gli inglesi risalirono il continente fino al bacino dello
Zambesi, nel settembre del 1898 un contingente dell’esercito britannico si incontrò con una colonna francese
che aveva occupato la fortezza di Fashoda sul Nilo, l’incontro rischiò di trasformarsi in un conflitto. Ma il
governo francese che non era preparato ad una guerra acconsentì a ritirare le sue truppe e ad accantonare le
sue mire sulla regione. All’inizio del ’900 restavano indipendenti solo l’impero etiopico e ancora non per
molto la Libia ed il Marocco.
discendenti dagli agricoltori olandesi che nel XVII secolo avevano colonizzato la regione del Capo di Buona
Speranza: i Boeri erano caduti sotto la sovranità dell’Inghilterra quando questa avaeva ottenuto la colonia.
Molti di loro per sfuggire alla sottomissione avevano dato vita ad un massiccio esodo verso nord dove
avevano fondato le due repubbliche dell’Orange e del Transvaal ma la scoperta di importanti giacimenti di
cosi tipo diamanti alla fine degli anni 60 risvegliò l’interesse della GB. Protagonista principale della politica
aggressiva fu Cecicil Rodes politico e uomo d’affari presidente e padrone della British South Africa
Company. Si dovette alla sua frenetica attività se la GB potè espandere i suoi domini in buona parte
dell’Africa Meridionale. Un ulteriore elemento di tensione fu costituito nella scoperta nell’86-’86 di nuovi
giacimenti auriferi nell’Orange e nel Transvaal che attirò nelle due repubblice un gran numero di immigrati,
soprattutto di origne inglese. In questo afflusso di forestieri i boeri videro il pericolo di una nuova
colonizzazione, gli immigranti furono duramente discriminati e Rodes non erse l’occasione per appoggiarne
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea la protesta. Nel 1899 il presidente del Transvaal Paul Cruger dichiarò guerra all’Inghilterra. La guerra fu
lunga e sanguinosa, i boeri combatterono con tenacia ma vennero sconfitti nel 1902. il Transvaal e l’Orange
vennero annessi all’impero Britannico. I Boeri condussero una lotta di resistenza che durò svariati anni. In
seguito il governo britannico riuscì a mettere in atto una politica di pacificazione e di collaborazione con i
boeri per lo sfruttamento delle immense risorse naturali.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 13. Il tasso di analfabetismo in Italia - 1900 -
Al momento dell’unità il tasso medio di analfabetismo in Italia erta del 78% con punte del 90% nel
Mezzogiorno, la grande maggioranza degli italiani viveva nelle campagne e nei piccoli centri rurali e viveva
d’agricoltura. Solo al nord si erano sviluppate numerose aziende agricole moderne che univano l’agricoltura
all’allevamento dei bovini. In tutta l’Italia centrale dominava la Mezzadria: la terra era divisa in poderi dove
le colture cerealicole si mescolavano a quelle arboree, ciascun podere produceva quanto era necessario per il
mantenimento della famiglia che viveva e lavorava sul fondo e per il pagamento del canone in natura dovuto
al padrone. Il contratto mezzadrie era basato sulla ripartizione degli oneri e ricavi fra il proprietario e il
coltivatore. In queste condizioni il regime di mezzadria finiva col costituire un ostacolo all’innovazione
tecnica, in compenso consentiva una relativa pace sociale. Quella del sud era senza dubbio una situazione
“limite”: il livello di vita della popolazione rurale era bassissimo, vivevano ammucchiati in abitazioni
piccole e malsane, in capanne, o in caverne che spesso erano dimora anche di animali. Fra gli uomini politici
settentrionali ben pochi avevano conoscenza diretta del mezzogiorno. Gli uomini cui toccò realizzare la vera
unificazione del paese si trovarono quindi di fronte ad una realtà mal conosciuta e mal compresa.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 14. La morte di Cavour - 1861 -
Il 6 giugno 1861 moriva a Torino il conte di Cavour, la classe dirigente moderata perdeva così il suo leader,
i suoi successori si attennero alla sua politica: rispetto delle libertà costituzionali, liberismo in campo
economico, laicismo in materia di rapporti tra Stato e Chiesa. Il nucleo centrale del gruppo dirigente era
costituito da Piemontesi, a essi si erano uniti i gruppi moderati Lombardi, Emiliani e Toscani. Minore era la
rappresentanza delle regioni Meridionali. Nei primi parlamenti dell’Italia unita la maggioranza si collocava
a destra, in realtà essa costituiva più un gruppo di centro moderato; la vera destra si era infatti auto esclusa
dalle istituzioni del nuovo Stato, in quanto non ne riconosceva la legittimità. Un fenomeno analogo si
verificò nella sinistra democratica: i Mazziniani e i Repubblicani rifiutarono di partecipare all’attività
politica ufficiale. La sinistra si appoggiava su una base sociale più ampia e composita (piccoli e medio
borghesi delle città), nei primi anni dopo l’unità la sinistra si contrappose nettamente alla maggioranza
moderata facendo proprie le rivendicazioni della democrazia risorgimentale: il suffraggio universale e
soprattutto il completamento dell’Unità. La legge elettorale piemontese estesa a tutto il regno concedeva
infatti il diritto di voto solo a quei cittadini che avessero compiuto i 25 anni, sapessero leggere e scrivere e
pagassero almeno 40 lire di imposte l’anno. Nell’assenza di partiti la lotta politica si imperniava su singole
personalità più che su programmi definiti. Gli uomini della destra storica si distinsero per onestà e rigore,
tanto da costituire da questo punto di vista un esempio mai più superato nella storia dell’Italia.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 15. Il modello di stato napoleonico dopo l'Unità
La preoccupazione dell’Unità da salvaguardare condizionò pesantemente le scelte dei primi governi post
unitari, i leader della destra erano disposti a un sistema decentrato basato sull’autogoverno delle comunità
locali, nei fatti però prevalsero le esigenze pratiche ed immediate e ci si orientò verso un modello di stato
Napoleonico: basato cioè su ordinamenti uniformi per tutto il regno e su una rigida gerarchia di funzionari
dipendenti dal centro. Furono emanate leggi nuove, come la legge Casati sull’istruzione che creava un
sistema scolastico nazionale e stabiliva il principio dell’istruzione elementare obbligatoria; oppure la legge
Rattizzi sull’ordinamento comunale e provinciale che affidava il governo dei comuni a un Consiglio ed ad
un Sindaco di nomina regia. Fra i motivi che spinsero la classe dirigente a scegliere questa soluzione il
principale fu la situazione del Mezzogiorno: nelle province meridionali il malessere antico delle masse
contadine si sommò ad una diffusa ostilità verso il nuovo ordine politico. I disordini si fecero più estesi e più
frequenti fino a trasformarsi in un moto generale di rivolta. Fin dall’estate del ’61 tutte le regioni del
Mezzogiorno erano percorse da bande, assalivano in preferenza i piccoli centri e gli occupavano per giorni,
massacrando i notabili liberali ed incendiando gli archivi comunali. A questo attacco i governi post unitari
reagirono con spietata energia: nel 1863 le forze impiegate nella lotta al brigantaggio giunsero a contare
120'000 uomini: circa la metà dell’esercito italiano. Il grande brigantaggio fu sconfitto nel giro di pochi
anni. Mancò ai governi della destra la capacità o la volontà di attuare una politica per il Mezzogiorno capace
di ridurre le cause del malcontento. La divisione dei terreni Demaniali fu portata avanti con scarsa incisività,
le principale scelte di politica economica messe in atto dai governi della destra si rivelarono tutt’altro che
vantaggiose per l’economia del Mezzogiorno, ne risultò accentuato il divario tra le regioni del sud e quelle
del centro-nord.
I governi della destra storica dovettero affrontare il problema dell’unificazione economica del paese, si
trattava di unificare i sistemi monetari e fiscali diversi, costruire un efficiente rete di comunicazione stradale
e ferroviaria, indispensabile per la formazione di un mercato nazionale, ma anche simbolo di modernità e
progresso civile. Molto rapido fu lo sviluppo delle vie di comunicazione in particolare della rete ferroviaria.
I risultati furono notevoli: paesi prima isolati conobbero rapporti di scambio con altre zone più progredite, in
generale tutto il settore agricolo conobbe progressi significativi in termini di incremento produttivo, nessun
vantaggio immediato venne invece al settore industriale, penalizzato anzi dall’accresciuta concorrenza
internazionale. Il liberismo ebbe alcuni effetti positivi: una rapida integrazione nel contesto economico
europeo e l’accumulazione di capitali che consentirono di realizzare delle infrastrutture indispensabili per il
successivo sviluppo industriale. Dopo 20 anni però l’Italia non era un paese molto più ricco di quanto non
fosse al momento dell’Unificazione e sotto il profilo dello sviluppo industriale aveva addirittura perso
terreno nei confronti dei paesi più progrediti. Responsabile principale di questa situazione fu la durissima
politica fiscale necessari per coprire i costi dell’unificazione. Per rinsanguare le casse dello stato si ricorse a
mezzi diversi: fu introdotto nel ’67 il “corso forzoso” ossia la circolazione obbligatoria della carta-moneta
emessa dalle banche autorizzate. In fine furono inasprite le imposte indirette e nel ’68 ne fu varata una
nuova: la tassa sul macinato: si trattava in pratica di una tassa sul pane cioè il consumo popolare per
eccellenza che colpiva duramente le classi più povere. Si registrarono all’inizio del 1869 le prime agitazioni
sociali su scala nazionale della storia dell’Italia Unita, la repressione fu anche in questo caso durissima. La
politica di duro fiscalismo e inflessibile rigore finanziario ( legata soprattutto al nome di Quintino Sella
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea ministro delle finanze) ottenne alla fine gli effetti sperati. Nel 1875 si ebbe il pareggio del bilancio. Ma
intanto il fronte degli scontenti si allargava.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 16. La destra storica e l'unità d'Italia
La destra storica aveva anche il problema di completare l’Unità: cioè annettere il Veneto, il Trentino e
soprattutto Roma e il Lazio. In particolare la rivendicazione di Roma Capitale era stata solennemente
proclamata da Cavour in una delle prime sedute del parlamento. La Sinistra vedeva nella lotta per la
liberazione di Roma l’occasione per un rilancio dell’iniziativa democratica, era proprio la presenza del Papa
a Roma a costituire il problema più spinoso. Per capire la gravità della questione si deve sapere che più del
99% della popolazione italiana era cattolica e che il clero rappresentava in molte zone rurali l’unica presenza
organizzata e l’unico punto di riferimento culturale. Nel giugno ’62 Garibaldi rilanciò pubblicamente il
progetto di una spedizione contro lo Stato Pontificio. Quando Napoleone III fece capire di essere deciso ad
impedire con la forza l’attacco contro Roma Vittorio Emanuele II fu costretto a sconfessare con un proclama
l’impresa garibaldina, quindi decretò lo stato d’assedio in Sicilia e in tutto il Mezzogiorno. Il 29 agosto 1862
i volontari garibaldini furono intercettati sulle montagne dell’Aspromonte, lo stesso Garibaldi ferito
leggermente fu arrestato e rinchiuso per poche settimane. Preoccupati di ristabilire buoni rapporti con la
Francia i governatori italiani riannodarono i rapporti con Napoleone III e conclusero nel settembre 1864 un
accordo: la “convenzione di settembre” in base al quale si impegnavano a garantire il rispetto dei confini
dello Stato Pontificio ottenendo in cambio il ritiro delle truppe francesi dal Lazio. A garanzia del suo
impegno il governo decideva di trasferire la capitale da Torino a Firenze. All’Italia si presentò
inaspettatamente l’occasione di raggiungere un altro obiettivo fondamentale: la liberazione del Veneto.
L’occasione fu offerta nel ’66 da una proposta di alleanza militare italo-prussiana rivolta al governo italiano
da Bismarck che si apprestava allora ad affrontare la guerra con l’impero Asburgico. La partecipazione
italiana fu decisiva per l’esito del conflitto. Gli italiani si scontrarono con forze austriache inferiori di
numero e Custoza e Lissa, in entrambi casi gli alti comandi diedero cattiva prova di se, gli unici successi
della campagna vennero dai Cacciatori delle Alpi di Garibaldi. Dalla successiva pace di Vienna del 3 ottobre
1866 l’Italia ottenne il solo Veneto, Garibaldi ricominciò a progettare un spedizione a Roma, la novità era
che l’azione dei volontari avrebbe dovuto appoggiarsi su un insurrezione preparata dagli stessi patrioti
romani, a metà ottobre mentre le prime colonne di volontari penetravano in territorio pontificio il governo
francese inviò un corpo di spedizione nel Lazio. L’insurrezione a Roma fallì per la sorveglianza della polizia
e per la scarsa partecipazione popolare. L’impresa era già praticamente fallita quando il 3 novembre ‘67 le
truppe francesi da poco sbarcate a Civitavecchia attaccarono presso Mentana il grosso delle forze
garibaldine e le sconfissero. Si chiudeva così la stagione delle imprese risorgimentali. L’occasione per la
conquista di Roma sarebbe stata offerta di li a poco da eventi esterni e imprevedibili come la guerra franco-
prussiana e la caduta del II impero. Nel settembre 1870 il governo italiano avviò un negoziato col papa: Pio
IX rifiutò ogni accordo, il 20 settembre 1870 le truppe italiane entrarono nella città presso Porta Pia accolte
festosamente dalla popolazione, pochi giorni dopo un plebiscito sanzionava a schiacciante maggioranza
l’annessione di Roma e del Lazio. Roma divenne capitale l’anno successivo. La legge approvata il 13
maggio 1871 fu detta delle “Guarentigie” cioè delle garanzie: con essa il regno d’Italia si impegnava
unilateralmente a garantire al pontefice le condizioni del libero svolgimento del suo magistero spirituale, al
papa venivano riconosciute prerogative simili a quelle di un capo di stato. Lo stato offriva inoltre al papa che
la rifiutò una dotazione annua pari a quella iscritta nel bilancio dell’ex stato pontificio per il mantenimento
della corte papale. Non per questo si attenuò l’intransigenza del papa nei confronti del regno d’Italia, il “non
expedit” era un esplicito divieto ai cittadini italiani di partecipare alla vita politica dello stato emanato dalla
curia romana.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 17. Il quadro politico del 1870 in Italia
Nella prima metà degli anni ’70 si verificarono nel quadro politico italiano alcuni significativi cambiamenti:
aumentò il numero di deputati che non si collocavano ne a destra ne a sinistra, si accentuarono le fratture
interne alla destra. Accanto alla vecchia sinistra piemontese guidata da Agostani Depretis e alla cosiddetta
sinistra storica dei Garibaldini, veniva emergendo una sinistra giovane: espressione di una borghesia
moderata attenta alla tutele dei propri interessi. Il 18 marzo 1876 la destra si presentò divisa nella
discussione di un progetto per il passaggio alla gestione statale delle ferrovie, il governo Minghetti messo in
minoranza presentò le dimissioni. Pochi giorni dopo il re chiamò a formare il nuovo governo Agostino
Depretis, che costituì un ministero formato esclusivamente da uomini della sinistra. Nelle elezioni politiche
del novembre di quell’anno la sinistra riportò un nettissimo successo. Con la cosiddetta rivoluzione
parlamentare del marzo 1876 si apriva una nuova fase della storia politica dell’Italia unita, si allontanava
l’età delle lotte risorgimentali mentre scomparivano nel giro di un decennio gli ultimi protagonisti di quella
stagione: Mazzini spentosi in solitudine ed in semi clandestinità a Pisa nel 1872, Vittorio Emanuele II e Pio
IX nel 1878, Garibaldi morto a Caprera nel 1882. la sinistra parlamentare aveva fortemente attenuato la sua
originaria connotazione radicale fino ad accogliere componenti moderate o addirittura conservatrici.
Depretis fu capo del governo per oltre 10 anni, il programma della sinistra era basato sull’allargamento del
suffragio universale, sulla riforma dell’istruzione elementare e il decentramento amministrativo. La prima
riforma attuata fu quella dell’istruzione elementare: la legge Coppino del 1877 ribadiva l’obbligo della
frequenza scolastica portandolo fino a 9 anni, la nuova legge elettorale del 1882 concedeva il diritto di voto
a tutti i cittadini che avessero compiuto il 21 anno di età e avessero superato l’esame finale del corso
elementare. A causa dell’alto tasso di analfabetismo la consistenza numerica dell’elettorato restava sempre
piuttosto bassa: poco più di 2 milioni pari al 7% della popolazione. Furono le preoccupazioni
dell’allargamento del suffragio e del conseguente prevedibile rafforzamento dell’estrema sinistra a favorire
quel processo di convergenza fra le forze moderate che nacque da un accordo tra Depretis e il leader della
destra Minghetti e che prese il nome di Trasformismo: la sostanza del trasformismo stava nel venir meno
delle tradizionali distinzioni ideologiche tra destra e sinistra. A un modello bipartitico di stampo inglese se
ne sostituiva un altro basato su un grande centro che tendeva ad inglobare le opposizioni moderate e a
emarginare le ali estreme. La maggioranza veniva costruita giorno per giorno a forza di compromessi e
patteggiamenti.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 18. La politica estera italiana nel 1870
Guarda crisi agricola della II rivoluzione industriale.
Anche per la politica estera italiana gli anni della sinistra segnarono una svolta decisiva quando venne
abbandonata la linea di prudente equilibrio con tutte le grandi potenze e in particolare con la Francia e venne
stipulata un’alleanza con Germania e Austria Ungheria la cosiddetta Triplice Alleanza. Pesarono nella
decisione preoccupazioni di ordine interno in quanto l’alleanza con gli imperi conservatori del centro
Europa sembrava la più adatta a dare solidità alle istituzioni dello Stato, ma il movente decisivo era il timore
dell’isolamento diplomatico, situazione già apparsa durante il congresso di Berlino del 1878 e nei contrasti
con la Francia per l’affare tunisino. La Triplice Alleanza era un alleanza di carattere difensivo che
impegnava gli stati a garantirsi reciproca assistenza in caso di aggressione. L’alleanza venne ulteriormente
rafforzata nel 1887 quando la Germania si impegnava a intervenire a fianco dell’Italia in caso di un conflitto
coi Francesi in Africa.
Il principale protagonista delle vicende che portarono alla formazione del Partito Socialista Italiano fu
Filippo Turati, che affermava l’autonomia del movimento operaio dalla democrazia borghese, il rifiuto
dell’insurrezionismo anarchico e il riconoscimento del carattere prioritario delle lotte economiche.
Sull’opposto versante politico i cattolici costituivano ugualmente una forza eversiva nei confronti delle
istituzioni unitarie, nel 1874 un gruppo di esponenti del mondo cattolico diede vita all’Opera dei Congressi:
un organizzazione nazionale controllata dal clero e ostile nei confronti della democrazia e del socialismo,
qualche segno di apertura si ebbe in coincidenza dell’avvento al soglio pontificio di Papa Leone XIII sotto il
cui pontificato il movimento cattolico accentuò il suo impegno sul terreno sociale.
Quando nel 1887 morì De Pretis gli successe Crispi che accentuò le spinte autoritarie e repressive ma si fece
anche promotore della riorganizzazione dell’apparato statale: nel 1889 fu varato il nuovo Codice Penale
(codice Zanardelli) che aboliva la pena di morte e non negava il diritto di sciopero. Questo atteggiamento di
apertura era però temperato dalla nuova legge di pubblica sicurezza che lasciava alla polizia ampi poteri
discrezionali. In ambito internazionale si puntò ad una politca coloniale che però risultava troppo costosa per
il bilancio dello stato: messo in minoranza alla camera Crispi si dimise all’inizio del 1891 e gli seguì
Giovanni Giolitti.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 19. La politica interna italiana del 1870
In politica interna, nonostante fosse difficile attribuirli una collocazione precisa nello schieramento
parlamentare, Giolitti aveva idee abbastanza avanzate: si astenne infatti da misure preventive o repressive
nei confronti del Movimento Operaio e delle organizzazioni popolari come i Fasci dei Lavoratori,
movimento di protesta sociale nato in Sicilia che suscitò forti preoccupazioni nei conservatori di tutta Italia.
L’ostilità dei conservatori contribuì non poco ad accelerare la caduta del governo che fu però dovuta allo
scandalo della Banca Romana, uno dei maggiori istituti di credito italiani che si rese colpevole di gravissime
irregolarità come i finanziamenti a deputati e giornalisti per influenzare la stampa e l’opinione pubblica.
Giolitti, accusato di aver coperto le irregolarità quando era ministro del tesoro durante il governo Crispi, fu
costretto a dimettersi nel 1893, tornò Crispi che paradossalmente nello scandalo bancario aveva
responsabilità ancora più pesanti.
Tornato al governo Crispi avviò una politica di risanamento del bilancio basata su pesanti inasprimenti
fiscali, effettuò una repressione in Sicilia, promulgò leggi antisocialiste limitando alcune libertà come
stampa, riunione ed associazione. Il colpo definitivo per Crispi venne dal fallimento della ripresa della
campagna coloniale. Il primo marzo 1896 nella Conca di Adua un esercito di 16.000 uomini fu distrutto
dalle forze Abissine e Crispi fu costretto così ad uscire definitivamente dalla scena politica. Al suo
successore Rudinì non rimase che concludere una pace con l’Etiopia che garantisse la presenza italiana
almeno in Eritrea e Somalia.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 20. La nascita della società di massa
Di “massa” nel senso di moltitudine indifferenziata al suo interno, di aggregato omogeneo in cui i singoli
tendono a scomparire rispetto al gruppo, si parlava già all’inizio dell’800, dopo che la rivoluzione francese
aveva visto il “popolo” entrare per la prima volta da protagonista sulla scena politica. Ma è solo alla fine
dell’800, col diffondersi dell’industrializzazione e dei connessi fenomeni di urbanizzazione che si vengono
delineando i contorni di quella che oggi chiamiamo società di massa. Nella società di massa la maggioranza
dei cittadini vive in grandi e medi agglomerati urbani; gli uomini entrano in rapporto tra loro in modo
anonimo e impersonale. Il sistema delle relazioni sociali non passa più attraverso le piccole comunità
tradizionali ma fa capo alle grandi istituzioni nazionali. Il grosso della popolazione è uscito dalla dimensione
dell’autoconsumo e quasi tutti sono entrati nell’economia di mercato.
Nel ventennio che precedette la prima guerra mondiale, l’economia dei paesi industrializzati conobbe una
fase di espansione intensa e prolungata, interrotta solo da una breve crisi nel 1907-08. La crescita
generalizzata dei redditi determinò a sua volta l’allargamento del mercato. L’esigenza di una produzione in
serie per un mercato di massa spinse le imprese ad accelerare i processi di meccanizzazione e di
razionalizzazione produttiva. Nel 1913, nelle officine automobilistiche Ford di Detroit fu introdotta la prima
catena di montaggio: un’innovazione rivoluzionaria che consentiva di ridurre notevolmente i tempi di
lavoro, ma, rendeva il lavoro ripetitivo e spersonalizzato. La catena di montaggio fu il culmine di una serie
di tentativi volti a migliorare la produttività, non solo mediante l’introduzione di nuove macchine ma anche
attraverso un più razionale controllo e sfruttamento del lavoro umano. Il tentativo più organico e fortunato in
questo senso lo si dovette ad un ingegnere statunitense, Frederick Taylor, autore nel 1911 di un libro
intitolato “Principi di organizzazione scientifica del lavoro”. Il metodo di Taylor si basava sullo studio
sistematico del lavoro in fabbrica. Applicate con un certo successo in molte imprese americane ed europee,
le tecniche del taylorismo assicurarono notevoli progressi in termini di produttività e permisero alle imprese
che le adottarono di innalzare il livello della retribuzione. Tipico fu il caso della Ford che fu la prima a
produrre automobili in grande serie e allegò il suo nome a una nuova filosofia imprenditoriale, il fordismo,
basata sui consumi di massa, sui prezzi competitivi e sugli alti salari.
Gli esordi della società di massa se da un lato tendevano a creare uniformità nei comportamenti e nei
modelli culturali di una parte crescente della popolazione, dall’altro rendevano più mobile e più complessa
la stratificazione sociale. Nella classe operaia si veniva accentuando la distinzione tra la manodopera
generica e i lavoratori qualificati. Contemporaneamente l’espansione del settore dei servizi e la crescita degli
apparati burocratici facevano aumentare la consistenza di un ceto medio urbano che andava sempre più
distinguendosi dagli strati superiori della borghesia. Tra i nuovi ceti medi cresceva la massa degli addetti al
settore privato che svolgevano lavori non manuali (i cosiddetti “colletti bianchi” per sottolineare il contrasto
coi “colletti blu” degli operai).
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 21. I lineamenti della nuova società italiana del 1870
Un ruolo di fondamentale importanza nel plasmare i lineamenti della nuova società che si venne formando
in europa negli ultimi decenni del XIX secolo fu svolto senza dubbio dalla scuola, che costituiva
un’opportunità da cui nessuno doveva essere escluso, un servizio reso alla collettività. A partire dagli anni
’70 tutti i governi d’europa si impegnarono per rendere l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita, per
sviluppare quella media e superiore e per portare l’insegnamento sotto il controllo pubblico. Il processo di
laicizzazione e di statizzazione del sistema scolastico ebbe tempi, forme e risultati diversi a seconda dei
paesi. Fu meno spinto in Gran Bretagna, dove la chiesa anglicana e le istituzioni private conservarono spazi
abbastanza ampi; più radicale in Francia, dove la questione scolastica diede luogo ad aspri conflitti tra
Chiesa e Stato. Strettamente legata ai progressi dell’istruzione fu l’incremento nella diffusione della stampa
quotidiana e periodica. Si allargava così l’area di coloro che contribuivano a formare l’opinione pubblica.
Un contributo notevole allo sviluppo della società di massa venne anche dalle riforme degli ordinamenti
militari. Il principio di queste riforme era il servizio militare obbligatorio per la popolazione maschile, ossia
la trasformazione degli eserciti a lunga ferma, composti in pratica da professionisti, in eserciti a ferma più o
meno breve formati da cittadini in armi. I fattori che spingevano verso la trasformazione degli eserciti erano,
uno di carattere politico-militare (senza la disponibilità di grandi masse non era possibile di avere un
esercito in grado di assolvere quella funzione deterrente che ne faceva uno strumento indispensabile anche
in tempo di pace), l’altro di carattere tecnologico (i progressi scientifici consentivano la produzione in serie
di armi, equipaggiamenti e munizioni in misura tale da coprire le esigenze di grandi eserciti).
“Società di massa” non è sinonimo di “società democratica”. In tutta Europa, però, tra la fine dell’ottocento
e l’inizio del novecento, il cammino verso la società di massa si accompagnò alla tendenza verso una
maggiore partecipazione alla vita politica. Il segno più evidente di questa tendenza fu l’estensione del diritto
di voto. Nel 1890 il suffragio universale maschile era praticato solo in Francia, Germania e Svizzera. Il
suffragio universale maschile fu introdotto in Italia, con alcune limitazioni, nel 1912. L’allargamento del
diritto di voto alle grandi masse determinò dappertutto mutamenti di rilievo nelle forme organizzative e nei
meccanismi della lotta politica. Si affermò un nuovo modello di partito, quello dei partiti di massa, anche se
doveva passare ancora del tempo perchè questi diventassero i protagonisti incontrastati della scena politica.
Un altro segno delle nuove dimensioni assunte dalla lotta politica e sociale fu costituito dalla rapida crescita
delle organizzazioni sindacali. Fino alla fine del XIX secolo, il sindacalismo operaio era una realtà solida e
consistente solo in Gran Bretagna, dove le Trade Unions intorno al 1890 contavano già un milione e mezzo
di iscritti. Nati e sviluppatisi in forme diverse a seconda dei paesi, i sindacati si federarono sull’esempio
delle Trade Unions inglesi in grandi organismi nazionali. I più importanti furono quelli di ispirazione
socialista, come la CGIL costituita in Italia nel 1906.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 22. La "questione femminile" in Italia
L’epoca che vide il sorgere della società di massa fu anche quella che registrò l’emergere in forme ancora
frammentarie e minoritarie di una “questione femminile”. Il problema dell’inferiorità economica, politica e
giuridica delle donne era rimasto, con poche eccezioni, estraneo agli orizzonti del pensiero liberale e
democratico ottocentesco. I primi movimenti di emancipazione femminile, nati alla fine del settecento nella
Francia giacobina e nell’Inghilterra della rivoluzione industriale, avevano avuto scarsissimo seguito ed erano
subito stati dimenticati. Solo in Gran Bretagna il movimento femminile, sotto la guida di Emmeline
Pankhurst, riuscì a imposi all’attenzione dell’opinione pubblica e della classe dirigente, concentrando la sua
attività nell’agitazione per il diritto al suffragio (donde il nome di “suffragette” dato alle sue militanti) e
ricorrendo non di rado a forme di protesta quantomai decise. La lotta delle “suffragette”, che nel 1918
avrebbe portato in Gran Bretagna alla concessione del voto alle donne, trovò qualche appoggio tra i
parlamentari laburisti. Allo scoppio della prima guerra mondiale, le donne europee avevano visto cadere
alcune delle preclusioni più gravi, relative all’istruzione superiore e all’accesso alle professioni, ma
restavano ancora escluse dal diritto di voto e pesantemente discriminate sui luoghi di lavoro.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del’900, grazie anche alle pressioni delle organizzazioni sindacali, furono
introdotte nei maggiori stati europei forme di legislazione sociale variamente ispirate a quelle adottate per la
prima volta nella Germania bismarkiana negli anni ’80. Furono istituiti sistemi di assicurazione contro gli
infortuni e di previdenza per la vecchiaia e in alcuni casi anche sussidi per i disoccupati.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 23. La nascita dei partiti socialisti europei - fine '800 -
Alla fine dell’800 in tutti i più importanti paesi europei, e anche fuori dall’europa, sorsero partiti socialisti
che cercavano di organizzarsi sul piano nazionale. Furono proprio i partiti socialisti a proporre per primi il
modello di quel partito di massa che si sarebbe affermato come la forma di organizzazione politica più
diffusa nelle democrazie europee. Il primo e più importante di questi partiti fu quello socialdemocratico
tedesco, nato nel 1875. In Gran Bretagna, l’unico paese in cui da tempo era attivo un forte movimento
sindacale, furono proprio gli stessi dirigenti delle Trade Unions, all’inizio del’900, a prendere l’iniziativa di
creare una formazione politica che fosse espressione dell’intero movimento operaio. Nacque così nel 1906 il
partito laburista, che si fondava dal punto di vista organizzativo sull’adesione collettiva delle organizzazioni
sindacali ed era privo di una caratterizzazione ideologica ben definita. I partiti operai europei si
proponevano il superamento del sistema capitalistico e la gestione sociale dell’economia; tutti si ispiravano
a ideali internazionalisti e pacifisti, tutti tendevano a crearsi una base di massa tra i lavoratori e a partecipare
attivamente alla lotta politica nel proprio paese; tutti, infine, facevano capo a un’organizzazione socialista
internazionale, erede di quella che si era dissolta all’inizio degli anni ’70. La nascita della Seconda
Internazionale si fa risalire al 1889, quando i rappresentanti di numerosi partiti europei si riunirono a Parigi
e approvarono alcune importanti deliberazioni, fra cui quella che fissava come obiettivo primario del
movimento operaio la giornata lavorativa di otto ore e proclamava a tale scopo una giornata mondiale di
lotta per il primo maggio di ogni anno. La ricostituzione dell’Internazionale fu sancita ufficialmente in un
secondo congresso che si tenne a Bruxelles nel 1891, in cui si stabilirono tra l’altro l’esclusione degli
anarchici e di quanti rifiutavano pregiudizialmente la partecipazione all’attività politico-parlamentare.
Diversamente dalla prima, che aveva avuto l’ambizione di costituire una specie di centro dirigente della
classe lavoratrice di tutto il mondo, la Seconda Internazionale fu più che altro una federazione di partiti
nazionali autonomi e sovrani. Negli anni della Seconda Internazionale il movimento operaio europeo ebbe,
di fatto, una dottrina ufficiale: il marxismo. Col passare del tempo, presero corpo due diverse e opposte
tendenze. L’interprete più lucido e coerente della prima tendenza fu il tedesco Eduard Bernstein, che partiva
dalla constatazione di una serie di fatti che andavano in senso contrario alle previsioni di Marx: il
proletariato non si impoveriva ma migliorava lentamente la sua condizione e il capitalismo rivelava una
insospettata capacità di modificarsi e di superare le crisi. In questa situazione, i partiti operai dovevano
abbandonare le vecchie pregiudiziali di intransigenza, collaborare con le altre forza progressiste, accettare di
essere i partiti delle riforme sociali e democratiche. La società socialista non sarebbe nata da una rottura
rivoluzionaria ma da una trasformazione graduale realizzata grazie al lavoro quotidiano delle organizzazioni
operaie e del movimento sindacale. Le tesi di Bernstein, che furono definite “revisioniste” in quanto
implicavano una profonda revisione della teoria marxista, furono respinte da tutti i maggiori esponenti del
marxismo ortodosso. Negli stessi anni in cui si sviluppava il dibattito sulle tesi di Bernstein, il movimento
operaio vide emergere tra le sue file nuove correnti di estrema sinistra ispirate al modello di Nikolaj Lenin,
che contestava il modello organizzativo della socialdemocrazia tedesca, contrapponendogli il progetto di un
partito tutto votato alla lotta, formato da militanti scelti e guidato da rivoluzionari di professione con una
direzione fortemente accentrata. In un congresso della socialdemocrazia russa, le tesi di Lenin ottennero la
maggioranza dei consensi. Il partito si spaccò in due correnti: quella bolscevica (maggioritaria) guidata da
Lenin, e quella menscevica (minoritaria) con a capo Julij Martov.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 24. La missione della chiesa in Italia - inzio '900-
Di fronte all’avanzata inarrestabile dell’industrialismo, del movimento operaio e della società di massa, la
Chiesa di Roma e il mondo cattolico reagirono in modo complesso e articolato. Accanto al rifiuto
tradizionale della società industriale, alla duplice condanna lanciata nei confronti dell’individualismo
borghese e delle ideologie socialiste, vi fu anche il tentativo in parte riuscito di rilanciare la missione della
Chiesa. L’impegno dei cattolici su questo terreno si era cominciato a manifestare già nell’età di Pio IX, ma
ebbe un impulso decisivo durante il successivo pontificato di Leone XIII. Questi favorì il riavvicinamento
tra i cattolici e le classi dirigenti di quei paesi dove maggiore era la tensione tra Stato e Chiesa, ma
soprattutto cercò di riqualificare il ruolo della Chiesa in materia di questione sociale. Il documento più
importante ed emblematico di questo sforzo fu l’enciclica Rerum Novarum, emanata da Leone XIII nel
maggio del 1891 e dedicata ai problemi della condizione operaia. L’enciclica ribadiva la condanna del
socialismo e riaffermava l’ideale della concordia tra le classi, ma indicava anche il rispetto dei doveri
spettanti alle parti sociali. La creazione di società operaie e artigiane ispirate ai principi cristiani veniva
apertamente incoraggiata e tutti i cattolici erano invitati a impegnarsi su questo terreno. Negli ultimi anni
dell’800 venne emergendo soprattutto in Italia e in Francia una nuova tendenza politica che fu definita
Democrazia Cristina, che mirava a conciliare la dottrina cattolica non solo con l’impegno sociale ma
soprattutto con la prassi e gli istituti della democrazia. Quando nel 1903 salì al soglio pontificio il nuovo
papa Pio X, legato a una visione più tradizionale dei compiti della Chiesa e del laicato cattolico, i
democristiani furono richiamati all’ordine e si videro proibita ogni azione politica indipendente dalle
gerarchie ecclesiastiche.
La battaglia per i valori nazionali o per gli interessi del proprio paese finì spesso col legarsi alla lotta contro
il socialismo, alla difesa dell’ordine sociale esistente e al sogno di restaurazione di un ordine passato. In altri
termini il nazionalismo tendeva a spostarsi a destra, si sganciava dalle sue matrici illuministiche e
democratiche per riscoprire quelle romantiche e tradizionaliste, si collegava spesso alle teorie razziste allora
in voga, che pretendevano di stabilire una gerarchie tra razze superiori e inferiori e di affermare su questa
base la superiorità di un popolo su tutti gli altri. I pangermanisti auspicavano la riunificazione in un unico
Stato di tutte le popolazioni tedesche, comprese quelle che nel 1871 erano rimaste fuori dai confini del
Reich. Un movimento contrapposto al pangermanismo, ma ad esso affine per molti aspetti, fu il panslavismo
che nacque in Russia alla fine del’800 e si diffuse anche nei paesi slavi dell’europa dell’est fungendo da
strumento della politica imperiale zarista. Una reazione all’antisemitismo fu la nascita del sionismo, cioè di
quel movimento, fondato nel 1896 dallo scrittore ebreo viennese Theodor Herzl, che si proponeva di
restituire un’identità nazionale alle popolazioni israelite sparse per il mondo e di promuovere la costituzione
di uno stato ebraico in Palestina.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 25. La nascita del positivismo - 1850/1890 -
Fra il 1850 e il 1890 il panorama culturale europeo era stato dominato dal positivismo, che aveva fornito un
solido quadro di riferimento in ogni campo del sapere umano. A partire dalla fine dell’800, però, il modello
interpretativo offerto dal positivismo apparve sempre più inadeguato non solo a spiegare fenomeni politici,
economici e sociali, ma anche a tener il passo dell’evoluzione delle scienze. Sul piano filosofico si assistette
alla nascita di nuove correnti irrazionalistiche e vitalistiche. Primo principale interprete della critica al
positivismo fu il filosofo e letterato tedesco Nietzsche. Alla concezione lineare del tempo, Nietzsche oppose
quella ciclica dell’eterno ritorno; all’ottimismo progressivo delle filosofie borghesi, contrappose l’idea
dell’uomo nuovo, il superuomo, nato dalle ceneri della vecchia civiltà e capace di esprimere e realizzare la
propria individualità al di fuori della morale corrente. Anche in Italia, a partire dall’inizio del’900, vi fu una
rinascita idealistica che ebbe per protagonisti Benedetto Croce e Giovanni Gentile. E’ facile notare come
queste analisi, maturate in contesti politici diversi, avessero in comune un accentuato pessimismo sulla sorte
degli ordinamenti democratici. Esse contribuirono a determinare un clima di sfiducia e di scetticismo verso
la democrazia.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 26. Le dimissioni di Bosmark e il rapporto tra le potenze europee -
1890 -
A partire dal 1890, l’anno delle dimissioni di Bismark, i rapporti tra le grandi potenze subirono radicali
mutamenti. A mettere in crisi il vecchio sistema di alleanze furono soprattutto due fattori: La scelta del
nuovo imperatore tedesco Guglielmo II in favore di una politica di respiro mondiale, più dinamica ed
aggressiva di quella praticata da Bismark dopo il ’70; la crescente difficoltà per la Germania di tenere uniti i
suoi due maggiori alleati, gli imperi Austro-ungarico e Russo, in perenne tensione nel settore balcanico.
Mentre Bismark era riuscito in qualche modo a legare a sè entrambe le potenze, i suoi successori optarono
decisamente per l’alleanza con l’Austria, non rinnovando nel 1890 il trattto di contrassicurazione stipulato
tre anni prima con la Russia (che impegnava la Russia a non aiutare la Francia in caso di attacco alla
Germania e la Germania a non unirsi all’Austria in una guerra contro la Russia): ciò nella convinzione che
l’impero zarista non avrebbe mai stretto alleanza con la Francia repubblicana. Ma queste due potenze,
diversissime e distanti sotto tutti i punti di vista, avevano almeno una cosa in comune: la necessità di trovare
un alleato. Si giunse così, nell’estate del 1891, a un primo accordo franco-russo, trasformatosi poi nel 1894
in una vera e propria alleanza militare. Pochi anni dopo, la decisione presa dal governo tedesco di dare il via
alla costruzione di una potente flotta da guerra capace di contrastare la superiorità britannica nel Mare del
Nord provocava un inasprimento dei rapporti fino ad allora cordiali tra Germania e Inghilterra. Ma l’effetto
fu quello di indurre gli inglesi, decisi a mantenere la propria superiorità, a impegnarsi a loro volta a una vera
e propria corsa agli armamenti navali. Frattanto aveva inizio tra Inghilterra e Francia quel processo di
graduale riavvicinamento che portò le due potenze a sistemare le vecchie vertenze colonili in Africa e a
stipulare nel 1904 un accordo che prese il nome di “intesa cordiale”. Quando nel 1907 anche Inghilterra e
Russia regolarono i loro contrasti in Asia con un accordo che limitava le rispettive sfere d’influenza, il
capovolgimento della situazione pre-1890 potè dirsi completo. Del sistema di alleanze bismarkiano restava
in piedi solo il blocco tra i due imperi centrali con l’appendice dell’Italia. A questo blocco se ne
contrapponeva un altro, quello che poi fu chiamato “Triplice Intesa”, politicamente meno omogeneo e meno
compatto dal punto di vista diplomatico ma potenzialmente più forte per risorse e per popolazione e unito, se
non altro, dalla preoccupazione per la crescente potenza tedesca.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 27. L'inizio della belle epoque
Se è giusto cogliere nella gara dei nazionalismi, nella corsa al riarmo e nelle ricorrenti crisi internazionali le
premesse dell’imminente conflitto mondiale, non è però corretto dipingere l’Europa del periodo a cavallo tra
i due secoli come una specie di grande piazza d’armi. Gli anni che precedettero la prima guerra mondiale,
infatti, sarebbero stati ricordati come “la belle epoque”, l’epoca bella per eccellenza. Si trattava, anche in
questo caso, di un’immagine eccessivamente semplificata. La belle epoque fu in realtà un periodo di crescita
complessiva della società europea ma anche di forti contrasti politici e di grandi conflitti sociali.
Un esempio è avvenuto in occasione di un clamoroso caso giudiziario, quello di Alfred Dreyfus, un ufficiale
ebreo condannato ai lavori forzati nel 1894 sotto l’accusa di aver fornito documenti riservati all’ambasciata
tedesca. La sentenza, che fornì alla stampa di destra il pretesto per una violenta campagna antisemita, era
basata su indizi falsi o inconsistenti, ma la cosa più grave fu il fatto che, una volta emersi i primi dubbi sulla
colpevolezza del condannato, le alte sfere militari si rifiutarono di procedere a una revisione del processo
giungendo al punto di falsificare documenti e di coprire i veri colpevoli. Il caso era, però, ormai sollevato e
su di esso l’opinione pubblica francese si divise in due schieramenti contrapposti. Quando nell’estate del
1899 si giunse alla revisione del processo, Dreyfus, si vide confermata la condanna dalla corte marziale,
nonostante fossero ormai emerse prove evidenti della sua innocenza. Per rendergli la libertà fu necessario un
atto di grazia del Presidente della Repubblica. Sconfitti in un primo tempo sul piano giudiziario, i sostenitori
di Dreyfus ebbero però partita vinta sul terreno politico: l’esito delle elezioni del 1899, favorevole alle forze
progressiste, consentì la formazione di un governo di coalizione repubblicana che comprendeva anche un
esponente socialista nella persona di Alexandre Millerand.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea 28. Le elezioni politiche in Gran Bretagna - 1906 -
In Gran Bretagna, nelle elezioni del 1906, i liberali conquistarono un’ampia maggioranza, mentre per la
prima volta faceva il suo ingresso alla Camera un gruppi di 30 deputati laburisti. I governi liberali scelsero
una linea meno aggressiva in campo coloniale e per una più energica e organica politica di riforme sociali:
riduzione dell’orario lavorativo a 8 ore per i minatori, istituzione di uffici di collocamento, assicurazioni per
la vecchiaia a totale carico dello Stato ecc...
I progressi della legislazione sociale, non accompagnati da consistenti miglioramenti salariali, non avevano
smorzato la combattività della classe lavoratrice, protagonista di una lunga serie di scioperi che spesso
sfuggivano al controllo delle stesse Trade Unions. Alle agitazioni operaie si aggiungevano quelle delle
“suffragette” e quelle mai interrottesi dei nazionalisti irlandesi che disponevano alla Camera dei Comuni di
un gruppo di 80 deputati, il cui appoggio era indispensabile alla sopravvivenza dei governi liberali. Nel 1911
il governo Asquith presentò un nuovo progetto di Home Rule, che prevedeva un Irlanda autonoma con un
proprio governo e un proprio parlamento ma pur sempre dipendente dall’Inghilterra per tutte le questioni di
comune interesse. La soluzione proposta scontentava sia i nazionalisti irlandesi, che miravano alla piena
indipendenza, sia alla minoranza protestante dell’Ulster, che organizzò un movimento clandestino armato
per opporsi all’autonomia. Dopo un lungo e tormentato dibattito, il progetto liberale fu comunque approvato
dalla Camera nel maggio 1914 ma la sua applicazione fu subito dopo sospesa a causa dello scoppio della
guerra.
Marco Cappuccini Sezione Appunti
Piccolo bignami di storia contemporanea