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Il sistema autocratico Russo di fine '800



Fra le grandi potenze europee la Russia era la sola che alla fine dell’800 si reggesse ancora su un sistema autocratico: Ogni tentativo di occidentalizzazione delle istituzioni fu decisamente accantonato.
Priva di canali legali attraverso cui esprimersi, la protesta politica e sociale nella Russia zarista finì col coagularsi in un moto rivoluzionario: il più ampio e sanguinoso cui l’Europa avesse mai assistito dai tempi della Comune Parigina. A far precipitare gli eventi, contribuì lo scoppio, nel 1904, della guerra col Giappone che, provocando fra l’altro un brusco aumento dei prezzi, fece immediatamente salire la tensione sociale. In una domenica di gennaio del 1905, a Pietroburgo, un corteo di 150.000 persone, che si dirigeva verso il Palazzo d’Inverno, residenza dello zar, per presentare al sovrano una petizione, fu accolta a fucilate dall’esercito. I morti furono più di cento e oltre i duemila i feriti. La brutale repressione della “domenica di sangue” scatenò in tutto il paese un’ondata di agitazione, di vere e proprie sommosse. Di fronte alla crisi dei poteri costituiti sorsero spontaneamente in molti centri nuovi organismi rivoluzionari, i soviet, cioè rappresentanze popolari elette sul luogo di lavoro e costituite da membri continuamente revocabili, secondo un principio di democrazia diretta ispirato all’esperienza della Comune di Parigi. In ottobre lo zar parve finalmente disposto a cedere e promise libertà politiche e istituzioni rappresentative. Fra novembre e dicembre la corona e il governo passarono risolutamente alla controffensiva facendo arrestare quasi tutti i membri del soviet di Pietroburgo e schiacciando con durezza le rivolte successivamente scoppiate nella capitale e a Mosca. Una volta ristabilito l’ordine, restava come unico risultato del moto rivoluzionario l’impegno dello zar di convocare un’assemblea rappresentativa (Duma) che nelle speranze dei gruppi liberal-democratici e degli stessi socialisti menscevichi avrebbe dovuto aprire nuovi spazi di libertà nella vita politica russa. Le attese di un’evoluzione parlamentare del regime andarono comunque deluse. Eletta nell’aprile del 1906, la prima Duma risultò ugualemente un ostacolo troppo ingombrante sulla via della restaurazione assolutista e fu sciolta dopo poche settimane. Uguale sorte subì una seconda Duma, eletta nel febbraio del 1907 e rivelatasi ancor meno governabile della prima. A questo punto, in estate, il governo modificò la legge elettorale in senso smaccatamente classista (il voto di un grande proprietario contava 500 volte quello di un operaio) e potè finalmente disporre di un’assemblea più docile, composta in gran parte da aristocratici. Con questo colpo di mano, gli strascichi della rivoluzione del 1905 potevano considerarsi liquidati e la Russia tornava ad essere un regime sostanzialmente assolutista. Artefice principale della restaurazione fu il conte Petr Stolypin, diventato primo ministro nel 1906 in sostituzione del troppo liberale Vitte. Punto chiave della riforma Stolypin fu la dissoluzione della struttura comunitaria del mir: in base a un decreto del 1906 i contadini ebbero la facoltà di uscire dalle comunità di villaggio diventando proprietari della terra che coltivavano e godettero di facilitazioni creditizie per l’acquisto di altre terre sottratte al demanio statale o cedute dietro indennizzo dai latifondisti. Lo scopo era quello di creare un ceto di piccola borghesia rurale che fosse al tempo stesso fattore di modernizzazione economica e stabilità politica. Il progetto riuscì solo in parte. Dei nuovi piccoli proprietari creati dalla riforma, una parte andò a ingrossare il numero dei contadini ricchi (i kulaki); ma i più non trovarono nei loro piccoli appezzamenti la possibilità di condizioni di vita accettabili.

Tratto da PICCOLO BIGNAMI DI STORIA CONTEMPORANEA di Marco Cappuccini
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