Repressione del dissenso nel fascismo
A partire dagli anni ‘25/26 un numero crescente di italiani dovette affrontare il carcere, l’esilio o la clandestinità. Non tutti però sperimentarono i rigori della repressione. I liberali trovarono un importante punto di riferimento in Benedetto Croce che potè proseguire senza eccessivi fastidi la sua attività culturale e pubblicistica (contrapposta a quella idealistico-totalitaria impersonata da Gentile). A dare vita all’agitazione clandestina in patria furono soprattutto i comunisti: il Pci riuscì a tenere in piedi una propria rete clandestina, l’attività principale di socialisti, repubblicani, liberaldemocratici si svolse quasi esclusivamente all’estero. Nel ’27 questi gruppi diedero vita alla concentrazione anti-fascista, nel ’30 in un congresso tentasi a Parigi i 2 tronconi in cui il Psi si era diviso nel ’22 si riunificarono.
Anche i comunisti avevano un centro estero con sede a Parigi ma esso dipendeva strettamente da Mosca. Palmiro Togliatti guidò il partito negli anni dell’esilio, allineandosi senza riserva alla strategia dettata da Mosca. Se si volesse tracciare un bilancio del movimento anti-fascista si dovrebbe concludere che la sua incidenza sulla situazione italiana di quegli anni fu poco più che nulla.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Marco Cappuccini
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- Facoltà: Scienze della Comunicazione
- Esame: Storia contemporanea
- Docente: Adriana Roccucci
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