Le elezioni italiane del 1948 e gli effetti del Trattato di pace
In occasione delle elezioni del ’48, il partito socialista decise di presentare liste comuni col PCI sotto l’insegna di Fronte Popolare. La DC, in risposta, poteva contare sull’appoggio della Chiesa, con Papa Pio XII, e degli Stati Uniti. Le elezioni del 18 Aprile si risolsero così con un travolgente successo del partito cattolico. Si chiudeva quindi la fase più agitata e incerta del dopoguerra: cadevano le speranze dei partiti di sinistra di guidare la società, e si rafforzava l’egemonia del partito cattolico. Le delusioni dei militanti di sinistra si espressero 3 mesi dopo le elezioni, quando un episodio drammatico rischiò di far precipitare il paese nella guerra civile: il 14 Luglio ’48, uno studente di destra sparò al segretario comunista Togliatti mentre usciva da Montecitorio e lo ferì gravemente. Alla notizia dell’attentato, operai e militanti comunisti in tutte le città scesero in piazza scontrandosi con le forze dell’ordine. La decisione della maggioranza social-comunista della CGIL di proclamare uno sciopero generale per protesta fornì alla componente cattolica la possibilità di staccarsi dal sindacato unitario e dar vita a una nuova confederazione, la CISL (Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori). Pochi mesi dopo, anche i sindacalisti repubblicani e socialdemocratici abbandonarono la CGIL fondando la UIL (Unione Italiana del Lavoro).
Il ministero del bilancio era guidato da Luigi Einaudi, che attuava una manovra economica che voleva far terminare l’inflazione e risanare il bilancio statale. I fondi del piano Marshall furono utilizzati per finanziare le importazioni di derrate alimentari e materie prime ma non per sviluppare la domanda interna. Gli strumenti di controllo dell’economia furono sottoutilizzati ma non cancellati: l’IRI fu potenziato con nuovi finanziamenti, e l’AGIP fu rilanciato sulla scoperta di giacimenti di idrocarburi in Val Padana.
Il Trattato di pace tra l’Italia e gli alleati fu firmato a Parigi nel Febbraio ’47. L’Italia veniva considerata a tutti gli effetti come una nazione sconfitta: doveva impegnarsi quindi a pagare riparazioni agli stati che aveva attaccato e a ridurre la consistenza delle sue forze armate, rinunciando anche a tutte le sue colonie. La questione di Trieste e della Venezia Giulia rappresentò nel primo decennio postbellico la ferita più dolorosa. Il contrasto tra italiani e slavi era riesploso alla fine della guerra nelle zone occupate dagli jugoslavi con una serie di sanguinose vendette contro gli italiani culminate nell’esecuzione di alcune migliaia di persone gettate nelle foibe (profonde fosse naturali nel Carso). L’adesione al Patto Atlantico fu approvata dal Parlamento nel Marzo ’49. Col passare degli anni la scelta atlantica fu accettata anche da molte forze che l’avevano inizialmente contestata.
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Autore:
Marco Cappuccini
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- Facoltà: Scienze della Comunicazione
- Esame: Storia contemporanea
- Docente: Adriana Roccucci
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