Il modello di stato napoleonico dopo l'Unità
La preoccupazione dell’Unità da salvaguardare condizionò pesantemente le scelte dei primi governi post unitari, i leader della destra erano disposti a un sistema decentrato basato sull’autogoverno delle comunità locali, nei fatti però prevalsero le esigenze pratiche ed immediate e ci si orientò verso un modello di stato Napoleonico: basato cioè su ordinamenti uniformi per tutto il regno e su una rigida gerarchia di funzionari dipendenti dal centro. Furono emanate leggi nuove, come la legge Casati sull’istruzione che creava un sistema scolastico nazionale e stabiliva il principio dell’istruzione elementare obbligatoria; oppure la legge Rattizzi sull’ordinamento comunale e provinciale che affidava il governo dei comuni a un Consiglio ed ad un Sindaco di nomina regia. Fra i motivi che spinsero la classe dirigente a scegliere questa soluzione il principale fu la situazione del Mezzogiorno: nelle province meridionali il malessere antico delle masse contadine si sommò ad una diffusa ostilità verso il nuovo ordine politico. I disordini si fecero più estesi e più frequenti fino a trasformarsi in un moto generale di rivolta. Fin dall’estate del ’61 tutte le regioni del Mezzogiorno erano percorse da bande, assalivano in preferenza i piccoli centri e gli occupavano per giorni, massacrando i notabili liberali ed incendiando gli archivi comunali. A questo attacco i governi post unitari reagirono con spietata energia: nel 1863 le forze impiegate nella lotta al brigantaggio giunsero a contare 120'000 uomini: circa la metà dell’esercito italiano. Il grande brigantaggio fu sconfitto nel giro di pochi anni. Mancò ai governi della destra la capacità o la volontà di attuare una politica per il Mezzogiorno capace di ridurre le cause del malcontento. La divisione dei terreni Demaniali fu portata avanti con scarsa incisività, le principale scelte di politica economica messe in atto dai governi della destra si rivelarono tutt’altro che vantaggiose per l’economia del Mezzogiorno, ne risultò accentuato il divario tra le regioni del sud e quelle del centro-nord.
I governi della destra storica dovettero affrontare il problema
dell’unificazione economica del paese, si trattava di unificare i
sistemi monetari e fiscali diversi, costruire un efficiente rete di
comunicazione stradale e ferroviaria, indispensabile per la formazione
di un mercato nazionale, ma anche simbolo di modernità e progresso
civile. Molto rapido fu lo sviluppo delle vie di comunicazione in
particolare della rete ferroviaria. I risultati furono notevoli: paesi
prima isolati conobbero rapporti di scambio con altre zone più
progredite, in generale tutto il settore agricolo conobbe progressi
significativi in termini di incremento produttivo, nessun vantaggio
immediato venne invece al settore industriale, penalizzato anzi
dall’accresciuta concorrenza internazionale. Il liberismo ebbe alcuni
effetti positivi: una rapida integrazione nel contesto economico europeo
e l’accumulazione di capitali che consentirono di realizzare delle
infrastrutture indispensabili per il successivo sviluppo industriale.
Dopo 20 anni però l’Italia non era un paese molto più ricco di quanto
non fosse al momento dell’Unificazione e sotto il profilo dello sviluppo
industriale aveva addirittura perso terreno nei confronti dei paesi più
progrediti. Responsabile principale di questa situazione fu la
durissima politica fiscale necessari per coprire i costi
dell’unificazione. Per rinsanguare le casse dello stato si ricorse a
mezzi diversi: fu introdotto nel ’67 il “corso forzoso” ossia la
circolazione obbligatoria della carta-moneta emessa dalle banche
autorizzate. In fine furono inasprite le imposte indirette e nel ’68 ne
fu varata una nuova: la tassa sul macinato: si trattava in pratica di
una tassa sul pane cioè il consumo popolare per eccellenza che colpiva
duramente le classi più povere. Si registrarono all’inizio del 1869 le
prime agitazioni sociali su scala nazionale della storia dell’Italia
Unita, la repressione fu anche in questo caso durissima. La politica di
duro fiscalismo e inflessibile rigore finanziario ( legata soprattutto
al nome di Quintino Sella ministro delle finanze) ottenne alla fine gli
effetti sperati. Nel 1875 si ebbe il pareggio del bilancio. Ma intanto
il fronte degli scontenti si allargava.
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Dettagli appunto:
-
Autore:
Marco Cappuccini
[Visita la sua tesi: "La comunicazione commerciale, ovvero come battere Berlusconi alle prossime elezioni"]
- Facoltà: Scienze della Comunicazione
- Esame: Storia contemporanea
- Docente: Adriana Roccucci
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