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La "questione femminile" in Italia

La "questione femminile" in Italia



L’epoca che vide il sorgere della società di massa fu anche quella che registrò l’emergere in forme ancora frammentarie e minoritarie di una “questione femminile”. Il problema dell’inferiorità economica, politica e giuridica delle donne era rimasto, con poche eccezioni, estraneo agli orizzonti del pensiero liberale e democratico ottocentesco. I primi movimenti di emancipazione femminile, nati alla fine del settecento nella Francia giacobina e nell’Inghilterra della rivoluzione industriale, avevano avuto scarsissimo seguito ed erano subito stati dimenticati. Solo in Gran Bretagna il movimento femminile, sotto la guida di Emmeline Pankhurst, riuscì a imposi all’attenzione dell’opinione pubblica e della classe dirigente, concentrando la sua attività nell’agitazione per il diritto al suffragio (donde il nome di “suffragette” dato alle sue militanti) e ricorrendo non di rado a forme di protesta quantomai decise. La lotta delle “suffragette”, che nel 1918 avrebbe portato in Gran Bretagna alla concessione del voto alle donne, trovò qualche appoggio tra i parlamentari laburisti. Allo scoppio della prima guerra mondiale, le donne europee avevano visto cadere alcune delle preclusioni più gravi, relative all’istruzione superiore e all’accesso alle professioni, ma restavano ancora escluse dal diritto di voto e pesantemente discriminate sui luoghi di lavoro.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del’900, grazie anche alle pressioni delle organizzazioni sindacali, furono introdotte nei maggiori stati europei forme di legislazione sociale variamente ispirate a quelle adottate per la prima volta nella Germania bismarkiana negli anni ’80. Furono istituiti sistemi di assicurazione contro gli infortuni e di previdenza per la vecchiaia e in alcuni casi anche sussidi per i disoccupati.

Tratto da PICCOLO BIGNAMI DI STORIA CONTEMPORANEA di Marco Cappuccini
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