La nascita della società di massa
La nascita della società di massa
Di “massa” nel senso di moltitudine indifferenziata al suo interno, di aggregato omogeneo in cui i singoli tendono a scomparire rispetto al gruppo, si parlava già all’inizio dell’800, dopo che la rivoluzione francese aveva visto il “popolo” entrare per la prima volta da protagonista sulla scena politica. Ma è solo alla fine dell’800, col diffondersi dell’industrializzazione e dei connessi fenomeni di urbanizzazione che si vengono delineando i contorni di quella che oggi chiamiamo società di massa. Nella società di massa la maggioranza dei cittadini vive in grandi e medi agglomerati urbani; gli uomini entrano in rapporto tra loro in modo anonimo e impersonale. Il sistema delle relazioni sociali non passa più attraverso le piccole comunità tradizionali ma fa capo alle grandi istituzioni nazionali. Il grosso della popolazione è uscito dalla dimensione dell’autoconsumo e quasi tutti sono entrati nell’economia di mercato.
Nel ventennio che precedette la prima guerra mondiale, l’economia dei paesi industrializzati conobbe una fase di espansione intensa e prolungata, interrotta solo da una breve crisi nel 1907-08. La crescita generalizzata dei redditi determinò a sua volta l’allargamento del mercato. L’esigenza di una produzione in serie per un mercato di massa spinse le imprese ad accelerare i processi di meccanizzazione e di razionalizzazione produttiva. Nel 1913, nelle officine automobilistiche Ford di Detroit fu introdotta la prima catena di montaggio: un’innovazione rivoluzionaria che consentiva di ridurre notevolmente i tempi di lavoro, ma, rendeva il lavoro ripetitivo e spersonalizzato. La catena di montaggio fu il culmine di una serie di tentativi volti a migliorare la produttività, non solo mediante l’introduzione di nuove macchine ma anche attraverso un più razionale controllo e sfruttamento del lavoro umano. Il tentativo più organico e fortunato in questo senso lo si dovette ad un ingegnere statunitense, Frederick Taylor, autore nel 1911 di un libro intitolato “Principi di organizzazione scientifica del lavoro”. Il metodo di Taylor si basava sullo studio sistematico del lavoro in fabbrica. Applicate con un certo successo in molte imprese americane ed europee, le tecniche del taylorismo assicurarono notevoli progressi in termini di produttività e permisero alle imprese che le adottarono di innalzare il livello della retribuzione. Tipico fu il caso della Ford che fu la prima a produrre automobili in grande serie e allegò il suo nome a una nuova filosofia imprenditoriale, il fordismo, basata sui consumi di massa, sui prezzi competitivi e sugli alti salari.
Gli esordi della società di massa se da un lato tendevano a creare uniformità nei comportamenti e nei modelli culturali di una parte crescente della popolazione, dall’altro rendevano più mobile e più complessa la stratificazione sociale. Nella classe operaia si veniva accentuando la distinzione tra la manodopera generica e i lavoratori qualificati. Contemporaneamente l’espansione del settore dei servizi e la crescita degli apparati burocratici facevano aumentare la consistenza di un ceto medio urbano che andava sempre più distinguendosi dagli strati superiori della borghesia. Tra i nuovi ceti medi cresceva la massa degli addetti al settore privato che svolgevano lavori non manuali (i cosiddetti “colletti bianchi” per sottolineare il contrasto coi “colletti blu” degli operai).
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Autore:
Marco Cappuccini
[Visita la sua tesi: "La comunicazione commerciale, ovvero come battere Berlusconi alle prossime elezioni"]
- Facoltà: Scienze della Comunicazione
- Esame: Storia contemporanea
- Docente: Adriana Roccucci
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