Questi appunti riassumono il "Manuale di procedura penale" di Tonini e affrontano i principali temi inerenti al diritto processuale.
Dopo una carrellata storica sul processo penale dal diritto romano allo Stato Assoluto francese e alla situazione dell'Inghilterra, vengono infatti toccati argomenti quali: la definizione di processo penale, la giurisdizione e le competenze territoriali; le funzioni del Pubblico Ministero e i rapporti con gli altri Uffici preposti, il ruolo del giudice e l'elaborazione della sentenza; la difesa dell'imputato, la costituzione in parte civile e il valore degli atti documentali. Infine ci si sofferma sul valore delle prove e degli indizi raccolti e sulla testimonianza: il suo valore penale, il segreto d'ufficio e l'influenza psichica sul testimone.
Diritto processuale penale
di Stefano Civitelli
Questi appunti riassumono il "Manuale di procedura penale" di Tonini e
affrontano i principali temi inerenti al diritto processuale.<br />
Dopo una carrellata storica sul processo penale dal diritto romano allo Stato
Assoluto francese e alla situazione dell'Inghilterra, vengono infatti toccati
argomenti quali: la definizione di processo penale, la giurisdizione e le
competenze territoriali; le funzioni del Pubblico Ministero e i rapporti con gli altri
Uffici preposti, il ruolo del giudice e l'elaborazione della sentenza; la difesa
dell'imputato, la costituzione in parte civile e il valore degli atti documentali.
Infine ci si sofferma sul valore delle prove e degli indizi raccolti e sulla
testimonianza: il suo valore penale, il segreto d'ufficio e l'influenza psichica sul
testimone.
Università: Università degli Studi di Firenze
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Diritto processuale penale - modulo I, a.a.
2007/2008
Titolo del libro: Manuale di procedura penale
Autore del libro: Paolo Tonini1. Definizione di diritto processuale penale
Il diritto processuale penale è il complesso delle norme di legge che disciplinano le attività dirette
all’attuazione del diritto penale nel caso concreto: ha una funzione strumentale rispetto al diritto penale
sostanziale.
Senza un processo regolato dalla legge e rispettoso dei diritti delle parti, l’applicazione della norma penale si
trasformerebbe in un “diritto di polizia”, non essendoci un corretto accertamento dei fatti.
La legge penale sostanziale ha la finalità di regolare le azioni delle persone e non di accertarle;
l’accertamento dei fatti spetta al processo.
La legge processuale penale ha una duplice finalità: da un lato regola l’attività del giudice e delle parti,
dall’altro predispone gli strumenti logici mediante i quali il giudice, con il contributo dialettico delle parti,
accerta i fatti di reato e la personalità di coloro che li hanno commessi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 2. La protezione della società e la difesa dell’imputato
Il processo penale, nell’applicare la legge sostanziale, deve perseguire contemporaneamente la funzione di
tutelare la società contro la delinquenza e di difendere l’accusato dal pericolo di una condanna ingiusta.
Le norme processuali devono assicurare insieme la protezione della società e la difesa dell’imputato, che
sono considerabili entrambi interessi pubblici.
La protezione della società è realizzata con mezzi che impediscono o ostacolano la difesa dell’imputato, si
riduce il pericolo di assolvere il colpevole ma si aumenta il rischio di condannare l’innocente o di irrogare
pene sproporzionate.
Viceversa, l’ampliamento dei diritti di difesa aggrava il pericolo che siano assolti i colpevoli.
Il legislatore si trova costretto a inventare soluzioni che, nella ricerca di un coordinamento difficile,
inevitabilmente possono sacrificare o la difesa della società o la difesa dell’imputato.
In definitiva si tratta riscegliere se è più accettabile condannare un innocente o assolvere un colpevole.
Ad un regime totalitario corrisponde un processo penale nel quale la difesa della società prevale su quella
dell’imputato; viceversa ad un regime garantista corrisponde un sistema processuale che dà all’imputato una
tutela prevalente rispetto alla difesa della società.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 3. Sistema inquisitorio e sistema accusatorio nel diritto penale
Già nel periodo medievale era denominato inquisitorio quel sistema processuale che attribuiva al giudice il
potere di attivarsi d’ufficio per ricercare i reati e acquisirne le prove.
L’organo detentore dell’iniziativa processuale era il c.d. giudice inquisitore.
Sempre nello stesso periodo era denominato accusatorio quel tipo di processo nel quale il giudice non
esercitava alcun potere d’ufficio, poiché erano le parti ad avere l’iniziativa.
L’avvio del processo, il suo svolgimento e la ricerca delle prove erano lasciati ad una parte: il c.d.
accusatore.
Al giudice era attribuito solo il potere di prendere decisioni di richiesta di parte.
In linea generale si dice che il sistema inquisitorio si basa sul segreto e sulla scrittura, mentre il sistema
accusatorio si fonda sul contraddittorio e sull’oralità.
Tali tipi ideali di processo si sono combinati in concreto secondo modalità differenti nelle varie epoche.
La maggior parte degli ordinamenti sono di tipo misto.
Gli studiosi tendono a rimarcare la contrapposizione tra i due sistemi nella differenza tra oralità e scrittura:
in base a ciò sarebbe prevalentemente inquisitorio quel processo che permette al giudice di decidere su
prove scritte, e cioè limitandosi a leggere i verbali di atti compiuti in un momento anteriore da parte di altri
soggetti; viceversa, sarebbe prevalentemente accusatorio qual processo che impone al giudice di decidere
soltanto in base a prove che siano assunte oralmente davanti a lui, le prove assunte in precedenza non
possono essere utilizzate dal giudice per accertare la reità dell’imputato.
Purtroppo l’esperienza storica, anche recente, dimostra che non è sufficiente attuare l’oralità se si vuole
predisporre un processo accusatorio, in quanto è pericoloso disinteressarsi di tutta quella fase che precede il
giudizio ma occorre preoccuparsi che anche in essa siano presenti garanzie.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 4. Sistema inquisitorio e principio di autorità
Il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorità secondo il quale la verità è tanto meglio accertata
quanto più potere è dato al soggetto inquirente.
In lui si cumulano tutte le funzioni processuali: egli opera al tempo stesso come giudice, come accusatore e
come difensore dell’imputato.
Si pensa che se l’autorità facilità l’accertamento del vero e del giusto, tanto maggiore sarà quella, tanto
migliore sarà questo.
In definitiva, si crede ne “cumulo” delle funzioni processuali in un unico organo.
Correlativamente si tende a non riconoscere alcun potere alle parti: l’offeso e l’imputato sono meri oggetti
del giudizio, poiché tutti i poteri risiedono nel giudice.
In questo sistema non occorre che il giudice sia indipendente, al contrario, si ritiene che quanto più stretto è
il suo legame col potere politico tanto meglio egli potrà svolgere la sua opera e tanto più aderente al vero
sarà la sua decisione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 5. Caratteristiche principali del sistema inquisitorio
Le caratteristiche principali del sistema inquisitorio, derivanti dal principio del cumulo delle funzioni
processuali, sono:
- Iniziativa d’ufficio, l’iniziativa deve spettare al giudice e, poiché egli è depositario del vero e del giusto,
non può essere ostacolato dall’inattività delle parti.
E’ sufficiente una denuncia anonima a mettere in funzione il giudice inquisitore.
Non serve un organo pubblico o privato di accusa, né di polizia.
- Iniziativa probatoria d’ufficio, la ricerca delle prove non deve spettare alle parti, bensì al giudice stesso,
perché egli ha più poteri e, quindi, meglio può conoscere il vero e il giusto.
Il giudice è in grado di ricercare le prove con pieni poteri coercitivi.
- Segreto, l’inquisitore è una persona che ricerca la verità senza utilizzare la contrapposizione dialettica tra le
parti.
Assume le deposizioni in segreto e non ha la necessità di confrontare la sua ricostruzione della verità con le
posizioni dell’accusa e della difesa.
- Scrittura, delle deposizioni raccolte dall’inquisitore è redatto un verbale.
Si ritiene accettabile che non vengano riportate le parole effettive, bensì la versione data dall’inquirente
perché soltanto lui è in grado di comprenderne il vero significato.
La verità è contenuta nelle carte del fascicolo predisposto dall’inquisitore.
- Nessun limite all’ammissibilità delle prove, quello che conta è il risultato da raggiungere, e cioè la verità, e
non il metodo con cui la si persegue.
Pertanto ogni modalità da ricerca è ammessa: anche la tortura dell’imputato.
- La presunzione di reità, è sufficiente aver raccolto alcuni indizi contro un imputato, o anche soltanto una
denuncia anonima, perché questi sia chiamato a “discolparsi”.
In questo sistema deve essere l’imputato a dimostrare la sua innocenza mediante prove: se fallisce il tale
compito deve essere condannato.
- Carcerazione preventiva, poiché l’imputato è presunto colpevole, in mancanza di prove d’innocenza può
essere sottoposto a custodia preventiva in carcere.
- Molteplicità delle impugnazioni, una volta che è stata pronunciata la sentenza il sistema si ricorda che
anche il giudice è un uomo e può sbagliare.
Ed allora il regime permette che le parti possano presentare impugnazione, sulla quale deve decidere un
giudice superiore che è dotato dei medesimi poteri inquisitori del primo.
In ultima istanza si ritiene che il re, o l’organo analogo, possa concedere la grazia poiché in lui si cumulano
tutti i poteri.
In definitiva, il processo inquisitorio permette di accertare quella che può essere definita la “verità di Stato”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 6. Definizione di sistema accusatorio
Il sistema accusatorio si basa su un principio opposto a quello di autorità, e cioè il principio dialettico.
Si ritiene che nessuna persona sia depositaria del vero e del giusto, la verità si può accertare tanto meglio
quanto più le funzioni processuali sono ripartite tra soggetti che hanno interessi antagonisti.
Al giudice, che deve essere indipendente e imparziale, spetta di decidere sulla base di prove ricercate
dall’accusa e dalla difesa.
Il sistema delineato, che può essere definito “separazione” delle funzioni processuali, adempie alla
medesima finalità che è svolta dal principio della separazione dei poteri dello Stato: si tende ad evitare che
l’uso di un potere degeneri in abuso.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 7. Le caratteristiche principali del sistema accusatorio
- Iniziativa di parte, in origine il potere di azione spettava ad un accusatore privato, cioè alla persona offesa,
successivamente tale potere è stato assegnato ad un organo pubblico.
- Iniziativa probatoria di parte, i poteri di ricerca, ammissione e valutazione della prova devono essere divisi
e ripartiti tra giudice, accusa e difesa.
Colui che accusa ha l’onere di ricercare le prove e di convincere il giudice della reità dell’imputato.
La difesa deve avere il potere di ricercare le prove in base alle quali possa convincere il giudice che
l’imputato non è colpevole o che le modalità di svolgimento del fatto addebitato devono essere ricostruite in
modo diverso da quello fatto dall’accusa.
Il giudice deve soltanto decidere se ammettere, o meno, il mezzo di prova che viene richiesto.
- Contraddittorio, assicura che, prima della decisione, il giudice permetta alla parte interessata di sostenere le
proprie ragioni.
Il contraddittorio adempie a due funzioni essenziali: tutela i diritti di ciascuna parte e costituisce una tecnica
di accertamento dei fatti.
Ad ogni parte deve essere data la possibilità di mettere in dubbio l’esistenza del fatto che è affermato dalla
controparte.
- Oralità, permette di valutare in modo pieno la credibilità e l’attendibilità di un testimone o altro
dichiarante.
Da ciò deriva la regola secondo cui, in linea di principio, non sono utilizzabili dichiarazioni scritte ai fini
della decisione.
- Limiti di ammissibilità delle prove, è molto importante il metodo col quale si giunge a formare la prova.
Si ritiene che una prova non sia attendibile se è raccolta con tecniche che influiscono sulla libertà morale di
una persona.
Spetta al giudice il controllo sulla ammissibilità dei mezzi di prova richiesti dalle parti.
Presunzione d’innocenza, il giudice può condannare l’imputato solo quando l’accusa ha provato la reità “al
di fuori di ogni ragionevole dubbio”; mentre se l’accusa non riesce a eliminare il dubbio, l’imputato deve
essere dichiarato “non colpevole”.
Non occorre che sia “assolto”, poiché egli è presunto innocente fin dall’inizio del processo.
Limiti alla custodia cautelare, se l’imputato è presunto innocente fino alla condanna definitiva, non può
essere trattato come un colpevole.
Pertanto quella che può essere applicata è soltanto una misura cautelare se ed in quanto vi siano prove che
dimostrino che in concreto esistano esigenze cautelari.
L’accusa deve, cioè, dimostrare che vi è il pericolo che l’imputato inquini le prove, fugga o commetta gravi
reati; ma soprattutto deve convincere il giudice, sia pure “allo stato degli atti” e cioè sulla base di indagini
non complete, che vi sono prove o gravi indizi che dimostrano la reità dell’imputato.
Nel sistema accusatorio la misura cautelare è configurata come la extrema ratio, ossia deve essere utilizzata
quando tutte le altre misure ipotizzabili non siano in grado di scongiurare il pericolo di inquinamento delle
prove, di fuga o di commissione di gravi reati.
- Limiti alle impugnazioni, gli esami incrociati con cui si formano le prove sono scarsamente utili se ripetuti
una seconda volta sulle stesse domande.
Le impugnazioni, quindi, hanno soprattutto lo scopo di controllare se in primo grado il giudice ha osservato i
diritti delle parti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale Il giudice che decide sull’impugnazione deve essere indipendente ed imparziale alla pari del giudice di
primo grado.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 8. Rapporto tra sistema processuale e regime politico: processo
penale o di tipo accusatorio
Il regime politico totalitario trova nel sistema processuale inquisitorio lo strumento di potere più efficace.
Attraverso giudici parziali il potere politico può far iniziare, o anche fermare, il processo penale, può far
assumere o meno le prove, può favorire o meno gli appartenenti alla propria fazione.
Il processo penale è usato come strumento di lotta politica.
Viceversa, il processo di tipo accusatorio è connaturale ad un regime politico garantista.
Se il giudice si dimostra parziale, le parti devono avere il potere di ricusarlo; anzi, deve essere consentito di
dimostrare che il singolo magistrato o giudice popolare non è in condizioni tali da “apparire” imparziale.
Gli strumenti che tendono a ridurre gli arbitrii sono la separazione delle funzioni processuali di accusa,
difesa e giudizio, la distinzione tra il potere di direzione del dibattimento e il potere di decidere sull’accusa,
la parità tra i poteri delle parti in tema di prova.
Quello che conta è accertare se l’accusa è fondata, non quali conseguenze politiche possano derivare da una
condanna o da un’assoluzione.
Riteniamo che il criterio di scelta tra processo penale o processo di tipo accusatorio vada ricercato nella
maggiore idoneità a tutelare la libertà politica e i diritti della persona umana.
Sotto questo profilo il sistema accusatorio è più rispettoso dei diritti fondamentali, ma soprattutto rende più
difficile al potere politico manipolare i fatti e costruire verità di Stato.
Occorre comunque avere presenti anche gli svantaggi che possono derivare dal sistema accusatorio.
Ad esempio le regole che escludono le prove raccolte fuori dal dibattimento tutelano i diritti di libertà del
cittadino, ma tendono ad ostacolare l’accertamento del fatto di reato.
Si capisce come sia necessario porre temperamenti rispetto ad un modello accusatorio di tipo puro.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 9. Cenni sulla nascita del diritto romano
Il re disponeva, in materia di repressione criminale, di un incondizionato potere di coercizione e di
giurisdizione per la repressione dei reati più gravi che mettevano in pericolo la vita della civitas e
dell’istituto monarchico.
Trasformatori il regime da monarchico a repubblicano, la repressione dei reati era affidata al popolo riunito
nelle assemblee comiziali.
Il processo popolare venne progressivamente cedendo il posto a tribunali stabili: le quaestiones perpetuae.
Il processo davanti a tali tribunali era tipicamente accusatorio.
L’organizzazione delle giurie esigeva la partecipazione diretta dei cittadini migliori e quindi finché la
tensione morale fu alta, il sistema poté funzionare, mentre quando prevalse il disinteresse, la giuria subì un
declino.
Il sistema delle quaestiones perpetuae fin dai primi anni del principato iniziò a subire la concorrenza di un
nuovo tipo di processo più coerente con il nuovo assetto costituzionale dello Stato.
La questione era affidata a un delegato dell’imperatore che cumulava il potere di accusare, di raccogliere le
prove e di giudicare.
Tale procedimento, denominato cognitio extra ordinem, venne poi a sostituirsi alle quaestiones perpetuae.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 10. Cenni sul diritto nel periodo medioevale
Nei primitivi regimi barbarici il processo penale era considerato un fenomeno irrazionale, nel quale si
manifestavano credenze magiche.
Il giudizio era basato sull’ordalìa, che era una prova fisica subita dall’accusato, dal cui risultato si
pretendeva di ricavare la prova dell’innocenza perché la divinità sarebbe dovuta intervenire.
Ciò comportava una sorta di onere della prova a carico dell’imputato.
Con il ritorno della civiltà l’ordinamento barbarico recepì gli insegnamenti del diritto romano.
Venne ripristinato il procedimento cognitio extra ordinem che, da quel periodo, venne denominato
inquisizione.
Il sistema inquisitorio fu accolto anche dai Comuni trasformatisi in Principati e dai vari Stati assoluti che si
vennero formando nell’Europa continentale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 11. Il processo penale nello Stato Assoluto
La Ordonnance criminelle del 1670, promulgata in Francia nel periodo di maggiore potenza dello Stato
assoluto, costituisce uno snodo fondamentale della storia del processo penale.
Fino ad allora agli organi giudicanti era riconosciuto il potere di determinare le regole del proprio operare.
La normativa processuale si era venuta completando nel tempo sulla base della prassi creata dai giudici e
dagli avvocati, con l’aiuto della dottrina.
Il re Luigi XIV volle innovare anche in questo campo e, mentre affermava di voler soltanto razionalizzare la
procedura penale allora vigente, in realtà si impossessava del potere di legiferare in via esclusiva in materia
processuale.
L’effetto fu quello di rafforzare i tratti del sistema inquisitorio.
Netto era il giudizio negativo dato dai filosofi illuministi su questa procedura.
L’arbitrio del giudice era illimitato, l’imputato era lasciato a se stesso, era martoriato ancora prima che
potesse difendersi, era posto davanti all’alternativa tra confessare (e allora la condanna era sicura) o negare
la reità (e, di conseguenza, i tormenti si allungavano).
La denuncia di clamorosi errori giudiziari portò l’Europa a interrogarsi sull’efficacia di tale sistema
processuale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 12. Il processo penale in Inghilterra
In Inghilterra il potere del re non fu mai assoluto, dapprima fu controllato dai baroni, che nel 1215 ottennero
la Magna Charta libertatum, poi dallo stesso Parlamento.
In base alla Magna Charta "nessun uomo libero può essere arrestato o messo in prigione se non a seguito di
un giudizio dei suoi pari, reso nella forma legale secondo il diritto del paese".
Il processo penale inglese era basato su due istituti di importanza fondamentale: la giuria e i testimoni.
Esso seguiva le cadenze del processo romano del periodo della repubblica (processo popolare).
Una prima giuria, il Grand jury, decideva se l’imputato doveva essere rinviato a giudizio; una seconda giuria
assisteva al pubblico dibattimento e decideva, con un verdetto non motivato, se l’imputato era colpevole.
Nel caso in cui fosse accertata la reità dell’imputato, il giudice togato stabiliva la pena.
Nel 1679 fu approvato dal Parlamento l’Habeas Corpus Act, che dava al giudice il potere di valutare la
legittimità dello stato di detenzione di qualsiasi persona.
Nel 1689 fu approvato il Bill of Right, che contiene l’elenco dei diritti fondamentali, come quello spettante
all’imputato di essere lasciato libero dietro pagamento di una cauzione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 13. La rivoluzione francese e l’evoluzione del processo penale
A seguito della rivoluzione, in Francia è stato accolto un ordinamento che ricalca alla lettera il processo
penale inglese allora vigente.
Il decreto dell’Assemblea nazionale del settembre 1791 ha introdotto un sistema prevalentemente
accusatorio.
Il processo penale risultava diviso in tre fasi: un’informazione segreta condotta dal giudice di pace,
un’udienza segreta davanti al jury d’accusa, un’udienza pubblica davanti al jury del giudizio.
Il sistema nel suo insieme era sufficientemente garantista: ad una istruzione segreta seguiva un dibattimento
in contraddittorio.
Il principale difetto di quel meccanismo processuale stava nell’ordinamento del PM: mancava un organo
centralizzato che assumesse le iniziative di accusa e ne sostenesse la responsabilità in dibattimento.
Con il passaggio dal Direttorio al Consolato (1799) l’accusatore pubblico elettivo venne eliminato e fu
sostituito da un “rappresentante del potere esecutivo presso il potere giudiziario”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 14. Il sistema misto nel Code d’instruction criminelle
Nel Code d’instruction criminelle, promulgato nel 1808 ma entrato in vigore nel 1811, il sistema misto era
così congegnato: la fase anteriore al dibattimento, denominata istruzione, era prevalentemente inquisitoria,
ma era temperata in aspetti fondamentali da istituti del sistema accusatorio; la fase del dibattimento era
prevalentemente accusatoria, salvo alcuni temperamenti in senso inquisitorio.
Il sistema misto era caratterizzato da una netta separazione delle funzioni tra accusa e giudizio.
L’istruzione era segreta e veniva svolta dal giudice istruttore, ma non era puramente inquisitoria in quanto:
iniziava solo dopo che il Pubblico Ministero aveva fatto formale richiesta al giudice istruttore;
terminava solo dopo che il Pubblico Ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio o il proscioglimento;
il giudice non poteva rifiutarsi di compierla;
era garantito all’imputato il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio.
Nella fase istruttoria l’assunzione delle prove era affidata al giudice, e cioè ad un organo comunque separato
dal potere esecutivo e soggetto al controllo della Corte d’Appello.
La fase del dibattimento era accusatoria ma temperata dai seguenti principi tipicamente inquisitori:
le domande ai testimoni erano rivolte dal presidente dell’organo giudicante;
gli atti compiuti prima del dibattimento potevano essere letti e su di essi il giudice poteva fondare la sua
decisione.
L’istruzione era una “assunzione” della prova, mentre il dibattimento costituiva una “critica” ed un
“controllo” sulla medesima.
Il sistema misto è stato criticato in quanto le prove sono raccolte in segreto senza che la difesa possa
svolgere un controllo: soltanto in dibattimento l’imputato è autorizzato a “demolire” le prove, già assunte.
In definitiva il difetto del sistema misto napoleonico sta nel non aver assicurato il principio di separazione
delle fasi.
Dopo il 1815 negli Stati europei tornarono al potere i sovrani assoluti, i quali immediatamente ripristinarono
il processo inquisitorio.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 15. I codici italiani di procedura penale
Il 1° maggio 1848, nello Stato del Piemonte, entrò in vigore il codice di procedura penale, che accoglieva il
modello napoleonico.
Nel 1859 venne promulgato un nuovo codice basato sempre sul sistema misto, codice che venne esteso, con
alcune modifiche, nel 1865 al Regno d’Italia.
Il primo codice di procedura penale italiano è datato 1913, il quale, pur conservando il sistema misto,
innovava rispetto al modello napoleonico, in quanto riconosceva ampi diritti all’accusato già nel corso della
fase istruttoria: il difensore dell’imputato aveva il diritto ad assistere a larga parte degli atti e di prendere
visione dei verbali.
In definitiva, durante l’istruttoria restavano segrete soltanto le testimonianze.
Nel dibattimento fu introdotta la giuria popolare che giudicava sul fatto, mentre i giudici togati
determinavano la quantità della pena.
Al termine della prima guerra mondiale, Mussolini cancellò la separazione dei poteri e provvide a riformare
i codici.
Quello di procedura penale fu promulgato nel 1930 insieme al codice penale, entrarono in vigore nel 1931.
Il diritto di difesa fu eliminato nella fase istruttoria, che tornò ad essere totalmente segreta; e il PM,
dipendente dell’esecutivo, ottenne gli stessi poteri coercitivi del giudice istruttore.
Infatti il Pubblico Ministero conduceva una sua istruzione, detta sommaria; mentre il giudice istruttore nella
c.d. istruzione formale, procedeva d’ufficio alla ricerca delle prove, che assumeva in segreto, e decideva se
rinviare l’imputato a giudizio.
Infine il giudice del dibattimento nella decisione poteva utilizzare tutti i verbali degli atti raccolti nelle fasi
anteriori.
Le conseguenze sistematiche furono disastrose: si abbandonava per la prima volta il principio della
separazione delle funzioni processuali, grande conquista dell’epoca napoleonica, per tornare sostanzialmente
ad un sistema prevalentemente inquisitorio.
Tra le altre modifiche ricordiamo la facoltà del Pubblico Ministero di archiviare direttamente le denunce
senza chiedere l’autorizzazione al giudice, con la quale il potere esecutivo poteva bloccare fin dall’inizio i
processi penali nei confronti degli “amici” del partito al potere.
Fu abolita la giuria popolare e al suo posto fu introdotta la Corte d’Assise, composta da 2 giudici togati e 5
cittadini, che deliberava sia sul fatto, sia sulle questioni giuridiche.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 16. I principi del processo penale nella costituzione del 1948
Dopo la liberazione il Governo Badoglio, nel 1944, limitò i poteri della polizia in tema di fermo e sottrasse
al Pubblico Ministero il potere di archiviare le denuncie in modo insindacabile.
Il r.d.l. 511/46 sulle “guarentigie della magistratura” restituì l’inamovibilità ai giudici e riconobbe alla
magistratura nel suo complesso quella indipendenza dal governo alla quale era pervenuta faticosamente al
termine del periodo liberale: tutti i membri del CSM erano eletti dagli stessi magistrati.
Per quel che riguarda la Costituzione, l’assemblea costituente ha posto soltanto le garanzie fondamentali che
riguardavano i punti nevralgici del processo penale.
orientamento liberale, separazione dei poteri dello Stato e separazione delle funzioni processuali: diritto di
difesa, azione penale spettante al PM, principio del giudice naturale e, infine, presunzione d’innocenza;
orientamento personalistico, diritti inviolabili della persona umana: riserve di legge e giurisdizione a tutela
di questi;
orientamento solidaristico, norme che tendono a rimuovere gli ostacoli di carattere economico che
impediscono l’eguaglianza sostanziale.
Anche se la Costituzione non fa una esplicita scelta tra sistema accusatorio e inquisitorio, una sua
interpretazione generale denota chiaramente il rilievo dato a principi tipici del sistema accusatorio, e da
quando la Corte Costituzionale ha iniziato ad esaminare il codice del 1930 ha fondato su tali principi
costituzionali più di una dichiarazione di illegittimità di norme riconducibili al sistema inquisitorio.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 17. Le riforme parziali al codice penale del 1930
Negli anni successivi all’entrata in funzione della Costituzione hanno preso corpo due iniziative differenti.
Da un lato si sono effettuate modifiche parziali al codice del 1930, che era orientato prevalentemente in
senso inquisitorio, da un altro lato si è pensato ad un nuovo processo penale.
Il primo orientamento è prevalso almeno fino al 1968.
La l. 517/55 ha modificato oltre 130 articoli del codice del 1930 seguendo una precisa strategia: poiché non
vi era il tempo per discutere nuovi istituti si è pensato di reintrodurre le garanzie già sperimentate nel codice
liberale del 1913.
Le innovazioni più incisive, però, sono derivate dalle sentenze della Corte Costituzionale che hanno
dichiarato l’illegittimità delle norme poste da codice del 1930.
L’effetto complessivo è stato quello di pervenire ad un sistema misto di tipo prevalentemente accusatorio: la
difesa partecipava a quasi tutti gli atti precedenti al dibattimento.
L’unico aspetto che non fu toccato è stata la stessa struttura “mista” del processo e, di conseguenza, il
principio del cumulo delle funzioni processuali: da un lato il giudice istruttore procedeva d’ufficio alla
ricerca delle prove, dall’altro lato il Pubblico Ministero poteva condurre una sua istruzione sommaria, infine
il giudice del dibattimento nella decisione definitiva poteva utilizzare tutti i verbali raccolti nelle fasi
anteriori.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 18. I lavori preparatori del nuovo codice di procedura penale in
Italia
Il secondo orientamento cominciò a manifestarsi dal 1962.
Carnelutti nel 1963 presentò a titolo personale una “Bozza di uno schema del codice di procedura penale”: si
trattava di una riforma radicale, che delineava un sistema di tipo accusatorio puro, e che, per tanto, incontrò
forti opposizioni.
Nel 1963 il governo Leone, ritenuto impossibile affidare al Parlamento l’elaborazione di una legge
complessa quale era un codice, formulò un disegno di legge delega.
Tale disegno fu presentato in Parlamento ma mai posto in discussione.
Nel 1966 la Commissione Giustizia della Camera dei deputati iniziò a esaminare un disegno di legge delega
proposto dal ministro Reale.
Nella quinta legislatura fu presentato un nuovo disegno di legge delega che fu ampiamente discusso, nella
sesta legislatura il Parlamento approvò in via definitiva un altro disegno di legge delega.
Tale legge fu promulgata nel 1974.
Una Commissione istituita dal Ministro della Giustizia e presieduta dal prof. Pisapia, iniziò i suoi lavori nel
1974 e presento il “Progetto preliminare” nel 1978.
La legge delega, però, imponeva che il giudice cumulasse in sé i poteri dell’accusa nel ricercare le prove.
Un altro difetto della delega consisteva nell’accoglimento del principio di centralità del dibattimento: tutti i
processi sarebbero dovuti approdare alla fase dibattimentale anche nelle ipotesi nelle quali un rito più
semplificato, con epilogo anteriore al dibattimento, sarebbe apparso ugualmente adeguato.
Pochi giorni dopo la presentazione del “Progetto preliminare” avvenne il rapimento di Aldo Moro.
Era in atto la fase più acuta della lotta armata contro lo Stato e, in una situazione del genere, l’introduzione
di un processo più garantista non apparve ragionevole.
Nel 1980 il Ministro della Giustizia presentò alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati un
complesso di quaranta emendamenti, che di fatto venivano a configurarsi come una nuova legge delega.
Fu così nominato un comitato parlamentare ristretto che configurò una nuova struttura processuale: la prova
si sarebbe dovuta formare soltanto in dibattimento nel contraddittorio; prima di tale momento non si sarebbe
dovuta svolgere un’istruzione bensì una fase di indagini preliminari, eliminando così la figura del giudice
istruttore; e inoltre erano predisposti riti alternativi a quello ordinario che evitavano la complessità del
dibattimento.
Su queste basi riprendeva presso il Parlamento un dibattito che doveva poi concludersi con l’approvazione
della seconda, e definitiva, legge delega del 1987.
Una Commissione, nominata dal Ministro della Giustizia Vassalli e presieduta dal prof. Pisapia, ha redatto il
progetto preliminare.
Tale testo è stato approvato dal Governo nel 1988 ed è entrato in vigore nel 1989.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 19. Le linee generali del nuovo processo penale
La separazione delle funzioni e delle fasi del procedimento
Il nuovo processo penale è fondato su tre principi fondamentali: il principio di separazione delle funzioni
processuali, svolge un ruolo di garanzia simile a quello svolto dalla separazione dei poteri dello Stato.
Esso impone che il giudice abbia soltanto il compito di dirigere l’assunzione delle prove e di decidere senza
cumulare in sé l’ulteriore potere di svolgere indagini.
Stabilisce inoltre che il Pubblico Ministero si limiti a ricercare le prove e non cumuli in sé il potere di
assumerle.
Così viene assicurata una maggiore dialettica tra accusa e difesa, che espongono le proprie ragioni in una
situazione di tendenziale equilibrio sotto il controllo del giudice.
Questi è in una posizione di imparzialità, perché il suo compito non è quello di indagare, bensì di decidere
sulla base delle richieste formulate dalle parti;
il principio di netta ripartizione delle fasi processuali, il procedimento vede susseguirsi le indagini
preliminari svolte dal PM, l’udienza preliminare e il dibattimento.
Si vuole che la prova utilizzabile nella decisione in dibattimento sia quella che viene assunta nel pieno
contraddittorio delle parti, e cioè davanti al giudice e alla presenza del Pubblico Ministero e del difensore
dell’imputato.
La prova assunta prima del dibattimento è inutilizzabile.
Inoltre, si vuole tutelare il diritto dell’imputato a che un giudice controlli la necessità del rinvio a giudizio e,
quindi, la fondatezza dell’accusa formulata dal PM.
Il rinvio a giudizio costituisce una sofferenza per l’imputato innocente ed è per lui fonte di spese
processuali, cioè costituisce un danno da evitare.
A tal fine è predisposta una udienza preliminare, nella quale il giudice esamina gli atti raccolti dal Pubblico
Ministero e decide se rinviare a dibattimento l’imputato o pronunciare una sentenza di non luogo a
procedere;il principio di semplificazione del procedimento.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 20. Le indagini preliminari nel processo penale
Il Pubblico Ministero svolge funzioni investigative: può disporre perquisizioni, sequestri e accertamenti
tecnici, e ha il potere di ordinare il fermo di un soggetto gravemente indiziato quando vi è pericolo di fuga.
Tutte le altre misure coercitive nei confronti dell’imputato possono essere disposte soltanto dal giudice su
richiesta del PM.
Le funzioni di garanzia sono svolte da un nuovo organo, denominato “giudice per le indagini preliminari”,
che differisce dal giudice istruttore del codice del 1930 in quanto non ha poteri di iniziativa probatoria, e
cioè non ha il compito di investigare, bensì soltanto di decidere sulle richieste delle parti.
Nella fase delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero non ha, di regola, il potere di assumere prove
direttamente utilizzabili per la decisione finale.
Se occorre assumere subito prove non rinviabili al dibattimento, il Pubblico Ministero o l’indagato possono
farne domanda.
Il giudice, se accoglie l’istanza, dispone che le prove siano assunte dinanzi a lui in una udienza denominata
incidente probatorio e possono essere successivamente utilizzate ai fini della decisione finale.
Terminate le indagini preliminari, il Pubblico Ministero formula le sue richieste al giudice entro termini
massimi prefissati dalla legge.
Egli chiede l’archiviazione se la notizia di reato è infondata, se l’azione penale è improcedibile, se il reato è
estinto o se il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Viceversa, se vi sono elementi idonei a sostenere l’accusa in dibattimento, il Pubblico Ministero chiede il
rinvio a giudizio formulando l’imputazione.
Se il Pubblico Ministero chiede l’archiviazione, il giudice può negarla e imporre una imputazione coatta e
fissa l’udienza preliminare, ciò per evitare l’arbitrio del Pubblico Ministero sulle archiviazioni.
L’udienza preliminare si svolge alla presenza delle parti.
Al giudice spetta di verificare la fondatezza, o meno, dell’imputazione: nel primo caso emana il decreto che
dispone il giudizio, nel secondo caso pronuncia sentenza di non luogo a procedere.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 21. Il dibattimento nel processo penale
Nel dibattimento il principio del contraddittorio è attuato attraverso quell’istituto di origine anglosassone che
è l’esame incrociato.
Le domande sono poste direttamente dal Pubblico Ministero e dai difensori, mentre il presidente del collegio
giudicante ha il potere di ammetterle o meno: egli può intervenire per assicurare la lealtà dell’esame e la
correttezza delle contestazioni, può rivolgere direttamente domande e perfino indicare temi di prova nuovi o
più ampi che siano utili alla completezza dell’esame.
In questa fase si segue la regola cui l’organo giudicante deve decidere soltanto sulla base delle prove assunte
nel contraddittorio tra le parti.
Per rendere effettivo tale principio si è prevista la formazione di due distinti fascicoli:
fascicolo per il dibattimento, contenente i verbali degli atti assunti in contraddittorio e degli atti non ripetibili
assunti dal Pubblico Ministero e dalla polizia giudiziaria.
Il contenuto di tale fascicolo può essere letto in dibattimento e utilizzato ai fini delle decisione;
fascicolo del pubblico ministero, contenente i verbali dagli altri atti assunti da quest’ultimo, dalla polizia
giudiziaria e dal difensore.
Le dichiarazioni possono essere contestate alle parti e ai testimoni che vengono esaminati nel corso del
dibattimento: il verbale serve, di regola, soltanto a provare la credibilità del soggetto interrogato.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 22. I procedimenti semplificati nel processo penale
Gli ordinamenti che adottano un sistema processuale accusatorio, prevedono altresì meccanismi di
semplificazione che riservano la procedura più garantita soltanto ai casi veramente controversi o ai reati
gravi.
Il nuovo codice ha previsto sei riti semplificati:
Patteggiamento, l’imputato si può accordare con il Pubblico Ministero sulla specie e sulla misura di pena da
applicare.
Il massimo di sanzione, che poteva essere patteggiata, è stato portato a 5 anni.
Il giudice ha il potere di controllare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della
pena.
Giudizio abbreviato, l’imputato può chiedere che il processo sia definito nell’udienza preliminare sulla base
degli atti raccolti nel fascicolo del PM.
Nell’udienza preliminare il giudice può pronunciare una sentenza di proscioglimento o di condanna, ma in
quest’ultimo caso sussiste un incentivo per l’imputato: la pena è ridotta di .
Giudizio immediato su richiesta del PM, se la prova è evidente e l’imputato è stato invitato a rendere
interrogatorio, il Pubblico Ministero può chiedere al GIP il rinvio a giudizio senza udienza preliminare.
Se la richiesta è accolta dal giudice, questi ordina il rinvio a giudizio.
Entro 15 giorni dalla notificazione della citazione, l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato o il
patteggiamento, altrimenti ha luogo il dibattimento.
Giudizio immediato su richiesta dell’imputato, dopo che il Pubblico Ministero ha chiesto il rinvio a giudizio,
l’imputato può chiedere al giudice di essere rinviato a dibattimento senza udienza preliminare.
In tal caso il giudice è obbligato a pronunciare il decreto che dispone il giudizio.
Giudizio direttissimo, quando una persona è arrestata il flagranza o quando l’indagato ha confessato nel
corso dell’interrogatorio, il Pubblico Ministero può condurlo direttamente davanti al giudice in dibattimento.
Procedimento per decreto, per i reati meno gravi il Pubblico Ministero può presentare al GIP richiesta
motivata di emissione di un decreto penale di condanna ad una pena pecuniaria.
La pena richiesta può essere diminuita fino alla metà del minimo edittale previsto dalla norma
incriminatrice, comunque il giudice si riserva la facoltà di accoglierla o respingerla.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 23. Dopo il 1989: dal mito dell’oralità al recupero del diritto alla
prova nel processo penale
Col nuovo codice il legislatore ha creduto che le garanzie processuali potessero essere assicurate limitandosi
ad affermare il principio di oralità-immediatezza, cioè rendendo in buona parte non utilizzabili le
dichiarazioni rese prima del dibattimento.
La fase delle indagini preliminari, pertanto, è stata sguarnita della garanzia del contraddittorio e, soprattutto,
in essa si è impedito l’esercizio del diritto alla prova sul presupposto che i risultati, raccolti in tale fase, non
sarebbero stati utilizzabili per la decisione finale.
Anche dal punto di vista psicologico si sono manifestati problemi di adattamento degli operatori ad una
logica processuale completamente diversa da quella accolta dal precedente codice.
Occorre precisare che la legge delega del 1987 prevedeva che il Governo provvedesse ad emanare, entro 3
anni dall’entrata in vigore del codice, disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei criteri direttivi
fissati.
Il Governo ha utilizzato tale strumento in modo eccessivamente cauto e la sua carenza di iniziativa insieme
all’inerzia del Parlamento sono state superate solo dalla Corte Costituzionale, che ha iniziato a dichiarare
illegittime, perché contrarie al principio di ragionevolezza, alcune disposizioni del codice e i relativi criteri
direttivi contenuti nella legge delega.
Le declaratorie di incostituzionalità, insieme alla situazione di emergenza provocata dagli omicidi dei
magistrati Falcone e Borsellino nel 1991, hanno indotto il Governo a modificare alcuni punti fondamentali
della disciplina del processo penale con un decreto legge del 1992.
Il testo originario del codice limitava in modo eccessivo la possibilità di utilizzare, ai fini della decisione, i
verbali delle dichiarazioni rese in segreto prima del dibattimento.
Il legislatore, con la legge di conversione del d.l. del 1992 ha ecceduto nel senso opposto, estendendone
soverchiante l’utilizzabilità e ledendo il principio del contraddittorio.
Un parziale ritorno alla tutela del contraddittorio si è avuto, per la fase anteriore al dibattimento con una
legge del 1995, e per la fase dibattimentale con una legge del 1997.
La legge del 1995 ha teso a ripristinare alcuni aspetti della separazione delle funzioni prima del
dibattimento: si tratta di uno dei settori in cui il codice del 1988 si è dimostrato più gravemente carente.
La legge, da un lato ha aumentato i poteri di controllo spettanti al GIP sugli atti che devono essere valutati al
fine di applicare le più gravi misure cautelari, dall’altro lato ha riconosciuto espressamente la legittimità
delle indagini svolte dal difensore e ha sancito che la relativa documentazione può essere presentata al GIP.
La legge del 1997 ha regolato il caso delicato in cui un imputato renda dichiarazioni contro un altro
imputato durante le indagini: tali dichiarazioni sono utilizzabili in dibattimento solo se rese nel rispetto del
contraddittorio, ossia in sede di incidente probatorio, oppure se l’accusatore si presentava in giudizio per
farsi controesaminare, oppure infine se diventavano non ripetibili.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 24. La costituzionalizzazione dei principi del “giusto processo”
Il Parlamento ha preso nuovamente in esame quella parte del progetto della Commissione bicamerale che
aveva cercato di rendere effettive le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e cioè i principi
del “giusto processo”.
Si voleva affermare in Costituzione una concezione “forte” del contraddittorio, da attuarsi “nella formazione
della prova”.
La legge di revisione costituzionale è stata approvata nel 1999 con maggioranza superiore ai , e riforma l’art.
111 cost.
Il nuovo testo di suddetto articolo mostra la sua natura di interpretazione autentica della Carta costituzionale
rendendo espliciti quei principi che, a giudizio di molti studiosi, già erano ricavabili dalla Costituzione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 25. I principi attinenti ad ogni processo
Il Parlamento ha introdotto nell’art. 111 cost. cinque nuovi commi che consacrano i principi cardine ai quali
deve informarsi ogni processo.
In sintesi tali principi consistono nella riserva di legge in materia processuale, nella imparzialità del giudice,
nella parità delle parti e nella ragionevole durata del processo:
art. 1111 cost. "la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge", ciò comporta la
riserva di legge e il principio di legalità processuale omologhi a quelli previsti nel diritto penale sostanziale.
Inoltre l’espressione “giusto processo” si riferisce ad un concetto ideale di Giustizia, che preesiste rispetto
alla legge e che è direttamente collegato a quei diritti inviolabili di tutte le persone che lo Stato, in base
all’art. 2 cost., si impegna e riconoscere.
art. 1112 cost., enuncia alcuni principi non relativamente al solo processo penale ma ad "ogni processo"
quindi anche civile ed amministrativo:
- principio del contraddittorio;
- principio di parità tra le parti, parità non è eguaglianza bensì equilibrio di poteri;
- principio del giudice terzo e imparziale;
- principio di ragionevole durata del processo, che è un recepimento di un precetto della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo.
Va peraltro ribadito che quello dell’efficienza processuale è un valore, che non può in alcun modo
compromettere le garanzie dell’imputato e la qualità dell’accertamento processuale.
Del resto, il bilanciamento tra le due opposte istanze è già implicito nel termine “ragionevole” che si
riferisce alla durata del processo.
La Costituzione pone un vincolo alla legge ordinaria, infatti la Corte Costituzionale non può sindacare la
durata del singolo processo, ma ha il potere di dichiarare l’incostituzionalità delle disposizioni che
prevedono tempi lunghi, inutili passaggi di atti tra organi, formalità superflue, non giustificate né da
esigenze repressive né da garanzie difensive.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 26. I principi inerenti al processo penale
Art. 1113 cost. enuncia il catalogo dei diritti spettanti “nel processo penale” alla “persona accusata di un
reato”, dove l’”accusato” può essere sia l’imputato che l’indagato:
- la persona sottoposta alle indagini deve essere "informata riservatamente della natura e dei motivi
dell’accusa nel più breve tempo possibile". Da una parte vi è l’indagato che ha interesse a conoscere quanto
prima l’esistenza di procedimenti nei suoi confronti per poter raccogliere elementi a discarico, dall’altra
parte vi è il pubblico ministero che per svolgere indagini efficaci deve poter compiere atti a sorpresa.
Il bilanciamento tra le due esigenze opposte è attuato nel termine “nel più breve tempo possibile”:
ciò non significa “immediatamente” bensì “non appena l’avviso all’indagato è compatibile con l’esigenza di
genuinità e di efficacia delle indagini”;
- l’accusato ha il diritto di disporre "del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa".
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 27. Definizione di processo penale
Il processo penale sul fatto, sull’autore e sulle conseguenze
Il processo penale è lo strumento con cui si applica il diritto sostanziale, esso assolve tre scopi:
accerta se una determinata persona ha commesso il reato, per sapere se e quale sanzione irrogare;
accerta quale è la personalità del reo, dato lo stretto collegamento che lega la sanzione penale con la
personalità del reo;
accerta quali sono le sanzioni da applicargli, tenendo conto soprattutto dell’esigenza rieducativa e valutando
la possibilità di applicare sanzioni sostitutive o misure alternative.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 28. L’azione penale
Procedimento penale, serie cronologicamente ordinata di atti diretti alla pronuncia di una decisione penale,
ciascuno dei quali, in quanto validamente compiuto, fa sorgere il dovere di porre in essere il successivo ed è,
al contempo, esso stesso realizzato in adempimento di un dovere posto dal suo antecedente.
Si conclude con la sentenza irrevocabile.
Comprende indagini preliminari, udienza preliminare e giudizio nei vari gradi.
Processo penale, parte del procedimento penale che inizia con l’esercizio dell’azione penale e termina con la
sentenza.
Comprende udienza preliminare, salvo i procedimenti speciali che sono privi di tale fase, e giudizio nei vari
gradi.
Azione penale, richiesta, diretta al giudice, di decidere sull’imputazione.
Nei procedimenti ordinari è la richiesta di rinvio a giudizio fatta dal PM, in quelli speciali è l’atto con cui si
instaura il giudizio.
Imputazione, addebito di un fatto di reato ad un soggetto determinato.
Deve contenere:
- fatto storico di reato;
- norme giuridiche violate;
- generalità imputato.
Comporta l’obbligo per il giudice di decidere e fissa in modo immutabile l’oggetto del processo.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 29. I soggetti e le parti del procedimento penale
I soggetti del procedimento penale sono coloro che hanno poteri di iniziativa nel procedimento stesso, le
parti sono il soggetto attivo e passivo dell’azione penale, cioè Pubblico Ministero e imputato, ed
eventualmente dell’azione civile, cioè parte civile, imputato e responsabile civile.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 30. Giudici ordinari e speciali nel processo penale
Il termine “giurisdizione” può avere un duplice significato:
come funzione dello Stato, che consiste nell’applicare la legge al caso concreto con forza cogente da parte di
un giudice terzo;
come organo, che consiste in quegli apparati indipendenti e imparziali che impersonano il potere dello Stato.
Il potere giurisdizionale in Italia è diffuso, cioè frazionato in più organi ciascuno dei quali ha competenza
limitata.
La competenza è quella parte della funzione giurisdizionale che è svolta dal singolo organo.
Essa è individuata per approssimazioni successive che tengono conto della materia, del territorio, della
funzione che deve essere svolta in una determinata fase o grado del procedimento e della eventuale
connessione con altri procedimenti.
Sono organi giudiziari ordinari quelli che hanno una competenza generale a giudicare tutte le persone e che
sono composti da magistrati ordinari.
Sono per il primo grado il Tribunale dei minorenni, la Corte d’Assise, il Tribunale (sia nella forma
monocratica che collegiale), il Giudice di Pace; e per il secondo la Corte d’appello sezione minorenni, la
Corte d’Assise d’appello, la Corte d’appello e il Tribunale monocratico (che funge da giudice d’appello per
le sentenze del Giudice di Pace); infine c’è la possibilità di un ricorso in Cassazione per motivi di legittimità.
Sono organi giudiziari speciali quelli che sono competenti a giudicare soltanto alcune persone e che inoltre
sono composti da magistrati speciali.
Sono i Tribunali militari e, dal 1989, la Corte Costituzionale per i reati di alto tradimento e attentato alla
Costituzione compiuti dal Presidente della Repubblica.
Il termine giurisdizione può essere utilizzato anche con un ulteriore significato.
Esso indica le regole che permettono di distinguere i procedimenti di competenza della magistratura
ordinaria dai procedimenti di competenza della magistratura speciale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 31. Giurisdizione e “giusto processo” nel processo penale
L’indipendenza del giudice è garantita dalla Costituzione attraverso un apposito organo, e cioè il Consiglio
Superiore della Magistratura.
L’imparzialità del giudice è stabilità dal nuovo comma 2 dell’art. 111 cost. in base al quale "ogni processo si
svolge davanti a un giudice terzo e imparziale".
In determinate situazioni nelle quali il giudice è, o appare, parziale, egli ha il dovere di astenersi e se non lo
fa le parti possono ricusarlo.
Non esistono controlli esterni al potere giurisdizionale per l’ovvio motivo che, altrimenti, questo non
sarebbe più indipendente.
I controlli sono previsti all’interno dello stesso potere giurisdizionale: vi sono giudici che esaminano il
processo in primo grado, in secondo grado e, infine, vi è un organo unico, la Corte di Cassazione, che svolge
un controllo di legittimità.
Tutto ciò realizza il c.d. giusto processo, senza il quale non vi può giurisdizione così come la intende la
Costituzione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 32. La competenza per territorio nel processo penale
Tale competenza è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato, la ratio è che in tale luogo le
prove sono raccolte con maggiore facilità e rapidità.
Una importante deroga alle ordinarie norme sulla competenza territoriale è prevista nei procedimenti in cui
un magistrato assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato, quando in
base alle regole ordinarie tali procedimenti sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario
compreso nel distretto di corte d’appello nel quale il magistrato esercita le sue funzioni.
In tali casi la competenza è attribuita al giudice competente per materia che ha sede nel capoluogo del
distretto di corte d’appello individuato dalla tabella A annessa alla legge 420/98.
Tale deroga ha l’evidente scopo di garantire l’imparzialità dell’organo giudicante.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 33. La competenza per connessione: riunione dei procedimenti
Vi è connessione di procedimenti, ex art. 12 c.p.p., quando:
- il reato per cui si procede è commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone
con condotte indipendenti hanno determinato l’evento;
una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale), oppure
con più azioni od omissi9oni esecutive dello stesso disegno criminoso (reato continuato);
- i reati per cui si procede sono stati commessi gli uni per eseguire od occultare gli altri.
Quando vi è connessione un unico giudice è competente a giudicare tutti i reati connessi, e cioè quello
competente per il reato più grave.
Una deroga si ha nei casi riguardanti minorenni all’epoca dei fatti, in tali situazioni la competenza è
esclusiva del Tribunale dei minorenni per il giudizio sul minore anche il presenza di una delle fattispecie di
connessione.
Sul procedimento del minorenne non è applicabile la connessione.
Quando i procedimenti sono connessi, essi possono essere riuniti o separati.
E’ evidente che la finalità naturale è quella di permettere la riunione di più procedimenti in uno unico: ciò
consente di economizzare gli atti processuali, di consentire ai testimoni di deporre una sola volta per tutti gli
imputati e soprattutto di ricostruire in maniera più chiara e completa il quadro probatorio.
La riunione è consentita soltanto per procedimenti pendenti nella medesima fase e grado del procedimento e,
in ogni caso, non è utile riunire procedimenti qualora ciò determini in concreto un ritardo nella definizione
degli stessi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 34. La competenza per connessione: separazione dei procedimenti
La separazione è un’esigenza ricollegabile al sistema accusatorio che tende ad assicurare un solo imputato in
un singolo procedimento: si ritiene che in tal modo sia possibile garantire la migliore difesa per l’imputato.
Il giudice deve riunire i procedimenti soltanto qualora la riunione sia assolutamente necessaria per giungere
all’accertamento dei fatti di reato.
Il codice di procedura penale pone un dovere di separazione in presenza di determinate ipotesi:
- quando stiano per scadere i termini di custodia cautelare;
- quando, in udienza preliminare, sia possibile decidere subito sulla posizione dell’imputato tramite giudizio
abbreviato o patteggiamento;
quando per un imputato si debba sospendere il procedimento;
quando un imputato non è comparso in dibattimento e occorra rinnovare la citazione nei suoi confronti;
quando uno o più difensori di imputati non si siano presentati in dibattimento per motivi legittimi;
quando per un imputato la fase dibattimentale si è già conclusa, mentre per gli altri richiede tempi più
lunghi.
In conclusione si può dire che la tendenza del legislatore è quella di assicurare la trattazione
unitaria dei procedimenti connessi durante la fase delle indagini, mentre dopo l’esercizio dell’azione penale
il codice oscilla tra l’esigenza garantista e quella efficientistica.
Ma quando la separazione tutela anche l’esigenza efficientistica allora il giudice è tenuto a separare i
procedimenti, salvo che ciò pregiudichi l’accertamento dei fatti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale 35. Il principio del giudice naturale
Le norme sulla competenza viste finora attuano il principio del c.d. giudice naturale.
In base all’art. 251 cost. "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge".
Dalla norma si ricava:
- riserva assoluta di legge in materia di competenza;
- determinatezza delle norme sulla competenza che non devono conferire un potere discrezionale;
- irretroattività delle norme sulla competenza in virtù della necessaria precostituzione.
Col principio del giudice naturale risulta ulteriormente tutelata la garanzia di indipendenza dell’organo
giudicante.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto processuale penale