Riassunto del libro "Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch" di Pierluigi Basso Fossali.
L’elemento che qualifica e unisce i diversi film è la spazialità filmica ripartita per universi figurativi privi di una logica costruttiva autonoma; ciascuno ha bisogno di un altro “mondo” per poter trovare un’interpretabilità dei propri valori fondanti.
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch
di Priscilla Cavalieri
Riassunto del libro "Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David
Lynch" di Pierluigi Basso Fossali.
L’elemento che qualifica e unisce i diversi film è la spazialità filmica ripartita per
universi figurativi privi di una logica costruttiva autonoma; ciascuno ha bisogno
di un altro “mondo” per poter trovare un’interpretabilità dei propri valori fondanti.
Università: Libera Università di Lingue e Comunicazione
(IULM)
Esame: Semiotica dei consumi e della pubblicità
Titolo del libro: Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di
David Lynch
Autore del libro: Pierluigi Basso Fossali
Editore: Edizioni ETS1. Il pensiero figurale di David Lynch
I film sono luoghi discorsivi che sviluppano argomenti su base figurativa; in tal senso, impiegano specifici
contratti enunciazionali, delle riflessioni di ordine meta testuale o metalinguistico, cercando di trovare delle
forme di coerenza e efficacia discorsiva indipendenti dalla semplice concatenazione degli enunciati narrativi
(rifiuto della coerenza discorsiva sulla base della coerenza narrativa).
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 2. Il regista Lynch
Lynch non è mai stato uno sperimentatore linguistico in senso stretto, non ha mai elaborato un apparato
teorico-poetico esplicito che si ponesse a matrice del suo cinema, non ha mai preteso che la sua eventuale
spiegazione di una sequenza da lui girata fosse costrittiva rispetto ai significati che gli spettatori
autonomamente vi attribuiscono (generalmente, anzi, si guarda bene dal dare spiegazioni conclusive dei
passaggi testuali più controversi).
L’assenza di una teoria poetica esplicita impedisce facili generalizzazioni.
Ogni film richiede una propria specifica caratterizzazione.
L’apertura alla molteplicità delle interpretazioni possibili mette in questione il ruolo della semiotica come
disciplina che tenta di renderle commensurabili sulla base di un modello d’analisi.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 3. La figuralità di Lynch
L’opera lynchiana è tutt’altro che ingenua, e soprattutto piena di riflessioni metatestuali e intermediali che
non vertono semplicemente sulle immagini e sui suoni (forma/espressione), ma sono compiute proprio
sostenendosi su di loro.
La semiotica ha spostato l’interesse dalla catalogazione delle figure allo studio dei processi discorsivi che ne
sono alla base e agli effetti di senso che ne derivano.
La vecchia opposizione forma vs. contenuto era disastrosa: i contenuti di un film passano per tutte le
componenti espressive (forma), e si costituiscono su piani diversi:
- piano figurativo
- piano plastico
- piano figurale
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 4. La figuralità e l’audiovisivo
Il “figurale” è un terzo modo di accedere alla significazione. Esso non è autonomo, poichè entra in campo
quando, in un dato passaggio testuale, paiono essere contemporaneamente in corso giochi linguistici diversi
della figuratività e della plasticità, ossia una doppia partita, segnalatrice di alcune incongruenze discorsive
(per esempio, delle allotopie).
Il figurale è in fondo 1’epifenomeno dell’osservazione di secondo ordine sulla significazione; si gioca una
partita, ma nel contempo si osserva il modo di osservare le regole da parte dei giocatori, si tiene un discorso
ma nel contempo lo si piega a riflettere sulla stessa liceità di essere enunciato in quel modo.
Tuttavia, il figurale non può essere ridotto alla semplice tensione tra prospettive enunciazionali concorrenti
(per esempio, figurativa e plastica), tanto meno ai casi di metatestualità; essi sono solo l’occasione per la
costituzione di uno spazio enunciazionale terzo, che determina la con-ciliazione tra materiali discorsivi
concorrenti per riargomentare e risignificare il loro contrasto.
Il figurale si serve di tutte le risorse disponibili alla costituzione di un ulteriore piano dell’espressione per
risolvere un’impasse sul piano dei contenuti figurativi.
Il figurale sta alla base di un tipo particolare di veridizione: mutuando da Deleuze un modo di formazione
concettuale, potremmo parlare di verità-ponte, che spiega il legame del figurale con le mutue interpretazione
tra mondi.
Il figurale non si accontenta, ad esempio, di un livello letterale e di una allegorico, ma si inter-pone tra di
essi; non si limita a riconoscere un parallelismo tra processi situati su piani diversi, ma si frappone come
cerniera che ne rimotiva la co-occorrenza dentro lo stesso testo.
Lynch attribuisce importanza agli spazi anfrattuosi e spiega il ruolo giocato da punti di vista eccentrici che si
offrono come cardini esplicativi di specifiche deformazioni prospettiche discorsive. La figuralità lynchiana
ha significativamente come proprio terreno elettivo gli interstizi e i passaggi connettivi; la significazione
deve intercorrere tra mondi diversi, universi figurativi di primo acchito incommensurabili. All’interno di
percorsi anfrattuosi si possono offrire solo ritratti sghembi e deformati, ma basta trovare il giusto punto di
vista per correggere l’anamorfosi discorsiva e ripervenire a un paesaggio di valori nuovamente omogeneo.
Lo spazio figurale ha un potenziale emozionale proprio perché apre illimitatamente l’orizzonte delle
trasformazioni, è conturbante perché la corporeità della prestazione semantica risulta spiazzata.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 5. Polisemia
Ben lontano dall’idea di un significato codificato in lingua e riconducibile a una logica.
Saussure ”non esistono significati letterali ma ogni linguaggio vive del suo essere manipolato all’interno di
produzioni discorsive e pratiche comunicative”.
Ogni interpretazione realizza uno dei percorsi di senso disponibili, offerti e preallestiti cioè da un certo
oggetto culturale, sciogliendo la polisemia in una determinazione di significato.
Le cose non sono tuttavia così semplici.
- Il testo non è un dato di fatto, ma è il frutto di articolazioni tra espressione e contenuto che lo colgono in
quanto configurazione sensibile, in quanto prodotto e in quanto discorso.
- Nonostante il senso di un testo dipende dal modo con cui viene messo in prospettiva da una pratica
interpretativa, esso può restare ambiguo o indeterminato sul piano semantico.
1. Ogni testo viene costituito come tale all’interno di una certa pratica interpretativa. Per esempio, è ben
diverso mettere a significare un film come opera d’arte o come documento storico. Inoltre, espressione e
contenuto di un testo non sono già dati, ma si costituiscono a seconda della prospettiva con cui si assume la
loro realizzazione materiale.
2. Il senso non è proprio né del testo, né della testa dell’interprete, ma della loro relazione, del loro
accoppiamento. Il senso non è riducibile a un pacchetto di significati attribuiti ai testi (né tanto meno ai
segni), né può essere identificato con le inferenze cognitive che ci permettono di risalire a un ordine di
relazioni (per esempio, causali) tra fatti. Il senso è funzione di un punto di vista assunto rispetto a una
configurazione di valori in cui si è in qualche maniera coimplicati.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 6. Fenomenologia testuale
Il linguaggio cinematografico non ha sedimentato una morfologia e una sintassi sufficientemente stabili; per
esempio, non esiste una selezione dei segni che lo costituiscono, né una grammatica coerente, unificata,
condivisa.
Tuttavia, il testo non ha di per sé stesso una definizione morfosintattica (come invece la frase nel linguaggio
verbale), e ciò non crea quindi nessuna problematica specifica per una semiotica del cinema.
Interpretare un testo cinematografico vuol dire coglierlo come una configurazione sensibile, come un
prodotto e come un discorso. In tutti e tre i casi ci sono articolazioni tra espressioni e contenuti (forma +
sostanza).
La cultura umana si basa propria su una moltiplicazione degli accessi al senso, tanto per i testi quanto per
ogni porzione di mondo esperibile.
La semantica del testo filmico non rinvia banalmente alla realtà: si confronta con le stratificazioni di senso
che hanno già costituito la realtà, come mondo significante. I territori significanti configurati dal film si
articolano per mezzo di percorsi di senso, praticabili ed esperibili nella realtà.
Il film non è riducibile né a bit di informazione, né a contenuto proposizionale.
Il film è un modo di configurare dei territori significanti articolabili con dei percorsi di senso praticabili ed
esperibili.
Il senso si costituisce tradizionalmente tramite concatenazione di causa-effetto e sequenze logiche, ma non
solo.
I testi sono rifigurazioni di esperienze - o per documentarle, o per trasfigurarle nei mondi possibili della
finzione.
I testi fanno proprie le comuni esigenze di connettere snodi della nostra esistenza individuale o sociale, in
cui le decisioni non trovano quasi mai condizioni necessarie e sufficienti per potersi esercitare.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 7. Contratti spettatoriali e nuove gestioni del senso per il film
contemporaneo
Il cinema ha sempre stabilito un contratto con lo spettatore, strategie testuali e tattiche fruitive.
Il senso del film si produce dalla relazione (accoppiamento) film e spettatore:
- il testo produce senso per mezzo dell’interprete;
- lo spettatore rimane irretito entro le maglie strutturali della testualità.
I testi producono senso perché sono territori seminati dagli spettatori, ritagliano delle parti del testo in
funzione dell’articolazione di significati.
Nel contempo, i testi tendono spesso a sfuggire al modo regolativo con cui lo spettatore li approccia: mirano
a depistare il fruitore, a seminarlo e a vincere per distacco nella via del senso. Se abbordiamo i testi
assumendoli come un tutto di significazione, ossia come un insieme coerente di significati, ciò dipende solo
dal fatto che l’interpretazione si dispone a rein-corporare l’informazione testuale disseminata (il film è di per
sé stesso l’emblema della sintesi dell’eterogeneo propria della testualità). Non sempre ogni testo è
intrinsecamente coerente.
Il film diviene un’anamorfosi discorsiva e una mise en abyme di mondi possibili in cui si perde all’infinito
la loro gerarchia (Mulholland Dr.). Ciò che si patteggia con lo spettatore è la passeg-giata tra questi mondi
dove l’uno fa proprio il materiale figurativo dell’altro, sottoponendo ogni cosa a una modificazione
identitaria.
Questo cinema è visto come camera di decompressione o di riattivazione di affetti, trova la propria ragion
d’essere nella liberazione dalla figuratività stereotipica e dal principio di individuazione. Per esso esistono
singolarizzazioni, incontri pregnanti con valori incontaminati da ogni tradizione.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 8. Il cinema sperimentale di David Lynch
David Lynch parte dalle arti plastiche e dalla tradizione del cinema sperimentale.
1. Episodi discorsivi concatenati in un modello musicale --> Il rifiuto della forma classica del “racconto” per
immagini a favore di un modello musicale nella concatenazione di episodi discorsivi; la narratività è
fondamentale per la determinazione del senso, dato che finisce per l’essere il modo con cui l’uomo tratta e
connette i valori semantici all’interno di una forma di vita.
2. Narrativizzazione dell’esperienza percettiva --> nel cinema tradizionale l’interesse di un film si regge
sull’originalità di una storia, mentre Lynch basa la sua opera filmica sulle esperienze sensibili anomale, stati
percettivi alterati, apprensioni del mondo sensibile del tutto eccentriche; tali modi di percepire e sentire sono
narrati attraverso un’immersione nell’esperienza sensoriale di personaggi che non hanno nulla da dirci; si
offrono solo come mediazione per accedere ad altri “sentire”.
3. Eterogeneità di materiali sul piano discorsivo --> all’omogeneizzazione del materiale, propria del cinema
finzionale classico e ritenuta necessaria ad ottenere una “trasparenza di scrittura”, si sostituisce, nel cinema
sperimentale, una mistura di materiali eterogenei.
4. L’esperienza spettoriale --> il cinema “sperimenta” non solo sul piano dell’evoluzione delle forme
cinematografiche, ma anche sul terreno dell’esperienza spettatoriale, cercando di fare leva su specifiche
risposte sensoriali, e sulla attivazione di specifici regimi percettivi; ciò che connette la valorizzazione del
puro materiale plastico e figurativo e della sua disposizione sintattica al racconto di un’esperienza percettiva
è il fatto che il piano dell’espressione stesso del testo filmico diviene oggetto di una apprensione sensibile (il
film sullo schermo ha un impatto estesico, ossia sul nostro corpo di spettatori).
5. Stilizzazioni plastiche e figurative --> in contrasto alla restituzione delle forme sensibili del mondo, si
tende a polemizzare con presunte vocazioni intrinsecamente realiste del cine-ma, connesse alla sua natura
fotografica e si insiste piuttosto sulla possibilità di compiere un lavoro di elaborazione di forme plastiche e
di stilizzazioni della figuratività del tutto emancipato dal rispecchiamento del mondo naturale e del
paesaggio sociale.
6. Disoccultare un intero immaginario collettivo “rimosso” --> il cinema sperimentale ha teso a
dissoccultare un intero immaginario collettivo, in qualche maniera “rimosso”; esso affonda così spesso su
temi quali l’attività onirica, la violenza, la sessualità, e in particolare l’omosessualità, le persone
diversamente abili, ecc.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 9. La mostruosità solenne come scandaglio del patetico
Interpretazione di The Elephant Man: la sconfessione delle umane misure --> The Elephant Man è, a suo
modo, un film alquanto coraggioso perché abbraccia, senza “raffreddamenti di stile” (sganciamenti e
reiezioni enunciazionali), un materiale narrativo intrinsecamente patetico e un carattere rappresentazionale
inevitabilmente orrorifico.
In tal senso, il tragitto dell’audiovisione non è una vera e propria tragedia, una drammatizzazione della
propria esperienza di fronte all’orrore, ma piuttosto un cammino di redenzione rispetto alle proprie stesse
attese, siano esse articolate con ripulse pregiudiziali (inaccettazione del carattere ricattatorio di ogni
sovraesposizione gratuita all’orrore) o con gratificazioni di genere (solerte immersione nelle passioni tipiche
del dramma e dell’horror movie). Attraverso una conversione del pericolo continuo di essere “sfiduciato” in
una incrinatura della fiducia dello spettatore nelle propria capacità di inquadrare e moralizzare ciò che vede
entro i confini abituali di una retorica visiva, il film ricerca infine la vertigine di una solidarizzazione
“scandalosa”: come dice l’amministratore dell’ospedale Carr Gomm (John Gielgud) non ci si può
immaginare cosa sia stata la vita passata da John Merrick. La pietas può infine affermarsi solo come
scardinamento di qualsiasi pietismo di fronte alla vertigine stessa del proprio giudizio e di una prensione
analogica irrealizzabile. La visione di “The Elephant Man” non impietosisce, ma riflette una sguardo
impietoso sulle assiologie di coloro che assurgono, volenti o nolenti, a spettatori del mostro.
La tragedia del mostro è l’emersione del carattere ubiquo e obliquo dell’iniquità destinale. li mostro è una
catastrofe di senso per la società: l’arte si rivela supponente quanto a drammi raccontati e insostenibile come
rifugio; la scienza si palesa incapace di oggettivare senza spettacolarizzare e di curare senza discriminare; la
giustizia si ostenta come pronta a difendere solo l’ordine ma è inerme di fronte a chi sembra aver già subito
una punizione senza pari; la religione annaspa in debito di spiegazioni di fronte a un imbarazzante specchio
della creazione che preferibilmente va tenuto nascosto o taciuto.
Nel film The Elephant Man, forme smodate ed eccessi della visione si contendono la posta della
rispettabilità del confronto intersoggettivo. Nel deforme la colpa originaria rifulge nera nel suo carattere
irredimibile, mentre il più evoluto degli sguardi, quello clinico-desoggettivante, disocculta i propri malcelati
fini. Bytes usa John Merrick per ricavarne denaro, spettacolarizzando la sua tragedia nelle fiere; Treves lo
mostra e tutela, innanzi tutto, per costruirsi un nome di fronte alla comunità scientifica.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 10. L’origine mitica e la dominante animale
Nei titoli di testa il film esibisce direttamente le fonti storiche da cui parte e la loro natura scientifica.
L’autore di Elephant Man and Other Reminiscences, ossia Frederick Treves, si rivelerà poi uno dei
protagonisti principali del film. Dopo i titoli di testa, abbiamo la presentazione di due foto che sembrano
offrirsi come materiale documentale; entrambe “guardano in macchina”. La prima viene scandagliata da un
movimento di macchina che conduce da un primo piano strettissimo sugli occhi di una donna al dettaglio
delle sue labbra; la seconda inquadratura oggettiva una seconda foto, custodita all’interno di una cornice.
Occhi, collo e attaccatura dei capelli forniscono indizi chiari per dissimilare la donna ritratta nella seconda
inquadratura e quella ripresa nella terza. Il fatto che la terza inquadratura si sostituisca per dissolvenza
incrociata alla seconda e che il piano di ripresa sia in progressivo avvicinamento, sembra costruire una
relazione paradigmatica e una focalizzazione identitaria: è un’identità che ha forme di rappresentazione
diverse.
Del resto, se si continuano ad osservare attentamente le prime tre inquadrature della sequenza d’esordio
(dopo i titoli di testa), ci accorgiamo delle traslazioni, nei ritratti femminili, del posizionamento della fonte
di luce: nelle prime due si colloca a destra, nell’ultima a sinistra e alle spalle della donna. Questa luce alle
spalle è in un certo senso la negazione di una costruzione ritrattistica e nel contempo un’intromissione del
corpo che occlude la visibilità della fonte. Come vedremo alla fine del film, questo dettaglio assumerà un
valore decisivo.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 11. La musica e i suoni
Una torsione enunciazionale ancora più marcata è quella retta dalla musica. Mentre i primi due ritratti
fotografici presentano una musica enunciazionale che riprende il tema della sequenza dei titoli di testa, alla
dissolvenza incrociata tra secondo e terzo ritratto corrisponde una fade out/fade in che finisce per imporre un
paesaggio sonoro caratterizzato da uno sfondo cupo e da pulsazioni ritmiche “macchiniche”. Il passaggio
articola un’opposizione alquanto marcata: il tema dei titoli, riproposto con una riduzione timbrica a sole
percussioni intonate (xilofoni, ecc.), tende a significare uno spazio domestico, intimo, quello in cui suonano
carillon vicino alla presenza di effetti personali quali le foto dei propri cari. Il paesaggio sonoro che si
sostituisce è per contro materico, solcato da un ritmo inesorabile, quasi fosse uno stantuffo, o comunque un
dispositivo meccanico con un arco d’azione costantemente riproposto. Il suono-rumore di fondo sembra
“colare”, diffondersi, mentre lo stantuffo demarca un intervento puntuale, ciclico; in comune i due suoni
hanno un transito d’aria, da una parte un soffio, dall’altro uno sbuffo ripetuto. È su questo paesaggio sonoro
“industriale” che si andranno a incastonare, nella sottosequenza successiva, i barriti degli elefanti. Da un
lato, il carattere peculiare di ogni barrito contrasta con lo standard dello stantuffo che sembra memoria
sonora di un dispositivo-matrice che forgia sempre la stessa forma; dall’altro lato, il lavorio elettronico sul
barrito, per quanto sottile, tende a calmierare l’eterogeneità dei suoni. L’impeto di una forza incontrollabile
sembra congiurare con l’organizzazione di una macchina oscura e imperturbabile. Così come appaiono
ricorsivamente delle “stanze” in Lynch, si profilano degli ambienti sonori che si pongono ugualmente come
luoghi di metamorfosi e di manifestazione di forze oscure.
La sovrapposizione del volto della donna, ripresa nella terza inquadratura, con gli elefanti visti di profilo,
anticipa l’intersezione dei loro destini. La terza sottosequenza mostra gli elefanti avanzare frontali verso il
punto di vista enunciazionale. Questo “coinvolgimento” topologico dell’istanza dell’enunciazione si traduce
in una modulazione patemica del punto di vista nella quarta sottosequenza: essa è infatti caratterizzata da un
ralenti che restituisce i movimenti con una scia-memoria delle posizioni precedenti ricoperte dal corpo della
donna. Quest’ultima, distesa a terra, si agita, portando continuamente la testa da sinistra a destra, come a
segnalare un rifiuto estremo, convulsivo quanto impotente di fronte a ciò che sta accadendo. L’urlo della
donna resta impercepibile, mentre furoreggia il barrito dell’elefante. Ciò segnala in maniera an-cor più
evidente una sorta di incomponibilità, di scissione interna del profilo discorsivo del film. La sintonizzazione
sull’azione elefantiaca di un dispositivo animale-macchinico non è armonizzabile con la sintonizzazione del
dramma della donna.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 12. La girandola della mostruosità
La seconda inquadratura è ancora più nodale, dato che attiva un secondo ragionamento figurale che vedremo
porsi alla base delle relazioni tra i temi del film. Quello che si rivelerà essere uno dei protagonisti assoluti
del film, il dottor Treves, è ripreso di spalle, rivolto verso una parete ove sono poste un folto numero di
girandole. Il dottore (osservatore installato sul piano dell’enunciato) fissa le girandole. Per un attimo, esse
sono il fulcro dell’immagine e portano gli osservatori in campo (enunciato ed enunciazionale) verso una
lettura astratta, dove si segue il moto interno delle loro linee spiraliformi. L’occhio segue una traiettoria
centripeta, ma essa finisce in un nulla di fatto, riaprendo verso una tensione centrifuga; a sua volta, questa
finisce in una linea senza destino, che costringe a tornare sui propri passi, subendo un nuovo movimento
apparente centripeto, e così via. Questo formante che si esplica in una sorta di tratteggiamento continuo di
un “movimento pentito” entra in una certa relazione alla logica con la tipica musica da fiera che attraversa le
prime sequenze del film: dalla gaiezza alla mestizia e ritorno, in un andirivieni senza fine.
Treves si volta finalmente all’indietro, palesando il suo viso all’enunciatario; sembra confuso, quasi in
trance. L’osservatore enunciazionale si infila in una folla attraversata da moti eterodirezionali; non è chiaro
se si orienta, oppure se segue di volta in volta fatti salienti o direzioni di folla dominanti. Treves, per contro,
pare assumere una direzione decisa, finché il dettaglio di un’iscrizione (“Freaks”) non ne indica ancor più
chiaramente la meta.
Dopo essere passato per stanze con feti deformi conservati in contenitori di vetro e additati da iscrizioni del
tipo il “frutto del peccato originale”, dopo aver incontrato donne barbute e altre attrazioni, Treves giunge
infine davanti a un drappello di persone con alle spalle un carro. Questo reca un manifesto dominato
dall’iscrizione “The Terrible Elephant Man”. Un probabile ispettore della polizia sostiene che lo spettacolo
che intende censurare umilia (“degrades”) lo spettatore e la creatura stessa; inoltre, egli dissimila i freaks da
tale mostro, la cui mo-strazione/visione è inaccettabile.
The Elephant Man viene reputato per contro un mostro, ossia qualcosa di irredimibile. La visione a
compenso è abietta perché senza compensazioni, senza ironie reciproche. L’umiliazione bilaterale di
spettatore e di mostro è data da un’intersoggettività ove l’assurdità di una comparazione non può più avere
in memoria un parametro di razionalità, di buona forma; per contro, spettatore e mostro si trovano entrambi
degradati da una sovraesposizione reciproca che sigla la rottura anche del più eccentrico specchio
deformante. li mostro è un riflesso inaccettabile, quanto la persona normale lo è per lui.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 13. L'ibridazione uomo-animale
Il manifesto sul carro mette ai lati opposti due componenti (donna ed elefante) di un ibrido che si situa al
centro: l’uomo elefante. L’ibridazione si dà nel segno di un potenziale soverchiante della parte animale; non
vi è fusione, bensì giustapposizione di tratti costitutivamente priva di qualsiasi equilibrio. Le parti animali
tendono verso sinistra, mentre quelle umane (soprattutto il braccio) tendono verso destra. L’equilibrio è
alquanto precario e l’elefante ha la bocca aperta quasi ostentasse le proprie “fauci”. li manifesto enfatizza
l’apertura della “E” maiuscola di Elephant (quasi fosse una bocca) e presenta il “mostro” qualificandolo
come il “terribile uomo elefante”. Lo scenario è esotico, luogo d’origine distale di una tragedia di cui la città
borghese non è colpevole (almeno, se si oblia la sua periferia industriale - ma su questo avremo modo di
tornare).
Acutamente, Lynch disocculta, grazie al “periscopio” della banda sonora, questa origine mitica del male
(l’isola degli elefanti) che funziona come alibi di una modernità che riduce l’uomo ad attante performatore
entro cicli produttivi che ne sviliscono la dignità. Grazie agli spettacoli fieristici itineranti, The Elephant
Man, il suo “proprietario” (Bytes) e il ragazzino che lo accompagna, si guadagnano da vivere la dignità è
una variabile impercepita o quantomeno trascurabile, almeno fintantoché qualcuno non riconosca in John
Merrick un essere che si pone al di là del freaks essendo l’incarnazione del monstrous (l’ufficiale non parla
di monster). Non vi è qualcosa di terribile in The Elephant Man, quanto di oltraggioso.
Mentre all’esterno della fiera si avvertiva una musica agrodolce (all’inizio della sequenza), una volta che
Treves varca la prima porta interdetta la musica finisce sullo sfondo, vagamente percepibile. Le voci si
stagliano su un silenzio in cui le stesse parole dell’ispettore, più che im-porre un’atmosfera ufficiale, si
trovano inserite entro lo sfondo di un officio, di un rito pagano da poco interrotto.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 14. La dualità figurale del fuoco
La terza sequenza si apre, parallelamente alla precedente, con l’inquadratura di un fuoco: esso viene subito
oggettivato come posto all’interno di una sala operatoria e funzionale alla sterilizzazione degli strumenti
chirurgici. In questa sala operatoria, c’è il corpo di un uomo gra-vemente ferito; tutta la superficie della sua
pelle è rovinata, sanguinolente, decisamente ustionata. Treves e un altro dottore (Fox) si stanno occupando
di questo povero uomo, ma non portano né un mascherino né i guanti. Treves tossisce persino, mentre la
sola preoccupazione di sterilità va agli strumenti “protesici”.
Mentre la cura in corso si pone come esemplarità della clinica, del suo soccorrere e prestarsi al caso singolo,
l’entrata nella sala di un ragazzino che avverte Treves di aver ritrovato qualcuno, suscitando i sospetti del
collega, esemplifica e prelude al superamento di una soglia deontologica.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 15. L’avvento del mostro e la devoluzione del volto
La quarta sequenza è un’unità narrativa molto composita. Treves esce dall’ospedale, osservato dal collega
da una finestra. Il dottore attraversa strade in cui sono presenti macchinari attorno ai quali si dispiega
l’attività febbrile e “meccanica” di alcuni uomini.
L’oscurità squarciata dalla torcia che impugna il dottore impedisce il distacco clinico: è come se tutta la
situazione pesasse addosso a Treves, per responsabilità (ha commissionato l’incontro), per sovraesposizione
(è in balia di un disperato senza più scrupoli, quale è certamente Bytes, e di un essere misterioso), per
coimplicazione estesica (la torcia costruisce un intorno denso di energie irradiate, uno spazio di intimità
inopportuna).
Bytes non rinuncia al suo discorso da imbonitore, quasi avesse di fronte a sé la solita schiera di curiosi;
Treves viene rubricato come spettatore di fiere malgrado egli potenzialmente auspichi una sua
singolarizzazione (vuole vedere ma per altri motivi). Dal racconto “mitico” di Bytes emerge che la ruota del
destino si è fermata in un punto cieco d’umanità; il vilipendio dell’atitropico è una madre schiacciata
(compromissione della riproduzione della specie) da un elefante selvaggio (negazione del dominio della
civilizzazione) in un’isola sconosciute (emergenza di un deficit cognitivo paradossale: la donna si trovava in
un posto ignoto, forse ignorato, certo anonimo).
Il silenzio in cui si svolge la presentazione rituale di Bytes viene trasposto, al momento in cui officia
l’ostensione del corpo del mostro, negli inviti perentori a girarsi, reduplicati tra l’altro dal ragazzino. Proprio
mentre la liturgia rovina in tortura, sale una musica che contrappone alle pulsioni intensive degli ordini la
tessitura di un adagio, a falde, in un processo corsivo e progressivamente evanescente. La musica,
coordinata con il primo piano in avvicinamento, strania la teatralità macabra dell’ostensione e privatizza il
confronto con il “mostro”: per qualche istante, quel corpo deforme è tutto il mondo di Treves, l’epicentro di
una vulnerabilità violata senza prognosi e senza difesa. La curiosità di Treves - peccato confessato per
nasconderne uno peggiore, quello di ricondurre un disordine biosociologico a scienza - non viene appagata
dalla visione del mostro. il voler sapere è colmato in modo letteralmente esorbitante; lo sguardo diviene
preghiera, deve accedere alla massima modestia, farsi recitativo, come il ripetersi e trasporsi continuo di uno
stesso formante musicale esemplifica, non contenendo il tempo a cui accede e limitandosi a solcarlo, fino a
spegnersi.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 16. Il mostro: scienza medica e mercantilismo
Questa terza sottosequenza (43), con la complicità della prima (41) incastra l’incontro con il mostro entro la
logica mercantile, cercando di risollevare i bassifondi in cui si trovano i personaggi in una piazza affari, ove
ci si tratta da signori e si mandano a prendere gli oggetti di valore in carrozza. Da un lato Bytes è pronto a
sostenere l’isotopia mercantile (“Affare concluso”), dall’altro disocculta la tacita asimmetria della relazione
sociale con il dottore costringendo il corpo di questi ad avvicinarsi al suo. Treves porge il suo biglietto da
visita, nella tacita sicurezza di non poter essere ricambiato; stringe la mano di Bytes, ma con l’opportuna e
dignitosa interposizione dei guanti. Bytes afferra le spalle di Treves e lo avvicina a sé in maniera smodata
cercando di dare rappresentazione figurativa a una prossimità di ruoli scandalosa.
Bytes - “Bene. Si rende conto? Non è solo il denaro a cambiare di mano. Ci siamo intesi completamente,
amico mio”.
La posizione enunciazionale rispetto al sapere narrativo fin qui acquisito non consente ancora di
comprendere del tutto le vesti scientifiche degli interessi di Treves; il personaggio del medico è per ora
tratteggiato da due ruoli attanziali estremi, quello passionale (commozione), quello pragmatico (trovare The
Elephant Man e portarlo in ospedale). L’incomponibilità dei ruoli è data dal fatto che le condizioni di
Merrick non possono articolarsi con uno spazio della cura (ospedale), dove premure e terapie possono
conciliarsi. Le condizioni estreme di Merrick sono già chiare allo spettatore, ma i punti di vista
enunciazionali non hanno ancora permesso l’accesso ai caratteri del suo viso; in compenso, nel resto del
film, non ci sarà dettagliamento più preciso della schiena della “creatura” di quanto non si scorga nella
sottosequenza del primo incontro con Treves (42). Ad essere messa in risalto non è tanto la deformità
dell’involucro, quanto una metastasi figurativa, una supplementazione ricorsiva che pare avere in memoria
un processo espansivo ancora in atto. The Elephant Man è nato da una nube di gas e il suo corpo cresce
esalandosi; solo che la sua consistenza materica, rispetto alla nube, accetta scandalosamente le iscrizioni del
tempo, adibendo il dramma di un soggetto che non potrà mai avere una storia (tutt’al più una posizione
limite nel quadro di una patologia generale).
Il dramma figurativo di The Elephant Man si esplica in questa resistenza, in questo reggere il peso di una
devoluzione del volto. La tragedia dello sguardo sta invece nella sua paradossalità; la curiosità di volgere il
volto del mostro verso di sé e nel contempo l’esigenza della sua voltura nell’inumano, in ciò che non ha
storia. Del resto, il rischio reciproco tra mostro e suo osservatore è di vampirizzarsi reciprocamente. Anche
per tale ragione, John Merrick tace letteralmente sul suo sapere ed intendere, come per trattenere un
equilibrio sospensivo di paure ove l’uno prefigura di vedersi “consumato” dall’altro.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 17. Asimmetria e diabolicità
L’arrivo di John Merrick all’ospedale si pone all’insegna della totale ambiguità della sua natura. Avanza a
fatica ed è incappucciato con un sacco dotato di una sola apertura, alquanto piccola e geometrica, valevole
per un solo occhio. Il respiro è affannoso, ma si carica anche dei tratti propri a un grugnito. Alcuni ragazzini,
presenti nella sala d’ingresso dell’ospedale, commentano ad alta voce la puzza che emana da questo
personaggio incappucciato.
Merrick entra in ospedale come se fosse ancora un animale, sordido e misterioso, sghembo e asimmetrico.
La sua presenza è dirompente, amplificata da grugniti e odori, e per contro la sua accessibilità percettiva al
mondo che gli sta intorno si riduce alla “feritoia” di un cappuccio che lo esibisce come un prigioniero rapito
o come un boia. Questa asimmetria relazionale è raddoppiata dall’imbarazzo sul modo di rivolgersi a questo
uomo, dato che non è chiaro se sia a tutti gli effetti tale.
Questa asimmetria viene rafforzata quando, nella sequenza successiva (6), il cappello e la disposizione del
cappuccio profilano un asse tensivo orientato; questo va da quella metà del corpo che appare più efficiente
verso quella del tutto celata. Le riprese di sbieco in mezza figura di Merrick, la luce di taglio (proviene
dall’alto, a destra), le pieghe del mantello e del cappuccio contribuiscono nell’insieme a costruire un corpo
nervoso, espressionista, attraversato da onde sinuose che lo corrucciano e rendono sghembo.
Sul piano enunciazionale, sono presenti alcune soluzioni che sembrano costruire una patemizzazione
dell’osservatore. Dapprima, un totale dall’alto giunge a mostrarci The Elephant Man accettare finalmente gli
inviti della capoinfermiera a seguire Treves; quindi nello studio, dopo il turbamento provocato dall’arrivo
del dottor Fox, abbiamo un avvicinamento di macchina smodato verso la fessura del cappuccio di Merrick,
poco prima che Treves gli annunci l’imminente inizio della visita medica.
Ciò che dovrebbe essere un semplice desiderio di una visita clinica assume l’ambiguità di una
vampirizzazione: il dottore s’avvicina a “consumare” l’immagine di Merrick. Significativamente la
sequenza si era aperta con una piccola riflessione del corpo di Merrick su uno specchio alle spalle della
cattedra ove è seduto il dottore; quanto Treves si alza eclissa Merrick. Figuralmente, il ragionamento è il
seguente: Treves fa sua l’immagine di Merrick, potendola consumare in uno stato di disascondimento (viso
scoperto) che il proprietario legittimo si ritiene non possa sopportare. L’eclisse della riflessione a puro
consumo di Treves (lo spettatore non riuscirà a vedere l’Uomo Elefante nemmeno in questa sequenza) non
sigla solo una dominanza interessata e fors’anche crudele (nascosta sotto l’opportuno servizio alla scienza),
ma anche una sorta di dissolvenza incrociata tra due focalizzazioni interne (il filtro narrativo passa di mano,
dal dottore verso il paziente).
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 18. Il paradigma degli spettacoli
La sequenza successiva (7) parte da un proiettore puntato verso la m.d.p.; sul piano diegetico cogliamo che
un assistente di Treves sta posizionando il proiettore di luce verso Merrick, davanti a una platea di medici,
pronti a dissezionare con lo sguardo e a discettare a parole le deformità del malcapitato. Treves si preoccupa
se i colleghi vedono bene il corpo dell’Uomo Elefante (questi persino lo ringraziano della premura), mentre
lo spettatore è dapprima accecato (come probabilmente Merrick) e quindi costretto a vedere il corpo
analizzato dietro i teli di un paravento che ne restituiscono solo la silhouette.
Bytes è stato pagato dal dottore, ma, oltre alla paura di perdere il proprio “socio in affari”, si sente usurpato
di una “esclusiva”, ossia di poter mostrare e vantare i diritti sul “più grande aborto di natura”.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 19. Posizione supine e violenze parallele
La sequenza successiva (9) vede un primo, breve segmento che ci mostra il ragazzino di Bytes in ospedale;
deve chiamare Treves viste le precarie condizioni di Merrick dopo il pestaggio della sera precedente. Fa
seguito una seconda più lunga sottosequenza in cui Treves visita il ferito. Bytes spiega le contusioni di
Merrick con una rovinosa caduta, ma non è difficile per il dottore capire l’accaduto. Piuttosto chiede
spiegazione del perché Merrick non sia disteso, malgrado le precarie condizioni in cui versa. La spiegazione
che gli viene fornita è che in quella posizione, per le sue malformazioni e il peso della testa, finirebbe
soffocato.
La posizione supina è correlata al dolore attualizzato e alla morte (viste le forme tumorali che interessano
tutta la sua schiena e il capo esageratamente grande i polmoni di Merrick finirebbero per essere compressi);
ma è connessa anche alla nascita, all’origine mitica dei suoi mali: la prima sequenza ci aveva mostrato la
madre gettata a terra da un elefante mentre supina urlava terrorizzata. La posizione supina è poi stata
richiamata con il moribondo posto sul lettino della sala chirurgica nella terza sequenza: tale posizione è
suggellata come propria della cura, cura a cui Merrick non ha accesso (è un caso incurabile).
In precedenza, il dottor Treves - osservando Merrick dalla finestra dell’ospedale entrare nella carrozza che
lo avrebbe riportato da Bytes aveva confessato al collega Fox di sperare che quell’essere deforme fosse
totalmente ebete e incapace di comprendere tutte le disgrazie e le violenze subite. Nel mentre lo trattava da
“normale paziente”, Treves “usava” Merrick sperando che non s’accorgesse dell’abuso che perpetrava. Il
dottore aveva fatto denudare quel corpo deforme davanti a tutti i colleghi, al fine di mostrare la sanità dei
testicoli, quasi per fa apparire ancora più mordace uno scherzo di natura, dato che saprebbe persino
riprodursi; questo atto poteva avere come alibi il suo porsi come una violenza minima in confronto con
quelle normalmente subite da Merrick; ma appunto “minima” solo a patto che questi non sia “persona”, non
abbia un’autocoscienza, e non sia dunque sensibile a una violenza morale.
Se Treves comprende perfettamente l’abietta speculazione di Bytes sulle disgrazie altrui, altrettanto sembra
fare quest’ultimo nei suoi riguardi, tant’è che gli propone quello che ai suoi occhi pare un equo patto: se il
dottore curerà The Elephant Man, in cambio lui gli procurerà una serie di altri aborti di natura, visto che è
“dell’ambiente”.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 20. Percorsi passionali
La decima sequenza segna una tappa decisiva nella vita di Merrick e prospetta contemporaneamente un
ridisegnamento del profilo enunciazionale rispetto alle assiologie in campo. Proprio per questa
ristrutturazione complessiva delle tensioni narrative e delle prospettive enunciazionali, la decima sequenza si
presenza particolarmente complessa e ar-ticolata, tanto da poter essere suddivisa in diverse sottosequenze.
Gli osservatori installati nell’enunciato sono tre (Treves, il direttore dell’ospedale Carr Gomm, e
l’infermiera Nora) costruendo una polifonia di valorizzazioni in tensione reciproca e rispetto alle quali
l’enunciatario si trova coimplicato ora nell’una ora nell’altra, in ragione di una diversa isotopia del percorso
narrativo. Vediamo.
Nella seconda sottosequenza vediamo Treves nelle cucine dell’ospedale chiedere qualcosa da mangiare e poi
accingersi a portare il cibo a Merrick. Viene fermato però da Carr Gomm che, prima ironizza su quanto
Treves sta facendo, poi ordina alla cameriera Nora di portare il piatto con il cibo al paziente nella sala
d’isolamento (facendo capire al collega dottore di sapere già tutto); infine, invita Treves ad entrare nel suo
ufficio per una discussione. Gli assi fondamentali di quest’ultima vertono su due sanzioni
dell’amministratore:
a. la prima è l’impossibilità di detenere dei segreti in un luogo pubblico quale un ospedale;
b. la seconda il divieto della struttura che dirige ad occuparsi di malati incurabili.
A quel punto la programmazione modale di Treves è sconvolta, ma questi reagisce abilmente cercando di
destabilizzare la competenza del suo superiore: agisce perciò sulla sua curiosità, chiedendo se vuole
conoscere il suo paziente.
Anche se il film aveva lasciato intravedere qualche tratto attoriale di Merrick è solo con questa inquadratura
che lo spettatore ha pieno accesso al suo volto deforme, all’atonia dei suoi tessuti. All’applauso riservato dai
medici alla visione clinica del corpo di Merrick (conferenza di Treves), si sostituisce qui il grido inconsulto
della cameriera che lascia cadere a terra il piatto che stava portando.
Il tranello discorsivo porta a ri-attualizzare enunciazionalmente una reazione “orripilata” nel mentre il film
ha già in memoria una moralizzazione di questa risposta emotiva. Inoltre, la reazione intimidita di Merrick e
il suo trarre a sé il lenzuolo come per coprire la nudità del busto, sembrano configurare un comportamento
alquanto coscienzioso e socialmente “informato”.
Uno stacco ci mostra come le grida inarrestabili dell’infermiera giungano nell’ufficio dell’amministratore,
peraltro senza sorprendere più di tanto i due interlocutori che, pur sotto punti di vista diversi, hanno
perfettamente compreso cosa è successo. Treves si precipita verso la stanza di Merrick, mentre Carr Gomm
commenta sommessamente: “The Elephant Man”: la fama del suo aspetto terrificante era già risaputa dal
direttore.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 21. Il volto di Merrick
Dall’undicesima sequenza viene esemplificata la natura duale dell’ospedale: caritatevole e meschina.
Tuttavia, il parallelismo tra spettacoli per la curiosità più bieca e quelli per la scienza viene a cadere, in virtù
dell’impotenza dichiarata di quest’ultima nei confronti della malattia di Merrick.
A fare da spartiacque giunge anche questa volta il rintocco del campanile (batte le dieci di sera), al suono del
quale Merrick trasale, quasi presentisse la faccia oscura dello spicchio di “luna” che il fato ha infine voluto
concedergli. Del resto, se si ascolta la versione originale del film, si può notare come un rumore persistente
in sottofondo, ritmico, ribadisca questa isotopia macchinica disforica, inquietante: è il rumore stesso della
civiltà a possedere un’ambiguità costitutiva. Proprio mentre Merrick sta contemplando la foto di sua madre,
a letto, la guardia entra ed ironizza su tutto il suo destino (“Ma come diavolo t’è successo?”), sulla sua fama,
sul suo mutismo (“Mi piace la gente che non può parlare”).
Il volto di Merrick è costituito da una forte esostasi del cranio che si caratterizza per un enorme, doppio e
asimmetrico rigonfiamento della fronte; il naso scende con una accentuata curva verso sinistra e
progressivamente la cartilagine si avvizzisce; il labbro superiore è marcatamente sollevato sulla destra e
quasi serrato su quello inferiore dalla parte opposta (ne nasce un ghigno mostruoso perenne). In pratica,
l’asse centrale del volto è come attraversato da una parabola che ha il suo vertice sul naso. Tutta la metà
sinistra del volto reca una pelle atona, grumosa, piena di metastasi; ciò conferisce un aspetto materico al
profilo destro, al punto che verso l’orecchio si assiste quasi a una dissolvenza dell’effettovolto. A parte
qualche deformità sulla regione oculare, lo sguardo è invece assolutamente retto, ed anzi penetrante. I
capelli sono lunghi e leggeri, e già in questa sequenza appaiono pettinati, senza che l’acconcia-tura abbia un
qualche tentativo di nascondere parte delle deformità. La mostruosità di Merrick è schietta, interpellativa,
straripante, come fosse ancora in progress.
L’elaborazione figurativa della mostruosità di Merrick non può essere assunta in maniera aproblematica; è
noto come una fortunata pièce teatrale omonima (The Elephant Man di Bernard Pomerance), di poco
precedente alla realizzazione del film, avesse optato per l’assenza di trucco nella rappresentazione del
personaggio di Merrick. Per contro, fin dall’inizio della produzione del film, ignorando tra l’altro
l’allestimento della pièce, Lynch aveva cercato di realizzare per proprio conto una maschera-volto
dell’Uomo Elefante, ma senza esiti felici.
La bocca attira i perversi (vogliono che le prostitute bacino Merrick) anche perché essa non può socchiudere
le labbra. La bocca è inoltre cristallizzata in un ghigno, impedendo così ogni modulazione dell’espressione;
soprattutto, destina Merrick all’impossibilità del {sor)riso (altro fattore qualificante l’uomo). La parte
grumosa della pelle fa pensare a una attività interna, dove forze interne paiono spingere senza che
l’involucro riesca a contenerle. Tale reazione somatica figurativizza un fronte polemologico tipico di un
corpo malato; un fronte dove le sostanze si contaminano.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 22. Soggetto di diritto
L’incipit della sequenza successiva vede due donne, nella sala d’ingresso dell’ospedale, graffiarsi il viso in
modo selvaggio al fine di deturparlo vicendevolmente. È la dimensione sociale del viso, il bene che esso
rappresenta all’interno delle relazioni intersoggettive, ad essere preso di mira: ciò che si gridano le donne,
oltre ai tipici epiteti di una scena di gelosia, è la minaccia di strapparsi gli occhi. Gli occhi, rispetto alle
isotopie figurative del film, rappresentano l’ultimo presidio dell’umanizzazione; essi, però, sono
ambiguamente implicati nello sguardo che certifica il gradiente difettivo del corpo (bruttezza, deformità,
mostruosità, ecc.) e l’asimmetria dei soggetti.
Merrick è senza speranza e se ha potuto “godere” di una breve cittadinanza in ospedale passando per
l’“operating theatre” (esibizione in sede di conferenza) non può avere futuro in uno spazio di cura. Per
questo Treves decide di scommettere contro la sua prima impressione (Merrick “è un ebete”) e contro
l’opinione della capo-infermiera (“È come parlare con il muro”): chiede a Merrick di aiutarlo, di
dimostrargli che è in grado di intendere e volere, ossia di essere appieno un “soggetto di diritto”. È così che
Merrick rivela, infine, di conoscere l’inglese, di capire le domande che gli si rivolgono e di saper ripetere il
suo nome.
Treves deve preparare Merrick all’incontro e farlo percepire come soggetto di diritto. Se non come paziente
passibile di guarigione, Merrick deve rivelarsi persona degna delle cure dell’ospedale; quest’ultimo può
rispondere in quanto soggetto istituzionale, al di fuori dei suoi regolamenti, solamente di fronte a un “caso
umano” e farsi perciò tramite, per conto della società, di una riparazione rispetto a ciò che né la natura né la
comunità stessa hanno saputo offrire.
La preparazione di Merrick all’incontro dimostra come la vocazione educativa di Treves lo conduca ad
assumere il ruolo del precettore, intendendo plasmare l’allievo perché testimoni della sua bravura, e per
questo tramite, di quella del maestro. Non fidandosi dell’allievo, si pone come istitutore che sa esattamente
cosa Merrick deve dire a Carr Gomm e pretende sia ripetuto a memoria.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 23. Sentieri della giustizia
Treves si alza quella mattina prestissimo e incontra il lattaio, il quale gli suggerisce che se quella levataccia
divenisse per il dottore un’abitudine potrebbe intraprendere invece la sua professione. Oltre a segnalare,
paradigmaticamente, l’eccezionalità di quella pratica (evidentemente Treves non raggiunge solitamente
l’ospedale di prima mattina), resta risonante sul piano testuale l’attualizzazione del latte portato. John
Merrick è forse qualcuno che può essere riconosciuto come una persona, ma Treves è molto lontano
dall’imputargli ancora una personalità. Per questo si appresta ad abbeverarlo di sapere quasi fosse un
“neonato”, un bambino “selvaggio”. Senza una piena coscienzializzazione, Treves sta rendendo più
vulnerabile Merrick all’incontro decisivo con Carr Gomm; ed infatti questo sarà, almeno finché “l’allievo”
si atterrà alle disposizioni, un vero disastro.
L’isotopia del diritto è continuata dal testo che Treves sta facendo imparare a memoria: il passo su cui
incespica la malferma articolazione fonetica di Merrick, consentendo una insistita ripetizione (e quindi
“sottolineatura” dal punto di vista enunciazionale), è il seguente: “[richiamò a sé l’anima mia], mi ha
condotto per i sentieri della giustizia [per amore del suo nome]”. La difficoltà di pronuncia si accentra sulla
parola giustizia, ripetuta due volte, in guisa di esemplificazione, dallo stesso Treves.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 24. Recite e difetti d’immaginazione
La quattordicesima sequenza è divisibile per via di due microfratture discorsive: la prima sottosequenza
vede Treves e Carr Gomm compiere il tragitto dall’ufficio alla stanza di Merrick. Tale tragitto consente di
mettere apertamente sul tavolo la questione fondamentale: non basta che il deforme Merrick sappia parlare,
malgrado le costrizioni del suo fisico deforme e malato; egli deve dimostrare di “comprendere”. Treves è
preoccupato - lo confessa apertamente al suo interlocutore - del nervosismo del suo paziente: evidentemente
avanza questa variabile per la paura che la lezione non venga ripetuta in modo sufficientemente conforme
agli insegnamenti.
Dopo un’imbarazzata stretta di mano (Merrick non può che offrire la sinistra), inizia la conversazione con
Carr Gomm, ma l’alea inevitabile delle domande manda inevitabilmente in tilt il programma di risposte
preparate che Treves aveva ordinato di enunciare. In piena confusione, Merrick riprende risposte già dette in
una sorta di loop recitativo, tant’è che, ben presto, Carr Gomm comprende di essere di fronte a una
“scimmia ammaestrata”: scruta il poveretto come per coglierne l’incedere meccanicistico e lancia occhiate
di biasimo verso Treves, fino a sbottare: “Quanto tempo ci ha messo a preparare questo colloquio?”.
Merrick è in piedi e sta recitando, esattamente come prima, da un certo punto di vista; perché Carr Gomm
crede al collega che questa sia una recita diversa? Innanzi tutto, perché essa ha un tono solenne; si tratta
quasi di una recitazione drammatizzata, da teatro (non a caso una musica extradiegetica ne amplifica
impostazione e stile). In secondo luogo, Merrick sta recitando dei passi del 23 salmo. Interrogato dirà di aver
letto in passato la Bibbia ogni giorno e di conoscere anche il Libro delle Preghiere; come se ciò non
bastasse, il 23 o salmo è il suo preferito. L’equazione tra cristianizzazione e massima civilizzazione è alla
base della folgorazione di Carr Gomm, il quale non ha bisogno di una parola di più per essere persuaso.
L’imbarazzo silente di Merrick al saluto del direttore è qualcosa che sigilla la veracità del suo
comportamento, più che rovinare l’exploit.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 25. Classi di spettatori
Uno stacco secco ci immette nella sequenza successiva; lo spostamento spaziotemporale nel bel mezzo di un
teatro, dove è in corso un’opera, pare di primo acchito affatto disorientante. Tuttavia, è proprio a teatro dove
ha libero gioco l’immaginazione, dove al vetro della finestra da cui guarda Carr Gomm (nella seq.
precedente) si sostituisce la linea di demarcazione finzionale del palcoscenico e dove ogni tragedia
figurativa resta fortunatamente controvertibile. Per di più, il teatro ha un pubblico diverso dalle fiere,
prefigurando una traslazione nell’infausto e indesiderato destino “scenico” di Merrick: divenire preda dello
sguardo avec lunettes di aristocratici, alto borghesi e benpensanti. A sancire la sostituzione del pubblico che
Merrick “si merita”, è un medium borghese come il giornale: è infatti su un quotidiano che l’attrice Madge
Kendalliegge della vicenda dell’Uomo Elefante, o meglio, ora, di John Merrick, gentleman dall’aspetto
terrificante ma dall’intelligenza superiore e dalla mente raffinata (così almeno recita il giornale).
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 26. Terrore vs orrore
È in un bar mal frequentato, dove il ragazzino di Bytes lavora come sguattero, che il guardiano notturno
(Sunny Jim, una sorta di contraddizione vivente) legge un articolo di giornale, quasi identico a quello letto
dalla Kendall, per invogliare gli astanti alla sua offerta: visitare not-tetempo il mostro. Se il teatro nobilita, il
giornale è medium che parifica. Nella lettura del guardiano emerge che il testo appartiene a una lettera del
direttore dell’ospedale (Carr Gomm); viene omessa la parte che decanta le virtù intellettuali di Merrick,
mentre si dà notizia del suo soprannome (Uomo Elefante). Incuriosisce il fatto che la frase “Fly in horror
from the sight of him” sia permutata in “Fly in terror at the sight of him”. Tale permutazione sottolinea
un’ineguaglianza qualitativa, una dissimilazione tra terrore e orrore, nonché tra “at sight” e “from sight”.
Sul piano propriocettivo, l’orrore sembra prefigurare una sintassi invasiva per la pressione esercitata dalla
“esalazione” della fonte (essa non ha più confini chiari); il terrore sottende una iperestesia a controllo della
distalità ancora preservata rispetto alla fonte. L’orrore rovista lo stomaco, il terrore fa accapponare la pelle.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 27. Merrick sotto due giurisdizioni
Uno stacco secco, alla fine della seq. 16, posiziona l’enunciatario giusto davanti a Merrick, il cui sguardo
pare quasi interlocutivo. Come detto, per risonanza paradigmatica, questo piano ravvicinato, tra l’altro in
avvicinamento, questiona lo sguardo dello spettatore e le sue reazioni. La posta identitaria che riguardava
l’Uomo Elefante si ribalta in una interrogazione circa la tipologia dello spettatore: “che tipo di pratica è
quella di vedere un film dove va in scena l’orrore, e che spettatore sono?”.
In sottofondo;-sulla banda audio, si riaffaccia quel rumore sordo, macchinico, che si ripete quasi in un loop.
Questi suoni industriali si svelano dopo un fondu au noir; la sequenza successiva (18) si apre infatti con un
profilo cittadino industrializzato (è pieno di ciminiere fumanti) e ci mostra l’interno di una industria
metalmeccanica, dove vi sono condotte a pressione, fornaci, ecc. Questo segmento filmico si conclude dopo
pochi secondi: la sua funzione è quella di ribadire l’isotopia macchinica e la pressione disumanizzante
dell’industrializzazione. Il rumore dell’industria viene associato agli arrivi del guardiano notturno e prelude
agli spettacoli privati a base di Uomo Elefante che sta organizzando e promuovendo.
Nel frattempo Merrick si è preparato a puntino; non solo non è più nel reparto d’isolamento, ma è stato
invitato a prendere un tè a casa di Treves. Merrick cerca di trovare, sedendosi, la postura più compita per
accogliere a dovere il dottore che di lì a poco lo verrà a prendere. Quando questi arriva, si aggiusta il colletto
della camicia.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 28. Amare il giusto
Merrick entra in casa di Treves restandone subito ammirato per la cura dell’ammobiliamento. Anne, la
moglie di Treves, scende le scale e viene improvvisamente presentata al paziente di suo marito (gira
l’angolo per entrare in soggiorno e si trova Merrick di fronte); ne è molto scossa, anche se cerca di
camuffare la reazione compulsiva pietrificandosi. A sua volta, Merrick si mostra stordito dalla bellezza della
donna, e cede all’emozione, commuovendosi. Ne esplicita la motivazione con grande sincerità: non è
abituato ad essere trattato così bene da una così bella signora.
Lasciata sola, Anne abbassa gli occhi, come aveva fatto Merrick vinto dall’emozione.
La sottosequenza successiva (202) ci mostra i tre seduti a prendere il tè. La compostezza di Merrick
contrasta con i rumori che inevitabilmente produce per la difficoltosa deglutizione. Ringrazia i Treves e
controbilancia il pianto prima esibito con la dichiarazione della sua felicità di essere lì con loro. Si scusa
letteralmente di “avere dato spettacolo di sé”: l’affermazione entra in risonanza contrastiva con tutte le volte
che Merrick ha dovuto dare spettacolo di sé suo malgrado, ma ribadisce l’isotopia teatrale e il destino della
sua immagine.
Il commento di Anne, a cui la foto viene porta, è che la madre di Merrick è bellissima (anzi, le scappa un
commento quasi antifrastico: “[ha partorito un mostro] ma ... lei è bella”). Per Merrick la madre ha il volto
di un angelo, ma poi soggiunge: “Devo essere stata una grande delusione per lei”. Anne cerca di confortarlo
(“Un figlio affettuoso come lei non può essere una delusione”). Merrick si rammarica che la madre non lo
possa vedere ora, assieme ad amici così meravigliosi; allora forse potrebbe amarlo così com’è: “Ho tanto
cercato di essere un bravo figlio”.
Queste frasi divengono per Anne emotivamente insostenibili: ritorna in gioco l’illiceità del loro essere
“meravigliosi” al cospetto. di Merrick, ma è soprattutto la risonanza paradigmatica tra la madre di Merrick e
Anne come madre a condurla verso un’intensificazione emotiva non più gestibile. Anne può raccontarsi di
poter sostenere un tè in compagnia di Merrick, ma potrebbe davvero rispondere al suo affetto se ne fosse la
madre? Nel suo pianto non vi è il microdramma riflesso della tragedia di una madre che abbandona un figlio
di cui non riesce a sostenere la vista nonché il peso di averlo partorito? Merrick è una possibilità destinale
mancata che rivela la difettività e il carattere condizionale dei propri affetti.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 29. Progettare la solennità
In questa sequenza Merrick ricicla del materiale per costruire un modello in miniatura della cattedrale di
Saint Philip che vede dalla finestra, anche se solo in parte; deve perciò completarla con l’immaginazione -
come spiegherà all’attrice Kendall, durante la sua prima visita. L’imperfezione della sua “vita sociale” (tutto
sommato resta un recluso) e della cura che gli viene impartita (chiede a Treves se questi potrà guarirlo)
necessita una qualche sutura tra effettività delle concessioni e ambizioni. Queste ultime si esplicano, in
modo simbolico, nella volontà di poter dormire come gli altri - desiderio direttamente confessato a Treves e
costantemente riattualizzato da un disegno presente nella sua camera.
Il paradosso è molto chiaro: ci si premura che il mostro non possa pervenire ad una autorappresentazione
attestativa, ma non si contempla nemmeno l’idea che egli possa aspirare a un’immagine di sé dialogica con
quella delle persone “normali”. Ecco allora che il film, piuttosto che correre sul crinale scosceso del
patetico, con il rischio continuo di (s)cadervi, si offre piuttosto come un’indagine sintomatologica della
percezione culturalizzata del mostro come costitutivamente patetico non appena questi aspiri a una
immagine dialogica: figuriamoci poi se la modulazione dei tratti mostruosi miri a significare, con gli orridi
mezzi che possiede, dignità o persino nobiltà. Per Merrick, la ricostruzione dell’immagine della cattedrale è
equivalente e nel contempo sostitutiva della modulazione della propria immagine affinché essa possa
assurgere a una sorta di solennità.
L’isotopia che discende dalla scelta del salmo 23, passando per il gusto per la recitazione austera, 1’amore
per la formalità, l’attenzione alla compostezza, fino alla dedizione nella ricostruzione della cattedrale è
proprio quella della solennità. Qualcosa dell’estetica del film riflette l’estetica personale di Merrick; non si
tratta di inseguire un’iperestesia attivata dal terrore, né un perturbamento viscerale garantito dall’horror.
Piuttosto si mira a celebrare il mostro in una liturgia dell’orrore che ne consenta un’espiazione su un piano
trascendente: c’è un altro mondo che corregge i riflessi di ciascuno e li riassegna, reinterpretando le identità
scambievolmente.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 30. Destinato all’asimmetria
Le persone che vogliono veramente bene a Merrick capiscono questa sua necessità di far entrare la sua
immagine entro un dialogo con altre rappresentazioni; la conversazione con il mostro può essere espiata in
quanto tale solo se si fa conversazione d’immagini, di rappresentazioni scambievoli.
Inoltre, la persistenza della mostruosità, congenita ed incurabile, si dà come immagine ineludibile,
persistente; essa ricorre ad ogni incontro, ad ogni vis à vis. Tale ricorrenza abbisogna di solennità per essere
espiata, per far sì che la testimonianza di un aborto di natura sia costantemente ribadita come degno
d’esistenza.
L’esito totalmente diverso dell’incontro con l’attrice deriva propriamente dal fatto che la “recita”- (anche
Anne recitava la parte e di moglie coraggiosa del medico e di madre che ama incondizionatamente i figli)
viene fatta passare per altri rappresentanti: Romeo e Giulietta. Non solo la Kendall gli regala il testo
shakespeariano, ma accetta di improvvisarne una recitazione con Merrick. La cosa che fa commuovere
Merrick, impegnato solennemente nella recitazione, è il fatto che la Kendall gli dice che è Romeo. Questa
affermazione non è affatto consolatoria, né iperbolica o stucchevole. Essa giunge dopo l’immersione nella
recitazione e si pone come la sanzione intersoggettiva dell’esistenza di un al di là, apertosi improvvisamente
in quella stanza. Ogni bacio sul piano del reale non sarebbe che consolatorio e pietistico; ma è esattamente il
piano finzionale della pièce teatrale che può restituire a Merrick un insperato ruolo d’amante.
L’inescambialità della sua immagine - non può essere resa “foto-ricordo” perché essa non restituirebbe che
l’ironia del destino, ossia un’immagine-incubo - è raddoppiata dalla finestra che dà su un muro di cinta: per
cui non vi sarà mai dirimpettaio, non vi sarà mai reciprocità aperta verso la sua stanza. Merrick è destinato
all’asimmetria.
Di fatto, la focalizzazione interna che sembra assumere il film si realizza solo quando questi ha trovato delle
forme di mediazione che consentono una parziale riduzione dell’asimmetria. Ciò che Merrick ha passato,
come afferma Carr Gomm, resta inimmaginabile: per cui anche il film non ha avuto la pretesa di restituire in
immagine la sua vita precedente, soggettivizzandola. Questo “rispetto” sarà confermato più avanti, quando
Merrick verrà rapito da Bytes e riavviato alla “prostituzione” della sua immagine.
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Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 31. Visite come recite
Più che altro, in queste tre sequenze emergono delle opposizioni rilevanti, alcune significative proprio
perché false, inconsistenti:
a. temibile vs raccapricciante; da un lato, riconosciuto “l’animo raffinato” sotto il corpo mostruoso, Merrick
passa da “essere terrificante” a “persona nota”; dall’altro lato, la derubricazione della temibilità non
stempera il ribrezzo, come accusa la capo infermiera. La figuratività del corpo significa ben al di là della
programmazione modale che ne informa i moti. Se il suo zoppicare non è più diabolico, così come il suo
sospirare affannoso, Merrick è una foto vivente del suo orrore, per cui ogni gesto gentile si congela nella
persistente esorbitanza dei suoi tratti figurativi;
b. gentilezza vs interessamento: la gentilezza di molti che avvicinano Merrick è in realtà esibizione del loro
animo nobile, ma - come rileva la capo infermiera - ciò non ha nulla a che fare con un vero prendersi cura di
lui;
c. gloria vs piacere; le persone altolocate che devono salvaguardare la loro fama seguendo la prova
glorificante del momento (prendere un tè con un mostro raffinato come un lord) si contrappongono al
piacere che Merrick trae dalla loro visita. Merrick o viene segregato completamente o è destinato per sempre
a fungere da elemento spettacolare - Treves ne sa qualcosa, quando lo ha presentato ai colleghi per ricavarne
un tornaconto sotto l’alibi onorevole della scienza. In fondo, per Merrick, la recita delle buone maniere è
comunque un mezzo di traslazione su un piano in cui la dignità gli viene riconosciuta: se non altro, la gente
si dimostra capace di accettarlo dentro le maglie di un gioco profondo che la società di norma allestisce.
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Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 32. Parallelismi competenziali ed effetti stilistici
La complessa sequenza 26 è notturna e svela definitivamente l’altra faccia del suo soggiorno ospedaliero. La
prima sottosequenza ci mostra Merrick che sta lavorando al suo modellino davanti alla finestra; un attimo
dopo sopraggiunge all’esterno il guardiano che picchietta il vetro, spaventando quello che per lui rimane
l’Uomo Elefante. Nell’additare Merrick, Sunny Jim sta cercando di significare la tacita, comune
consapevolezza di cosa accadrà di lì a poco: l’arrivo di un gruppo di spettatori paganti che in fondo lo
considerano ancora un fenomeno da baraccone, per di più diventato inopinatamente chic (ne parlano tutti i
giornali e si spreca in visite tutta l’alta società 13). Si noti che il vetro della finestra funziona sia come corpo
trasparente, sia come corpo riflettente: la m.d.p. insiste sul primo piano di Merrick riflesso. La presenza di
tale riflessione sembra implicare che questi ha probabilmente tutte le sere esperienza della sua immagine
riflessa, malgrado l’assenza di specchi nel suo mini-appartamento. È proprio guardandosi riflesso che
Merrick si dice, trepidante, “La notte ... “.
La m.d.p. entra nell’unico foro del vecchio cappuccio, scrutando quanto prima si era vietata di sondare (vedi
seq. 6). Ciò che ritrova (terza sottosequenza) entro quella fessura, persino caratterizzata da una ricucitura-
pentimento per stringere il foro, sono pezzi di film già visti: immagini dicondotte di un’industria, barriti di
elefanti e urla di donna (la madre sotto la minaccia di finire schiacciata da un elefante). Si aggiungono
tuttavia altre immagini: ad esempio, quelle che chiariscono la natura di un suono ritmico che caratterizzava,
in sottofondo, gli incontri con il guardiano notturno: il rumore dipende dall’azione di alcuni operai che
muovono un dispositivo meccanico che funziona solo per via della loro forza “concertata”. Tra vapori e
oscurità di fabbriche “ctonie”, sbuca un drappello di persone; quella in testa al gruppo ha in mano uno
specchio e un atteggiamento sardonico leggibile sul viso. Avanzano verso il punto di vista enunciazionale,
finché sullo specchio viene ad immagine, in modo non “realistico”, il volto deforme di Merrick da giovane.
Dettagli di una gola di un elefante, di un occhio e della probo-scide, sembrano siglare una vicinanza di
natura, più che una semplice analogia. In soggettiva si vedono arrivare dei calci e il viso urlante di Merrick è
in sincrono con un barrito, quasi a certificarne la natura elefantiaca.
Ora, la scelta di pensare questi quattro segmenti filmici come parte di un’intera sequenza può apparire certo
una forzatura. Soprattutto l’ultimo segmento sembra contrarre con gli altri solo una vaga contiguità
temporale (accade nottetempo). Certo, è del tutto chiaro che ci troviamo di fronte a una sintassi alquanto
libera e complessa; ma sarebbe sbagliato sostenere che la disinvoltura stilistica - autoconcessasi dal regista
all’interno di un film piuttosto classico - non abbia alcun “filo” dell’argomentazione discorsiva da tessere e
ostenti semplicemente sé stessa. Proprio per evitare questa impressione superficiale rifiutiamo di segmentare
più nettamente questa sezione del film e ne proponiamo interpretativamente un’unità discorsiva, per quanto
anomala. Vediamo.
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Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch 33. L’iniziativa dell’osservatore enunciazionale
Tuttavia, l’iniziativa dell’osservatore enunciazionale è forte e palese (entra nell’unica feritoia del vecchio
cappuccio) e il materiale onirico di Merrick è parzialmente già stato assunto dall’enunciazione filmica, in
particolare nella sequenza iniziale (non ascrivibile, proprio perché la prima, a un soggetto dell’enunciato).
La presenza di inquadrature di scenari industriali, nonché la presenza di rumori aver che vi si riconducono,
sembrano corroborare l’esistenza di una intima familiarità tra immaginario enunciazionale e produzione
onirica di Merrick.
Se la vita di Merrick è di fatto inimmaginabile in quanto vissuta dal!’interno, resta la possibilità di trovare
un minimo comune denominatore in quelle figure che stanno alla base della sua ricostruzione mitica. In
fondo egli ha probabilmente rimotivato le sue origini a partire dal nome che gli è stato assegnato (Uomo
Elefante), e non spiegandosi lui per primo come sia potuto nascere un mostro da una donna così bella, la
storia leggendaria che viene usata da Bytes è quanto di meglio può utilizzare per rimediare all’insufficienza
delle ragioni. Se gli incubi di Merrick sono tanto terribili è perché egli porta in sé il marchio dell’aggressore;
il carattere dominante che ha ereditato, iscrivendolo sul suo corpo, è quello dell’elefante, per cui le sue
stesse fattezze sono tanto marchiature di un’offesa quanto marchio dell’offensore. È il legame promiscuo
con i caratteri dell’elefante che rende Merrick sospeso tra tragedia subita e colpa incarnata.
Lo stesso vale in qualche modo per il film: usa Merrick, ne possiede i copyright, lo sfrutta per fini
“spettacolari” e nel contempo ne è marchiato. Smette d’essere un film horror non perché filosofeggia in
modo edificante attorno alla diversità e all’inaccettazione abituale di corpi deformi; non perché interroga la
mostruosità ma perché ne è interrogato. Non implode nel patetismo proprio perché mira a disoccultare la
tentazione di bollare come patetici i tentativi di Merrick di conquistare un’immagine dignitosa (come a dire,
“ti diamo lo status di persona pur-ché tu ti astenga dal provare a dimostrarlo per via di quell’immagine che
pareva negarne la possibilità”).
Ecco allora che la libertà e le sottili discontinuità discorsive di questo segmento filmico non trovano
spiegazione nella volontà di far emergere in primo luogo uno stile, quanto sono indispensabili alla
costruzione di un parallelismo che è retto non tanto e banalmente sul piano temporale, quanto su quello
attanziale, e in particolare competenziale.
Priscilla Cavalieri Sezione Appunti
Interpretazione tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch