Dettare la fiaba fino in fondo, a fianco del dramma

In Wild at Heart, la visionarietà della fiaba, affacciando la morale di là dall’onta delle apparenze, diviene infine palinodia stessa di un vedere eccedente. Certo, perché ciò si manifesti completamente occorre aspettare il momento in cui Sailor e Lula doppiano il “capo” della propria incontinente vita, progettando una vita a due in un posto sufficientemente lontano. Lungo la loro fiabesca fuga d’amore, con la strega-madre Marietta alle calcagna, Sailor e Lula si imbattono in un incidente stradale. Apparentemente si tratta di un evento del tutto laterale rispetto alla loro traiettoria esistenziale, ed invece tale incidente costituisce per loro due l’occasione (perduta) di una conversione. Tra lamiere d’auto ancora incendiate, i due protagonisti si trovano di fronte l’unica sopravvissuta al disastro, una ragazza che perde vistosamente sangue dalla testa e in preda a visioni che la disancorano da ciò che è appena accaduto.
Come se non bastasse, la stessa lacerazione dei corpi incidentati lascia spazio, anche per l’osservatore enunciazionale, ad atte stazioni solo grottesche. L’improbabilità narrativa e la pretestuosità figurativa di queste visioni in eccesso, sul piano enunciazionale, parrebbe mirare l’obiettivo del “puro cinema”, senza bisogno della foglia di fico di una storia mirabile; ma è proprio in questo punto che si situa l’ambiguità stessa del film, nel suo continuo inserire contro canti (l’incidente della giovane donna) e piste alternative (personaggi che sembrano giungere in campo provenendo da altre storie). Il film non “sposa” davvero i protagonisti e come confronta prospettive valoriali diverse, rette dai vari personaggi, così raffronta differenti toni d’assunzione del narrato, riservandosi la possibilità di una prospettiva “terza”, capace di ergersi, in controluce, ad un qualche metalivello.