La soggettivizzazione dello spettatore
È esaltata, insomma, la possibilità di installare lo spettatore, attraverso ocularizzazioni e auricolarizzazioni estreme, in un corpo simulacrale, virtuale, con percezioni” altre”, spiazzanti, profondamente non umane. La sfida aperta di Lynch è talmente dichiarata che talvolta prende di mira gli organi percettori, sondando e penetrando con lo “sguardo” della macchina da presa, ad esempio, un orecchio, un occhio o comunque cavità imperscrutabili. L’inizio dell’11 puntata è a questo proposito molto significativo. Lo sguardo è calato dentro una cavità conica impre-cisata, ma la virtualità del punto di vista è riscattata da un movimento di allontanamento e da uno di rotazione sul proprio asse della macchina da presa. Usciti dalla cavità, vediamo la presenza di molti buchi uguali e, attraverso una doppia dissolvenza incrociata” camuffata”, l’appartenere di quei fori alla parete di una stanza. Per finire, abbiamo una inquadratura (primo piano) del volto di Leland Palmer e del suo sguardo incantato, mantenendo il movimento di rotazione della macchina da presa, come a completare le circonvoluzioni precedenti. Con ciò si ha la rilettura dell’intera sequenza come una soggettivazione dello stato paternico-cognitivo di Leland invaso da Bob. Questa estrema soggettivazione “sorge dall’idea di una superiorità del vedere interno sul vedere esterno, dall’alterazione della coscienza turbata di un eccezionale osservatore”.
La minuzia della descrizione serve a rendere conto del plesso inestricabile di percorsi cognitivi, spaesamenti, diramazioni paterniche. È infatti attraverso una deflagrazione della flagrante verità banale del mondo, che Twin Peaks ottiene una sovversione paternica, attraverso una ri-composizione in cui alle componenti astratte dell’immagine si può riagganciare una nuova organizzazione passionale.
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