Recitare

Recitare

Il play back del sogno ha la nostra voce, è già vita vissuta, è già stato reale. Ma non è il cinema a poter assomigliare ai nostri sogni, ma i nostri sogni al cinema, e il teatro, almeno dentro questa finzione, non è che la macchina rovesciata che garantisce la disillusione, la compresenza dei ruoli di performer e spectator, e un play back dove poter compatire il dramma delle rispettive ragioni ed errori.
Bastano queste notazioni per scorgere come il “recitare” abbia una relazione contrastata con il sogno. Per un verso, si assiste a una sorta di inversione prospettica; il sogno deve scongiurare il perfezionamento di una realtà, e vede ogni dialogismo che rispunta al suo interno (i sogni di Rita) come un pericolo per la stabilizzazione del mondo possibile che ha adibito. Dentro di esso, il teatro (il “club Silencio”) ha subito un rovesciamento; è la parte già registrata che è più vera della mimesi recitativa del play back, così come è il monologo, il canto, 1’assolo che conquista il palcoscenico, e non le battute dialogate. Per contro, sono i corpi che vengono rimessi in gioco nella loro somaticità non controllabile; in particolare è il corpo di Betty che nei suoi sussulti pare rinviare all’agitazione della dormiente (Diane) che rischia di uscire dal suo teatro della mente, dal suo sogno.
Ecco allora che progressivamente diviene sempre più chiaro come Mulholland dr. sia a tutti gli effetti un film gemello di Lost Highway. Vi è il copione di un film, il copione di un piano criminale e il copione di un sogno redentore. Solo che nessuno riesce ad accedere a un piano di giustizia rivelatoria, né a una vera redenzione simbolica. Anche qui una pallottola sembra aspettare alla fine la protagonista, ma essa trova, nella pratica suicida, un altro esito teatrale, così come il punto d’arrivo della prima parte del film era stato il Club del Silenzio.