Sentieri della giustizia
Treves si alza quella mattina prestissimo e incontra il lattaio, il quale gli suggerisce che se quella levataccia divenisse per il dottore un’abitudine potrebbe intraprendere invece la sua professione. Oltre a segnalare, paradigmaticamente, l’eccezionalità di quella pratica (evidentemente Treves non raggiunge solitamente l’ospedale di prima mattina), resta risonante sul piano testuale l’attualizzazione del latte portato. John Merrick è forse qualcuno che può essere riconosciuto come una persona, ma Treves è molto lontano dall’imputargli ancora una personalità. Per questo si appresta ad abbeverarlo di sapere quasi fosse un “neonato”, un bambino “selvaggio”. Senza una piena coscienzializzazione, Treves sta rendendo più vulnerabile Merrick all’incontro decisivo con Carr Gomm; ed infatti questo sarà, almeno finché “l’allievo” si atterrà alle disposizioni, un vero disastro.
L’isotopia del diritto è continuata dal testo che Treves sta facendo imparare a memoria: il passo su cui incespica la malferma articolazione fonetica di Merrick, consentendo una insistita ripetizione (e quindi “sottolineatura” dal punto di vista enunciazionale), è il seguente: “[richiamò a sé l’anima mia], mi ha condotto per i sentieri della giustizia [per amore del suo nome]”. La difficoltà di pronuncia si accentra sulla parola giustizia, ripetuta due volte, in guisa di esemplificazione, dallo stesso Treves.
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