L’irrisarcibile e l’asimmetria
“Perché non te ne sei andata?” - è questa la domanda paradossale che Pete pone ad Alice dopo il racconto del primo incontro con Mr. Eddy (seq. 41d). Alice narra di essersi trovata una pistola puntata alla tempia (seq. 41c), ma la negazione della possibilità di scelta viene contraddetta dalla domanda di Pete, il quale rincara la dose: “Ti stuzzicava?”. Da un lato, Pete tematizza la “macchia” originaria, la contaminazione di Alice per essere entrata nella casa di Dick Laurent, dall’altro viene messo in gioco il possibile capovolgimento di dominanza tra vittima e carnefice, se non persino l’inversione dei ruoli.
È evidente che questo falso raccordo non indica semplicemente un ritorno al presente della narrazione (un embrayage temporale), ma dispone anche una classe paradigmatica di attori (Pete e Mr Eddy) sotto l’incantesimo della medesima seduttrice (Alice/Renée). Inoltre, esemplifica un cambiamento di statuto del personaggio femminile, segnalato dalla cromia delle unghie: Alice (blu) non è che il simulacro sopravvissuto alla violazione della carne di Renée (rosso); una violazione avvenuta due volte, l’una per il possesso mercificato del suo corpo (sotto re-sponsabilità di Dick Laurent), l’altra per lo scempio della sua carne alla ricerca di una radice identitaria femminile da tesaurizzare in modo esclusivo, per sempre.
Il tentativo di possesso sigla esattamente la perdita dell’oggetto di valore; l’acquisto del femminile paga il prezzo, infatti, di qualcosa di irrisarcibile, ossia la deriva simulacrale della carne, del radicamento identitario della donna desiderata. L’incantesimo del possesso è un dispositivo che si rivolge contro il suo fautore: l’ossessione per la donna diviene compulsiva e iterativa quanto la necessità di redimerne l’immagine violata; allo stesso tempo, lo scavalcamento del libero volere della donna (tenuta sotto incantesimo) costa la sensazione di essere un attore dotato di un ruolo attanziale sostituibile da altri. La carezza sfiora e rapisce nel mentre si offre come calco di tutti i visi passibili di riceverla.
Il sogno o la narrazione fantasticante sperimentano in vitro la sterminazione di senso provocata dal doppio indiscernibile, così come la progressiva sostituzione o cancellazione di relazioni. Portano la struttura diagrammatica, di cui la propria stessa esistenza è suddita, verso una ten-sione limite. Elaborano, cioè, una trasposizione finzionale che anela a una asimmetria per ristabilire, miticamente, un’origine differenziale e una apertura a nuovi sensi disponibili. La finzione viva non è solo tessuta da una narratività necessariamente fondata sulla sintesi dell’eterogeneo (Ricoeur), ma si alimenta dell’equilibrio tensivo tra autoreferenza del mondo possibile ed interreferenza rispetto al mondo dell’esperienza.
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