Le tute degli avversari
Nel finale assistiamo all’ultimo duello che vede di fronte Paul Atreides e Feyd-Rautha, ultimo Harkonnen rimasto al seguito dell’imperatore. Mentre nel romanzo i due s’affrontano dopo essersi liberati dalle tute, nel film essi si fronteggiano indossandole. Per Herbert, togliere la tuta viene visto come la dismissione di ogni forma protesica; ci si confronta in un corpo a corpo, doppiato dalla lotta psicologica, ma fondamentalmente senza armi nascoste o aiuti strumentali. Resta solamente un coltello, quello imperiale, nelle mani di Feyd-Rautha. Per Lynch, invece, il confronto tra i contendenti è anche un conflitto di stili vestimentari che rende esplicita la connessione tra estetica ed etica. Se la tuta di Paul è condivisa da tutti i suoi seguaci, quella di Feyd-Rautha è piuttosto unica, esclusiva.
A ben vedere, la tuta di Feyd-Rautha è già comparsa nel film, in versione extra-large e più dimessa (è meno lucida e priva di elementi tensostrutturali sul petto); questa versione “volgarizzata” è indossata da un altro luogotenente degli Harkonneni Rabban: si tratta, guarda caso, di colui che ha lacerato all’altezza del petto la tuta dell’ecologo Kynes.
Le tute dei soldati Harkonnen sono dei veri e propri scafandri dotati di un elmo più piccolo di quello dei soldati imperiali, ma ancor più impenetrabile allo sguardo (solo il finestrino è diafano). Esso segnala l’anonimia di questo esercito del male rispetto al viso scoperto, individualizzante, dei soldati degli Atreides e del popolo guerriero Fremen.
La cosa che colpisce in queste tute nere e lucide, che caratterizzano i soldati delle forze avverse agli Atreides, è l’assenza di qualsiasi iscrizione. Sono monolitiche e suggeriscono un immaginario bellico in cui il corpo a corpo non lasci traccia; guerre chirurgiche, in cui la tuta deve continuare a specchiare i valori del potere legittimo.
Purtroppo, alla corretta e coerente rappresentazione vestimentaria delle forze imperiali, degli Harkonnen e della Gilda, il film di Lynch affianca un personaggio alquanto squilibrato e macchiettistico, quello del Barone. È vero che anche nel romanzo di Herbert il barone Harkonnen è descritto come un uomo grosso, immensamente grasso (sui duecento chili), ma mentre nel film è tratteggiato come l’essere più spregevole che si possa concepire, fastidiosamente butterato di pustole purulente in viso e incline alla sozzura, nel romanzo egli si maschera dietro una pietà di facciata, tanto che declina ai luogotenenti i compiti più truci (è attento a non sporcarsi le mani di sangue). Lynch, solitamente attento alle coerenze figurali, non comprende che la levità cercata dal Barone è un modo anche per sopperire al carico di colpe che lo affligge di cui l’eccesso alimentare non è che una metonimia. Difatti, sotto il vestito, il Barone Harkonnen ha - come troviamo scritto nel romanzo - un apparato di sospensori portatili sistemati sulla pelle che gli consentono di alleggerire il peso corporeo proprio percepito (da 200 a 50 chili). La caratterizzazione vestimentaria del barone è nel romanzo minimale, mentre nel film è presentato innanzi tutto senza vestiti, dotato solo di una tuta chiara screziata e piena di lacci a vista per tenere assieme i diversi pezzi di cui si compone. La tuta appare come una sorta di “frankenstein” vestimentario; permette al barone di svolazzare e questo librarsi in aria, malgrado il peso, è correlato allo scoppio di ilarità: il riso diviene una sorta di esalazione di sé che pervade l’ambiente e alleggerisce la materialità corporea. I piedi nudi, porcini, ne sottolineano fattezze e cromia degne di un maiale, tant’è che il barone ama insozzarsi di “liquami” prima di avventarsi su una vittima (un ragazzino portato al suo cospetto).
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