La musica e i suoni
Una torsione enunciazionale ancora più marcata è quella retta dalla musica. Mentre i primi due ritratti fotografici presentano una musica enunciazionale che riprende il tema della sequenza dei titoli di testa, alla dissolvenza incrociata tra secondo e terzo ritratto corrisponde una fade out/fade in che finisce per imporre un paesaggio sonoro caratterizzato da uno sfondo cupo e da pulsazioni ritmiche “macchiniche”. Il passaggio articola un’opposizione alquanto marcata: il tema dei titoli, riproposto con una riduzione timbrica a sole percussioni intonate (xilofoni, ecc.), tende a significare uno spazio domestico, intimo, quello in cui suonano carillon vicino alla presenza di effetti personali quali le foto dei propri cari. Il paesaggio sonoro che si sostituisce è per contro materico, solcato da un ritmo inesorabile, quasi fosse uno stantuffo, o comunque un dispositivo meccanico con un arco d’azione costantemente riproposto. Il suono-rumore di fondo sembra “colare”, diffondersi, mentre lo stantuffo demarca un intervento puntuale, ciclico; in comune i due suoni hanno un transito d’aria, da una parte un soffio, dall’altro uno sbuffo ripetuto. È su questo paesaggio sonoro “industriale” che si andranno a incastonare, nella sottosequenza successiva, i barriti degli elefanti. Da un lato, il carattere peculiare di ogni barrito contrasta con lo standard dello stantuffo che sembra memoria sonora di un dispositivo-matrice che forgia sempre la stessa forma; dall’altro lato, il lavorio elettronico sul barrito, per quanto sottile, tende a calmierare l’eterogeneità dei suoni. L’impeto di una forza incontrollabile sembra congiurare con l’organizzazione di una macchina oscura e imperturbabile. Così come appaiono ricorsivamente delle “stanze” in Lynch, si profilano degli ambienti sonori che si pongono ugualmente come luoghi di metamorfosi e di manifestazione di forze oscure.
La sovrapposizione del volto della donna, ripresa nella terza inquadratura, con gli elefanti visti di profilo, anticipa l’intersezione dei loro destini. La terza sottosequenza mostra gli elefanti avanzare frontali verso il punto di vista enunciazionale. Questo “coinvolgimento” topologico dell’istanza dell’enunciazione si traduce in una modulazione patemica del punto di vista nella quarta sottosequenza: essa è infatti caratterizzata da un ralenti che restituisce i movimenti con una scia-memoria delle posizioni precedenti ricoperte dal corpo della donna. Quest’ultima, distesa a terra, si agita, portando continuamente la testa da sinistra a destra, come a segnalare un rifiuto estremo, convulsivo quanto impotente di fronte a ciò che sta accadendo. L’urlo della donna resta impercepibile, mentre furoreggia il barrito dell’elefante. Ciò segnala in maniera an-cor più evidente una sorta di incomponibilità, di scissione interna del profilo discorsivo del film. La sintonizzazione sull’azione elefantiaca di un dispositivo animale-macchinico non è armonizzabile con la sintonizzazione del dramma della donna.
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