Questi appunti di criminologia sono una sintesi del libro 'Il problema della criminalità' di Ferrando Mantovani.
Si parte dal problema della definizione di criminalità, per indagare poi le cause della criminalità stessa. Qui vengono presentate le varie teorie scentifico-sociologiche, che fanno capo: ad un indirizzo individualistico-biologico (legato al concetto di predisposizione, ereditarietà e genetica), ad un inidrizzo individualistico-psichiatrico (legato al concetto di follia con la relativa tassonomia di anomalie psichiche e malattie mentali), ad un indirizzo individualistico-psicogenetico (legato strettamente alle teorie psicanalitiche), ad un indirizzo individualistico-psicosociale (con le varie teorie relative all'identità e alla personalità), ad un indirizzo sociologico (dove la criminalità è legata a fattori socio-politici e di genere), ad un indirizzo sociologico-causale (dove la criminalità è causata dall'ambiente e dalle relazioni sociali di scuola, famiglia, lavoro, gruppo) ed infine ad un indirizzo multifattoriale (con le varie teorie che associano elementi sociali, culturali, antropologici).
A conclusione della presentazione delle varie teorie causali, se ne mostrano i limiti e le incongruenze.
Si passa poi ad una classificazione dei delinquenti secondo le ragioni che hanno condotto a delinquere. Abbiamo così le classificazioni motivazionali e quelle socio-ambientali.
Una parte degli appunti è poi dedicata alla vittimologia, sottolineandone la rilevanza criminologica.Vengono presentate le predisposizioni vittimogene e il rapporto vittima-soggetto.
Una sezione conclusiva è dedicata al problema della difesa contro la criminalità, scandagliando in particolare il concetto di pena retributiva e le modalità di prevenzione del crimine, siano esse sociali o penali.
Si conclude con un breve accenno ai principi garantisti della libertà individuale su cui si basa il diritto penale.
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei
delinquenti, prevenzione e vittimologia
di Stefano Civitelli
Questi appunti di criminologia sono una sintesi del libro 'Il problema della
criminalità' di Ferrando Mantovani.<br />
Si parte dal problema della definizione di criminalità, per indagare poi le cause
della criminalità stessa. Qui vengono presentate le varie teorie scentifico-
sociologiche, che fanno capo: ad un indirizzo individualistico-biologico (legato
al concetto di predisposizione, ereditarietà e genetica), ad un inidrizzo
individualistico-psichiatrico (legato al concetto di follia con la relativa
tassonomia di anomalie psichiche e malattie mentali), ad un indirizzo
individualistico-psicogenetico (legato strettamente alle teorie psicanalitiche), ad
un indirizzo individualistico-psicosociale (con le varie teorie relative all'identità e
alla personalità), ad un indirizzo sociologico (dove la criminalità è legata a
fattori socio-politici e di genere), ad un indirizzo sociologico-causale (dove la
criminalità è causata dall'ambiente e dalle relazioni sociali di scuola, famiglia,
lavoro, gruppo) ed infine ad un indirizzo multifattoriale (con le varie teorie che
associano elementi sociali, culturali, antropologici).<br />
A conclusione della presentazione delle varie teorie causali, se ne mostrano i
limiti e le incongruenze.<br />
Si passa poi ad una classificazione dei delinquenti secondo le ragioni che
hanno condotto a delinquere. Abbiamo così le classificazioni motivazionali e
quelle socio-ambientali.<br />
Una parte degli appunti è poi dedicata alla vittimologia, sottolineandone la
rilevanza criminologica.Vengono presentate le predisposizioni vittimogene e il
rapporto vittima-soggetto.<br />
Una sezione conclusiva è dedicata al problema della difesa contro lacriminalità, scandagliando in particolare il concetto di pena retributiva e le
modalità di prevenzione del crimine, siano esse sociali o penali.<br />
Si conclude con un breve accenno ai principi garantisti della libertà individuale
su cui si basa il diritto penale.
Università: Università degli Studi di Firenze
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Criminologia, a.a. 2008-09
Titolo del libro: Il problema della criminalità
Autore del libro: Ferrando Mantovani1. Le teorie sulla criminalità assolutistiche e relativistiche
Il problema nasce da un quesito elementare: la criminalità è una “realtà ontologico-naturalistica” oppure una
mera “creazione politico-sociale”, un’entità giusnaturalistica un semplice dato giuspositivistico?
Con le fondamentali opposte implicazioni: che la qualità di criminale si acquisisce per la ontologica
criminosità del proprio comportamento oppure per l’esclusivo fatto dell’etichettamento operato dalla legge e
dagli organi di controllo sociale.
Non è del tutto superfluo chiarire che, quando ci si chiede se la criminalità sia o meno una mera creazione
politico-sociale, non si intende affatto contestare l’ovvia verità che senza società organizzata non si ha
criminalità, ma si intende chiedere ben altra cosa: se la criminalità sia un disvalore in sé, in quanto attentato
alle condizioni fondamentali della stessa convivenza sociale, o un disvalore relativo al tipo di sistema
politico-sociale, in quanto costruita per la difesa di esso.
Le soluzioni oscillano tra gli opposti estremismi dell’assolutismo delle teorie giusnaturalistico-
razionalistiche e del relativismo delle teorie storicistico-sociologiche e la mediazione del realismo della tesi
delle costanti delle variabili criminali.
L’idea giusnaturalistico-razionalista, in un’ottimistica visione del mondo come razionalità, concepisce il
diritto come valore assoluto e universale e l’ordine sociale come assolutamente razionale, espressione di
immutabili principi di giustizia e di un superiore ordine morale, per cui la società giuridicamente organizzata
è il bene, il delitto è per definizione il male.
Ma non meno eccessivo è l’opposto relativismo delle tesi storicistico-sociologiche, che asseriscono che il
diritto si identifica interamente con la politica e varia col fluire della storia.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 2. Le costanti e le variabili della criminalità
Da parte di una più realistica posizione intermedia, libera da apriorismi ideologici e da contingenti finalità
polemiche e che ha dalla propria parte l’esperienza storica e l’analisi comparata dei diversi paesi e regimi, si
constata che la criminalità presenta, accanto a un largo coefficiente di variabili storiche, un nucleo essenziale
di costanti, indipendenti dalle valutazioni contingenti dei singoli legislatori e dal mutare delle strutture
politico-economiche.
Criminalità e diritto penale non sono, pertanto, tutta politica, esistendo delle costanti storiche rappresentate:
1.sia da quell’insieme di delitti, a cominciare dai cosiddetti delitti naturali, che rappresentano un dato
pressoché immutabile nel tempo e nello spazio, perché ledono o mettono in pericolo beni esistenziali, senza
la tutela dei quali non vi è convivenza possibile;
2.sia dalla idea basilare che all’azione sociale segue un ampliamento e all’azione antisociale una riduzione
delle possibilità giuridiche del soggetto.
Variabili sono, in certa misura, nel tempo e nello spazio ciò che è antisociale o sociale ed i mezzi
sanzionatori, ma costante ne è il principio sanzionatorio;
3.sia anche dalle categorie razionali del pensiero umano e criminalistico (soggetto attivo, condotta, evento,
causalità, dolo, colpa, ecc…), che costituiscono l’ossatura concettuale di ogni sistema penale evoluto.
Nondimeno la criminalità è in larga misura condizionata anche dalla Politica e, quindi, dalla storia, poiché
ogni sistema presenta accanto alle costanti le variabili criminali, che sono individuabili principalmente:
a. sia nel campo delle cause scriminanti, le quali accanto ad un nucleo costante (rappresentato innanzitutto
dalla legittima difesa e dallo stato di necessità) presentano una larga zona di variabilità (fino alla
legittimazione della stessa “delinquenza di Stato” negli ordinamenti totalitari);
b. sia nel campo degli interessi tutelati, in quanto ogni sistema penale è predisposto per la tutela, oltre che
dei beni esistenziali, di interessi non esistenziali, che, da quelli più relativamente costanti (ad esempio norme
contro i delitti patrimoniali, data la lenta evoluzione storica della struttura economica della società), possono
andare a quelli del tutto contingenti, occasionali od arbitrari (ad esempio norme a tutela di una determinata
forma di governo);
c. sia per quanto attiene all’utilizzazione delle stesse categorie logiche, degli stessi “mezzi penali”, poiché
essi, per la loro polivalenza, possono assolvere a finalità politiche analoghe od opposte, a seconda del
contesto in cui vengono calati (direttrici del diritto penale dell’oppressione, del privilegio, della libertà).
Dalla realistica visione delle costanti e variabili criminali derivano fondamentali implicazioni: se le scienze
criminali, come ogni altra scienza, non sono totalmente neutrali, non sono neppure totalmente politiche; se
nella maggior parte dei casi colui che viola la norma penale presenta un grado di antisocialità, il grado di
antisocialità diminuisce man mano che si passa dalle costanti alle variabili criminali, fino ad essere in certe
ipotesi nullo, come quando è la norma giuridica ad essere antisociale ed immorale (ad esempio norme di
persecuzione politica).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 3. Criminalità: definizion e criminologica e definizione legale
La definizione criminologica e la definizione legale di criminalità sono rappresentati con le figure
geometriche dei cerchi intrinsecantisi: presentano un “nucleo” di fatti comuni ma non si identificano, in
quanto la definizione criminologica si fonda tendenzialmente sulle costanti criminali, sulla antisocialità del
fatto e, quindi, su basi naturalistico-sociologiche, onde è relativamente indipendente e non coincide
necessariamente con la definizione legale, comprendendo questa anche le varianti criminali.
In altri termini:
a.il diritto penale offre alla criminologia il nucleo fondamentale dei fatti che integrano la definizione
criminologica di criminalità;
b.non tutti i fatti che sono reato per il diritto penale positivo rientrano per ciò solo nella definizione
criminologica di criminalità, quali i reati costituenti mere variabili contingenti o arbitrarie;
c.e, viceversa, rientrano nell’interesse della criminologia quei fatti che, pur potendo non essere previsti come
reati dal diritto positivo, tuttavia costituiscono devianza: la criminologia si è sempre interessata, oltre che
della devianza criminosa, anche della devianza non criminosa (prostituzione, condotte sessuali anomale,
alcolismo, tossicomania, disadattamento minorile, ecc…), in quanto non poche condotte devianti, in sé non
criminose, possono facilitare la commissione di reati, nonché per la frequente comunanza di situazioni
psicologiche e sociali di base nella criminalità e nella devianza e per le analoghe relazioni sociali che si
instaurano nei confronti dei vari tipi di devianti, criminali o non criminali.
Così come stanno sempre più rientrando, e dovranno sempre più rientrare, nell’interesse della criminologia
le zone di immunità penale, de iure e de facto, create e mantenute per comportamenti che presentano
caratteri di antisocialità anche gravissimi:
1.per la delinquenza di Stato, conoscendo da sempre l’umanità i delitti di opposizione politica, commessi
attraverso l’esercizio del potere legislativo, esecutivo, giudiziario, cioè sotto lo scudo formale della potestà
statale; e che vanno dalla negazione delle libertà naturali dell’uomo sino ai crimini contro l’umanità, la pace,
di guerra;
2.per la criminalità delle élites, dei gruppi dominanti, come nei sistemi penali del privilegio, nell’ambito
delle quali sia venuta enucleando, nei paesi occidentali, la criminalità dei colletti bianchi, e, nei paesi
socialisti, la criminalità dei colletti rossi.
E si è cominciato a parlare pure della criminalità dei colletti blu per indicare quei comportamenti
corporativistici sentiti e censurati ormai dalla maggior parte di cittadini come antisociali e destabilizzanti,
posti in essere sotto lo scudo formale delle libertà sindacali e dei diritti del lavoratore.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 4. Rapporti tra le definizioni di criminalità e devianza
I non coincidenti oggetti della criminologia e del diritto penale emergono più chiari anche attraverso una
analisi dei rapporti tra criminalità e devianza nelle loro mutevoli definizioni.
Il concetto di devianza è venuto ad assumere significati via via diversi ed ha subito tale dilatazione da
abbracciare non solo comportamenti sempre più numerosi, ma addirittura il modo di essere e la stessa
esistenza di sempre più estesi gruppi sociali.
Originariamente, nell’ambito dell’indirizzo strutturale-funzionalistico, la devianza è intesa come un agire
antinormativo, contrario cioè alle norme sociali, codificate o meno, che regolano il comportamento dei
soggetti.
Da parte, poi, della teoria dell’etichettamento, il concetto di devianza subisce un capovolgimento, poiché
essa è piuttosto la conseguenza della stigmatizzazione operata dalla reazione sociale, onde è deviante (e
criminale) solo chi è etichettato dagli altri come tale.
Per l’orientamento sociologico radicale, la doglianza viene identificata con il dissenso, cioè con i gruppi
sociali che si oppongono al sistema neocapitalista.
Per diminuire la presente situazione di confusione, sul piano criminologico si è avviata una rimeditazione
sul concetto di devianza per recuperare la credibilità scientifica contro i dogmatismi e le forzature
dell’ideologia.
Secondo una recente ed equilibrata ridefinizione, caratteri fondamentali della devianza sono:
1.l’inosservanza di norme sociali, codificate o di costume, la quale non è però sufficiente a
contraddistinguere il comportamento deviante, poiché se tutte le devianze sono condotte antinormative, non
tutte le condotte antinormative vengono percepite come devianti;
2.la credibilità di dette norme da parte della maggioranza dei consociati, essendo necessario per aversi
devianza che la norma sia ancora “interiorizzata” nel tipo di società e non sia divenuta “indifferente”;
3.la energica disapprovazione sociale del comportamento antinormativo, essendo l’intenso grado di reazione
sociale il parametro fondamentale per attestare che le norme violate vengono socialmente ritenute più
importanti e, pertanto, per identificare, tra le varie condotte antinormative, quelle meritevoli della
qualificazione di devianza: la stessa violazione di norme penali non è sempre accompagnata da tale
qualificazione;
4.la tendenziale abitualità della condotta antinormativa, in quanto per essere qualificata deviante la condotta
deve costituire in genere l’espressione di uno stile di vita.
Poiché la devianza è un giudizio sociale e non giuridico, può esservi una non sempre piena concordanza con
la criminalità legale, in quanto condotte dalla legge penale perseguite possono non essere sentite come
devianti e viceversa.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 5. Rapporti tra diritto penale e criminologia
La rilevata divergenza tra la nozione criminologica e la nozione legale di criminalità consente di chiarire
meglio gli attuali rapporti tra diritto penale e criminologia.
Se il diritto penale costituisce un imprescindibile punto di partenza per l’indagine criminologica, la
criminologia moderna a sua volta rimedita criticamente la criminalità legale in ciò in cui essa pecca per
eccesso e per difetto rispetto alla criminalità intesa in termini etico-naturalistici.
L’autentica criminalità, individuale o organizzata, comune o politica, dell’emarginato o del potente, del
privato o di Stato, è sempre complessivamente un male.
La spirale del crimine imbarbarisce e degrada la qualità di vita individuale e collettiva, sia perché attenua la
nostra sicurezza, libertà e fiducia nelle istituzioni, accrescendo la nostra paura, aggressività ed autodifesa,
sia perché porta all’inevitabile corrosione delle garanzie del cittadino al livello della legislazione,
dell’attività di polizia, della giustizia, delle istituzioni carcerarie.
La riprova dell’esistenza delle costanti criminali e dell’esigenza sempre più sentita di un avvicinamento tra
criminalità legale e criminalità naturale, tra criminalità reale e criminalità perseguita è data dal progressivo
potenziamento della collaborazione internazionale nella lotta contro il crimine.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 6. L’indirizzo individualistico-biologico nello studio della
criminalità
Attraverso i secoli, scrittori e filosofi furono attratti dal fenomeno criminoso come entità naturale prima che
giuridica.
Nello sviluppo storico della ricerca criminologica durante gli ultimi 200 anni sono stati schematizzati tre
diversi stadi:
1.lo stadio pre-scientifico, durante il quale non viene formulata né controllata alcuna ipotesi, né viene fatto
alcun tentativo di affrontare il problema della criminalità con atteggiamenti non preconcetti;
2.lo stadio semi-scientifico, nel quale la ricerca inizia con un’ipotesi, ma troppo vasta ed ambiziosa per
essere sottoposta ad un accurato controllo, ed altresì in assenza di accertabili tecniche di sperimentazione,
con sopravvento spesso della intuizione e della immaginazione;
3.lo stadio scientifico, caratterizzato dalla formulazione di ipotesi specifiche, originate da una teoria
generale, e da valide tecniche di indagine e di controllo empirico.
Resta comunque fermo che lo studio della criminalità con metodo naturalistico-sociologico inizia soltanto
con la Criminologia, nata come scienza autonoma a metà del secolo XIX.
Essa si serve sia dei metodi delle scienze naturali, sia dei metodi delle scienze sociali.
Molto si è scritto e discusso e tuttora si scrive e discute sui fattori della criminalità.
Già dal suo sorgere si manifestarono nella Criminologia i due indirizzi unifattoriali, o prevalentemente
individualistici o prevalentemente sociologici.
Essi si differenziarono in scuole che si posero frequentemente in posizione antagonistica, prendendo come
fondamento, le une, la costituzione biopsichica dell’individuo e, le altre, la realtà socio-ambientale.
Il bisogno di una più chiara consapevolezza del relativismo criminologico, consiglia una esposizione di
insieme, pur se sommaria ed approssimativa, dei risultati raggiunti dai diversi indirizzi criminologici,
muovendo da quelli unifattoriali fino a quelli multifattoriali, che oggi possono dirsi dominanti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 7. Il concetto di predisposizione criminale
L’indirizzo individualistico, per il quale le cause primarie od esclusive della criminalità sono da ricercare in
fattori endogeni, incentra lo studio della criminalità principalmente sulle anomalie dei singoli autori di reati,
sui tratti somatici, costituzionali, neuropsicologici della “personalità” del singolo individuo delinquente.
Esso è andato sviluppandosi:
a.negli orientamenti fisico-biologici;
b.negli orientamenti psicologici.
La nota formula “delinquente si nasce, non si diventa” ne esprime le posizioni deterministiche più estreme.
Tale indirizzo sostiene la predisposizione individuale alla delinquenza, anche se non la necessità: gli
individui segnati da certe caratteristiche, pur se non pervengono necessariamente al delitto, hanno
probabilità notevolmente superiori agli altri di divenire delinquenti.
Nell’ambito dell’orientamento fisico-biologico, che incentra l’attenzione sui fattori del delitto, sono
riconducibili numerose correnti, che hanno esteso via via le ricerche ai più diversi settori.
Così sono stati studiati i rapporti tra salute o infermità fisica e criminalità: mentre le indagini statistiche non
hanno evidenziato strette correlazioni tra cattive condizioni fisiche e criminalità, studiosi, che hanno
indagato su ampi numeri di casi individuali, sono inclini a considerare tali condizioni come un non
trascurabile fattore criminogeno nella misura in cui contribuiscono ad alterare l’equilibrio psicologico del
soggetto.
Particolare attenzione meritano le correnti che hanno studiato i rapporti tra determinate tipologie fisiche e
criminalità e per le quali i delinquenti presentano caratteristiche fisiche particolari.
Precursori furono i frenologi, per i quali esisterebbe una stretta correlazione tra la forma anomala del cranio,
la struttura del cervello ed il comportamento antisociale; essi ebbero il merito di attirare l’attenzione sulla
necessità di un’osservazione diretta dei singoli delinquenti, invece di limitarsi a formulare vaghe ed astratte
teorie generali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 8. L’orientamento antropometrico di Lombroso
Le teorie, che più di tutte influenzarono il pensiero criminologico nel campo individualistico-antropologico,
furono quelle lombrosiane.
Il Lombroso (1835-1909) attraverso lo studio “antropometrico” di molti delinquenti sostenne la nota teoria
del c.d. delinquente nato ed incorreggibile.
Trattasi di un tipo antropologico di individuo che, per le sue anomalie congenite, sarebbe fatalmente portato
al delitto, indipendentemente dalle condizioni ambientali, ed esteriormente riconoscibile per particolari
stimmate degenerative anatomiche e particolari caratteristiche psicologiche.
Merito di Lombroso è di aver esteso i metodi della ricerca scientifica allo studio dell’uomo autore del reato e
di avere stimolato le indagini sui problemi della criminalità.
Egli è considerato il fondatore dell’Antropologia criminale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 9. L’orientamento ereditaristico ed endocrinologico
Tra gli sviluppi post-lombrosiani vanno ricordati gli studi sui rapporti tra eredità e delitto, ravvisandosi nei
fattori genetici le principali componenti della predisposizione criminale e delle tendenze devianti.
Tali rapporti furono studiati su famiglie criminali (cioè caratterizzate da una accentuata criminalità),
rilevandosi l’alta presenza di autori di delitti tra gli ascendenti dei delinquenti, specie se abituali; nonché sui
gemelli specie monozigoti (derivati cioè da una sola cellula e dotati perciò di identico patrimonio genetico),
constatandosi comportamenti concordanti.
Le carenze nella metodologia hanno posto in dubbio l’attendibilità dei risultati: è stata rilevata la difficoltà,
se non l’impossibilità, di discriminare i fattori puramente biologici da quelli ambientali; è stato obiettato che
non può essere provato che l’esistenza di famiglie criminali sia dovuta ad ereditarietà e non al fatto che gli
appartenenti a tali famiglie sono stati esposti a comuni fattori familiari-ambientali sfavorevoli.
Sicché resta aperto il problema di ciò che viene ereditato: il delitto stesso o il carattere soltanto, cioè una
semplice tendenza naturale, una predisposizione verso di esso?
Mentre si disconosce una diretta trasmissibilità di disposizioni alla criminalità per vie ereditarie, si ammette
che certi caratteri psichici, normali o anormali, sono dovuti a componenti genetiche e che alcuni di questi
caratteri psichici sono dotati di capacità di influire sulla condotta criminosa.
Sicché si parla soltanto di rapporti fra ereditarietà e “predisposizioni”, biologicamente determinate in senso
genetico, verso particolari caratteristiche somatiche e psichiche, che possono favorire la condotta criminale.
Pertanto, la predisposizione è un fatto legato a condizioni biologiche ereditarie e consiste nella propensione
del soggetto a rispondere a determinati stimoli con definite reazioni.
Essendo poi la predisposizione non una qualità attuale ma una potenzialità, non tutte le potenzialità
ereditarie, non tutto ciò che costituisce il sostrato genetico dell’individuo, si realizzano in concreto come
“personalità”.
La personalità sta ad indicare le propensioni sviluppate ed è non un fenomeno puramente ereditario, ma il
risultato delle disposizioni e dei fattori ambientali.
Altri studi sono stati rivolti alle possibili relazioni tra fattori endocrini e criminalità.
Gli endocrinologi, riprendendo ma ad un tempo contestando le teorie lombrosiane, affermarono che i tipici
delinquenti nati sono gli individui che soffrono di disturbi endocrini.
A differenza delle teorie lombrosiane, la presente teoria non considerava la dotazione ereditaria come
immutabile; come pure riteneva possibile una terapia per tali fattori ereditari sfavorevoli.
Secondo, però, l’opinione prevalente la possibile relazione tra squilibrio di ghiandolare e comportamento
criminale è, al più, indiretta e psicologica, nel senso che disordini dell’ipofisi e di altre ghiandole provocano
un senso di anormalità e di inadeguatezza, che possono scatenare l’aggressività o altre reazioni.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 10. L'orientamento costituzionalistico-biologico nello studio della
criminalità
Per i costituzionalisti le variabili individuali della costituzione fisica, determinate su basi essenzialmente
ereditarie, sono riunibili in pochi tipi costituzionali, cui corrispondono tipiche caratteristiche psichiche e da
cui è, pertanto, possibile enucleare differenti disposizioni comportamentali.
La validità di tali correlazioni fisico-temperamentali è limitata, però, al solo livello statistico, con possibilità
di molte eccezioni individuali.
Fra le molte tipologie costituzionalistiche va ricordata quella volta ad evidenziare correlazioni tra
costituzione e malattia mentale.
Essa distingue tra:
a.tipi picnici (piccoli e robusti, distribuzione del grasso attorno al tronco, largo torace, cavità viscerali
voluminose, viso arrotondato, calvizie, estremità piccole e grassoccie), che dal punto di vista caratteriale
sono ciclotimici (affabili e socievoli, oscillanti leggermente dalla euforia alla melanconia);
b.tipi leptosomi (forme magre e angolose, viso allungato, naso sottile) che sono schizotimici (introversi,
freddi, rigidi);
c.tipi atletici (scheletro e muscoli potenti, pelosità abbondante, testa rotonda) che sono a tendenza epilettoide
e “vischiosi” (stabili, pesanti, non nervosi, ma talora esplosivi);
d.tipi displasici (crescita ritardata, deficienza di caratteri sessuali) che sono deboli mentali a tendenza
schizofrenica.
Mentre i delinquenti sarebbero assai rari nei picnici, tra i leptosomi si riscontrerebbe una rilevante
percentuale di ladri, truffatori e vagabondi.
Gli atletici commetterebbero atti di violenza e i displasici sarebbero spesso delinquenti sessuali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 11. L’orientamento costituzionalistico bio-psicologico negli studi
della criminalità
L’orientamento costituzionalistico bio-psicologico cerca di porre in evidenza che la predisposizione al
crimine ha le sue radici nel “profondo dell’essere biologico” totale.
Tre teorie sono state enunciate:
1.la teoria del perverso costituzionale, per cui esisterebbe in numerosi delinquenti una perversione
costituzionale degli istinti di conservazione (istinto di nutrizione, di appropriazione), di riproduzione, di
associazione (istinto di simpatia o di imitazione), che compongono gli elementi costitutivi fondamentali
della personalità;
2.la teoria della costituzione delinquenziale, di particolare valore pratico, che nuove dalla distinzione tra
individui neutri (che non si differenziano dagli altri per il loro comportamento sociale e sono conformisti) e
individui originali (che si differenziano dalla maggioranza per il loro temperamento e carattere, sono non
conformisti; tra di essi si trovano i delinquenti costituzionali).
Accanto al delinquente occasionale e a quello psicotico, viene indicato il delinquente costituzionale, in cui
sono prevalenti i fattori ereditari o al più acquistati dalla primissima infanzia e che va distinto in tre tipi:
a.l’ipoevoluto, che presenta anomalie morfologiche, funzionali e psichiche;
b.lo psico-nevrotico, in cui prevalgono dinamismi psichici di natura nevrotica;
c.lo psicopatico, il cui tratto caratteristico sono le anomalie del carattere instabile e disturbante;
3.la teoria costituzionalistica di Eysenck, tale autore ha identificato due fattori bipolari di personalità,
attraverso i quali ogni individuo può essere classificato: introversione/estroversione e
normalità/neuroticismo.
E in seguito a numerose ricerche ha identificato dei tratti che, se associati, possono considerarsi
criminogenetici e che consistono in fisico mesomorfo, scarsa condizionabilità, instabilità emotiva
(nevrotismo) ed estroversione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 12. L’orientamento delle anomalie cromosomiche
Nell’ambito dell’indirizzo individualistico biologico va, altresì, ricordata la teoria cromosomica.
Alcuni autori hanno riscontrato, in un numero limitato di casi, la presenza in soggetti criminali di un
cromosoma Y soprannumerario, di modo che in questi soggetti, di sesso maschile, è presente anziché la
normale coppia di cromosomi sessuali XY, un corredo cromosomico XYY.
Ed è stato altresì osservato che i soggetti dotati del cromosoma in più erano dotati di statura superiore al
normale, di intelligenza inferiore alla media ed anche di comportamento frequentemente violento; traendosi
anche conclusioni sulla non imputabilità dei portatori, come predeterminati alla violenza.
In verità, le circoscritte ricerche finora effettuate hanno fornito scarse prove sull’esistenza di un nesso
causale indiscutibile tra tali anomalie e le tendenze criminose, dovendosi parlare piuttosto di una
predisposizione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 13. L'orientamento istintivo-etologico negli studi di criminologia
Nell’ambito della biologia, il tormentoso problema delle determinanti del comportamento degli esseri
viventi (se questo debba considerarsi tutto “istintivo” e perciò innato ed immodificabile, oppure tutto
“appreso” e perciò modificabile) ha approvato le opposte soluzioni dell’orientamento istintivistico e
dell’orientamento ambientalistico.
Secondo il vecchio orientamento istintivistico il comportamento animale è determinato dagli istinti, cioè da
una serie di spinte ad agire in modo sempre eguale per conseguire fini inconsapevoli, concepite come innate
ed in numero relativamente circoscritto (istinto di conservazione, di difesa della prole, della sessualità, della
tutela del territorio).
L’ambiente fornirebbe soltanto lo stimolo idoneo ad attivare un tipo di comportamento, che sarebbe però
prefissato ed immutabile secondo le informazioni genetiche originariamente acquisite.
Per l’opposto orientamento ambientalistico il comportamento è determinato soprattutto dall’ambiente,
mentre le diverse disposizioni genetiche inciderebbero unicamente sulla diversa capacità dell’animale di
recepire, cioè di apprendere, i messaggi e le stimolazioni provenienti dall’ambiente.
Secondo il più recente orientamento correlazionistico, che cerca di superare la antinomia tra istinto e
ambiente, tra eredità e apprendimento, il comportamento è la risultante della reciproca integrazione dei
fattori ereditari e ambientali.
E in questo sforzo sono stati individuati due distinti tipi fondamentali di comportamenti:
a.il comportamento innato, cioè condizionato solo geneticamente in quanto il gene si riflette sulla struttura
biologica individuale, la quale, giunta a maturazione, dà luogo a comportamenti senza necessità di interventi
dell’ambiente;
b.il comportamento acquisito, cioè condizionato dall’ambiente, pur nell’ambito degli schemi generali
genetici.
La maggior parte dei comportamenti degli animali superiori e dell’uomo sono acquisiti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 14. Predisposizione biologica all'aggressività e alla violenza
Particolare importanza criminologica acquista il problema della aggressività, cioè della disposizione
prevalentemente istintuale alla violenza, alla quale si fa spesso riferimento per dare conto della condotta
criminosa.
Circa la causa della violenza umana si riscontra la contrapposizione tra la concezione, fondamentalmente
pessimistica, che richiede che essa sia una caratteristica innata dell’animale uomo e come tale inestirpabile
anche se è possibile imbrigliarla in modo che la sua distruttività sia contenuta entro limiti accettabili, e la
concezione, più ottimistica, secondo la quale la violenza non sarebbe un male inevitabile poiché non è nata
con l’uomo ma si è venuta manifestando in un dato momento della storia, col passaggio dalla vita nomade
dell’uomo “raccoglitore e cacciatore” alla vita sedentaria contadina dell’“agricoltore”, che comportò
l’instaurarsi di rapporti gerarchici.
Sicché, con qualche maggior speranza per il nostro futuro, la violenza, la tremenda piaga da cui è affetta
l’umanità, è estirpabile dalla nostra psiche, riportando i rapporti tra gli uomini a quella “tolleranza”, che
caratterizzava le società “primitive”.
Circa la criminalità, essa non può essere intesa come mero equivalente dell’aggressività; ciò sia perché
l’aggressività non esaurirebbe l’intera sfera della criminalità, comprendendo questa sia la criminalità
violenta sia la criminalità fraudolenta, sia perché l’aggressività, in quanto mera disposizione all’aggressione,
non costituisce un’ineluttabile spinta alla violenza e all’attacco.
L’aggressività può, certo, generale condotte violente: sulle cose, sulle persone oppure su se stessi, ma può
essere altresì alla base di molte condotte socialmente qualificanti, accettate o tollerate (audacia, eroismo,
spirito di iniziativa, ecc…).
L’aggressività negli animali e l’aggressività negli uomini vanno tenute distinte.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 15. Differenze culturali tra aggressività umana ed animale
Rispetto agli animali, mentre è pressoché inesistente l’aggressività extraspecifica, cioè tra animali di specie
diversa (esclusi i rapporti tra predatore e preda, che non pongono però alcun problema, perché riguardanti
semplicemente il procacciamento del cibo), l’aggressività intraspecifica è biologicamente funzionale ed
utile, perché regola gli schemi elementari di condotta e i rapporti sociali tra gli individui.
E non costituisce un pericolo per la specie, perché frenata da un rigido codice di comportamento, da
spontanei meccanismi di autocontenimento.
Negli uomini, viceversa, l’aggressività ha assunto dimensioni del tutto eccezionali, per quantità e qualità,
tali da caratterizzare tutta l’evoluzione storica dell’umanità: una deformazione patologica dell’istinto
aggressivo che porta l’uomo ad uccidere gli esseri della sua stessa specie, oltre che gli esseri di specie
diversa; è onnicida.
Ciò sarebbe dovuto in parte alla repressione dell’aggressività innata, imposta dalla vita sociale e causa di
nevrosi scatenantisi in improvvisa violenza, e in parte è alimentata dalla cultura, la quale ha assunto come
proprio valore l’aggressività: dal mito e culto dell’eroe, del guerriero, della casta militare, della forza, della
vittoria sul nemico, all’organizzazione sociale che da sempre fonda sui rapporti di forza le relazioni tra
razze, nazioni, classi, gruppi sociali, fino alla quotidiana esaltazione della violenza da parte dei mass media.
Sicché nell’uomo sono stati distinti due tipi di aggressività:
a.la benigna-difensiva, che è quella comune a tutti gli animali ed innata, quale impulso verso l’attacco o la
fuga quando sono in gioco interessi biologici vitali;
b.la maligna-distruttiva, che è invece legata alla struttura sociale, appresa e trasmessa dalla cultura,
potenziabile dall’intelligenza umana con l’invenzione di strumenti sempre più distruttivi, pericolosa per la
stessa sopravvivenza della specie.
E poiché la “distruttività umana” non conosce meccanismi naturali ed automatici di autocontenimento, si
rileva che essa, come può essere alimentata da una cultura che privilegi i valori dell’aggressività, così può
essere contenuta in limiti di sufficiente tollerabilità da una cultura che privilegi i valori della non violenza.
Sicché i meccanismi culturali, con cui si è sempre tentato di contenere la violenza (religione, morale,
costume, leggi, ideali dell’amore, della solidarietà, della tolleranza, della socialità), costituiscono
l’equivalente dei meccanismi naturali di autocontenimento dell’aggressività, presentando però una assai
minore efficacia normativa rispetto questi ultimi.
Se è illusorio pensare che l’aggressività cessi di essere la regolatrice fondamentale dei rapporti sociali,
trovando il supporto nell’organizzazione sociale legata alla civilizzazione dell’uomo e costituendo un
contenuto fondamentale della cultura, la distruttività umana può, d’altro canto, essere contenuta mediante
una maggiore efficacia degli unici strumenti disponibili, cioè mediante i valori culturali, le norme, i sistemi
di controllo.
Strumenti che, nella millenaria lotta contro l’aggressività, hanno finora rilevato una troppo scarsa incidenza
sul comportamento umano, bastando situazioni particolari di destabilizzazione sociale per vedere riaffiorare,
negli individui e nei popoli, tutta la distruttività e la crudeltà insita nella cultura umana.
Ed fine viene rilevato che, benché la cultura della violenza sia comune, diversa è la carica di aggressività dei
singoli individui, pur in condizioni ambientali analoghe, esistendo uomini violenti ed uomini miti.
Anche nel campo dell’aggressività vale quella variabilità individuale, che più in generale rende ciascun
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei individuo diverso da ogni altro per moltissimi caratteri.
Tale variabilità individuale è la risultante, secondo l’orientamento correlazionistico, non solo del patrimonio
genetico ma anche delle influenze che le situazioni ambientali vengono ad esercitare sulla struttura
biologica.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 16. La natura e la classificazione dei disturbi psichici
Nell’ambito dell’orientamento individualistico che accentua l’attenzione sui fattori psichici della criminalità,
si sono sviluppati:
a.gli indirizzi psichiatrici;
b.gli indirizzi psicogenetici.
Gli indirizzi criminologici psichiatrici raggruppano quelle teorie che videro nei disturbi mentali il fattore di
maggiore significato rispetto alle condotte criminali.
È oggi, però, verità pressoché acquisita che considerare l’intera criminalità come espressione di una
anomalia psichica è da ritenersi un suggestivo ma grossolano equivoco: tra i malati di mente il
comportamento criminale non è più frequente che nella comune popolazione; la percentuale di malati
mentali fra i delinquenti e i non delinquenti non differirebbe in modo significativo.
Lo studio dei vari tipi di disturbi delle attività mentali viene considerato, comunque, indispensabile per
comprendere le “risposte differenziali” dei singoli, i diversi fattori di vulnerabilità individuale agli stimoli
ambientali criminogeni e disturbanti; anche se contemporaneamente viene avvertito che non vi è nessuna
connessione necessaria, deterministica, tra disturbo psichico e condotta criminosa.
L’individuazione della natura e la classificazione dei disturbi psichici è quanto mai ardua e relativa per i
profondi contrasti esistenti in letteratura; a cominciare dalla loro stessa etiologia: se siano gli origine
organica (indirizzo organicistico) o di origine psichica (indirizzo psicogenetico) o di origine psico-sociale
(indirizzo psico-sociologico).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 17. Evoluzione storica dei concetti di malattia mentale
Per meglio comprendere le varie condizioni psicopatologiche di cui parleremo non è certo inopportuno
qualche cenno sull’evoluzione storica dei concetti di malattia mentale che è stata schematizzata nelle
seguenti fasi:
1.la concezione colpevolistica della cosiddetta follia, che è propria delle epoche antecedenti all’Illuminismo
e per la quale la follia veniva intesa, anziché come una malattia, più spesso come un fatto di natura magica o
come effetto di una possessione demoniaca o di una condotta profondamente peccaminosa.
Sicché il folle, in assenza di una precisa distinzione tra colpa e malattia, veniva sovente ritenuto colpevole e,
perciò, meritevole di punizione;
2.la concezione della follia come semplice alterazione della mente, che è propria dell’epoca razionalistico-
illuministica e per la quale la malattia mentale era intesa essenzialmente come stravaganza o difetto di
volontà o di autocontrollo, da affrontare in termini pedagogico-educativi.
Sicché il folle veniva percepito non tanto come malato, quanto come un soggetto da rieducare;
3.la concezione organico-patologica della pazzia, che è propria del positivismo scientifico della seconda
metà dell’800 e per la quale la pazzia viene intesa come una malattia simile alle altre malattie nel corpo, da
affrontarsi in termini medici e naturalistici.
Sicché il pazzo viene percepito come un malato nel corpo da curare, restando estranea alla terapia ogni
considerazione della storia del soggetto, di problemi psicologici e di vita, delle difficoltà esistenziali, dei
rapporti interpersonali e dell’ambiente sociale.
Si sviluppa il sistema manicomiale che assolve la duplice funzione di luogo di cura e di luogo di custodia dei
malati di mente, di cui viene esasperata la pericolosità sociale;
4.la concezione psicoanalitica dei disturbi mentali, che si sviluppo all’inizio del secolo con Freud e per la
quale il disturbo psichico viene inteso come l’effetto di un “disagio psicologico”, di un “conflitto
intrapsichico”.
Sicché il pazzo è considerato non più come un individuo radicalmente diverso dai soggetti normali, ma
come un soggetto che soffre e che non ha retto ai conflitti della vita, non esistendo differenze sostanziali tra i
dinamismi psicologici dell’individuo malato di mente da quelli dell’individuo normale.
Il malato di mente, riacquistando una propria dimensione umana, perde quel carattere minaccioso ed
incomprensibile di un tempo;
5.la concezione psico-sociologica della malattia mentale, che si sviluppò a partire dagli anni ’30 e per la
quale le malattie mentali vengono intese come il frutto non tanto di una conflittualità psicologica
individuale, bensì di un “conflitto interelazionale” tra individuo e individuo e tra individuo e società.
E in questa prospettiva si è andato sottolineando il valore che, nella genesi dei disturbi psichici, hanno le
difficoltà di comunicazione interpersonale nell’ambito familiare;
6.la concezione della malattia mentale come devianza, che costituisce la punta più radicale del pensiero
psicologico in materia di malattie mentali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei Si nega la stessa esistenza della malattia mentale come tale, la quale non sarebbe più l’effetto di problemi
individuali, ma semplicemente l’espressione e la conseguenza di un conflitto sociale: della lotta di classe.
Sicché il malato di mente, non esistendo più come tale, sarebbe un semplice deviante, che come gli altri
devianti viene emarginato dal potere.
E su queste premesse la corrente della “anti-psichiatria”, ravvisando nel folle semplicemente un escluso, un
emarginato, ha posto in discussione l’esistenza stessa della psichiatria.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 18. La follia come costate storica: l’approccio della scienza
Mentre da un lato si assiste ad un diffuso ridimensionamento degli indirizzi più radicali massimalisti, dato il
loro carattere scopertamente ideologico, polemico e provocatorio, dall’altro i movimenti suddetti hanno
favorito quel processo di revisione della scienza e della cultura nei confronti della malattia mentale: si
considera il malato di mente non più un essere disumanizzato, “diverso”, da isolare, ma piuttosto una
persona possibilmente da recuperare, ritrovandosi in lui, pur se amplificati e distorti, i problemi, le difficoltà
e le reazioni psicologiche comuni ad ogni individuo.
E si è riconosciuta l’esigenza, ancor prima del necessario momento terapeutico ed anche custodialistico,
della prevenzione, cioè della lotta a certi fattori della devianza mentale.
La verità è che anche la follia è una costante storica, quali siano le cause: tutte le civiltà, in tutti i tempi, si
sono trovate ad affrontare il problema della “follia”, le risposte date sono state diverse nel tempo e nello
spazio, ma nessuna soluzione ha portato ad annullare il fenomeno.
Iniziando l’analisi dalla prospettiva medica, secondo un criterio psichiatrico classico i disturbi psichici sono
stati distinti in:
a.anomalie psichiche, consistenti in “variabili individuali” di taluni aspetti della personalità (carattere,
sentimenti, intelletto, volontà, umore, modo di reagire, ecc…), che si discostano notevolmente per eccesso o
difetto da ciò che viene ritenuto normale e che hanno carattere più o meno costante;
b.malattie psichiche o psicosi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 19. Caratteristiche delle deficienze intellettive
Le deficienze mentali sono caratterizzate da uno sviluppo dell’intelligenza inferiore alla media, attribuibile a
carenze congenite o ambientali-culturali o anche, specie nelle forme più gravi, a un processo morboso
organico anteriore all’età della maturità intellettiva, che non viene mai raggiunta.
L’intelligenza è intesa come la generale capacità di risolvere i nuovi problemi chi la vita pone, di adattarsi
alle nuove condizioni di vita.
Attiene all’intelligenza sia la cosiddetta intelligenza pratica, cioè l’attitudine a risolvere i problemi attinenti a
concreti interessi della vita pratica, sia la cosiddetta intelligenza teorica, cioè l’attitudine a risolvere i
problemi generali ed astratti.
A base dell’intelligenza reale, che ciascun individuo presenta, stanno in stretta correlazione tra loro:
a.componenti di natura biologica, costituiti da una disposizione congenita (presente fin dalla nascita) e talora
ereditaria ad una maggiore o minore intelligenza;
b.componenti di natura ambientale, favorevoli o sfavorevoli allo sviluppo dell’intelligenza.
Al fine di identificare il grado di intelligenza e classificare le deficienze intellettive trovano largo impiego i
reattivi mentali (tests) di intelligenza.
Mentre i tests di personalità forniscono indicazioni sulla qualità delle persone, i tests di intelligenza mirano
più specificamente a stabilire il grado di efficienza intellettiva, l’attitudine cioè a utilizzare concretamente le
dotazioni intellettive.
Tale grado viene espresso, come criterio di misura, dal quoziente intellettivo (Q.I.), che consiste in un
numero, dato dal rapporto tra età mentale (il grado medio di sviluppo dell’intelligenza nei vari gruppi di età)
ed età reale.
L’efficienza intellettiva, che aumenta dall’infanzia raggiungendo il massimo tra i 20 e i 24 anni, inizia a
diminuire in modo prima lento e poi più rapido con l’età senile.
La minor efficienza intellettiva, dovuta alla diminuzione delle cellule cerebrali per morte da invecchiamento,
è però compensata dalla maggiore esperienza, conoscenza, capacità critica e di utilizzazione delle
conoscenze acquisite.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 20. Tipi di deficienze intellettive
Tradizionalmente, fra le deficienze intellettive, si distingue tra:
1.l’idiozia, che è la forma di deficienza più grave in quanto abolisce pressoché totalmente le funzioni
intellettive, impedendo qualsiasi integrazione sociale.
Gli “idioti” sono incapaci di parlare, di apprendere e la loro deficienza mentale è dovuta a cause organiche
cerebropatiche (meningiti, encefaliti, malattie infettive, endocrine, traumi, ecc…);
2.l’imbecillità, che abbraccia deficienze meno gravi (spesso dovute a cause morbose infantili) e pertanto
consente certe limitate possibilità di vita sociale.
Opportunamente istruiti, gli “imbecilli” possono esprimersi in modo elementare, imparare gli elementi
scolastici ed i mestieri semplici e godere di una certa autonomia nella vita sociale.
Si caratterizzano per labilità dell’attenzione, scarsezza di memoria e di comprensione, difficoltà di
associazione logica, scarsissima capacità di astrazione e di concettualizzazione;
3.la debilità o pseudo-insufficienza mentale, che abbraccia i soggetti che per lieve grado di inferiorità
intellettiva, dovuta per lo più a cause non morbose ma naturali o ambientali, sono vicini ai gradi più bassi
della normalità.
I “deboli di mente” permangono in un immaturità mentale, con deficienza critica e di giudizio autonomo,
predominanza del pensiero concreto su quello speculativo, credulità, suggestibilità, scarsa indipendenza,
scarsa capacità di previsione.
Data la correlazione tra intelligenza e condotta, le carenze intellettive acquistano importanza dal punto di
vista criminologico.
Gli idioti difficilmente pervengono al delitto, non partecipando alla vita di relazione; gli imbecilli possono
commettere con più frequenza, e maldestramente, reati, specie se al difetto intellettivo si associano disturbi
di carattere; frequenti sono nella popolazione criminale i deboli di mente, sia perché la loro immaturità le
rende facilmente vittime delle suggestioni, sollecitazioni, tentazioni, sia perché la loro debolezza intellettiva
è fattore di sfavore, che rende più difficile la promozione e il successo sociali e favorisce lo sfruttamento,
l’emarginazione e la devianza.
Quanto agli abnormi psichici per eccesso, a lungo ha attratto l’attenzione dei criminologi il rapporto tra
“genio” e “delitto”, per la convinzione della difficoltà di sottomissione alle regole sociali degli uomini
geniali.
Circa i minori superdotati, la loro scarsa frequenza tra i delinquenti sembra dovuta dall’essere emotivamente
più stabili, più adattabili e più resistenti alle tentazioni dei normali e subnormali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 21. Le reazioni psicogene abnormi
Per semplici reazioni psicogene abnormi vengono intese le anomalie inabituali ed episodiche, poiché
consistenti in una risposta psichica inadeguata, per quantità, qualità o durata, ad eventi esterni emotigeni o
psicotraumatizzanti.
Esse cessano col cessare della causa e possono manifestarsi anche in personalità a struttura armonica, in cui
la condotta è costantemente adeguata, tranne che in un’occasione del singolo episodio reattivo abnorme.
Si tratta, invece, di personalità abnormi allorché l’anomalia è praticamente costante nel soggetto, sì da
potersi considerare un attributo stabile della personalità.
Sotto il profilo criminologico si ritiene fondamentale distinguere a seconda che le reazioni psicogene e la
personalità abnormi presentino tendenze neurotiche o psicopatiche, anche se la distinzione va intesa non
come assoluta, ma come schema di riferimento, in quanto in concreto possono aversi “combinazioni” di
tratti neurotici e psicopatici.
Infatti, le risposte a certi stimoli si traducono, nel primo caso, essenzialmente in sofferenza personale del
soggetto (auto-aggressività) e, nel secondo caso, in sofferenza per gli altri (etero-aggressività verbale o
fisica).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 22. La nozione di nevrosi
La nevrosi è una condizione di sofferenza psichica, caratterizzata dall’ansia, ed è espressione di una
condizione di conflittualità non risolta.
La differenza tra nevrosi e psicosi è controversa, essendo per taluni autori solo quantitativa e per altri anche
qualitativa.
Da quest’ultimo punto di vista, le nevrosi sono considerati stati abnormi caratterizzati da una alterazione
quantitativa della normalità psichica, per cui il neurotico vive ancora nel mondo reale, mentre le psicosi
implicano un’alterazione qualitativa delle funzioni psichiche normali, per cui lo psicopatico vive in un
mondo irreale.
Particolarmente diffusa, la nevrosi si manifesta nelle seguenti forme principali:
a.nevrosi d’ansia, caratterizzate da una tensione angosciosa per ogni attività da affrontare, da paura morbosa
ed eccessiva di pericoli esterni o interni al soggetto, che diventa fobia;
b.nevrosi isteriche, più frequenti nelle donne e consistenti nell’esagerazione dell’emozionabilità, della
suggestionabilità, dell’insofferenza per le situazioni disturbanti;
c.nevrosi depressive, che sorgono abitualmente in concomitanza di un improvviso avvenimento doloroso e
che tendono a stabilizzarsi o a peggiorare nel tempo, per cui il depresso continua a vivere tale avvenimento
con la stessa intensità emotiva e non riprende le normali attività;
d.nevrosi ossessive o compulsive (psicastenie), caratterizzate dalla presenza di idee fisse che non possono
essere allontanate dal soggetto e che possono costringerlo a tenere certe azioni per cui egli cerca di placare
tale ansia attraverso i “cerimoniali ossessivi” (fare e rifare certe cose);
e.neurastenie, caratterizzate da uno stato di stanchezza fisica e cerebrale, da incapacità di condurre a termine
i propri impegni per facile esauribilità dell’azione volitiva, con presenza di disturbi fisici (cefalee, disturbi
funzionali di organi, episodi di esaurimento) e tendenza a ripiegare nella posizione deresponsabilizzante del
malato, vivendo sempre nella paura di nuove malattie (ipocondria) e sotto il controllo medico;
f.nevrosi post-traumatiche o da indennizzo, sviluppantisi in vittime di trauma fisico, nelle quali l’idea di aver
riportato un danno genera, per autosuggestione, quelle sofferenze fisiche, quei sintomi che,
nell’immaginazione dell’infortunato, dovrebbero necessariamente seguire all’infortunio.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 23. Tipologie di reazioni psicogene ad impronta neurotica
Le reazioni psicogene ad impronta neurotica più significative sono:
i.le reazioni ansiose, che, pur se frequenti, hanno scarso valore criminogeno;
ii.le reazioni depressive, cui possono riferirsi certe condotte devianti (fughe, suicidi a due);
iii.le reazioni isteriche, assai frequenti nel campo criminologico (per il bisogno di essere al centro di ogni
interesse e per la tendenza a simulare e mentire pur di raggiungere i suoi scopi, l’isterico può compiere
diffamazione, calunnie, falsi, talvolta furti, ma raramente reati più gravi);
iv.le reazioni a situazioni conflittuali psichiche, tipiche di certi soggetti con bassa tollerabilità alla tensione
interiore; essi tendono a “scaricare” la propria ansietà con un tipo di azioni reattive disturbanti o antisociali,
le quali non presentano pertanto le motivazioni abituali (lucro, vendetta, ecc…), ma presentano piuttosto una
scarica, un sollievo da una tensione emotiva.
Proprio per che il nevrotico introietta gli effetti dei propri conflitti, la nevrosi non pone in genere problemi di
grave disadattamento sociale e, statisticamente, è di scarso significato criminologico.
Pur comportando sofferenze personali ed anche familiari, essa comunemente non genera criminalità.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei 24. La nozione di psicopatie
Di non facile e controversa definizione sono pure le psicopatie, cui si tende ad attribuire il significato di
grave e permanente anomalia del carattere, che favorisce comportamenti di disturbo e di sofferenza per gli
altri.
Senza sensi di colpa, ansie e conflitti interiori, ma in piena armonia con se stesso, lo psicopatico riflette le
proprie dinamiche psichiche sull’ambiente attraverso condotte disturbanti.
Convinto di “avere sempre ragione”, lo psicopatico si sente intimamente giustificato, attribuendo
all’ambiente, agli altri, la colpa della sua condotta abnorme.
Lo psicopatico è, di regola, un soggetto imputabile, eccetto gli eventuali casi in cui la psicopatia presenti una
base morbosa organica.
Compito dello psichiatra è di stabilire se la condotta abnorme sia da ricollegarsi a una infermità psichica (ad
esempio psicosi od oligofrenia) ovvero ad una malattia del carattere (psicopatia) o ad un soggetto
psichicamente normale.
Poiché lo psicotico, a differenza del nevrotico, traduce la propria anomalia in sofferenza per gli altri, le
psicopatie pongono gravi problemi di disadattamento sociale.
E tra le situazioni di interesse psichiatrico sono quelle che maggiormente interessano la criminologia e che
sono più frequentemente riscontrabili nell’ambito quantomeno della delinquenza abituale e professionale,
violenta ed aggressiva.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Il problema della criminalità: causa dei crimini, classificazioni dei