Ideologie e atteggiamenti socio-culturali favorenti la criminalità
Oltre ai mali del mondo, il nostro paese presenta anche mali più strettamente propri, costituiti:
i.dall’ideale palingenetico-rivoluzionario dei mutamenti “radicali”, “globali”, che porta alla fuga dal presente, sempre negativo e deludente, e alla deificazione del futuro, nell’utopistico inseguimento di un miraggio di perfezione.
Con un ipercriticismo paralizzante, uno di novitismo maniacale di cambiare tutto e “globalmente”, idoleggiando il nuovo, con la perdita di quel tanto di necessario senso di rassegnazione alla realtà naturale e umana, senza il quale la vita diventa una costante, insopportabile frustrazione;
ii.dall’ossessiva ideologizzazione, per cui l’ideologia, nuova mitologia dell’uomo moderno, assume il primato su tutte le altre scienze ed esperienze umane con perdita del senso del reale e di pragmatismo e profonda fratture tra cultura corrente e realtà fino ad autentici deliri da intossicazione ideologica con vere e proprie forme di follia morale e intellettuale.
Se la nascita del terrorismo ideologico affonda le proprie radici ultime nell’ossessiva ideologizzazione del nostro paese, la sua fine è legata anche al lungo e faticoso processo di disintossicazione ideologica in atto, al quale sono connessi non pochi dolori del nostro presente;
iii.dalla appropriazione corporativistica della società civile, in quanto i partiti politici, che in nessuna società democratica occidentale hanno un peso pari a quello raggiunto in Italia, al fine di accrescere smisuratamente il loro potere hanno proceduto all’appropriazione e alla lottizzazione di pressoché tutti i settori della società, sostituendo al criterio di scelta della competenza tecnica quello della fedeltà politica.
Spezzato l’ideale del merito individuale, reso irrealistico e velleitario, in questo “neo-corporativismo” lo spirito di appartenenza regna sovrano e, col suo stesso esistere, distrugge l’antica propensione occidentale per l’iniziativa e il coraggio individuale;
iv.dalla degenerazione della “politica politicante”, cioè della politica fine se stessa, elevata dal mezzo a fine, che si incentra sulla corporazione dei “professionisti della politica”, caratterizzati in molti casi dalla mancanza di altre specifiche professionalità e capacità, dalla avere fatto dei giochi e delle alchimie politiche il proprio sistema parassitario di vita;
v.dalla cultura conflittualistica, in base alla quale lo scontro sovente avviene per il mero potere, prescindendo chi lo detiene e chi ad esso aspira dal reale benessere collettivo (che è al più un mezzo e pressoché mai il fine).
In una disgregatrice conflittualità permanente, dove le diverse forze in gioco, servendosi delle istituzioni anziché servirle, appaiono sempre più scoloritamente fungibili e che genera incapacità di convergenza su regole di coesistenza fondamentali comuni e porta, nel disaccordo generalizzato, alla ingovernabilità, alla crisi permanente istituzionalizzata, all’impossibilità di un qualsiasi progresso duraturo;
vi.dal troppo promettente ideale populista-demagogico, che sostituendo alla “politica dei mezzi” la “politica dei fini”, suffraga le pretese e le rivendicazioni illimitate, svincolate dalle elementari leggi umane ed economiche e dalla concreta realtà nazionale.
Con un pan-sindacalismo tutore di tutte le istanze, anche le più corporativistiche, egoistiche, parassitarie, che ha finito per danneggiare gli stessi interessi dei ceti che dovrebbe difendere e a contrapporre alla predicata unità della classe lavoratrice la realtà corporativistica della difesa del ceto degli occupati contro il ceto indifeso dei disoccupati;
vii.dal mito della democrazia partecipativo-diretta, ottimale sul piano astratto ma fallimentare in concreto, poiché contrastante con la reale natura umana, postulando esso una tensione ideologica permanente e generalizzata;
viii.dalla intraprendenza della stupidità e dalla sua autogiustificazione come intelligenza.
La stupidità riposante di un tempo, con un versante anche di buonsenso, oggi è stupidità senza riposo e senza tregua, che tutto attacca e corrode, acquistando come un virus una sua capacità di resistenza, una forza disgregatrice senza pari, e soprattutto la capacità mimetica di presentarsi sotto forma di intelligenza, di progresso.
Questi fattori convergenti hanno concorso a creare una regressiva situazione di anomia collettiva, di ribellismo indiscriminato, di crisi permanente e di diffuso disordine.
La destabilizzazione, il degrado civile, l’inefficienza, la carenza di controlli sociali, portano ad un proporzionale aumento dei soggetti che pervengono al delitto.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Criminologia, a.a. 2008-09
- Titolo del libro: Il problema della criminalità
- Autore del libro: Ferrando Mantovani
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