I fattori crimogeni del lavoro

Parleremo in questa sede degli effetti disturbanti del disadattamento lavorativo, pur non essendo l’argomento strettamente attinente alla problematica criminologica dei gruppi.
Numerose ricerche hanno rivelato tra i delinquenti un’alta frequenza di un precoce e grave disadattamento lavorativo.
Il fenomeno acquista particolare importanza in Italia, ove il lavoro dei minori degli anni 15, pur se vietato dalla legge, è invece ampiamente diffuso, prestato da ragazzi che spesso hanno interrotto la scuola, sono sovente insoddisfatti della attività prestata e non manifestano aspirazioni per il futuro proprio.
Nella ricerca delle correlazioni tra disadattamento lavorativo e delinquenza non è sempre agevole individuare quale è la causa e quale l’effetto.
Non si può negare, però, che costituisca una pressione alla delinquenza tale disadattamento tanto più quando, più che da fattori individuali, dipenda da fattori esogeni.
E nell’individuazione di tali fattori si è posto, in via generale, la tensione sulla caduta del senso tradizionale del lavoro come valore, permeato di significati morali e sociali, e sulla crescente disaffezione almeno di una parte di giovani per l’attività lavorativa, che viene praticata come strumentale e, spesso, nei limiti di stretta necessità ma non sentita come gratificante.
L’inserimento lavorativo precoce, in genere accompagnato dalla non acquisizione di adeguata preparazione professionale, dall’imposizione di un lavoro non corrispondente agli interessi del ragazzo, da un non facile rapporto coi superiori, quando non anche da situazioni di manifesto sfruttamento e ingiustizia, può tradursi in uno stato di invincibile insoddisfazione, di continua tensione, di instabilità nell’attività lavorativa, con ricerca di compensazioni al di fuori di esso, di status e di redditi alternativi, anche nell’ambito di attività illecite.