Appunti sul classico volume di D'addio che affronta la politica da un punto di vista storico, analizzando il pensero degli studiosi (filosofi, statisti...) che dalla Grecia classica in poi hanno espresso la loro critica visione della società, delle leggi, delle varie forme di governo che si sono succedute nei secoli. Viene data un'attenta lettura di Socrate, Platone, Cicerone, S. Agostino, S. Tommaso, Machiavelli, Bodin, Spinoza, Hobbes, Vico, Kant, Hegel, Toqueville, Marx, Engels e di tanti altri autori che hanno fatto la storia delle dottrine politiche.
Storia delle dottrine politiche
di Filippo Amelotti
Appunti sul classico volume di D'addio che affronta la politica da un punto di
vista storico, analizzando il pensero degli studiosi (filosofi, statisti...) che dalla
Grecia classica in poi hanno espresso la loro critica visione della società, delle
leggi, delle varie forme di governo che si sono succedute nei secoli. Viene data
un'attenta lettura di Socrate, Platone, Cicerone, S. Agostino, S. Tommaso,
Machiavelli, Bodin, Spinoza, Hobbes, Vico, Kant, Hegel, Toqueville, Marx,
Engels e di tanti altri autori che hanno fatto la storia delle dottrine politiche.
Università: Università degli studi di Genova
Facoltà: Scienze Politiche
Esame: Storia delle dottrine politiche
Docente: Lazzarino
Titolo del libro: Storia delle dottrine politiche
Autore del libro: M. D'Addio
Editore: ECIG
Anno pubblicazione: 20021. La civiltà greca e politica
La civiltà greca ha espresso la dimensione del politico, ne ha indicato gli ideali e valori.
Il greco avverte che ciò che lo differenzia da altre popolazioni e da altri gruppi etnici e lo fa superiore è la
dimensione politica della sua vita.
Politica corrisponde al neutro plurale dell’aggettivo politikos e significa le cose che riguardano la polis,
città, cioè comunità umana autosufficiente. Sempre da polis deriva politeia (che in italiano è costituzione)
che in greco comprende non solo il complesso delle istituzioni politiche ma anche altre istituzioni mediante
cui si realizza la vita nella polis, con riferimento al costume, alle consuetudini, alla morale, alla religione e al
sistema educativo. Politeia significa modo di essere della polis considerata come un tutto organico. La
politica è intesa come la forma più alta di educazione dell’uomo, una pedagogia. La polis deve formare
l’individuo per renderlo capace di vivere la vita politica.
La politica deve completarsi nel pensiero, nella comprensione razionale della polis. La politica implica nella
concezione greca il primato del logos che significa parola e ragione. La parola che riesce a esprimere i nostri
sentimenti e sensazioni si essenzializza quando scopre la sua intima connessione con la ragione e quindi con
il discorso e infine con l’argomentazione logica e scientifica. La parola è la manifestazione del logos in
quanto ragione. La parola fonda il rapporto essenziale tra il noi e l’io. È la parola in quanto lingua che
consente agli uomini e alla collettività di riconoscersi.
Il pensiero politico greco ha avvertito l’essenziale rapporto che sussiste tra la lingua e le prime forme di
aggregazione umana. Aristotele indica queste forme con Koinonìa, comunità, ciò che è in comune.
La caratteristica fondamentale della polis consiste nell’essere una comunità che si estende su un territorio
ristretto i cui fini potevano essere per corsi in una giornata dall’uomo.
La polis storica è il risultato di un lungo processo storico che si conclude nel VII sec: nell’età omerica la
polis è costituirà da una pluralità di villaggi che gravitano intorno alla grande casa, castello del re dei re. La
comunità omerica ha un organizzazione politica fondata sul ghenos, sul gruppo di più famiglie che vanta un
comune progenitore. Il capo del gruppo gentilizio è riconosciuto come re, indice che il ghenos è una vera e
propria entità politica. L’alleanza di più gruppi gentilizi costituisce la polis omerica. Il re dei re è sempre
assistito dal consiglio degli altri re: il suo potere ha carattere sacrale in quanto interprete dei voleri della
divinità. La religione è il vincolo originario sul quale si fonda la polis. Ogni comunità greca è nello stesso
tempo una comunità religiosa. Le leggi sono tutte di origine divina; sono i responsi, gli oracoli della divinità,
esprimono la volontà di Giove, il primo degli dei, quale si manifesta mediante i segni che sono interpretati
dai sacerdoti. La giustizia è concepita come Themis, figlia di Giove, e le norme che esprimono la regola del
giusto vengono dette Themistes, hanno un carattere sacro e sono eterne, immutabili. Solo gli individui
appartenenti al Ghenos godono di uno status politico e giuridico che si fonda sulla protezione del gruppo
gentilizio. Gli altri sono mercanti, artigiani e contadini la cui esistenza è sottomessa ai gruppi gentilizi.
Il re è assistito nel governo della polis dal consiglio, costituito dai gheronti, gli anziani, con i quali concorda
le decisioni più importanti, che debbono essere comunicati al popolo, al demos, cioè alla massa dei liberi
che non appartiene alle famiglie aristocratiche. La terza istituzione politica nella polis è l’assemblea nella
quale parlano solo i nobili. Il popolo ha il diritto di manifestare il suo consenso/dissenso.
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Storia delle dottrine politiche 2. La polis omerica
La polis omerica ha una struttura aristocratico-gentilizia, è basata su un rigido patriarcalismo che esclude la
massa del popolo da ogni forma di tutela giuridica, da ogni diritto politico, tranne quello di partecipare
all’assemblea. Con la prima riforma della costituzione aristocratico-gentilizia fu estesa la garanzia delle
leggi anche a chi non apparteneva al gruppo gentilizio con la redazione delle leggi scritte. La legge cessò di
essere monopolio del ghenos e divenne atto pubblico della polis che garantiva tutti i membri della comunità.
Leggi e la giustizia furono sottratte al ghenos e divennero di esclusiva competenza della polis. I reati persero
il carattere sacrale e furono considerati sulla base delle leggi. Si afferma così il principio e il valore del
nomos cioè della legge fatta dal legislatore della polis, di contro alle themistes, le leggi dettate dagli dei. Le
nuove esigenze militari impongono la formazione di un esercito che sia costituito non solo da cavalieri
(aristocrazia) ma anche da fanti dotati di armatura provenienti da altre classi, il cui reddito consente di
acquistare armi. I diritti politici vengono riconosciuti a coloro che fanno parte dell’esercito: tale riforma da
vita al cosiddetto stato politico.
Alla fine del Vi secolo due comunità rappresentano il modello ai quali si ispireranno i legislatori ed i teorici
politici dei secoli seguenti: Sparta ed Atene. La prima rimane fedele agli ideali dell’antica costituzione
aristocratico-gentilizia fondata sul rispetto delle tradizioni patrie, sull’ideale dedicata in tutto e per tutto alla
polis; assume le caratteristiche di un ghenos: la polis comprende 2 gruppi etnici: gli spartiati e gli iloti, che
erano stati assoggettati e vengono mantenuti in stato di servitù della gleba. Lo spartiate deve essere educato
e vivere per la polis. Con una rigida disciplina si crea un guerriero capace di sacrificare la propria vita per la
polis. Nulla è concesso alla vita privata dello spartiate: non deve preoccuparsi del suo sostentamento perché
gli iloti lavorano per lui; la sua quota di proprietà gli viene assegnata dalla comunità; non può svolgere
attività artigianali o commerciali; anche se ha una famiglia deve passare la maggior parte del tempo con i
suoi commilitoni. Sino a 60 anni ha l’obbligo del servizio militare e pasti in comune.
Il potere sovrano spettava all’assemblea (apella) alla quale partecipavano tutti i cittadini che facevano parte
dell’esercito. Essa eleggeva i magistrati e prendeva le decisioni più importanti. Il comando dell’esercito era
affidato ai re ch dovevano provenire da famiglie aristocratiche mentre il governo era tenuto dal consiglio
degli anziani, la Gherusìa, eletto dall’apella tra i cittadini che avevano terminato il servizio militare con più
di 60 anni. Poiché l’assemblea si riuniva una volta al mese, la normale azione di governo era affidata a 5
efori che dovevano sorvegliare i magistrati compreso il re che potevano essere arrestati e processati su
giudizio degli efori. Queste le linee essenziali della costituzione spartana attribuite a Licurgo.
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Storia delle dottrine politiche 3. Atene nell'epoca classica
Ad Atene la dinamica della vita economica è più articolata: finisce per contrapporre l’aristocrazia al popolo.
La ricchezza è concentrata nella classe aristocratica detentrice di vaste proprietà. Lo stato di guerra in cui si
trovano le città-stato l’una contro l’altra armata accentua questo fenomeno con un progressivo
indebitamento degli artigiani e contadini i cui campi finiscono per passare agli aristocratici mentre i
proprietari diventano servi.
Dai conflitti nati da questa situazione nasce la prima riforma della costituzione aristocratica di Atene: fu
promossa da Solone nella seconda metà del V secolo. Libera il popolo e vieta i prestiti in cambio della
libertà personale, stabilisce leggi e taglia i debiti pubblici e privati. C’erano 4 classi distinte per censo:
1. pentacosiomedimmi
2. i cavalieri
3. gli zeugiti
4. i teti
le classi più ricche erano rappresentate da chi possedeva un reddito di 500 misure di prodotti solidi o liquidi,
quella media da 300, poi dai contadini che avevano una coppia di buoi per lavorare la terra e infine dai
lavoratori liberi che non potevano comprarsi le armi.
Le cariche pubbliche erano attribuite alle prime due classi. Ai teti era garantita la partecipazione
all’assemblea e la possibilità di essere eletti in tribunale.
Ne “le opere e i giorni” esiodo aveva proclamato il valore centrale della giustizia, dike, quale divina potenza
tutrice che difende i diritti degli oppressi e dei deboli contro la sopraffazione, la Hybris dei potenti: la
prosperità della polis dipendeva dal rispetto della giustizia mentre la sua violazione avrebbe portato lutti e
rovine alla città come conseguenza della punizione divina.
La punizione non data tanto dalle pene previste dal legislatore che possono essere facilmente eluse da parte
dei ricchi e potenti ma le conseguenze negative cadranno sull’intera città coinvolgendo tutti con l’avvertenza
che chi più ha, ha più da perdere. Le lotte sociali rendono sempre più grave la miseria del popolo e sono la
conseguenza della violazione della giustizia e del diritto. Solone è convinto che la giustizia, eunomia,
punisce sempre chi l’ha violata. Il corso degli avvenimenti umani è regolato da una legge di compensazione
per cui a coloro che hanno avuto troppo verrà tolto il più, che sarà dato a quanti hanno avuto meno. Il
problema della giustizia si risolve per Solone nella consapevolezza che esiste una misura che fissa ciò che è
dovuto ad ogni membro della polis e che indica nel contempo i limiti di tutte le cose. La misura e il limite
sono i principi essenziali a cui deve continuamente ispirarsi l’eunomia e sui quali si basa l’organizzazione
politica della comunità. La politica si riduce alla consapevolezza di questa ideale misura. È sulla base di
questo principio che Solone limita la potenza dell’aristocrazia e dei ricchi, libera i campi dei contadini dagli
alti interessi e vieta che la libertà personale del povero possa essere soppressa dalla ricchezza. Conferisce
alle classi meno abbienti tanto potere da impedire sopraffazioni dell’aristocrazia e dispone la costituzione in
modo le la proprietà sia garantita e gli aristocratici non siano distrutti dalla hybris (lo spirito e la volonta
della sopraffazione che rompe l’equilibrio della distribuzione dei beni materiali e morali e la eunomia)
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Storia delle dottrine politiche 4. Riforme di Solone
Le riforme di Solone avevano sancito garanzie per le ultime due classi, gli zeugiti e i teti, ma non avevano
intaccato la sostanza del potere dei gruppi gentilizi che volevano monopolizzare il governo della città: le
tensioni e i conflitti sociali continuarono a caratterizzare la vita politica di Atene. Il tentativo di dare una
soluzione a queste lotte fu rappresentato dalla tirannide. Il tiranno assume il significato di capo di un partito
e di una grande famiglia aristocratica che conquistava il potere a seguito di una rivolta promossa e sostenuta
dalle classi meno abbienti. La politica dei tiranni fu caratterizzata da provvedimenti per migliorare le
condizioni delle classi più umili. Pisistrato promosse una profonda trasformazione sociale all’interno della
polis. Esaurito il loro programma i tiranni scomparvero dalla scena politica greca e furono sostituiti dalle
aristocrazie.
Le riforme di Solone furono la premessa per l’istituzione della democrazia. Fu introdotta ad Atene con le
riforme di Clistene: fu spezzata dal punto di vista politico la struttura gentilizia della società ateniese
ponendo al posto del ghenos, il demos, cioè la minima ripartizione territoriale in cui venne suddiviso il
territorio. Sul demos fu organizzato l’ordinamento politico con una rigorosa applicazione dl sistema
decimale. La popolazione ateniese fu divisa in 10 tribù che costituivano una ripartizione di carattere
amministrativo, comprendenti ciascuna 10 demi. Il territorio fu diviso in 3 parti: la città, la costa e l’interno
e ciascuna parte in 10 distretti che furono attribuiti per sorteggio alle tribù. Il consiglio, Bulé fu costituito da
500 membri, 50 per ciascuna tribù, e suddiviso in 10 sezioni, ognuna delle quali costituiva a turno il
governo, per una decima parte dell’anno. L’esercito fu diviso in 10 reggimenti, una per ogni tribù.
Questo sistema garantiva la partecipazione di tutti i cittadini all’amministrazione della cosa pubblica. Tutti i
poteri furono concentrati nell’assemblea generale, Ecclesìa, cui competevano le relazione esterne, il potere
legislativo, potere giudiziario, controllo del potere esecutivo. Questo sistema viene nominato più che
democrazia, isonomia, uguaglianza dinnanzi alla legge e isigora, uguaglianza nella libertà di parola.
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Storia delle dottrine politiche 5. Guerra persiana e sentimento di libertà delle poleis greche
Fu la guerra persiana che oppose le poleis al grande impero, a dare coscienza della Grecia del valore
essenziale sul quale si basa il suo mondo politico: la libertà, il sentimento della personale partecipazione alla
vita della polis. A Sparta questo sentimento porta l’individuo a identificarsi con il kosmos, a realizzarsi in
tutto e per tutto secondo le minute prescrizioni della comunità, nella consapevole accettazione di una
disciplina che lo fa libero di quella stessa libertà di cui gode la comunità. Se la libertà di Sparta è la
consapevole partecipazione alla vita della polis sino a identificarsi con essa, la libertà ad Atene, propria della
democrazia, è l possibilità che ha l’individuo di realizzare la sua vita secondo quanto ritiene più giusto ed
opportuno, è la libera espressione della propria personalità, senza che la polis intervenga come a Sparta, a
disciplinarla.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 6. Socrate: la critica alla politica
Il dibattito tra Socrate e i sofisti è la premessa di una concezione sistematica della politica, di una teoria
della politeia quale ci viene proposta nell’opera di Platone: l’indagine socratica era essenzialmente
problematica, rivolta a risolvere criticamente le apparenti o false conoscenze, le conclusioni ben
argomentate, come quella dei Sofisti che della questione esaminata offrivano una soluzione apparentemente
esauriente.
La critica socratica si concentra sull’aspetto etico-politico dell’insegnamento dei sofisti sulla nuova paideia
quale viene proposta dalla sofistica e si sofferma sui rapporti che intercorrono tra virtù in quanto essenziale
modo d’essere del cittadino e la politica in cui si esprime la parte più importante dell’insegnamento dei
sofisti. Con le sue indagini e le sue domande Socrate richiama il suo interlocutore alla costatazione che il
problema delle virtù ci rinvia a quello della conoscenza cioè ad una scienza dei beni e dei mali che consente
all’uomo di operare per conseguire i primi ed evitare i secondi. Questa conoscenza non può essere
conseguita con l’educazione proposta dai sofisti che da all’allievo una vasta informazione per i cittadini che
aspirano a governare, per potere sostenere tesi davanti all’assemblea e i consigli per convincere. Alla cultura
enciclopedica Socrate contrappone il sapere specifico del competente, che deve essere ricercato. Poichè il
fine dell’educazione è la virtù si tratta di ricercare cos’è la virtù e in che cosa consistano le singole virtù
(fortezza temperanza religiosità e giustizia).
Dobbiamo acquisire la consapevolezza di ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo. La nuova educazione
per corrispondere alle esigenze di riforma e riordinamento della polis richiama una conoscenza approfondita
in cui il cittadino riscopra il sentimento etico-religioso. La polis deve essere governata dal sapere
competente e quindi da competenti.
La politica deve essere una forma di conoscenza che si fonda su un metodo di indagine e ricerca critico-
razionale. La politica non può essere ridotta a retorica, non può disinteressarsi dei valori supremi del bene e
del male. La politica deve essere concepita come una forma di conoscenza ma come arte regale che
sovrintende non solo l’arte militare ma tutte le altre arti particolari che attengono all’amministrazione e
organizzazione della polis.
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Storia delle dottrine politiche 7. Dialogo tra Protagora e Socrate
I rapporti tra l’insegnamento dei sofisti, la politica e l’ideale socratico di virtù sono riproposti in un dialogo
in cui Platone riferisce la discussione svoltasi tra Protagora e Socrate. Socrate si dichiara scettico sul fatto
che l’arte politica possa essere insegnata. Dice che i nostri migliori uomini politici non riuscirono a
trasmettere la loro virtù politica ai figli.
L’affermazione di Socrate che la virtù è conoscenza implica che il fondamento del potere, la legittimazione
del comando come dell’ordine politico risiedono nel sapere. La politica non può sottrarsi ad una indagine
razionale dei suoi fini. I sofisti nel Gorgia discutono con Socrate sull’essenza della politica. Gorgia aveva
esaltato la competenza della parola in quanto dominatrice degli affetti, delle passioni, in grado di
determinare quelle convinzioni e quell’assenso che consentono al politico di esercitare il potere. Per lui il
potere non è altro che il potere della parola. Gorgia poi tiene a precisare che la retorica ha un valore
strumentale, un’abilità come quella che si procurano gli atleti, che può essere bene o male usata, senza che si
possa attribuire la responsabilità alla stessa retorica o a chi l’ha insegnata. Ma secondo Socrate proprio in
questa affermazione si nasconde una radicale contraddizione: la retorica si distingue dalle altre discipline
che si svolgono mediante la parola perché la sue argomentazioni si riferiscono sempre al criterio del giusto e
dell’ingiusto, del buono e del cattivo, ma essa non è in grado di pervenire al sapere, alla scienza, ma solo
all’opinione, non a ciò che è ma a ciò che sembra. Quindi il retore non parla di ciò che sa ma di ciò che
crede di sapere. Non è quindi possibile far buono o cattivo uso della retorica se il retore ignora che cosa sia
il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. La retorica è l’arte dell’adulazione, la politica è l’arte rivolta allo
spirito. Anche nella politica devono distinguersi due specie minori, l’arte legislativa e la giustizia. La
retorica non è altro che un travestimento dell’arte politica.
Polo non è convinto e chiede a Socrate come possiamo esprimere un giudizio negativo sulla retorica se essa
conferisce a chi la sa usare il potere, cioè la possibilità di appagare qualsiasi nostro desiderio. Dice che è il
potere che rende veramente felici gli uomini. Socrate dice che è u’apparente felicità che nasconde la più
grande sventura che possa capitare all’uomo: vivere nel male e trascinare gli altri nel male.
Poi interviene Callicle che ripropone la distinzione tra natura e legge: il problema della politica deve essere
affrontato alla luce di questa distinzione, tra ciò che è giusto secondo natura e ciò che è giusto secondo le
leggi. Queste sono fatte dalla moltitudine costituita da pavidi, deboli, da quanti sono incapaci di compiere
grandi azioni per difendersi dai pochi, i forti, in grado di affermare la propria supremazia e di dominare i
molti. La legge condanna, dichiarando ingiuste le azioni con cui i forti si impadroniscono del potere. La
natura invece dimostra che solo i migliori, cioè i capaci, gli intraprendenti, i forti, riescono sempre a
dominare. Questa legge di natura si manifesta nei rapporti tra gli stati dove la forza è l’unica fonte e la sola
legittimazione dei diritti che rivendicano nei confronti delle altre collettività politiche. La politica sancisce la
supremazia e il dominio del più forte che per legge di natura deve comandare la massa. Socrate non approva
la riduzione della politica al potere. Egli dimostra la contradditorietà della tesi sostenuta da Callicle. Basta
rilevare che la legge umana, proprio perché fatta dalla moltitudine che è certamente di gran lunga più forte
dei pochi o dell’uno, è una legge di natura e quindi esprime principi e valori giusti. La tesi di Callicle serve a
dimostrare esattamente il contrario delle sue affermazioni.
Callicle precisa che la vera essenza della politica si esprime nella volontà di potenza e nell’etica del
superuomo: solo chi è capace di immense passioni è in grado di darsi un carattere deciso e valoroso in modo
da poter dare piena soddisfazione alle sue brame. Questa capacità di vivere al livello delle forze primigenie è
riservata solo a nature eccezionali alle quali non può essere posto il limite della morale degli uomini comuni
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Storia delle dottrine politiche che è quella dei deboli, di chi vuole nascondere la sua impotenza e cerca di rendere servili le più vigorose
nature. Socrate dice che la volontà di potenza e l’etica del superuomo procurano un bene illusorio perché
finiscono con identificare il bene con il piacere. Se seguiamo l’istinto del piacere esso si tramuta a poco a
poco in un male. Il bene rappresenta il criterio oggettivo in base al quale l’anima può evitare il male oppure
sopportando la giusta pena riscattarsi dal male. L’esistenza del bene nella sua oggettività consente all’uomo
di diventare consapevole di ciò che fa, così che sia in grado di indirizzare le sue azioni alla giustizia e alla
temperanza: solo così diventa amico del suo simile e di Dio.
Il Gorgia si conclude con una critica radicale della politica ateniese seguita nel corso della guerra del
Peloponneso.
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Storia delle dottrine politiche 8. Obiettivi di Socrate. Il Critone
La missione di Socrate era di rendere i propri cittadini consapevoli della gravità e della ragione della crisi in
modo da sollecitare in essi un profondo rinnovamento morale che costituisse il vero titolo di legittimità delle
leggi e delle istituzioni della polis. Socrate era un conservatore della polis, delle sue leggi ed istituzioni in
quanto esprimevano quella convivenza umana che rendeva possibile la ricerca della verità. Le sue critiche
nei confronti del demos, della folla, della moltitudine e quindi dell’ordinamento democratico ateniese
miravano a restaurare tra i suoi concittadini la coscienza della sovranità delle leggi. Critica l’ordinamento
democratico ateniese nel senso che la legittimità delle decisioni delle assemblea come delle sentenze dei
tribunali non riposa sulla maggioranza e sul numero e sulla intrinseca razionalità delle decisioni stesse. La
tesi centrale del suo insegnamento è che la virtù è conoscenza e si commette il male per ignoranza. La
democrazia deve essere concepita come il governo della ragione. La crisi della democrazia non può essere
risolta se l’ordine politico non viene fondato sul sapere competente.
Nel Critone gli argomenti sono la sacralità delle leggi e il timore che l’individuo deve portare alle leggi. Nel
Critone deve dimostrare all’amico che il suggerimento di sottrarsi con la fuga alla condanna a morte
significa rinnegare nel momento più importante della sua vita il suo insegnamento. L’individuo deve tutto
alle leggi; le leggi lo proteggono sin dalla sua nascita, garantiscono la sua vita, il suo onore, il suo
patrimonio, la sua libertà. L’individui per il fatto stesso di vivere nella polis accetta le leggi.
Le leggi non sono impassibili e perfette. Sono ispirate al principio del continuo perfezionamento.
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Storia delle dottrine politiche 9. Platone: politica e filosofia
L’insegnamento di Socrate è per tanti aspetti il presupposto del pensiero filosofico e politico di Platone che
continuò il discorso del maestro.
In Platone diventa centrale il problema del fondamento oggettivo della conoscenza cioè dei rapporti che
sussistono tra questa e la verità.
L’intimo e vitale rapporto tra politica e filosofia in Platone scaturisce dalla appassionata partecipazione al
dramma di Socrate che diventa quasi il simbolo della crisi profonda che travaglia non solo Atene ma il
mondo politico greco. La filosofia è l’impegno a cogliere al di la degli avvenimenti, delle guerre, dei
mutamenti di governo le ragioni, i motivi profondi della crisi, perché solo la filosofia riesce ad individuare
l’essenza della realtà.
Nella reciproca conversione della politica e della filosofia si fonda per Platone la politica come scienza,
come una conoscenza sistematica che riconduce ad un principio unitario i dati, gli elementi, come le attività
più importanti che si riferiscono alla comunità umana organizzata, la polis.
L’idea, con riferimento al significato etimologico della parola greca Eidon è il principio che ci consente di
vedere intellettualmente e quindi di gufarci riconoscere tutte le figure materialmente diverse l’una dalle altre
ma tutte uguali perche corrispondenti alla loro immagine ideale.
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Storia delle dottrine politiche 10. La Repubblica di Platone
E’ il dialogo in cui viene dimostrata l’essenza ideale della politica. Fu composta tra i 45 e i 50 anni, quelli
della sua piena maturità, dopo la fondazione dell’accademia avvenuta nel 87.
È divisa in 10 libri e inizia con una discussione sulla giustizia in cui vengono ripresi gli argomenti del
Gorgia e del Menesseno e continua la polemica nei confronti dei sofisti.
Il problema della politica si concentra sul concetto di giustizia. Alla domanda che cos’è la giustizia?, Cefalo
e Polemarco danno definizioni che vengono dimostrate infondate da Socrate. Poi interviene Trasimaco che
dice che la giustizia è l’utile del più forte, è l’utile di chi o di coloro che governano. Dice che la giustizia non
è altro che la ragione per cui abbiamo e conserviamo il potere. Non esiste la giustizia ma tante giustizie per
quante sono le forme di governo, ognuna interessata a giudicare tutto e tutti in funzione della propria
conservazione. La giustizia si identifica con la politica cioè con gli interessi consolidati intorno al potere.
La critica socratica alla concezione della giustizia di Trasimaco si svolge sul presupposto del fondamento
scientifico della politica che deve essere considerata alla stregua della scienza medica: come il medico
persegue il suo interesse e quello dell’ammalato, il politico non può che attuare il proprio interesse e quello
dei governati: quindi il governo non può non perseguire l’utile dei suoi governati. Chi sa quello che fa non
può che fare il bene.
Il male nella politica è il risultato dell’ignoranza, cioè di non avere una conoscenza completa dei risultati
ultimi delle nostre azioni nell’ambito della polis, dell’ignoranza dei principi secondo cui la politica si
esprime in un tutto ordinato e sistematico. L’insidia peggiore nella politica è rappresentata nel fatto che si è
convinti di conoscerla sin nei minimi particolari pur non essendoci mai chiesto che cosa sia e quale sia il
fine cui tende.
La discussione sulla giustizia acquista ormai un preciso contenuto politico con riferimento alla politica
intesa come scienza, in senso cioè che il concetto di giustizia non è più ricercato nella prospettiva
dell’individuo singolo ma in quella della comunità politica, dello stato.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 11. La società per Platone
Con l’analogia tra l’individuo e lo stato Platone introduce la concezione organicistica della comunità
politica. La società si costituisce perché l’uomo non basta a se stesso e ha bisogno per la sua sopravvivenza
fisica dell’aiuto dei suoi simili, per ottenere quei beni che gli altri producono e che da solo non riuscirebbe
mai ad avere. La società si forma sul principio della divisione del lavoro e della necessaria interdipendenza
che si istituisce tra le varie attività che hanno come scopo di produrre i beni necessari alla collettività:
produzione e commercio sono fra loro connessi ed esprimono le diverse categorie sociali in corrispondenza
delle attività che vengono svolte: i contadini, gli artigiani, gli operai, i commercianti. Il principio della
specializzazione delle attività esige che accanto alla classe che ha come compito specifico quello di
procurare i beni necessari alla collettività debba esserci un’altra categoria di persone che si occupa
esclusivamente della difesa dei beni e della comunità dagli attacchi dei nemici. Questa seconda categoria è
la classe dei CUSTODI e nel suo ambito Platone distingue altre 2 categorie di persone: i custodi-guerrieri
assolvono all’esigenza della difesa della comunità; i custodi-reggitori cioè i politici che governano lo stato.
Uno dei problemi politici più importanti è sapere quali persone devono appartenere alla prima, alla seconda
e alla terza dato che l’ufficio dei custodi è massimo e quindi richiede libertà dalle altre occupazioni, arte e
cura e natura idonea a questa occupazione. Questo problema può essere risolto solo con una
riorganizzazione della polis fondata sull’eliminazione delle due istituzioni sulle quali si fonda l’ordinamento
politico sociale che non consentono di governare secondo i principi di una politica scientifica: la famiglia e
la proprietà. Queste due istituzioni si frappongono tra l’individuo e lo stato rinchiudendo l’individuo in
gruppi fra loro ostili ognuno preoccupato di ampliare la propria influenza, il proprio potere, a danno di
quello dello stato. La famiglia costringe l’individuo a svolgere un’attività contrastante con le sue vere
attitudini, unicamente per il rispetto del prestigio, delle tradizioni famigliari e per la difesa delle posizioni di
privilegio che ha conquistato. Questo ruolo politico della famiglia trova sostegno nella proprietà privata che
istituzionalizza e rende immodificabili le posizioni di potere che la famiglia è riuscita a conquistare. Quindi i
nemici della stato e dell’individuo sono la famiglia e la proprietà che sostituiscono lo stato nell’attività
politica. La proprietà privata è la causa del male più grave della società: a distinzione tra ricchi e poveri, in
lotta tra loro che ha stremato la polis e la porterà alla distruzione.
Eliminando la proprietà e la famiglia si potrà attuare un ordinamento collettivistico e comunistico che
consentirà di riconoscere la natura degli individui e collocarli in quella classe cui sono destinati dalle loro
predisposizioni. Ogni individuo avrà un’educazione comune affinché i custodi possano rendersi conto delle
loro attitudini e indirizzarli verso quelle attività cui sono destinati dalla stessa natura. L’educazione diventa
lo strumento più efficace per formare la personalità degli uomini. La politica si presenta come una paideia
cioè un’ideologia.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 12. La giustizia e le 3 funzioni dello stato secondo Platone
La giustizia si realizza allorché ciascun individuo nello stato svolge solo l’attività che corrisponde alle sue
predisposizioni naturali. L’individuo può svolgere bene un solo compito ed occorre bandire dallo stato
l’abitudine di svolgere due o più attività a volte contrastanti tra loro.
Le tre funzioni principali dello stato che si riferiscono alla produzione dei beni necessari alla vita della città,
alla sua difesa e al suo governo trovano un’analogia nell’interna struttura dell’uomo in cui coesistono
principi di azione: l’anima incupisci bile che presiede la vita biologica; quella irascibile in cui si esprime la
forza dell’individuo; l’anima razionale che deve sovrintendere l’attività dell’uomo e governare le altre due
anime. Alle tre anime dell’individuo corrispondono le tre classi della società: l’anima razionale sono i
reggitori-filosofi ai quali è demandato il governo dello stato. Ogni anima e ogni classe deve avere una forma
e disciplina cui corrisponde una determinata virtù: l’anima razionale la saggezza, quella irascibile la
fortezza, quella concupiscibile la temperanza. Quest’ultima è importante perché rende possibile i rapporti tra
governanti e governati.
La giustizia è il principio in base al quale ogni individuo compie l’attività che gli è propria, attua e
perfeziona la sua natura. La giustizia si realizza in ciascun individuo come ordine interiore che informa e
sostiene le attività del soggetto e le coordina con quelle degli altri membri della comunità. La giustizia è il
principio ideale, l’anima dello stato.
La ricerca del fondamento e del principio della giustizia e della sua funzione è compito della filosofia.
La conoscenza filosofica attiene all’intelligenza, alla facoltà che secondo la formula platonica raggiunge le
idee attraverso alle idee e finisce alle idee.
Platone perviene ad indicare il nesso indissolubile tra politica e filosofia: infatti il problema di intendere
l’unità reale della polis e l’ordinamento che vi corrisponde è connesso con il problema della conoscenza e
con la fondazione metafisica dell’intelligenza. Lo stato platonico è uno stato di ragione perché governato
dalla razionalità: la politica è attività volta a garantire il comando del razionale cui l’irrazionale deve essere
sottomesso.
Questo stato che somiglia a una persona si fonda su un ordinamento collettivistico ed è governato dai
custodi filosofi che ispirano i loro provvedimenti al modello dello stato perfetto. Prima cura dei governanti
sarà sorvegliare che il sistema educativo non incorra in deviazioni. La politica demografica deve mantenere
la popolazione costante con riferimento al numero di 5.350.
La città deve avere tanti abitanti quanti sono necessari alla difesa e alle altre attività che forniscono beni e
servizi indispensabili. Non numero inferiore perché lo stato sarebbe preda dei nemici, non superiore perché
si costituirebbe la divisione tra ricchi e poveri. Ci deve essere un severo controllo delle nascite con unioni
predeterminate dai custodi che dovranno informarsi sui criteri dell’eugenetica. I nati deformi e con difetti
devono essere abbandonati.
Abolizione della famiglia e della proprietà. A un matrimonio privato è sostituito un matrimonio di stato.
L’unione dell’uomo con la donna sin che sono in grado di procreare può essere consentita solo dai custodi.
Passata tale età le unioni sono libere.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 13. Il processo di trasformazione della polis per Platone
Anche la polis per Platone non si sottrae al processo di trasformazione e corruzione: è opera dell’uomo e
partecipa al ciclo cui sono soggette tutte le cose naturali: nascita sviluppo e morte. Il processo di decadenza
inizierà quando i custodi sbaglieranno i calcoli che presiedono alle generazioni umane delle classi: individui
appartenenti alla prima classe si troveranno nella seconda o nella terza o viceversa. Verrà intaccata
l’armonia fondamentale e comincerà a trasformarsi la classe dei custodi o la classe di governo. La polis
passerà attraverso le forme di governo che corrispondono alle fasi degenerative: dall’aristocrazia che è la
forma di governo propria della città ideale dei reggitori filosofi, alla timocrazia il governo dei forti, degli
animosi, dei guerrieri che allontanano i saggi dal potere; all’oligarchia, il governo che si fonda sulla sola
ricchezza con l’esclusione dei poveri; alla democrazia, il governo che si basa sulla maggioranza dei non
abbienti con l’esclusione dei ricchi; infine alla tirannide, la pessima tra le forme corrotte di governo.
Questo processo rappresenta la crisi razionale e l’emergere dell’irrazionale.
La forma di governo si corrompe e si trasforma quando viene assolutizzato il principio che ne costituisce il
fondamento cioè quando diventa unico oggetto dei desideri degli uomini lo scopo che essa si prefigge: la
libertà. La libertà diventa principio che legittima ogni forma di arbitrio e che a poco a poco determina una
forma di latente anarchia. La crisi della democrazia coinvolge l’intera società in quanto provocata dal
dominio che il concupiscibile esercita sulle altre due facoltà, in particolare sulla razionalità.
La repubblica si conclude con un richiamo al problema religioso: ala sopravvivenza dell’anima; al giudizio
cui tutti gli uomini saranno sottoposti dopo la morte; alla metempsicosi, alla continua reincarnazione delle
anime fin chè non riescono a purificarsi; alla scelta che ogni anima fa della sua futura vita. La libertà
dell’individuo è affermata sul piano religioso: la vita che viviamo è il risultato di una libera scelta della
nostra anima.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 14. Le forme di governo secondo Platone
La politica come scienza si compone di 2 parti:
1. una teorica che riguarda la conoscenza sistematica dell’organizzazione della polis
2. e una pratica che si riferisce all’attività di governo e che viene trattato nel dialogo Il politico
Il politico è un dialogo sull’arte di governo in cui c’è la ricerca e descrizione. Con riferimento al re filosofo
parla dell’animo del governante. L’attività di governo è definita arte regia: arte in cui acquista rilevanza la
conoscenza, è l’arte di guidare il popolo. Il re-filosofo è superiore perché ha l’arte regia e conosce il bene
della città.
La politica come arte di governo può essere paragonata all’architetture e il politico all’architetto. L’arte
regia può essere paragonata all’arte del tessitore. Nel tessere la tela della società il politico deve servirsi del
filo d’oro della giustizia al quale devono essere annodate le relazioni degli individui nella polis.
Lo scopo fondamentale dell’arte regia : stabilire i vincoli saldi tra quanti vivono nella polis, di annodare nel
tessuto sociale i forti, i saggi e temperanti componendo questi caratteri in modo che ne risulti un tutto
armonico. L’arte regia produce un ordine politico. Quando in uno stato non c’è il re filosofo perché è
difficile trovarlo, abbiamo 3 forme di governo
1. monarchia
2. aristocrazia
3. democrazia
queste forme di governo non sono perfette ma comunque buone. Se degenerano si trasformano in
1. tirannide
2. oligarchia
3. democrazia degenerata
l’elemento che distingue le forme buone di governo da quelle degenerate è la legge unita al consenso,
mentre in quelle degenerate il potere è imposto con la forza
la democrazia se degenera può sfociare in anarchia.
Platone dice che l’arte regia, purchè esercitata da un re-filosofo cioè da un uomo che sia pervenuto al grado
supremo della virtù e della sapienza, alla visione dell’idea del sommo bene, può sostituirsi alle leggi e può
assumere provvedimenti che violano le leggi stesse. L’arte regia legittima un governo senza leggi
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 15. Le leggi di Platone
Le leggi è un dialogo tra alcuni personaggi greci che devono dare una costituzione alla città e discutono
sulle leggi da darle. Cosa sono le leggi per Platone? Sono il giudizio della ragione su ciò che è bene e su ciò
che è male.
Il giudizio della ragione diventa un pubblico decreto; diventa norma positiva approvata dall’organo
apposito.
La legge è espressione della ragione e se non si segue la legge si fa il male.
I governanti soggetti alla legge non dovrebbero cambiarle se non in casi eccezionali
Le leggi sono importanti affinchè le forme politiche non degenerino.
In questo dialogo si descrive anche una forma di governo mista che unisce i caratteri di 2 forme di governo:
la monarchia che tocca il massimo dell’autorità presso i persiani e la democrazia che tocca il vertice presso i
greci. Per evitare la degenerazione di queste 2 forme ci deve essere libertà e concordia + contemperamento
delle due forme di governo e dei loro 2 principi (autorità e libertà). Quindi della due costituzioni, una
dispotica (persiani) e una liberale (greci), se arrivano agli estremi degenerano, se rimangono equilibrate
nasce una buona forma di governo mista
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 16. Aristotele: il pensiero politico
384-322. Era macedone.
La politica è una delle 4 discipline in cui si articola la scienza dell’uomo: le altre 3 sono la psicologia, l’etica
e la retorica. Platone le trattava tutte insieme in una prospettiva filsofico-politica, mentre lui le distingue.
L’opera di Aristotele si intitola Politica. Appartiene al terzo gruppo degli scritti aristotelici, quelli di
carattere scientifico, redatti dalla scuola istituita da lui ad Atene, il liceo.
La polis è connaturata all’uomo. L’uomo è uno zoon politicon, yun essere politico. La sua umanità si
esprime nella sua politicità. Per realizzarsi e raggiungere la felicità l’uomo deve vivere nella polis. L’uomo è
la forma della koinonia politica (la comunità politica). La prima forma di koinonia è la famiglia che continua
la specie umana. Viene poi il gruppo parentale che riconosce un progenitore comune; la tribù che comprende
più gruppi gentilizi; il villaggio che comprende più tribù; la polis che comprende più villaggi.
Nella famiglia ci sono 3 tipi di comando ed obbedienza sui quali si fonda la costituzione della polis che per
Aristotele è un sistema di comandi ed obbedienze. Sono quelli tra padre e figlio, marito e moglie, padrone e
schiavo e si distinguono secondo la gerarchia naturale delle intelligenze: il figlio l’ha in potenza, la moglie
attenuata, lo schiavo ha poche capacità intellettuali. Ci sono 3 tipi di autorità:
1. nei confronti dei figli è simile a quella del re sui sudditi,
2. nei confronti della moglie è come quella del magistrato sui cittadini
3. nei confronti dello schiavo è quella del despota.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 17. Divergenze di Aristotele con il pensiero di Platone
La giustificazione della schiavitù è data dalla gerarchia naturale delle intelligenze.
Il governo della famiglia è definito da Aristotele con il termini economia (oikos=famiglia, nomos=regola)
nel cui ambito sono precisati i criteri da seguire nell’attività volta a procacciare i beni materiali necessari. La
produzione della ricchezza è indicata con il termina crematistica. La prima trova un limite nelle necessità
della comunità, la seconda non incontra limiti.
La comunità politica per lui si caratterizza per l’affermazione relativa alla pluralità delle forme secondarie di
socialità poste dalla natura che lo stato deve mantenere in sé rispettandone l’autonomia. È in contrasto con la
tesi platonica secondo cui tra l’individuo e lo stato non deve esserci alcun diaframma ma una
immedesimazione di tipo organico.
Dice che il collettivismo proposto da Platone è irrealizzabile perché contrasta con la naturale struttura della
società politica la quale si articola in una pluralità di forme secondarie di socialità ed è costituita da individui
tutti diversi l’uno dall’altro per il diverso grado di partecipazione alla virtù. La famiglia e la proprietà sono i
due istituti fondamentali dello stato, presupposto del processo di articolazione da cui s origina la società
politica. Abolire la proprietà sarebbe abolire l’unico criterio per fissare la giusta ricompensa per il lavoro
svolto dai singoli.
La società collettivistica non riesce neanche a realizzare l’unità: uno stato del genere si scinde in due classi
contrapposte: i guerrieri che hanno la forza militare e i lavoratori che sono sottoposti ai primi.
Aristotele non è fautore di una concezione privatistica della proprietà: ritiene che la migliore proprietà sia
quella privata integrata dalla comunanza dell’uso. Una proprietà in cui venga posto in risalto il fine sociale,
che non sia considerata nell’unica prospettiva del singolo ma con riferimento anche alle esigenze della
collettività.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 18. Lo studio della politica per Aristotele
Lo studio della politica è distinto in 4 grandi parti:
1. la prima tratta della costituzione migliore, che corrisponde ai principi assoluti in sede filosofica
2. studia come realizzare tale costituzione
3. si occupa della costituzione vigente per studiare i provvedimenti che consentono di renderla stabile
4. analizza la costituzione più adatta a tutte le città per individuare i principi comuni a tutte le costituzioni
reali.
La costituzione migliore è quella in cui ogni cittadino possa meglio provvedere alla sua prosperità materiale
e alla sua felicità.
L’ordinamento politico della città deve essere informato che tra gli eguali ci deve essere compartecipazione
dei diritti e dei beni tranne il caso in cui ci sia qualcuno che emerge per virtù e capacità pratica alla cui
volontà è giusto obbedire.
Se la felicità è inscindibile dalla virtù, la potenza e il dominio non sono il fine della polis ma devono essere
dei mezzi per assicurare la difesa della polis. La guerra deve essere combattuta avendo sempre di mira la
pace.
Il comando è legittimo solo se esercitato nei confronti di quelli che la natura destina ad obbedire. Estendere
il potere al di la dei limiti fissati dalla gerarchia naturale è un atto di sopraffazione.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 19. La struttura sociale della polis per Aristotele
La struttura sociale della polis e la suddivisione in classi sociali si fonda sui compiti che devono essere
assolti dalla comunità: l’alimentazione, le arti per le merci necessarie alla vita associata, la difesa militare, la
finanza pubblica, il culto divino, la decisione sugli interessi generali e i diritti reciproci. A questi compiti
corrispondono 6 classi: agricoltori, artigiani, guerrieri, benestanti, sacerdoti e magistrati.
Deve sussistere un rapporto di proporzione tra le parti che formano la polis in modo da armonizzare gli
individui e le loro attività con il tutto e conseguire l’ordine.
Il Senso del limite delle presiedere alle attività che si svolgono nella polis: la proporzione, la misura,
l’armonia sono i principi sui quali si fonda l’ordine.
Il territorio deve essere scelto in modo da garantire alla città l’indipendenza economica e la difesa: deve
essere fertile ed avere uno sbocco al mare che faciliti i commerci. Deve essere praticabile per i suoi abitanti
e difficilmente accessibile per i nemici. La collocazione ideale della città è tra terra e mare in modo che
possa essere aiutata da tutte le parti.
Il legislatore deve preoccuparsi della sanità della stirpe tramite leggi matrimoniali che devono essere
informate ai criteri dell’eugenetica, sia per prevenire malattie o deformità, sia per esercitare un controllo
sulle nascite. La popolazione deve essere proporzionata alle esigenze della città, né troppo piccola né troppo
grande, in modo da consentire a tutti i cittadini di conoscersi e di comprendere in una visione sintetica tutta
la popolazione. La popolazione deve avere un limite: devono conoscersi reciprocamente; devono condurre
una vita politica autosufficiente.
I popoli possono essere divisi in 3 razze le cui caratteristiche sono determinate dal clima:
1. clima freddo: i popoli dei paesi del nord sono di temperamento vivace ma non molto intelligenti.
2. clima caldo: i popoli del sud (Asia e Africa), sono intelligenti e abili nelle arti ma non hanno forza morale
il che li predispone alla servitù politica
3. clima temperato: solo la stirpe greca che vive in una zona mediana compone i caratteri nordici e quelli
asiatici e ha quindi intelligenza e forza morale. Infatti ha ordinamenti politici liberi.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 20. La classificazione delle istituzioni per Aristotele
Se l’animale è mosso dagli istinti. L’uomo invece si governa tramite la ragione che gli consente di
disciplinare ed educare la sua natura. Il nesso tra comando e obbedienza è la virtù, propria dell’uomo dotato
di ragione, dell’uomo probo. Il legislatore deve far si che i cittadini diventino uomini probi. Il mezzo più
importante per formare un cittadino virtuoso è l’educazione. L’educazione dei giovani deve essere informata
alla costituzione vigente. L’istruzione dei giovani deve essere affidata allo stato perché la preparazione per il
raggiungimento di un fine comune deve essere comune a tutti quelli che si propongono quel fine.
La città ha una formazione complessa ed è composta da diversi elementi: l’elemento più importante è il
cittadini, cioè chi può partecipare al governo della polis. La virtù del cittadino consiste nel saper comandare
e nel saper obbedire.
La costituzione (politeia) ha per oggetto l’ordine delle magistrature, il modo con cui vengono assegnate,
l’attribuzione della sovranità, la determinazione del fine di ciascuna associazione: essa va tenuta distinta
dalle leggi che fissano le norme in base a cui i magistrati esercitano il loro potere.
La classificazione delle istituzioni si basa sul fatto che il governo è il potere sovrano e può essere detenuto
da uno, da pochi o da molti, che possono esercitarlo nel rispetto della comune utilità o nel proprio interesse:
nel primo caso ci sono le 3 costituzioni perfette, monarchia, aristocrazia e politica o democrazia dei liberi;
nel secondo la tirannide, l’oligarchia e la democrazia della moltitudine.
La politica è la costituzione per antonomasia: la cittadinanza è riconosciuta sono a quelli che per condizioni
sociali possono conseguire la virtù del cittadino e sono liberi. I liberi hanno tutti la stessa dignità e diritti e
tra loro vige il principio d’uguaglianza e tutti devono esercitare il potere alternandosi al governo.
All’interno di ognuna delle 6 costituzioni ci sono 3 altre sottospecie. Aristotele fa una distinzione tra
costituzione materiale e formale.
È convinto che solo in una categoria ristretta di persone altamente selezionata dal punto di vista delle
tradizioni e dell’educazione (l’accademia platonica), sia possibile esprimere quell’armonia e concordia di
intenti e quelle capacità intellettuali che sono le premesse perché il governo operi nel rispetto delle leggi.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 21. Il potere della maggioranza per Aristotele
Nella democrazia i molti non hanno alcun sentimento di rispetto e obbediscono solo se obbligati dalla paura
che impedisce loro di commettere malvagità.
Tra la politica e la democrazia ci possono essere tante composizioni intermedie a seconda delle diverse
composizioni sociali della polis. Nella città ci sono le seguenti categorie: agricoltori, operai, commercianti,
guerrieri e politici. La costituzione assume caratteristiche diverse a seconda della prevalenza di questa o
quella categoria.
I molti possono esprimere una opinione più valida e giusta dei pochi: questa è la giustificazione al principio
della maggioranza, norma fondamentale per ogni ordinamento democratico. Accetta la tetrocrazia che
Platone rifiutava: come il pubblico giudica meglio degli esperti l’opera che è stata rappresentata, così la
maggioranza dell’assemblea esprime sui provvedimenti che riguardano il governo un giudizio più affidabile
di quello dei singoli.
Sarebbe però pericoloso ammettere i molti alle magistrature più importanti che detengono la guida politica
della città: essa invece può deliberare sui normali affari pubblici e partecipare alle elezioni dei magistrati.
Così sia attua un contemperamento tra l’aristocrazia o oligarchia e la democrazia e si realizza una
costituzione che è un giusto mezzo tra gli estremi.
Il principio fondamentale cui deve ispirarsi l’ordinamento politico è la sovranità della legge, che deve essere
superiore a qualsiasi cittadino e tutti i magistrati devono essere guardiani e servi della legge. La costituzione
deve sottomettere la volontà dell’uomo a quella della legge. Il principio della sovranità della legge trova la
sua attuazione solo in una costituzione che si basi sulla classe media che è veramente libera in quanto non è
corrotta u fuorviata dagli interessi delle grandi ricchezze né condizionata dalle necessità giornaliere. È in
grado di mantenere l’equilibrio tra ricchi e poveri. Solo una forte classe media può assicurare l’equilibrio
sociale necessario per la democrazia.
Il metodo cui si serve per analizzare i diversi tipi di costituzione è confermato nel libro V della politica
dedicato allo studio delle cause delle tensioni e dei conflitti sociali che sboccano nella trasformazione
violenta delle costituzioni. Il presupposto di fondo è che l’ordine deve essere considerato come il fine ultimo
della politica in quanto scienza dei mezzi più idonei a conservare il potere. Tutti i tipi di costituzione si
equivalgono in quanto garantiscono una certa misura di ordine e stabilità politica.
Si tratta di rendersi conto delle cause che determinano la trasformazione di una costituzione per individuare
le massime per conservarla. Le tensioni, i conflitti e le trasformazioni violente appartengono alla patologia
della polis.
Stasis = sedizione, ribellione, rivolta
Metabolè = mutamento cambiamento, trasformazione della costituzione
I conflitti sociali e politici sono determinati dall’ineguaglianza e dal desiderio di attuare l’eguaglianza.
Possono essere finalizzati alla deposizione dei governanti per sostituirli con coloro che hanno promosso la
rivolta o cambiare del tutto la costituzione.
I fattori che provocano l’insorgere della rivolta sono 3:
1. morale-ideologico, le condizioni che giustificano l’insurrezione
2. lo scopo che si intende conseguire
3. le occasioni che consentono di iniziare la rivolta
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 22. Aristotele - Lotta per il potere
Il governo deve porre una cura costante nella difesa dell’ordine politico, in quanto le rivoluzioni sono la
conseguenza di una serie di atti che considerati isolatamente sono deboli ma nel loro insieme
determineranno una situazione che non potrà più essere controllata.
Chi detiene una certa potenza alla fine cercherà di organizzare una rivolta per avere l’intero controllo del
potere o perché non sopporta che venga detenuto da altri.
Le aristocrazie e le oligarchie finiscono per le lotte e le divisioni interne: vengono promosse da parte dei
ricchi che non hanno parte del potere e con l’aiuto del popolo riescono ad abbattere il governo oligarchico.
Ma può accadere anche che gli esclusi organizzino una rivolta per riconquistare il potere.
Nei regimi monarchici le ingiustizie, la requisizione dei beni privati e il disprezzo con cui sono trattati i
sudditi sono la causa delle rivolte. Occorre distinguere il regno dalla monarchia: il primo si fonda sul
consenso dei sudditi, la seconda esercita un potere indipendente dal consenso.
La tirannide può essere conservata con due politiche diametralmente opposte:
1. applicare i principi e le massime di governo del potere tirannico: controllo totale sui cittadini con spie e
delatori e sorveglianza. Conviene dividere i cittadini sfruttando e alimentando il contrasto tra ricchi e poveri,
soprattutto il sentimento d’invidia delle masse nei confronti dei primi. Poi eliminare e ridurre all’impotenza
le personalità più eminenti tra i cittadini, vietare ogni forma di associazione, ridurre i redditi e il patrimonio
degli abbienti e della classe media, impegnare le energie della città nella guerra.
2. conservare la sostanza del potere imitando nella forma il governo monarchico: il tiranno deve far mostra
di perseguire la pubblica utilità soprattutto in piano finanziario; deve avere un comportamento nobile e
seguire una vita morigerata per ispirare rispetto e non paura; onorare i cittadini più eminenti ma evitare che
qualcuno diventi troppo potente; ridurre l’influenza dei personaggi più rappresentativi ma con cautela e non
in modo drastico; governare in modo che i ricchi e i poveri si convincano che possano sopravvivere solo
grazie al suo potere.
Le trasformazioni della politica e della democrazia sono provocate dalla mancata osservanza del diritto
Nelle democrazie occorre impedire che il cittadino acquisti una potenza tale da mettere in pericolo la stessa
costituzione. Sono necessarie norme che consentano all’assemblea di allontanare dalla polis coloro che
possono assumere per la loro autorità, l’iniziativa di una modifica radicale della costituzione.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 23. L’esperienza politica romana
Gli elementi costitutivi della civica romana erano:
- la gens: gruppi di famiglie che riconoscevano un progenitore comune
- i loro capi (patres familiarum)
- il rex
- il populus: l’insieme degli armati forniti dai gruppi gentilizi
la famiglia e la gens erano comunità sovrane: il pater familias aveva la signoria assoluta su tutti i suoi
soggetti, parenti e clienti e diritto di vita e morte sugli stessi.
Il rex aveva l’imperium: era comandante militare, sacerdote e giudice. Era assistito da un consiglio di
anziani e per le pratiche del culto da un consiglio di auguri e poi di pontefici che avevano il compito di
custodire e interpretare le tradizioni religiose
Il popolo era formato unicamente da guerrieri partecipava alla creazione del re mediante l’acclamazione
espressa nei comizi curiati.
La plebe, costituita da piccoli proprietari, cittadini liberi, artigiani, che non appartenevano a nessun gruppo
era esclusa dalla civica e sottoposta al dominio delle gentes. La contrapposizione tra patrizi e plebei
caratterizza la storia della costituzione del diritto romano.
La necessità di difesa e di espansione del dominio imposero la trasformazione dell’esercito gentilizio basato
sulla cavalleria in esercito oplitico fondato sulla fanteria pesante che richiedeva un reclutamento che finì per
coinvolgere anche la plebe. Il territorio cittadino fu diviso in 31 circoscrizioni (tribù) che erano la base per il
reclutamento e per il pagamento dei tributi. A tal fine il popolo era distinto in 6 classi sulla base del censo in
193 centurie che fornivano i diversi contingenti dell’esercito.
Ai comizi centuriati furono demandate le dicisioni sulla pace e sulla guerra, l’elezione dei magistrati,
l’approvazione delle leggi.
Intorno al 509 l’oligarchia gentilizia sostituì al rex una magistratura annuale, prima il magister populi, poi
due pretori e infine due consoli. L’imperium trovava dei limiti sia nella breve durata dell’incarico sia nella
collegialità in quanto uno dei due poteva bloccare le iniziative del collega.
L’esigenza della sempre più complessa organizzazione della civica portarono all’istituzione delle altre
magistrature della repubblica:
i censori (ex consoli) che avevano il compito di iscrivere i cittadini nelle liste censuarie e sottintendevano la
morale pubblica
i questori ai quali fu affidata l’amministrazione dell’erario
i pretori che sovrintendevano la giustizia
gli edili curuli competenti per la polizia urbana
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 24. Dittatura nell'antica Roma
Magistratura straordinaria è la dittatura, deliberata dal senato in caso di grave pericolo della civica.
Nella costituzione repubblicana si distinguevano le magistrature cum imperio (dittatori, consoli e pretori) e
quelle cum potestate che avevano dei compiti definiti dalla legge.
Dopo l’instaurazione dell’ordinamento repubblicano e l’esercito cittadino l’esclusione della plebe dai
benefici della civica non poteva più essere mantenuta a lungo.
L’aristocrazia rappresentata dal senato accolse le richieste di un primo riconoscimento della plebe nella
civica repubblicana, con l’istituzione di una nuova magistratura ed organi propri della plebe.
Furono istituiti 10 tribuni della plebe con la facoltà di esercitare lo ius auxili e lo ius intercessionis contro
giudizi penali o arresti illegali e provvedimenti arbitrari a danni dei plebei e imporre il veto agli atti pubblici
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 25. Diritto e costituzione nell'antica Roma
Il diritto è l’anima della civica, è la sua ragion d’essere. È la logica giuridica che consente di organizzare la
civica. Il diritto è connesso con le norme di carattere sacrale e religioso e per molto la sua regolazione
rimase prerogativa del collegio dei pontefici. Ma si cominciò dal periodo monarchico a distinguere ciò che si
riferisce direttamente al sacro, il fas, e ciò che invece è manifestazione dell’imperium del rex.
La giurisprudenza è la fonte più importante delle norme giuridiche che riguardano la disciplina dei rapporti e
degli interessi dei singoli. Si pone così la distinzione tra privato e pubblico. Il privato trova la sua disciplina
sulla base dell’iniziativa dei singoli. Il diritto pubblico trova la sua fonte nella lex, approvata dai comizi
curiati.
La costituzione è il modo per trasformare la civica in una repubblica il cui fondamento è dato dal diritto.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 26. Tre posizioni tipiche del comando nell'antica Roma
imperium: è un potere originario nel senso che non promana dall’ordinamento giuridico-politico della res
publica ma attiene all’esistenza stessa della civitas, alla sua unità reale. È illimitato e si estende su tutto e su
tutti.
auctoritas: questa forma di comando scaturisce dalla preminenza e dal prestigio che una persona, un ordine,
un’istituzione hanno nella società, indicata con il termine autorità. L’ordinamento repubblicano riconosce un
ruolo importante per l’auctoritas del senato, per la quale le proposte di legge dovevano ricevere l’assenso del
senato
potestas (il potere): la volontà è l’energia che dà vita all’azione, distinta dalla ragione. Una volta scoperta
l’autonomia della volontà, per portare a compimento l’azione non basta volerla, si richiede che il soggetto
abbia un potere adeguato per realizzarla. Il diritto fa sussistere il potere degli associati, del singolo, dei
magistrati, del popolo. La ragion d’essere del potere sta nell’organizzazione della società attuata con il
diritto.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Storia delle dottrine politiche 27. Polibio: la costituzione
Dopo la vittoria definitiva su Cartagine che la potenza romana era destinata a dare attuazione al programma
di Alessandro Magno di unificazione del mondo abitato.
Dice che la costituzione è connessa con la vita della città.
Le comunità si costituiscono per un istinto proprio di tutti gli esseri viventi che si uniscono per difendersi
dai comuni pericoli: il gruppo riconosce come guida l’essere più dotato e forte. La ragione, che distingue
l’uomo dalle bestie è nella consapevolezza dei benefici che la vita sociale procura. La comunità promuove la
formazione di sentimenti e di convinzioni comuni circa il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Ciò consente
agli uomini di intendere il vantaggio che loro deriva dal conseguire le norme della virtù.
La prima costituzione è la monarchia, dalla sua degenerazione deriva la tirannide. A questa subentra il
governo dei ricchi e dei potenti contro la quale insorge il popolo per instaurare la democrazia. Ma anche
questa degenera in oclocrazia (dominio della moltitudine) che determina una situazione di lotte di partiti e
fazioni alle quali pone termine la monarchia. Questo è il compimento del ciclo delle costituzioni.
Ogni costituzione ha in se stessa i principi, le cause della sua corruzione-degenerazione e della decadenza e
dissolvimento.
Nelle costituzioni rette il potere si fonda sul consenso dei governati, in quelle degenerate sulla forza e sulla
paura. Nella monarchia e nell’aristocrazia chi governa si avvale della persuasione e rispetta i limiti che gli
sono posti dai valori etico-religiosi, dalla giustizia.
Ogni costituzione si fonda su un accordo tra chi detiene il potere e la maggioranza degli associati. Quando
questo rapporto di fiducia viene meno la costituzione comincia a corrompersi. La crisi di questo patto di
governo deve essere imputata a chi detiene il potere. Il governo richiede una sana virtù civile, ma questa
virtù si consuma con il tempo e già nella seconda generazione comincia a subentrare nei governanti
l’orgoglio e il desiderio di primeggiare che suscita risentimento e odio del popolo.
Descrive il passaggio dalla democrazia all’oclocrazia: Con il passare delle generazioni si modificano i
sentimenti e le convinzioni e il popolo decade a livello della plebe, della moltitudine e si confonde con essa.
Il potere passa così dal popolo alla moltitudine, che diventa il dispotico signore dello stato.
Polibio dice che si possono studiare degli accorgimenti per rendere la costituzione più duratura possibile per
garantirne la stabilità. Occorre predisporre un limite al potere e cioè un altro potere che lo freni, che gli
impedisca di diventare assoluto e mutarsi nella forma di governo imperfetto. Per garantire la stabilità, le
costituzioni perfette devono limitarsi a controllarsi a vicenda: la migliore forma di governo deve essere
riconosciuta nella costituzione mista, che riesce a comporre in un armonico sistema i principi delle 3
costituzioni perfette: monarchia, aristocrazia e democrazia.
(Questa costituzione fu realizzata per la prima volta da Licurgo)
a Roma il principio monarchico è rappresentato dal potere dei consoli che hanno il potere esecutivo
comprendente il comando della forza militare e il governo della repubblica; il senato rappresenta il principio
aristocratico essendo formato dai capi dei gruppi gentilizi con un incarico a vita: la sua competenza si
riferisce al potere amministrativo, cioè al controllo elle entrate e delle uscite, alla politica estera, alla
soluzione delle controversie che possono nascere nell’ambito delle relazioni con altri stati. Il potere
giudiziario e legislativo sono attribuiti ai comizi, cioè al popolo che fa così valere il principio democratico.
In tal modo la costituzione romana è formata da organi che si controllano a vicenda bilanciandosi l’uno con
l’altro, realizzando quella costituzione che era nei voti di Aristotele.
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Storia delle dottrine politiche Ma anche la costituzione romana non si sarebbe potuta sottrarre al processo di decadenza che caratterizza
tutti gli stati. Le pressanti richieste della plebe per una più equa distribuzione delle terre pubbliche furono
all’origine del pessimismo dell’aristocratico Polibio.
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Storia delle dottrine politiche 28. Cicerone - De re publica, De legiis, De officii
(106-43) - Gli scritti politici più importanti sono De re publica, De legiis, De officiis.
Fu il teorico della libertà repubblicana di contro agli orientamenti politici che ritenevano essere possibile
garantire l’ordine, la pace sociale, il dominio e la potenza di Roma con una radicale riforma della
costituzione.
Ritiene che la politica rappresenti il culmine dell’attività dell’uomo.
Riconosce un nesso tra teoria e pratica nel senso che l’opera dell’uomo di stato non è altro che l’attuazione
di quei principi, di quei valori che vengono professati in sede teorica: c’è quindi nella politica una riposta
filosofia che si deve riconoscere al fine di migliorare la nostra preparazione.
Rifiuta l’idea utilitaristica e pattizia della società; ritiene che ci sia una naturale predisposizione degli uomini
a vivere in società. La prima vera causa di aggregazione non è la necessità ma il bisogno, il fatto che
L’uomo a differenza degli altri animali può sopravvivere solo se viene allevato, aiutato dai suoi simili.
L’uomo non ama vivere in solitudine ma con gli altri uomini perché solo nella società può esprimere la sua
natura razionale.
L’uomo è portato per natura a conoscere la verità e a far conoscere la verità; a volere la giustizia e farla
rispettare; ad essere benevolenti e generosi. Sono questi i 3 aspetti dell’onesto.
Esistono tanti tipi di società per quanti sono i tipi di solidarietà umana: la famiglia, il gruppo parentale, le
associazioni e le aggregazioni e associazioni particolari.
Lo stato è fondato sulla società degli uomini ma nello stesso tempo se ne distingue per una specifica
autonomia: ciò che consente allo stato di partecipare alla società ma di esserne distinto è il diritto.
Il diritto promana dalla natura dell’uomo ed è connesso ai valori oggettivi che formano l’onesto. Il diritto
trova il suo più valido collegamento con la giustizia che garantisce la sua efficacia di vincolo sociale che fa
di una pluralità di uomini e cose una unità reale, il popolo, la res publica.
Il diritto diventa potere cioè l’attività che fa sussistere ogni forma di vita associata. Senza di esso né la
famiglia, né lo stato, né la nazione, né il genere umano, ne la natura né il mondo potrebbero sussistere.
Cicerone non usa il termine polis che corrisponde in latino a civitas ma si serve del termine res publica per
indicare l’organizzazione politica in quanto tale, connessa con il diritto. La parola status significa
condizione, modo d’essere dove status-republicae indica la costituzione con un significato giuridico-politico.
Lo stato per Cicerone è la cosa pubblica cioè la cosa che appartiene al popolo.
Il popolo non è qualsiasi insieme di individui ma è quella moltitudine che si è associata per una comune
utilità e mediante il vincolo del diritto. I singoli costituiscono una unità e possono diventare popolo solo
grazie al diritto.
Il diritto può rimanere come vincolo fondamentale nella società politica solamente se nello stato, per quanto
riguarda l’organizzazione politica si afferma il principio di libertà. Per Cicerone la libertà è essenzialmente
repubblicana. Si riferisce al ruolo che viene riconosciuto al popolo nella costituzione romana, al fatto che il
popolo sia titolare della summa potestas che corrisponde alla sovranità popolare degli stati contemporanei.
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