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Rosmini: Critica all’economicismo

Rosmini: Critica all’economicismo


Critica l’economicismo cioè la concezione che fa scaturire il movimento della società, il suo progresso, dal sistema di produzione economico industriale e caratterizza il suo pensiero politico. Il suo liberalismo non afferma la centralità dell’utile e dell’economico ma si riferisce al primato della persona.
Dice che l’economicismo ispira gli orientamenti politici prevalenti dell’800, in particolare quelli socialisti e si esprime come la possibilità di disporre mediante le macchine e la corrispondente organizzazione industriale di un’energia inesauribile e di un’entità tale da consentire una produzione in grado di sopperire a tutti i bisogni, liberando l’uomo dal condizionamento della miseria e della scarsità dei beni: l’uomo sarebbe messo in condizione di realizzare la sua umanità. Questa convinzione presuppone la riduzione del male al male sociale e la deti rousseauviana che si debba rifondare la società in modo che corrisponda alla vera umanità dell’uomo: è questa l’origine di quell’orientamento politico che affida ai mezzi politici a disposizione dei governi la soluzione di tutti i problemi sociali, denominato Perfettismo.
La politica delle società contemporanee è tendenzialmente perfettista perché si ispira a un umanitarismo astratto che misconosce il reale problema del male e non si pone il problema dei limiti inerenti alle cose e alle attività dell’uomo per cui vi sono beni la cui esistenza sarebbe impossibile senza l’esistenza di alcuni mali. La politica deve assumere invece un atteggiamento critico nei confronti del perfettismo: deve tener presente che l’esistenza di un bene impedisce talora di necessità quella di un altro bene maggiore; come pure che l’esistenza di un bene ha connessa l’esistenza di alcuni mali e viceversa. Quindi la politica deve evitare beni che portano con sé mali che sono superiori ai primi ma deve cercare di ottenere il maggiore effetto buono ultimo.
La critica all’economicismo non è una condanna del sistema di produzione industriale che è uno strumento di progresso della società. È solo uno strumento, senza farne una soluzione di tutti i problemi della società: la somma dei mali in questo caso sarebbe maggiore dei beni che apporta.
Il sistema economico non ha in sé il principio di autoregolamentazione. Non accoglie la tesi del liberalismo di ispirazione utilitaristica  di Hume e Smith che la dinamica del sistema economico, libero da condizioni e limitazioni, pervenga autonomamente all’equilibrio.
Ritiene che il governo debba seguire un’attenta politica di sviluppo economico intesa a creare i presupposti perché esso si svolga con ritmi proporzionati alle possibilità e capacità della comunità. Bisogna promuovere una forma di educazione civile e sociale rivolta alle classi meno abbienti affinchè si diffonda la cognizione dei propri interessi. I bisogni artificiali debbono essere proposti in una determinata misura che non pregiudica il benessere delle famiglie e dello stato.
Lo sviluppo economico industriale deve essere informato alla politica dei redditi e commisurata alle reali risorse e alla capacità produttiva della società. I bisogni possono cresce con la stessa progressione con la quale cresce il reddito destinato a soddisfarli, ovvero meno ma non mai di più. Questa politica economica è consona al movimento naturale della società e consente agli individui di conseguire l’appagamento che si basa sulla facoltà di pensiero e non di astrazione. L’appagamento, una volta conseguito può ampliarsi ma con riferimento a una serie di beni determinati che costituiscono l’oggetti di naturali desideri e stimolo a incrementare l’attività.

Tratto da STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE di Filippo Amelotti
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