Sintesi del testo "Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – Artt. 2380 – 2435 bis c.c." di M. Sandulli e V. Santoro.
Sezione VI bis dell'amministrazione e del controllo - Disposizioni generali
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. –
Artt. 2380 – 2435 bis c.c.
di Moreno Marcucci
Sintesi del testo "Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle
S.p.A. – Artt. 2380 – 2435 bis c.c." di M. Sandulli e V. Santoro.
Sezione VI bis dell'amministrazione e del controllo - Disposizioni generali
Università: Università degli Studi Roma Tre
Facoltà: Economia
Esame: Diritto Commerciale (Corso Avanzato)
Titolo del libro: Amministrazione, Controllo e Bilancio nella
Riforma delle S.p.A. – Artt. 2380 – 2435 bis c.c.
Autore del libro: a cura di Michele Sandulli, V. Santoro1. Art. 2380. Sistemi di amministrazione e di controllo
“Se lo statuto non dispone diversamente, l'amministrazione e il controllo della società sono regolati dai
successivi paragrafi 2, 3 e 4.
Lo statuto può adottare per l'amministrazione e per il controllo della società il sistema di cui al paragrafo 5,
oppure quello di cui al paragrafo 6; salvo che la deliberazione disponga altrimenti, la variazione di sistema
ha effetto alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio successivo.
Salvo che sia diversamente stabilito, le disposizioni che fanno riferimento agli amministratori si applicano a
seconda dei casi al consiglio di amministrazione o al consiglio di gestione”.
Relazione § 6. - La principale innovazione consiste nella possibilità di scegliere - oltre al modello
tradizionale di amministrazione e di controllo che si applica in mancanza di diversa scelta statutaria - due
ulteriori modelli di amministrazione e controllo, precisamente il sistema "dualistico" e quello "monistico".
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 2. Il sistema dualistico nella gestione dell’impresa
Il sistema dualistico prevede la presenza di un "consiglio di gestione", e di un "consiglio di sorveglianza".
La gestione dell'impresa spetta esclusivamente al consiglio di gestione, che è costituito da almeno due
componenti anche non soci, ed è nominato dal consiglio di sorveglianza, (art. 2409-novies, primo, secondo e
terzo comma): Al consiglio di gestione si applicano, in quanto compatibili, quasi tutte le norme stabilite per
il modello tradizionale del consiglio di amministrazione (art. 2409-undecies).
Il consiglio di sorveglianza è costituito da almeno tre componenti, di cui almeno uno deve essere iscritto nel
registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia e, salvo quanto previsto nell'articolo
2409-duodecies, secondo comma, è nominato dall'assemblea ordinaria. Esso ha compiti compositi, poiché
gli sono attribuite sia le funzioni di vigilanza e le responsabilità del collegio sindacale (art. 2409-terdecies,
terzo comma e 2409-quaterdecies, primo comma) sia larga parte delle funzioni dell'assemblea ordinaria
(nomina e revoca dei componenti del consiglio di gestione, loro retribuzione, approvazione del bilancio,
promozione dell'azione sociale di responsabilità: art. 2409-terdecies). In considerazione del loro rilevante
ruolo, alle deliberazioni del consiglio di sorveglianza sono in generale applicabili le disposizioni in tema di
voto, di validità e di impugnazione stabilite dall'art. 2388 per le deliberazioni del consiglio di
amministrazione (art. 2409-quaterdecies, primo comma).
Tutte le società che adottano il sistema dualistico sono assoggettate, senza eccezione, al controllo contabile
di un revisore - persona fisica o società di revisione - iscritto nel registro istituito presso il Ministero della
giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il controllo contabile è
obbligatoriamente esercitato da una società di revisione.
Il sistema dualistico di amministrazione e controllo, che è largamente ispirato agli ordinamenti tedesco e
francese e, soprattutto, allo Statuto della Società Europea stabilito dal Regolamento del Consiglio
dell'Unione Europea dell'8 ottobre 2001, attua un modello di "governance" in cui le più importanti funzioni
dell'assemblea ordinaria, che nel modello tradizionale spettavano ai soci e, quindi, alla proprietà, sono
attribuite ad un organo professionale quale è il consiglio di sorveglianza. Si tratta pertanto di un sistema in
cui la proprietà non nomina gli amministratori e non approva il bilancio ma decide sull'elezione del
consiglio di sorveglianza, che è l'organo misto di gestione e di controllo, così indirettamente determinando
le linee del programma economico della società (oggetto sociale) e le modifiche di struttura della società
(operazioni sul capitale, fusione e, più in generale, delibere dell'assemblea straordinaria). Date queste
caratteristiche è quindi il modello di amministrazione che più realizza la dissociazione tra proprietà (dei
soci) e potere (degli organi sociali).
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 3. Il sistema monistico nella gestione dell’impresa
Il sistema monistico prevede un modello di amministrazione sostanzialmente uguale a quello tradizionale: le
principali differenze consistono nella impossibilità di affidare l'amministrazione ad un amministratore unico
e nella eliminazione del collegio sindacale. Quest'ultimo è sostituito dal "comitato per il controllo sulla
gestione", nominato dal consiglio di amministrazione al suo interno e composto da amministratori che non
svolgono funzioni gestionali e che, oltre ad essere in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i
sindaci, devono avere almeno un componente scelto fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili istituito
presso il Ministero della giustizia (art. 2409-octiesdecies, terzo comma). La circostanza che la vigilanza
sull'amministrazione sia svolta, invece che dal collegio sindacale, da un comitato formato all'interno del
consiglio di amministrazione, non determina un minor rigore dell'attività di controllo, poiché la
professionalità, l'indipendenza, i doveri e i poteri di tale comitato coincidono con quelli del collegio
sindacale, e possono anzi essere integrati da codici di comportamento (art. 2409-noviesdecies, che richiama
l'art. 2387).
Tutte le società che adottano il sistema monistico sono assoggettate, senza eccezione, al controllo contabile
di un revisore - persona fisica o società di revisione - iscritto nel registro istituito presso il Ministero della
giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il controllo contabile è
obbligatoriamente esercitato da una società di revisione.
Il sistema monistico, come quello dualistico, è anch'esso largamente ispirato allo Statuto della Società
Europea, e attua un modello di "governance" semplificato e più flessibile rispetto agli altri modelli
alternativi. Esso tende a privilegiare la circolazione delle informazioni tra l'organo amministrativo e l'organo
deputato al controllo, conseguendo risparmi di tempo e di costi e una elevata trasparenza tra gli organi di
amministrazione e di controllo.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 4. Il sistema tradizionale nella gestione dell’impresa
Il sistema tradizionale di amministrazione e controllo, che, come si è detto, si applica in mancanza di diversa
scelta statutaria, continua a basarsi sulla distinzione tra un organo di gestione - amministratore unico o
consiglio di amministrazione - e un organo di controllo, il collegio sindacale. A quest'ultimo, però, in
analogia a quanto previsto dal decreto legislativo n. 58/1998 per le società quotate, è sottratto il controllo
contabile, che, con l'eccezione di cui all'art. 2409 bis, terzo comma (per il quale nelle società che non fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio e che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato, è
possibile prevedere che il controllo contabile sia esercitato dal collegio sindacale: in tal caso, però, il
collegio sindacale è costituito da revisori contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero della
giustizia), è obbligatoriamente effettuato da un revisore - persona fisica o società di revisione - iscritto nel
registro istituito presso il Ministero della giustizia. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio, il controllo contabile è obbligatoriamente esercitato da una società di revisione.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 5. Art. 223-septies att. trans.
“Se non diversamente disposto, le norme del codice civile che fanno riferimento agli amministratori e ai
sindaci trovano applicazione, in quanto compatibili, anche ai componenti del consiglio di gestione e del
consiglio di sorveglianza, per le società che abbiano adottato il sistema dualistico, e ai componenti del
consiglio di amministrazione e ai componenti del comitato interno per il controllo sulla gestione, per le
società che abbiano adottato il sistema monista.
Ogni riferimento al collegio sindacale o ai sindaci presente nelle leggi speciali è da intendersi effettuato
anche al consiglio di sorveglianza e al comitato per il controllo sulla gestione o ai loro componenti, ove
compatibile con le specificità di tali organi”.
Relazione § 16. – […] La norma adegua le disposizioni codicistiche previgenti alle nuove figure di organi
sociali introdotte dal decreto. Nel capoverso si è precisato che il regime previsto si applica anche in tutti quei
casi in cui le leggi speciali demandano ad organismi pubblici (ad. esempio la CONSOB) il controllo sulle
società.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 6. Commento di Gustavo Minervini all’articolo 223-septies att.
trans
La previsione dei 3 modelli di amministrazione costituisce attuazione della legge delega 366/2001. I modelli
attingono dall’ordinamento tedesco (dualistico) e anglosassone (monistico).
Ci si può domandare se alla variazione del sistema di amministrazione si possa applicare la “facilità
deliberativa” (art. 223-bis, per cui l’assemblea straordinaria delibera a maggioranza semplice, qualunque sia
la parte di capitale rappresentata dai soci partecipanti); ciò probabilmente costituirebbe una forzatura.
Si è scelto di adottare come testo-base il complesso di regole per il modello tradizionale. Per gli altri 2 è
prevista una disciplina specifica, con rinvii al testo-base. Difficoltà interpretative: la disposizione del codice
sancisce l’applicabilità (comma 3) delle regole relative agli amministratori agli organi complessivamente
considerati, mentre la norma transitoria considera i singoli componenti; ancora, la limitazione del codice
prevede l’applicabilità “salvo che sia diversamente stabilito”, mentre la norma transitoria dispone “in quanto
compatibili”. Inoltre, oltre ai rinvii generali illustrati, vi sono rinvii puntuali, con la sola limitazione “in
quanto compatibili”, che costringono l’interprete alla valutazione norma per norma della compatibilità: per
l’articolo 2409 si applicano al consiglio di gestione numerose norme relative agli amministratori, al
consiglio di sorveglianza varie norme sul collegio sindacale e sul controllo contabile, al comitato per il
controllo sulla gestione norme sul collegio sindacale.
Altro rinvio generale: comma 2 dell’art. 223-septies, ma dà un contributo all’individuazione del concetto di
compatibilità (compatibilità con la specificità degli organi). Tale disposizione ha lo scopo di consentire
l’utilizzo dei sistemi di governance dualistico e monistico anche nelle società emittenti azioni quotate nei
mercati regolamentati (su richiesta esplicita della Consob di una norma-tampone in attesa del coordinamento
tra diritto comune (delle spa) e diritto speciale (delle quotate); questo per evitare arbitraggi normativi tra i
modelli); è richiesto anche dalla Relazione (Nel capoverso si è precisato … ). Il Tuf prevede, per le spa
quotate in borsa, una disciplina speciale e rigorosa per il collegio sindacale (artt. 168 ss.); tale disciplina, per
la norma sopra richiamata, si estende al consiglio di sorveglianza del dualistico e al comitato per il controllo
sulla gestione del monistico (compatibilmente con la specificità di questi organi). L’art. 2409 octiesdecies
comma 6 (Al comitato per il controllo sulla gestione si applicano altresì, in quanto compatibili, gli articoli
2404, primo, terzo e quarto comma, 2405, primo comma, e 2408), in relazione al limite della compatibilità
con la specificità degli organi, pone difficoltà interpretative che non possono essere lasciate all’interprete; il
Governo dovrà emanare disposizioni correttive e integrative (potere attribuitogli dalla legge delega), dal
momento che alle spa quotate si richiede trasparenza, ma queste hanno il diritto di esigerla dal legislatore.
Qualcuno sostiene che i nuovi modelli siano appiattiti su quello tradizionale, con nucleo normativo esiguo e
rinvii al sistema tradizionale; tuttavia la molteplicità delle fonti normative e l’opinabilità della compatibilità
rendono elastica la disciplina, tutta affidata alla fantasia dell’interprete.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 7. Art. 2380 bis. Amministrazione della società
La gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni
necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale.
L'amministrazione della società può essere affidata anche a non soci.
Quando l'amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione.
Se lo statuto non stabilisce il numero degli amministratori, ma ne indica solamente un numero massimo e
minimo, la determinazione spetta all'assemblea.
Il consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi componenti il presidente, se questi non è nominato
dall'assemblea.
Relazione § 6.III.1.
La gestione dell'impresa sociale spetta in via esclusiva agli amministratori (art. 2380 bis, primo comma), i
quali hanno poteri di gestione estesi a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale (art. 2380 bis, primo
comma) e una rappresentanza generale per tutti gli atti compiuti in nome della società (art. 2384, primo
comma). Lo statuto o l'atto di nomina o di delega possono limitare in vario modo questi poteri di gestione o
di rappresentanza, o entrambi, anche prevedendo una dissociazione tra rappresentanza generale (ad esempio
attribuita al presidente) e poteri di gestione (ad esempio attribuiti al consiglio, al comitato esecutivo o ad
amministratori delegati).
In tutti questi casi le limitazioni "che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti"
(articolo 2384, secondo comma, nonché articolo 9.2 della direttiva n. 151 del 9 marzo 1968 del Consiglio
dei Ministri della CEE), anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi
abbiano intenzionalmente agito a danno della società (art. 2384, secondo comma). Nei rapporti esterni, per
tutelare l'affidamento dei terzi - e salva l'exceptio doli - sia gli atti compiuti dall'amministratore munito del
potere di rappresentanza ma privo del potere di gestione (atti estranei all'oggetto sociale o casi di
dissociazione del potere di rappresentanza dal potere di gestione), sia gli atti che eccedono i limiti - anche se
pubblicati - ai poteri di gestione o di rappresentanza, rimangono validi e impegnativi; nei rapporti interni,
invece, la mancanza o eccesso di potere o l'estraneità dell'atto all'oggetto sociale restano rilevanti quale base
per un'azione di responsabilità (art. 2393 e 2393 bis), quale giusta causa di revoca (art. 2383, terzo comma),
e quale motivo di denuncia al collegio sindacale o al tribunale (artt. 2408 e 2409).
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 8. Commento di Michele Sandulli all’art. 2380 bis: i compiti
dell’amministratore
La norma conferma testualmente alcune previsioni contenute nel sostituito art. 2380, cioè: la possibilità che
l’amministrazione possa essere affidata anche a non soci; la possibilità che sia affidata ad un amministratore
unico o a più amministratori, i quali, in tal caso, costituiscono il cda; il potere dell’assemblea di determinare,
al momento della nomina, il numero degli amministratori, se lo statuto (prima “atto costitutivo”; ma è solo
una precisazione, in quanto per l’art. 2328 lo statuto, anche se atto separato, è parte integrante dell’atto
costitutivo) ne indica solo un massimo e minimo; il potere del cda di nominare il proprio presidente tra i suoi
componenti (prima “membri”), qualora non sia di competenza dell’assemblea.
Non sembrano esservi modifiche, se non minime varianti formali, alle disposizioni richiamate.
Il comma 5 si applica anche al consiglio di gestione (dualistico), per via del richiamo del 2409-undecies,
mentre l’intero articolo si applica, in quanto compatibile, al cda del monistico, per il richiamo del 2400-
noviesdecies.
La normativa previgente non dava alcun cenno al contenuto del rapporto di amministrazione (solo
fattispecie generiche sulla responsabilità degli amministratori); ora il comma 1 descrive i compiti degli
amministratori e rende l’attività gestoria un dovere previsto dalla legge (prima un dovere previsto solo da
statuto, lacuna del codice del 1942), che si aggiunge ai loro altri doveri (tenuta delle scritture contabili,
convocazione dell’assemblea, ecc.). Concettualmente vanno distinti i compiti di gestione dell’impresa e di
amministrazione della società, dove l’adempimento dell’uno non implica l’automatico adempimento
dell’altro; inoltre, il criterio per cogliere inadempimenti è diverso: nel primo caso va cercato il nesso di
causalità tra un fatto pregiudizievole e un comportamento almeno colposo del soggetto cui il fatto è
imputabile, mentre nel secondo caso può aversi inadempimento per omissione (es.: convocazione
assemblea), per violazione di divieti (divieto di disporre di azioni proprie della società), per false o inesatte
rappresentazioni della realtà (bilancio, ecc.), per mancato rispetto di norme di amministrazione della società,
in ragione dell’esercizio dell’attività d’impresa (es.: continuazione dell’attività ordinaria anche in presenza
di una causa di scioglimento). La legge (2381) definisce materie e limiti entro i quali gli amministratori, per
previsioni statutarie, possono delegare l’esercizio delle funzioni proprie della carica.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 9. Commento di Michele Sandulli all’art. 2380 bis: Il rapporto di
amministrazione
La norma menziona due aspetti del rapporto di amministrazione: la responsabilità della gestione e il
compimento delle operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Il termine responsabilità va
inteso:
- sia come competenza esclusiva: tali poteri non possono essere trasferiti a soggetti esterni al cda, e soggetti
terzi o altri organi non possono esercitarli; principio inderogabile sia in via statutaria che negoziale. Qualora
si contravvenisse a tale disposizione, rispondono nei confronti della società e dei terzi sia gli amministratori
che l’hanno consentito, sia i terzi che si siano ingeriti nell’attività di gestione. Gli amministratori non
possono, nello specifico, delegare di propria iniziativa all’assemblea particolari decisioni; per i casi
espressamente previsti da statuto, l’assemblea può solo autorizzare determinati atti. Unica possibilità di
deroga: nel caso in cui siano venuti a mancare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, il collegio
sindacale si sostituisce per i soli atti di ordinaria amministrazione e finché non sia ricostituito l’organo; per
gli affari urgenti, il collegio sindacale può sostituirsi anche qualora sia venuto meno taluno degli
amministratori, finché non sia reintegrato il numero statutario dei componenti del cda.
Qualora la società sia soggetta a direzione e coordinamento da parte di un altro ente (la controllante) (2497),
come possono essere compatibili l’esclusivo potere di gestione dell’impresa in capo agli amministratori
della società ed il legittimo potere di direzione e coordinamento della controllante? Può ipotizzarsi una linea
di confine tra “gestione” (riferita ai profili strettamente operativi) e “amministrazione” (riferita a scelte
strategiche, politiche aziendali, programmazione e sviluppo dell’impresa), con la controllante che può
inserirsi, nei limiti dell’ottica del gruppo e nel rispetto dell’interesse della controllata, solo in quest’ultima.
- che come responsabilità in termini giuridici (e questa non necessariamente esclusiva): si tratta di
responsabilità non della gestione, ma per gli effetti pregiudizievoli (i danni) provocati dall’esercizio del
potere di gestione (si può aggiungere la responsabilità della controllante, degli amministratori di fatto, ecc.).
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 10. Commento di Michele Sandulli all’art. 2380 bis: L’atto
costitutivo dell’azienda
Per l’art. 2328 comma 2 n. 3 l’atto costitutivo deve indicare l’attività che costituisce l’oggetto sociale; gli
amministratori devono compiere le azioni che concretizzino l’attività che costituisce oggetto sociale e quelle
necessarie per la sua attuazione. Cioè gli amministratori non possono compiere operazioni che non siano
necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale, e al tempo stesso, quando ciò torni utile alla società, devono
compiere tutte le operazioni necessarie a tali fini; in altri termini, si ammette la legittimità del potere
gestorio non solo per le operazioni rientranti nell’attività compresa nell’oggetto sociale, ma anche per quelle
certamente estranee ad esso, ma che siano “necessarie” per la sua attuazione. La necessari età va intesa come
strumentalità assoluta indispensabile, e non come mera opzione funzionale oggetto di una scelta di mera
opportunità (per evitare che, a causa dell’arbitraria necessari età, gli amministratori possano di fatto ignorare
il limite dell’oggetto sociale).
Nei rapporti interni, il compimento di operazioni non necessarie può essere sanzionato tra società e
amministratori (sul piano risarcitorio o giusta causa di revoca). Nei rapporti esterni, la distinzione tra
operazioni necessarie e non necessarie non ha rilevanza, la società è comunque impegnata e sono tutte
operazioni considerate necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 11. Commento di Michele Sandulli all’art. 2380 bis: Le competenze
degli amministratori
Gli amministratori, come organi “operativi” dell’ente-società, hanno competenze in ordine all’attività
organizzatoria, e in più vi è la possibilità di delegare loro alcuni poteri dell’assemblea (es.: 2443, aumentare
il capitale sociale da 1 a cinque volte fino ad ammontare determinato ed entro 5 anni dalla costituzione della
società; inoltre, i poteri dell’assemblea sono espressamente elencati dalla legge, e tutto quanto non vi rientri
si intende di competenza del cda o dell’amministratore unico), ma è escluso che questi possano delegare
poteri all’assemblea, o che il collegio sindacale ne deleghi agli amministratori; quest’ultimo ha, in alcuni
casi, potere sostitutivo in ordine a particolari doveri degli amministratori (es., 2406: “In caso di omissione o
di ingiustificato ritardo da parte degli amministratori, il collegio sindacale deve convocare l'assemblea ed
eseguire le pubblicazioni prescritte dalla legge. Il collegio sindacale può altresì, previa comunicazione al
presidente del consiglio di amministrazione, convocare l'assemblea qualora nell'espletamento del suo
incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere”).
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 12. Art. 2381. Presidente, comitato esecutivo e amministratori
delegati
Salvo diversa previsione dello statuto, il presidente convoca il consiglio di amministrazione, ne fissa l'ordine
del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie iscritte all'ordine
del giorno vengano fornite a tutti i consiglieri.
Se lo statuto o l'assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni
ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti.
[…].
Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della
delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega.
Sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e
contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società;
valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione.
Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2420 ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501 ter
e 2506 bis.
Gli organi delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e
alle dimensioni dell'impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la
periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e
sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o
caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate.
Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi
delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società.
Relazione § 6.III.2
L'amministrazione della società continua a poter essere affidata ad un amministratore unico oppure ad un
consiglio di amministrazione. In quest'ultimo caso il maggior "costo" della collegialità è compensato da
un'effettiva partecipazione di tutti i consiglieri alla gestione della società. A tale fine sono state aumentate le
attribuzioni non delegabili (art. 2381, terzo e quarto comma); è stato previsto un ampio e periodico obbligo
informativo degli organi delegati al consiglio e al collegio sindacale sulle operazioni più rilevanti per
dimensioni o caratteristiche (anche qualitative, quali ad esempio operazioni atipiche, inusuali o compiute o
deliberate da amministratori interessati), ed esteso anche alla gestione delle controllate (art. 2381, quinto
comma); e si è disposto che gli amministratori debbano agire in modo informato ed abbiano
correlativamente un diritto individuale all'informazione cui gli organi delegati devono far fronte riferendo al
consiglio (art. 2381, ultimo comma) […].
Un'informativa dettagliata è stata poi prevista, come si vedrà, per le operazioni relativamente alle quali un
amministratore abbia - per conto proprio o di terzi - un interesse, anche se coincidente con quello della
società (art. 2391, primo comma).
L'ampia circolazione delle informazioni sulla gestione, con particolare trasparenza sulle operazioni
relativamente alle quali gli amministratori possano, anche per conto terzi, avere un interesse, tende da un
lato a rendere efficaci ed utili le riunioni e le deliberazioni del consiglio (che può impartire direttive agli
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega: art. 2381, terzo comma) e, d'altro lato, a
definire un'articolazione interna del consiglio e del suo funzionamento in cui i rispettivi poteri e doveri del
consiglio e degli organi delegati siano delineati con precisione, in modo che anche le rispettive
responsabilità possano essere rigorosamente definite.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 13. Commento di Carmine Romano all’ Art. 2381: la funzione del
cda
La norma pone l’accento sulla funzione “ordinatoria” del cda, volta a regolare il funzionamento
dell’assemblea: il presidente traduce quest’ultima in una riunione ordinata, che adotti decisioni individuabili
come volontà collegiale; il presidente la dirige, ne dichiara la regolarità della costituzione, apre e regola la
discussione sugli argomenti posti all’ordine del giorno, indice la votazione, controlla e dichiara i risultati,
conferisce ai lavori assembleari unità e correttezza.
La delega, così come nell’ordinamento previgente, è strumento di razionalizzazione delle attribuzioni
amministrative, volto a garantire rapidità ed efficienza nella gestione societaria “riducendo la sfera di
applicazione del principio di collegialità”.
La norma aggiornata si presta ad una duplice chiave interpretativa: da una parte vuole dare un “crisma
normativo” a (rendere espliciti) alcuni principi già affermatisi in giurisprudenza e dottrina sotto la
previgente disciplina (es.: competenza concorrente del cda rispetto alle attribuzioni degli organi delegati),
dall’altra vuole sancire una compiuta regolamentazione dei rapporti tra consiglieri deleganti e
amministratori muniti di delega (così ovviando ad una delle principali lacune del precedente testo
normativo).
Si nota come la legge-delega 366/2001 sia stata puntualmente attuata: prevedeva che il legislatore
riconoscesse adeguato spazio all’autonomia statutaria nell’articolazione interna delle attribuzioni del cda e
che tra gli amministratori delegati e i “non operativi” fosse instaurato un sistema di circolazione delle
informazioni tale da porre questi ultimi nelle condizioni di seguire adeguatamente l’attività dei primi e del
comitato esecutivo.
Il nuovo testo normativo è strutturato su tre linee direttive: la prima, possibilità di creazione di organi
delegati e determinazione di limiti ed ambiti operativi della delega; la seconda, attribuzioni e competenze di
cda e organi delegati; la terza, l’intera norma è pervasa da costante attenzione verso il tema dello scambio di
informazioni tra amministratori.
Come nel vecchio testo, gli organi delegati possono essere costituiti solo se previsto nello statuto speciale o
in una deliberazione assembleare (nel testo previgente c’era meno precisione, si richiedeva solo che fosse
previsto nell’atto costitutivo), e possono essere conferite attribuzioni delegate sia a singoli amministratori
che ad organi collegiali quali il comitato esecutivo; l’attribuzione di mansioni delegate è, come nel testo
precedente, una fattispecie complessa a formazione progressiva: autorizzazione alla delega, delibera
consiliare di delega (che costituisce l’organo e ne nomina i titolari), accettazione della carica; spetta al cda
determinare contenuto e limiti (come nel vecchio testo, sono indicate solo le materie che non possono essere
delegate, cosicché la delegabilità è la regola, le materie non delegabili l’eccezione), e modalità di esercizio
della delega (in attuazione della legge delega, è possibile che le mansioni siano affidate, oltre che a singolo
amministratore o a comitato esecutivo, anche a più amministratori delegati, che possono agire
congiuntamente o disgiuntamente, ed è inoltre possibile la coesistenza di uno o più amministratori delegati e
il comitato esecutivo (col secondo che non può mai sovra ordinarsi al primo, essendo organi paritetici i cui
poteri derivano per entrambi dal cda)).
Le funzioni che non possono essere delegate (comma 4) sono: redazione del bilancio, aumento delegato del
capitale sociale, adempimenti relativi alla riduzione del capitale sociale per perdite, delega all’organo
amministrativo della facoltà di deliberare l’emissione di un prestito obbligazionario convertibile,
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Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – predisposizione del progetto di fusione e scissione. Tutte decisioni delicate per la vita sociale, non delegabili
per non svilire le attribuzioni del cda a meri compiti di sorveglianza, quindi preservare il rilievo e la
credibilità del sistema tradizionale di amministrazione.
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Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 14. Commento di Carmine Romano all’ Art. 2381: rapporto tra cda
e organi deleganti e delegati
I rapporti tra organi deleganti ed organi delegati, e il sistema di informazioni tra questi, assumono ora, nel
nuovo testo normativo, rilevanza centrale (il testo previgente dava luogo ad interpretazioni contrastanti).
Il cda “può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega”;
così si impone la competenza concorrente e sovraordinata del cda sugli organi delegati (come affermatosi in
dottrina e giurisprudenza relativamente al vecchio testo). Questo perché: con la delega di attribuzioni
amministrative non si ha un trasferimento di funzioni, ma la sola autorizzazione a svolgerle; ciò è avvalorato
dall’art.2392 (“In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell'articolo 2381,
sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto
potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”); possono perciò
in ogni momento avocare a sé la decisione in ordine ad un determinato affare (competenza concorrente, che
assicura il coinvolgimento dei consiglieri non delegati nella gestione sociale e rende effettiva la vigilanza del
cda sull’operato del consigliere delegato).
Un altro tema dibattuto sotto il vecchio testo normativo riguarda il potere, per il cda, di impartire direttive
agli organi delegati onde indirizzarne il loro operato. La dottrina si mostrò divisa: da un lato si negava tale
possibilità per la perdita di autonomia e la subordinazione gerarchica dei delegati, dall’altro si consentiva
tale pratica, ma con limiti riguardo al grado di vincolatività delle direttive (quindi si considerava il diritto di
“resistenza” dei delegati). La risposta a tale quesito si evince dal combinato disposto col comma 3 dell’art.
2392 (“La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che,
essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle
deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale”);
questo è da intendersi nel senso che le direttive sono, per il delegato, vincolanti, ma gli è riconosciuta la
possibilità di esimersi da responsabilità laddove ne contesti la legittimità o il merito; tale “dissenso formale”
è comunque l’unica strada che ha l’amministratore delegato per sottrarsi alle direttive.
La tesi è inoltre avvalorata dalla considerazione che l’attività di vigilanza da parte dei non delegati mira sia a
prevenire possibili pregiudizi per la società e i creditori sociali che ad attenuarne le conseguenze; tale attività
può essere svolta solo riconoscendo al cda congrui poteri di impartire direttive per sottoporre l’operato dei
delegati ad un continuo e penetrante controllo.
Molto importante è il tema della suddivisione dei compiti tra organo delegante e organi delegati: gli organi
delegati curano che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle
dimensioni dell'impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la
periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e
sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o
caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate (comma 6); l’ organo delegante, invece, sulla
base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile
della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla
base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione (comma 4).
I flussi informativi tra cda e delegati (mancanti nel vecchio testo normativo) sono fondamentali ai fini del
coinvolgimento del primo nella gestione, altrimenti posto ai margini della gestione stessa della società e
tradita la volontà dei soci (espressa nel senso dell’amministrazione collegiale e non, in concreto tramite le
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Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – deleghe, monocratica). L’importanza della normativa sui flussi informativi è avvalorata dall’art. 2391, dove
si nota come i delegati hanno un dovere di informazione ai deleganti, e questi ultimi un poteve-dovere di
informarsi presso i delegati. Ancora, gli studiosi più attenti sostenevano che la raccolta di informazioni fosse
alla base dell’attività di vigilanza. In mancanza di una disciplina a riguardo, la dottrina faceva discendere
l’obbligo di informazione dai principi generali quale quello di attuazione del rapporto gestorio secondo
correttezza e buona fede, nonché dagli obblighi di comunicazione previsti in capo al mandatario verso il
mandante.
Tale esigenza ha spinto la Consob (Raccomandazione del 1997) a fissare importanti principi a riguardo:
resoconto periodico dell’attività svolta per delega; puntuale informazione al cda delle operazioni che
assumono una incidenza rilevante sulla situazione patrimoniale della società; informazione sulle operazioni
infragruppo di natura sia finanziaria che commerciale.
Anche il Tuf, nel quadro della riforma delle corporate governance, offre spunti di riflessione: l’informazione
periodica (almeno trimestrale) che il cda deve al collegio sindacale implica che le attività svolte dai delegati
siano preventivamente comunicate ai deleganti.
Il comma 5 dell’articolo 2381 sancisce la centralità di tale flusso informativo. Conclude il concetto il comma
6, per cui il cda può chiedere in ogni tempo ai delegati chiarimenti sulle operazioni da questi poste in essere.
Si evince dunque l’esigenza di una gestione sociale basata su un costante “dialogo” tra cda e delegati,
ponendo rimedio alla passività del primo rispetto alla concentrazione di poteri in capo ai secondi (spesso
avvenuto in passato).
Con riferimento al contenuto dei flussi informativi, questi dovrebbero contenere informazioni sintetiche (con
strumenti conoscitivi in particolar modo contabili), utili alla valutazione del generale andamento della
società (presente e futuro), e che consentano una rappresentazione chiara e veritiera dell’andamento
gestionale.
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Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 15. Art. 2382. Cause di ineleggibilità e di decadenza e commento di
Francesca Console
Non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, il
fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici
o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi.
Commento di Francesca Console
Testo identico al precedente. Sono veri e propri casi di incapacità speciale assoluta, cosicché la nomina ad
amministratore di un soggetto ineleggibile deve considerarsi radicalmente nulla. Per “decadenza” si intende
la situazione in cui la causa di ineleggibilità sopravvenga dopo la nomina, provocando l’automatica
cessazione dalla carica.
Le cause di ineleggibilità sono principi di ordine pubblico, inderogabili per volontà dei soci, ma possono
esserne previste di ulteriori nello statuto (2368).
in dottrina si è diffusa la distinzione tra cause di ineleggibilità e di incompatibilità, con queste ultime che
non rendono nulla la nomina, ma obbligano l’interessato a scegliere tra le due cariche incompatibili.
Operando una lettura in combinato disposto col 2387 si nota come il nuovo sistema normativo ammetta
espressamente che in statuto siano previsti particolari requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza
degli amministratori; tutto per garantire ai soci le migliori condizioni di svolgimento dell’incarico gestorio.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 16. Art. 2383. Nomina e revoca degli amministratori e commento di
Francesca Console
La nomina degli amministratori spetta all'assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono
nominati nell'atto costitutivo, e salvo il disposto degli articoli 2351, 2449 e 2450.
Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi, e scadono alla data
dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'ultimo esercizio della loro carica.
Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto, e sono revocabili
dall'assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il diritto
dell'amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa.
Entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiederne l'iscrizione nel
registro delle imprese indicando per ciascuno di essi il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, il
domicilio e la cittadinanza, nonché a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, precisando se
disgiuntamente o congiuntamente.
Le cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la rappresentanza della
società non sono opponibili ai terzi dopo l'adempimento della pubblicità di cui al quarto comma, salvo che la
società provi che i terzi ne erano a conoscenza.
Commento di Francesca Console
Si ribadisce (vecchio testo) la competenza dell’assemblea per la nomina degli amministratori assieme alla
“salvezza” del comma 1 (unica aggiunta il 2351, disciplinante il diritto di voto).
Il vecchio comma 2 stabiliva che la nomina non può essere fatta per un periodo superiore a tre anni, ma non
dava informazioni circa la scadenza, così dava adito a dibattiti in dottrina e giurisprudenza, con alcuni autori
che sostenevano la scadenza al termine del triennio solare, altri con la chiusura di interi esercizi d’impresa
(tesi ripresa e disposta dal legislatore nel nuovo testo normativo, con la precisazione della data di
approvazione del bilancio del terzo esercizio).
Come nel vecchio testo, gli amministratori sono rieleggibili e revocabili dall’assemblea in qualunque tempo,
anche in mancanza di giusta causa (ma con diritto al risarcimento dei danni). Unica modifica, lessicale,
“dello statuto” anziché “dell’atto costitutivo”, in quanto è il primo, e non il secondo, la sede naturale delle
pattuizioni che delineano i profili funzionali della società.
Al comma 4 viene aggiunta la richiesta di specificare quali amministratori posseggono il potere di firma
sociale; sul punto, la precedente riforma (l. 340/2000) non imponeva l’indicazione degli amministratori
muniti di potere rappresentativo, ma si limitava a imporre la necessità di indicare se questi ultimi dovessero
agire congiuntamente o disgiuntamente (lacuna comunque già superabile in dottrina dalla interpretazione
estensiva della previsione dell’obbligo di indicazione del carattere individuale o congiunto della
rappresentanza).
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 17. Art. 2384. Poteri di rappresentanza
Il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è
generale.
Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano […] dallo statuto o da una decisione degli organi
competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano
intenzionalmente agito a danno della società.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 18. Commento di Luca Restaino all’art. 2384: poteri degli
amministratori
Il nuovo testo (espressamente applicabile anche al modello monistico e dualistico) attribuisce agli
amministratori un potere di rappresentanza generale facendo così venir meno la rilevanza dell’oggetto
sociale quale limite al relativo potere.
Prima del dpr 1127/1969 il potere di rappresentanza (delineato dal combinato disposto del 2384 e 2298
comma 1) attribuiva la facoltà di compiere tutti gli atti che rientravano nell’oggetto sociale, salve le
limitazioni risultanti dall’atto costitutivo o dalla procura (opponibili ai terzi se iscritte nel registro delle
imprese o se la società non era in grado di provare che i terzi ne erano a conoscenza).
Si era affermato che in tal modo la società potesse stabilire convenzionalmente il contenuto legale della
rappresentanza, addossando ai terzi sia l’onere di accertare l’estensione di tale potere sulla base delle
risultanze della pubblicità legale, sia il rischio di un’erronea valutazione della corrispondenza dell’atto da
compiere con la previsione astratta contenuta nell’atto pubblicato.
Il legislatore sembrava così voler privilegiare l’interesse della società ad esercitare un maggior controllo
sull’operato degli amministratori e a non restare vincolata dall’attività compiuta dagli amministratori
infedeli piuttosto che un rafforzamento della tutela dei terzi.
Il dpr 1127/1969 attua la direttiva CEE 151/1968 per tutela dei terzi, certezza e celerità delle contrattazioni.
All’art. 9 stabilisce che “gli atti compiuti dagli organi sociali obbligano la società nei confronti dei terzi
anche quando tali atti sono estranei all’oggetto sociale”, “Tuttavia, gli Stati membri possono stabilire che la
società non sia obbligata quando tali atti superano i limiti dell'oggetto sociale, se essa prova che il terzo
sapeva che l'atto superava detti limiti o non poteva ignorarlo, considerate le circostanze, essendo escluso che
la sola pubblicazione dello statuto basti a costituire tale prova”.
Nel recepire la direttiva, il legislatore italiano accoglie il principio per cui il contenuto legale generale della
rappresentanza non è derogabile dall’autonomia privata, ma si avvale della facoltà (concessa dalla direttiva)
di configurare l’oggetto sociale quale limite legale al potere di rappresentanza, dimostrando resistenza al
recepimento di un mutamento radicale della disciplina. Il 2384 attribuiva così agli amministratori un potere
di rappresentanza per tutti gli atti rientranti nell’oggetto sociale, salvo (2384-bis) l’inopponibilità
dell’estraneità dell’atto all’oggetto sociale ai terzi di buona fede.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 19. Commento di Luca Restaino all’art. 2384: rapporto tra oggetto
sociale e amministratori
Ma la riforma fa venir meno la rilevanza dell’oggetto sociale quale limite al potere di rappresentanza legale,
attribuendo agli amministratori rappresentanza generale per tutti gli atti compiuti in nome della società.
L’oggetto sociale continua a delimitare il potere di gestione degli amministratori (vedi commento articolo
2380 bis), ma non costituisce più il confine del potere di rappresentanza degli stessi (viene meno anche la
rilevanza della posizione soggettiva di buona o mala fede del terzo). Così nei rapporti esterni l’atto estraneo
all’oggetto sociale compiuto dall’amministratore munito del potere di rappresentanza, ma privo del potere di
gestione, è valido ed impegnativo; l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale è rilevante solo a livello interno
(azione di responsabilità, giusta causa di revoca, denunzia al collegio sindacale o al Tribunale).
Il comma 1 del nuovo 2384 costituisce la norma definitoria del contenuto del potere di rappresentanza,
mentre in passato si riteneva che lo fosse il comma 2, con l’1 che trattava il rapporto interno di gestione.
La conseguenza del potere generale di rappresentanza è che, dove uno statuto contemplasse il potere degli
amministratori di compiere, in nome della società, solo gli atti rientranti nell’oggetto sociale, sarebbe una
limitazione statutaria al potere di rappresentanza, non opponibile ai terzi anche se pubblicata, neppure
quando si provi che il terzo ne fosse a conoscenza (sarebbe invece necessario provare l’esistenza di un
accordo fraudolento tra amministratore e terzo volto a danneggiare la società).
La rilevanza solamente interna dell’oggetto sociale era già sostenuta da una parte della dottrina, vista
l’impossibilità di formulare un giudizio a priori sulla pertinenza di un atto all’oggetto, potendo ogni atto
essere astrattamente strumentale a qualsiasi attività, e la necessità di tutelare i terzi, che non potevano
effettuare tale valutazione essendo questa di naturale pertinenza di soci e amministratori.
Tuttavia si era sottolineato che un’eccessiva tutela dei terzi può dar luogo ad un rafforzamento della
tendenza degli amministratori a concentrare nelle proprie mani il potere di scegliere discrezionalmente i
settori produttivi in cui investire il patrimonio sociale e che la rilevanza solo interna del limite dell’oggetto
sociale significa non tenere in adeguata considerazione l’interesse dei soci (in particolare quelli di
minoranza) e dei creditori al compimenti di atti intra vires (pertinenti all’oggetto sociale). Per il primo
aspetto, la riforma sembra muoversi verso l’aumento del ruolo degli amministratori quali gestori della
società (2380-bis). Per il secondo aspetto, la libera modificabilità dell’oggetto sociale e la possibilità di
immediata esecuzione della relativa deliberazione dimostrano come l’interesse dei creditori al rispetto
dell’oggetto sociale sia stato sacrificato all’esigenza di garantire alla società la massima libertà d’azione;
l’interesse dei soci di minoranza, invece, sembra essere tutelato solo nei casi di modifica dell’oggetto sociale
consacrati in una delibera assembleare, e solo nei casi più rilevanti sotto il profilo del cambiamento
dell’attività della società (la nuova disciplina del diritto di recesso, infatti, prevede la possibilità di recedere,
per mutamento dell’oggetto sociale, solo in presenza di delibere assembleari di questo tipo; tale ipotesi,
caratterizzata dalla possibilità ridotta rispetto alla precedente disciplina (solo delibera assembleare) di
recedere, costituisce una delle ampliate ipotesi di recesso previste dalla riforma). Il problema è che la
rappresentanza generale rende legittime le deviazioni dall’oggetto sociale non solo occasionali, ma anche
sistematiche che, di fatto, mutano l’oggetto sociale; così si modifica la scala degli interessi tutelati, con
quello dei soci al compimento di atti intra vires relegato in posizione secondaria.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 20. Commento di Luca Restaino all’art. 2384: limitazioni ai poteri
degli amministratori
Il testo previgente sanciva l’inopponibilità, ai terzi, delle limitazioni statutarie. Le limitazioni legali, invece,
erano espressamente opponibili.
Il nuovo testo non prevede tale opponibilità ai terzi, ma questo non è argomento sufficiente a ritenere che i
limiti legali al potere di rappresentanza non siano più opponibili ai terzi, poiché l’opponibilità, o meno, di
una limitazione legale dipende dalle conseguenze che derivano dal mancato rispetto della norma che la
contempla, se, cioè, la norma circoscriva, o meno, gli effetti dell’inosservanza al solo rapporto interno di
gestione (anziché anche all’atto compiuto); se prevale la seconda opzione, si è in presenza di una limitazione
legale al potere di rappresentanza degli amministratori.
Il potere di rappresentanza generale dà agli amministratori, a parere di chi scrive, il potere di compiere gli
atti che comportano una trasformazione della struttura dell’impresa.
Il comma 2 parla di limitazioni che risultano da una decisione degli organi competenti: si riferisce alle
limitazioni risultanti dall’atto (dell’assemblea) di nomina dell’amministratore o dall’atto con cui il cda
conferisce la delega di potere ad uno dei suoi membri.
La clausola dello statuto che prevede la rappresentanza congiunta per tutti gli atti della società costituisce, a
parere di chi scrive, una clausola che riguarda l’attribuzione e le modalità di esercizio del potere di
rappresentanza, opponibile ai terzi una volta iscritta nel registro delle imprese, e non una limitazione di cui
al comma 2 dell’art. 2384 (sicuramente applicabile, invece, quando la firma congiunta è prevista solo per
talune categorie di atti, costituendo una limitazione convenzionale al potere generale di rappresentanza degli
amministratori).
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 21. Art. 2385. Cessazione degli amministratori e commento di
Gabriella Troise
L'amministratore che rinunzia all'ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d'amministrazione e
al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del
consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è
ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori.
La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di
amministrazione è stato ricostituito.
La cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel
registro delle imprese a cura del collegio sindacale.
Commento di Gabriella Troise
L’articolo è il risultato di un processo di semplificazione iniziato con l. 266/1997 (legge Bersani), che
vanificava la portata dell’obbligo (imposto dalla direttiva CEE 151/1968) di pubblicazione nel Bollettino
Ufficiale delle spa e srl, in quanto sosteneva che l’obbligo di fascicolo per atti e fatti di cui fosse richiesta la
pubblicazione era assolto con l’iscrizione o il deposito presso il registro delle imprese. L’obbligo di
pubblicazione aveva la finalità di dare tempestiva informazione d’impresa su tutto il territorio; è stato
possibile modificare tale disciplina e abrogare il Bollettino Ufficiale a seguito dell’informatizzazione del
registro delle imprese, che l’UE ha riconosciuto assolvere al meglio tale finalità.
Il termine per l’iscrizione della cessazione degli amministratori nel registro delle imprese a cura del collegio
sindacale è stato portato da 15 a 30 giorni.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 22. Art. 2386. Sostituzione degli amministratori
Se nel corso dell'esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con
deliberazione approvata dal collegio sindacale, purché la maggioranza sia sempre costituita da
amministratori nominati dall'assemblea. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima
assemblea.
Se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall'assemblea, quelli rimasti in carica devono
convocare l'assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti.
Salvo diversa disposizione dello statuto o dell'assemblea, gli amministratori nominati ai sensi del comma
precedente scadono insieme con quelli in carica all'atto della loro nomina.
Se particolari disposizioni dello statuto prevedono che a seguito della cessazione di taluni amministratori
cessi l'intero consiglio, l'assemblea per la nomina del nuovo consiglio è convocata d'urgenza dagli
amministratori rimasti in carica; lo statuto può tuttavia prevedere l'applicazione in tal caso di quanto
disposto nel successivo comma.
Se vengono a cessare l'amministratore unico o tutti gli amministratori, l'assemblea per la nomina
dell'amministratore o dell'intero consiglio deve essere convocata d'urgenza dal collegio sindacale, il quale
può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 23. Commento di Gabriella Troise all’art. 2386: sostituzione di
amministratori con cooptazione
Le modifiche sono in linea con la filosofia della legge delega, ossia maggiore autonomia statutaria.
La modifica del primo comma consolida l’indirizzo che si era diffuso in dottrina e nella Suprema Corte che
preclude la possibilità di ricorrere alla sostituzione di uno o più amministratori attraverso la cooptazione,
quando il venir meno dell’amministratore o degli amministratori determinasse il venir meno non della
maggioranza numerica degli amministratori, ma quella degli amministratori di nomina assembleare e ciò in
funzione del fatto che vi fossero già amministratori cooptati precedentemente. Di conseguenza, la violazione
di tale previsione comporterà l’inefficacia della nomina dei nuovi amministratori cooptati, non la decadenza
dell’intero consiglio. Gli amministratori superstiti dovranno convocare l’assemblea per la nomina dei
mancanti (compresi quelli in precedenza legittimamente cooptati) e nel mentre potranno operare per
l’ordinaria amministrazione e gli atti urgenti.
Con riguardo alla cooptazione nel caso di voto di lista, è necessario, perché la delibera del cda sia efficace,
che si rispettino i criteri del voto di lista, previsti dallo statuto, affinché non si eludano le norme che
garantiscono la presenza di rappresentanza delle liste di minoranza. Per analogia con l’art. 2409-
octiesdecies, si sceglie tra i componenti con certi requisiti e, in mancanza, si procede all’esterno secondo
l’art. 2386; si dovrebbe quindi scegliere tra gli amministratori proposti dalla minoranza, ma non eletti, e se
ciò non fosse possibile, non potrebbe darsi luogo alla cooptazione, ma sarebbe necessaria la convocazione
dell’assemblea per la nomina dell’intero consiglio, dove così potrà essere eletto un candidato espressione
della minoranza.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 24. Commento di Gabriella Troise all’art. 2386: scadenza della
carica di amministratore
La modifica del comma 3 costituisce deroga al principio della scadenza sincronica degli amministratori di
nuova nomina con quelli ancora in carica. Ci si era a lungo interrogati nel tempo su tale possibilità, visto
anche il caso di Mediobanca che evidenziò come numerosi statuti di banche pubbliche prevedessero la
cessazione degli amministratori scaglionata nel tempo. La giurisprudenza (fino alla Suprema Corte)
optarono in senso favorevole, dato che nessuna norma di legge stabilisce l’obbligatoria scadenza
contemporanea.
Aver precisato, poi, “una diversa previsione dello statuto o dell’assemblea”, esclude ulteriori dubbi sulla
necessità di una obbligatoria convocazione dell’assemblea straordinaria.
La modifica del comma 4 introduce la possibilità della clausola (in statuto) simul stabunt simul cadent. La
dottrina ha sempre ritenuto valide tali clausole, mentre la giurisprudenza le riteneva in contrasto con l’art.
2383 comma 3, o contraria allo stesso principio della cooptazione dell’articolo in commento. La posizione
della giurisprudenza è poi cambiata ammettendo tali clausole prima al venir meno della maggioranza, poi
della metà, poi di una minoranza ed infine anche di uno solo degli amministratori.
Tuttavia, la formula “taluni amministratori” sembra aderire alla giurisprudenza che sosteneva valide le
clausole al venir meno della metà o della minoranza.
In caso di voto di lista, se non è possibile designare per cooptazione un rappresentante della minoranza,
potrebbe ritenersi applicabile la clausola che impone la decadenza dell’intero consiglio e, quindi, una nuova
votazione con voto di lista, pur essendo venuto meno un solo amministratore.
Alcuni ritengono che la cessazione sia immediata, altri ritengono che i non cessati siano in prorogatio ai soli
fini della convocazione dell’assemblea. Prevale quest’ultima posizione, i non cessati convocano d’urgenza
l’assemblea per la nomina del nuovo consiglio. Si può comunque prevedere, sempre in statuto (ultimo
comma), che la cessazione sia immediata per tutti gli amministratori, e che a convocare l’assemblea sia,
sempre d’urgenza, il collegio sindacale, che ha poteri di gestione limitatamente al compimenti di atti di
ordinaria amministrazione.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 25. Art. 2387. Requisiti di onorabilità, professionalità e
indipendenza
Lo statuto può subordinare l'assunzione della carica di amministratore al possesso di speciali requisiti di
onorabilità, professionalità ed indipendenza, anche con riferimento ai requisiti al riguardo previsti da codici
di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati. Si
applica in tal caso l'articolo 2382.
Resta salvo quanto previsto da leggi speciali in relazione all'esercizio di particolari attività.
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Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 26. Commento di Michele Sandulli all’art. 2387: codice di
autodisciplina
La disciplina era già presente per le attività bancarie e di intermediazione finanziaria, con regolamenti a suo
tempo emanati dal Tesoro.
Era già presente anche nel codice di autodisciplina di Borsa Italiana Spa, redatto dal comitato per la
corporate governance delle società quotate, e nel codice di autodisciplina per gli intermediari nella
prestazione di servizi di investimento.
La norma è apprezzabile vista la ridotta tutela “reale” delle minoranze e comunque della correttezza, ma
appare più come l’espressione di un’aspettativa da parte del legislatore che come una precisazione, dal
momento che il possesso dei requisiti in oggetto è previsto solo come una possibilità statutaria non
obbligatoria. Dunque sembra non cambiare nulla rispetto al testo previgente, in quanto la presenza di
particolari requisiti per gli amministratori poteva essere inserita in statuto anche prima della riforma; la
nuova norma appare come una semplice forma di sollecitazione, che potrebbe acquistare valore solo se in
futuro gli intermediari, le società di revisione, gli investitori dovessero privilegiare le società che presentino
amministratori dotati di tali requisiti.
La norma, in quanto compatibile, si applica al consiglio di gestione del dualistico e al cda del monistico.
La norma prevede che in statuto siano (eventualmente) indicati quali sono gli “speciali requisiti”, e non
sarebbe quindi legittima una clausola che contenesse solo previsioni generiche o la sola menzione
dell’esigenza del possesso; per ciascuna “qualità” (onorabilità, professionalità e indipendenza) andranno
indicati gli elementi specifici costitutivi della stessa. Spetterà al notaio, al momento dell’iscrizione della
società o al momento dell’iscrizione della delibera assembleare che introduce la clausola in statuto,
verificare la corrispondenza tra requisiti e qualità.
Circa i requisiti, la legge non lascia un’assoluta autonomia statutaria: la scelta deve richiamarsi
necessariamente “anche” alle previsioni dei menzionati codici comportamentali. Tuttavia, a parere di chi
scrive, la previsione normativa sembra soltanto fornire possibili modelli e orientare verso uniformizzazioni
delle previsioni statutarie.
Qualora i criteri fossero generici o contraddittori, la clausola sarebbe nulla e non vincolerebbe l’assemblea
(tamquam non esset).
Qualora, invece, la clausola fosse valida e l’assemblea nominasse amministratori sprovvisti dei requisiti
(oppure questi perdessero i requisiti nel corso del mandato), si applicherebbe la sanzione del 2382
(l’amministratore privo dei requisiti non può essere nominato e, se nominato, decade dal suo ufficio).
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 27. Commento di Michele Sandulli all’art. 2387: criterio
dell’onorabilità
Onorabilità: lo statuto può identificare criteri autonomi al riguardo, con il limite delle norme di ordine
pubblico (non vale lo stesso per gli intermediari finanziari, in cui tale requisito è specificamente definito nel
contenuto: le cariche non possono essere ricoperte da coloro che si trovino in situazioni di ineleggibilità o
decadenza ex art. 2382, siano stati condannati a pena detentiva per uno dei reati che disciplinano l’attività di
intermediazione o alla reclusione per un delitto contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica,
l’ordine pubblico, l’economia pubblica).
Professionalità: se esasperato può avere l’effetto di una “chiusura di casta”, cioè impedire che nuove
capacità possano essere inserite in un organo amministrativo, qualora si richiedessero caratterizzazioni
eccessivamente specifiche nella carica. Per l’art. 2392 “Gli amministratori devono adempiere i doveri ad
essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro
specifiche competenze”, e ci si può chiedere come la professionalità si relazioni “alle specifiche
competenze”: talvolta possono coincidere, ma la professionalità abbraccia un’area più ampia e generale
rispetto alla competenza. Dunque la professionalità va ricercata sulla base di titoli genericamente qualificati,
mentre la competenza va verificata e riscontrata in concreto; la professionalità è un livello di capacità
generale, di cui la competenza potrebbe costituire la specificazione (Es.: la professionalità può essere
rappresentata dal titolo di docente universitario, mentre la competenza dal diritto del lavoro o altro diritto).
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 28. Commento di Michele Sandulli all’art. 2387: criterio
dell’indipendenza
Indipendenza: la norma non specifica se fa riferimento al rapporto con la società stessa, con la controllante o
con le controllate. Tuttavia, anche qualora tale requisito non fosse presente in statuto, la mancanza di
indipendenza può dar luogo a situazioni patologiche quando l’interesse fosse concorrente con quello della
società. Sul tema dell’indipendenza rispetto al gruppo di comando, alcuni sostengono che l’amministratore,
in quanto strumento massimo nell’interesse della società, dovrà da questo essere indipendente, mentre altri
sostengono che egli, quale espressione della formazione contrattuale, debba di fatto attuare la volontà della
maggioranza. Il concetto di indipendenza va inteso non in astratto, bensì in relazione all’effettiva operatività
dove, nella fase di gestione, non dovrà prevalere, sull’interesse sociale, l’interesse proprietario (es.: se la
società ha una propria capacità di ricorso al credito, gli amministratori possono sentirsi non condizionati dal
gruppo di controllo; se è necessario il ricorso a nuovo capitale di rischio, questo potrà essere conseguito solo
se la maggioranza assembleare lo assecondi).
Il requisito dell’indipendenza era ed è invocato (anche se non espressamente) per i componenti del collegio
sindacale: il vecchio 2388 prevedeva come causa di ineleggibilità e decadenza la condizione di coloro che
fossero “legati alla società o alle società da questa controllate da un rapporto continuativo di prestazione
d’opera retribuita” (è una fattispecie di carenza di indipendenza); il nuovo 2399 prevede che “non possono
essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall'ufficio, coloro che sono legati alla società o alle
società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un
rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da
altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza”. Ciò può rappresentare una
traccia di orientamento per il requisito di indipendenza degli amministratori, per identificare il significato
che l’ordinamento intende attribuire al concetto di indipendenza (pur tenendo presente che l’esigenza di
indipendenza è intrinseca nella figura di sindaco, e solo scelta statutaria in quella di amministratore).
Deve riconoscersi che il requisito di indipendenza è espresso in modo molto più severo dal codice di
autodisciplina.
La norma non intende modificare la disciplina contenuta in leggi speciali per società che esercitano
particolari attività, che restano governate da legge speciale in un ambito del tutto autonomo rispetto a quello
codicistico. Ciò per non inserire nelle società non quotate elementi e formule di fonte pubblicistica, onde
riaffermare il loro carattere di autonomia organizzativa ed imprenditoriale.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 29. Art. 2388. Validità delle deliberazioni del consiglio
Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della
maggioranza degli amministratori in carica, quando lo statuto non richiede un maggior numero di presenti.
Lo statuto può prevedere che la presenza alle riunioni del consiglio avvenga anche mediante mezzi di
telecomunicazione.
Le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono prese a maggioranza assoluta dei presenti, salvo
diversa disposizione dello statuto.
Il voto non può essere dato per rappresentanza.
Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo
dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della
deliberazione; si applica in quanto compatibile l'articolo 2378. Possono essere altresì impugnate dai soci le
deliberazioni lesive dei loro diritti; si applicano in tal caso, in quanto compatibili, gli articoli 2377 e 2378
In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle
deliberazioni.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 30. Commento di Filippo Modulo all’art. 2388: caratteristiche del
voto in cda
Le grandi novità sono 2: la possibilità di presenza anche mediante mezzi di telecomunicazione e
l’impugnabilità delle deliberazioni consiliari.
I quorum costitutivi e deliberativi sono invariati (eccetto per la precisazione “dei presenti”), così come il
divieto di voto per rappresentanza (per il principio che la carica di consigliere è un “ufficio
personalissimo”). Si ricordano, in breve, orientamenti di dottrina e giurisprudenza: il cda è un organo
collegiale validamente costituito con la presenza della maggioranza degli amministratori (inclusi quelli in
conflitto di interessi) e delibera a maggioranza dei presenti (esclusi quelli in conflitto di interessi), se lo
statuto non richiede quorum più elevati. I quorum si riferiscono al collegio reale e non al legale (cioè
considerando solo gli amministratori effettivamente in carica), e la collegialità si giustifica per l’esigenza
che la responsabilità sia solidale e che la gestione sia unitaria e attivata da una pluralità di amministratori. La
collegialità può essere modulata in statuto (anche fino a richiedere l’unanimità (ma per alcuni si violerebbe
il principio della “facilità deliberativa”)), ma il quorum costitutivo non può essere inferiore alla maggioranza
degli amministratori in carica.
La presenza mediante mezzi di telecomunicazione (teleconferenza o videoconferenza) appare superflua visto
l’orientamento consolidato in tal senso sia in dottrina che in giurisprudenza, ed accolto dai notai (che
accettano statuti contenenti tale clausola), “a condizione che tutti i partecipanti siano identificabili e che sia
loro garantito l’intervento in tempo reale nella discussione” (decreto Tribunale di Roma 24/02/2007).
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 31. Commento di Filippo Modulo all’art. 2388: impugnabilità delle
delibere del cda
I commi 4 e 5 sono totalmente nuovi e mirano a dissipare precedenti dubbi rispetto ad una questione ancora
dibattuta in dottrina e giurisprudenza. La giurisprudenza ammetteva l’impugnabilità attraverso
un’applicazione analogica della disciplina delle delibere assembleari, in quanto le delibere del cda sono sì
speciali, ma non eccezionali o contrarie rispetto alla comune disciplina della nullità e annullabilità degli atti
giuridici. La dottrina era ancora contrastata, taluni ammettevano l’impugnabilità solo per amministratori e
sindaci, non per i soci (a meno che la delibera sia nulla, in tal caso impugnativa possibile anche per questi
ultimi). Il dibattito era ancora aperto, poi, sia in dottrina che in giurisprudenza con riguardo
all’impugnabilità, per il socio, di delibere consiliari “lesive dei suoi diritti” (ossia i suoi singoli diritti,
interessi del singolo socio).
Tuttavia il nuovo 2388 lascia aperti alcuni aspetti, quali le modalità di svolgimento delle riunioni consiliari,
la convocazione del cda e la rilevanza delle verbalizzazioni rispetto alle deliberazioni adottate, che hanno,
per la giurisprudenza, funzione certificativa della volontà formata con la votazione, fermo restando che la
delibera, anche se non verbalizzata, è efficace nel momento della sua approvazione e circa il diritto dei soci
di ispezionare i libri sociali.
Non si dice nulla nemmeno circa la possibilità di impugnare le delibere consiliari per nullità; probabilmente
si è preferito lasciare alla giurisprudenza l’onere di valutare caso per caso se determinate violazioni possano
essere impugnate per alcune cause di nullità entro i tre anni, quindi decorsi i 90 giorni di tempo per
amministratori e sindaci.
Si dibatte se siano legittimati all’impugnativa solo gli amministratori assenti o dissenzienti, o anche gli
astenuti. La questione appare risolta dal nuovo 2377 per le deliberazioni assembleari, in cui si fa esplicito
riferimento anche agli astenuti.
Altra questione riguarda i requisiti partecipativi e i limiti, per le impugnative dei soci, previsti per le delibere
assembleari (2377); sembra di sì, dato che il 2388 fa esplicito riferimento al 2377 (“L'impugnazione può
essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto con riferimento alla
deliberazione che rappresentino, anche congiuntamente, l'uno per mille del capitale sociale nelle società che
fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il cinque per cento nelle altre; lo statuto può ridurre o
escludere questo requisito. Per l'impugnazione delle deliberazioni delle assemblee speciali queste
percentuali sono riferite al capitale rappresentato dalle azioni della categoria. I soci che non rappresentano la
parte di capitale indicata nel comma precedente e quelli che, in quanto privi di voto, non sono legittimati a
proporre l'impugnativa hanno diritto al risarcimento del danno loro cagionato dalla non conformità della
deliberazione alla legge o allo statuto.”).
La disciplina si applica, in quanto compatibile, anche al dualistico e monistico (per il 223-septies). Ma si
porranno difficoltà interpretative e questioni di legittimazione per via delle duplicazioni di parte dei
contenuti e a causa di richiami non espliciti in alcune disposizioni.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. – 32. Art. 2389. Compensi degli amministratori
I compensi […] spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti
all'atto della nomina o dall'assemblea.
Essi possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di
sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.
La rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita
dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede,
l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi
quelli investiti di particolari cariche.
Relazione § 6.III.2
[…] Si è anche precisato nell'articolo 2389 che è possibile attribuire agli amministratori, a titolo di
compenso, il diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione; in tal modo si è
confermata la diffusa pratica delle stock-options con la cautela, però, non essendosi modificato l'ultimo
comma dell'articolo 2441, che deliberazioni assembleari in tal senso richiederanno in ogni caso una congrua
motivazione alla luce dell'interesse sociale richiamato dal quinto comma del medesimo articolo, e
l'applicazione pertanto delle maggioranze rafforzate ivi richieste.
Moreno Marcucci Sezione Appunti
Amministrazione, Controllo e Bilancio nella Riforma delle S.p.A. –