Questi appunti sono un'introduzione al diritto romano, suddiviso in tre periodi storici: il periodo antico, quello classico e quello postclassico.
Si parte dalla descrizione dei caratteri generali e dalle fonti del diritto. Si approfondiscono i temi delle persone e della famiglia, della condizione di schiavitù e cittadinanza, della familia, dei beni, dei negozi giuridici e delle obbligazioni. Per ogni tema vengono presentate le caratteristiche in base alla tripartizione periodica.
Istituzioni di diritto romano
di Sara Zauli da Baccagnano
Questi appunti sono un'introduzione al diritto romano, suddiviso in tre periodi
storici: il periodo antico, quello classico e quello postclassico.
Si parte dalla descrizione dei caratteri generali e dalle fonti del diritto. Si
approfondiscono i temi delle persone e della famiglia, della condizione di
schiavitù e cittadinanza, della familia, dei beni, dei negozi giuridici e delle
obbligazioni. Per ogni tema vengono presentate le caratteristiche in base alla
tripartizione periodica.
Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
Facoltà: Giurisprudenza
Corso: Giurisprudenza
Esame: Istituzioni di diritto romano
Docente: Alberto Maffi1. Il periodo romano: caratteri generali
Il periodo antico comprende cinque secoli, iniziati dalle origini fino ad arrivare all'espansione di Roma nel
Mediterraneo.
Il diritto, in questo lasso di tempo, ha subito delle evoluzioni.
Il periodo si può suddividere in due sottoperiodi, aventi entrambi come fonte del diritto le XII Tavole.
Il primo sottoperiodo va dal 754 al 450; il secondo va dal 450 al 242.
I Romani però erano molto legati alle tradizioni, ed era difficile che cambiassero regole, atti, istituti, anche
dopo che le condizioni in cui erano sorti non sussistevano più.
La struttura politica di Roma era costituita da unione di più gruppi parentali (gentes), che si sottoposero a un
unico capo (rex) scelto da loro.
Quindi:
1. alla fondazione di Roma parteciparono le gentes che quindi già preesistevano.
2. Roma fu retta all'inizio da un rex, capo religioso e militare.
3. Che in un primo tempo era debole dato che influenzato dalla gentes.
4. Esso gli permise di emanare precetti validi per l'intera comunità.
All'inizio i romani erano dediti alla pastorizia e all'agricoltura.
Nel campo politico il potere del rex si rafforzò a discapito della gentes. Finito il dominio etrusco ci fu un
impoverimento generale, e tutte le attività non agricole finirono per scomparire.
Nel corso del V e del IV sec. a.c. Furono le qualità militari ad assumere importanza. Prepararsi alla guerra
era l'attività principale dei cittadini romani maschi.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 2. Gentes, familiae, civitas, rex e imperium
I romani erano fortemente legati alle credenze di divinità e del mondo occulto, e si può dire che anche essi
svolgessero una funzione rilevante nella società.
Le gentes acquistarono più importanza all'inizio della repubblica, ma erano destinate a scomparire lasciando
solo scarse tracce nel diritto.
Le familiae invece conservarono la loro importanza e struttura per molti secoli avanti.
La comunità fu dato il nome di Stato o civitas.
Il rex e l'imperium (potere sovrano) imposero le loro decisioni a singoli soggetti o gruppi sociali; lo Stato
per una parte del periodo si occupò di punire solo i delitti di tradimento, di sovversione interna e militari.
Lasciando gli esiti degli altri illeciti alla gens o ad un capo famiglia, oppure ad un cittadino qualunque che
volesse mettere in atto il proprio potere esponendo il suo giudizio.
Quando la civitas collaborava col rex per redimere le controversie, essi esponevano un proprio giudizio,
conferendo poi il potere al capofamiglia vincitore di poter applicare pene e sanzioni ad altri illeciti secondo
il proprio giudizio.
Al loro interno il potere dei singoli capofamiglia era parecchio. Spesso lo Stato, nei rapporti privatistici, non
aveva alcun potere.
Con il passare dei secoli però, la civiltà romana riuscì a separare il diritto dalla religione.
Inizialmente le regole di condotta erano spesso giuridico-religiose. La loro osservanza era assicurata da
sanzioni religiose, o dal timore della vendetta degli dei.
La magia serviva per controllare i modi in cui gli atti importanti della vita sociale dovessero essere compiuti.
Solo tramite le forze occulte avrebbero ottenuto efficacia. Inoltre la magia era anche necessaria per alcune
pene capitali, e poteva costituire l'oggetto di gravissime punizioni.
Il formalismo era la prescrizione di una rigida forma per il compimento degli atti stessi. Era indispensabile,
pena l'invalidità dell'atto. La religione favoriva tale tipo di formalismo tramite preghiere prescritte per
rivolgersi agli dei.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 3. Le fonti del diritto romano
Per “fonte del diritto” si intende quel fatto o atto, da cui “sgorga” il diritto.
Nei primi tre secoli della storia di Roma, gran parte del diritto era costituito da mores, ossia da costumi e
regole non scritte.
Quello stabilito dai mores è un diritto consuetudinario (mos, consuetudo).
Possiamo quindi considerarle come regole giuridico-religiose.
Dato però, che queste regole non erano scritte, la loro stessa esistenza era incerta.
La formazione del diritto romano si articola su tre elementi:
1. il ius civile ordinamento positivo specifico del popolo romano;
2. la iurisdictio determinazione e applicazione del ius da parte del rex in quanto detentore del potere
sovrano.
3. La interpretatio formata dai collegi sacerdotali e dotata di grande autorevolezza in quanto espressa da un
gruppo di specialisti giuridici.
Quindi sono connessi tra loro tanto da formare lo stesso ius civile, che, attraverso l'esercizio della iurisdictio
guidato dalla interpretazione, si determina e si definisce nei suoi contenuti pratici.
Lo ius civile è l'insieme delle mores, che hanno formato la civitas.
Dato però che i mores non erano scritti, spettò ai portavoce ufficiali della volontà degli dei, il potere di
indicare il contenuto e dare la relativa interpretazione di esse.
L'applicazione però spettava al rex, quale capo politico e religioso. Quindi lui doveva decidere cosa fosse
giusto e cosa sbagliato, illecito o lecito, dando così un significato concreto ai mores.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 4. Diritto romano: il collegio dei pontefici
Quindi sin dall'età più antica, spettava a gruppi specialisti, attraverso la loro posizione, ad esprimere la loro
opinione autorevole. (responsum).
Il collegio dei pontefici si occupò dei problemi del diritto privato. La loro attività risale tutta ad un'età
posteriore alle XII Tavole.
I loro pareri potevano avere ad oggetto le questioni più disparate.
Essi potevano avere natura cautelare, quindi l'ammissibilità e la forma di un atto ancora da compiere
(matrimonio, compravendita....); o natura giudiziale, cioè decidere la liceità di un atto già compiuto e su cui
vi fosse una controversia.
Questi responsa erano considerati necessari e vincolanti.
Il formalismo può essere considerato anche il risultato di un elevato grado di tecnicismo. Quindi, la realtà
dei comportamenti viene filtrata attraverso una rappresentazione stilizzata, in cui la forma non rappresenta
ancora l'involucro esteriore, ma costituisce la traduzione di schemi tecnico-giuridici dell'essenza dell'atto nel
suo porsi concreto.
I responsi dei pontefici non stabiliscono solo il modo in cui redimere le controversie o il modo in cui
interpretare le formule durante il processo, ma possono concernere anche la liceità o illiceità di detereminati
comportamenti o atti.
Quindi da un punto di vista sostanziale, i pontefici affiancavano il rex o le parti, o da collegio giudicante. Le
soluzioni delle sentenze venivano semplificate in una serie di regole in cui si sarebbero dovuto attingere per
i successivi casi analoghi.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 5. Diritto romano: le XII Tavole
Secondo i plebei, il potere dei pontefici era da abolire dato che pensavano che andasse a favore dei patrizi
ma a danno loro. Così dal V sec a.c., i plebei rivendicarono la redazione di un corpo di norme scritte.
Nacquero così le XII Tavole. Furono un corpo di norme relative in larga misura al diritto privato e al
corrispondente processo, e costruirono per molti secoli la base del diritto romano. Esso non faceva
differenza tra patrizi e plebei, tranne che per il matrimonio. Iniziò anche la distinzione tra il diritto e le
regole religiose.
In essa, quindi, veniva dato per presupposto tutta la parte dell'ordinamento consuetudinario, senza però
risolvere la trattazione degli elementi del diritto privato (rapporti familiari....), per introdurre una serie di
norme volte a disciplinare aspetti particolari di questi istituti.
Queste norme erano il risultato di regole già introdotte nella pratica alla interpretatio pontificale dei mores.
In altre parole le XII Tavole non hanno comportato alcuna rivoluzione, ma solo la trascrizione delle regole
già esistenti.
Dall'inizio del secondo sottoperiodo iniziò a operare un'altra fonte del diritto: la legge, chiamata dai romani
lex rogata; era un testo normativo proposto all'assemblea popolare dai supremi magistrati e approvato
dall'assemblea stessa e ratificato dal senato.
Accanto ad esse si posero i plebiscita, deliberazioni della plebe che iniziarono ad essere prese in
considerazione dalle assemblee plebee, quando dal V sec. a.c, la plebe iniziò a organizzarsi come comunità a
sé stante anche nell'ambito della civitas.
Tali liberazioni però limitavano solo la plebe, a meno che il senato non le facesse proprie e le deliberasse per
l'intera comunità. Nel 286 a.c la plebe, attraverso la lex Hortensia riuscì a far stabilire i plebisciti come
vincoli per l'intero popolo.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 6. Persone e famiglia: Status e disuguaglianze
Presupposto che la persona sia punto di riferimento per atti o fatti giuridici è la sua esistenza. Doveva
nascere.
Se il neonato apparisse monstrum, o privo di membra, il pater familiae poteva ucciderlo. Con la morte
l'esistenza della persona terminava e venivano prodotti altri effetti giuridici. (eredità).
STATUS: posizione di una persona rispetto ad un gruppo sociale
STATUS LIBERTATIS: stato di libertà: libero/schiavo.
(la libertà era parte essenziale della vita di un cittadino romano)
STATUS CIVITATIS: stato di cittadinanza: cittadino/straniero
STATUS FAMILIAE: posizione che si occupava all'interno del gruppo.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 7. Diritto romano e capacità giuridica
Gli status necessari per avere capacità giuridica erano quelli di libero sui iuris, titolari di patrimonio, se non
potevano essere titolari allora venivano definiti alieni iuris.
Durante il regnum la piena capacità giuridica era riservata agli appartenenti alla gens, coloro che erano
esterni, quindi la plebe, erano in una posizione di inferiorità.
Oltre alla plebe, il sesso femminile era una causa di netta inferiorità giuridica. Le donne erano sotto il potere
del padre o del marito. In mancanza di essi era soggetta ad un tutore; non avevano capacità giuridica, ma
avevano lo stesso diritto di succedere dei figli maschi.
Un'altra categoria di persone erano coloro che, anche se con capacità giuridica, dovevano obbedienza e
lavoro ad un altro soggetto.
CLIENTES: persone estranee alla gens o stranieri, si erano sottomessi a un gens o ad un singolo pater
familias in cambio di protezione; il cliente doveva servizi e obbedienza al pater, ed egli a sua volta era
vincolato da regole etico-giuridico-religiose della fides. Nel caso di danneggio ingiusto, il pater poteva
essere ucciso da un qualunque cittadino.
-analoga era la situazione degli schiavi libertini (liberati), liberti rispetto all'antico proprietario che li
proteggeva e assumeva il potere di patronus.
I nexi, addicti, vades e praedes erano soggetti a poteri altrui a causa di debiti propri o altri. La loro
soggezione era di tipo corporale, il creditore poteva tenerli a se, farli lavorare, venderli o ucciderli.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 8. Diritto romano: liberi e schiavi
Le Istituzioni di Gaio (1.9) affermano che l'uomo si divide in liberi e schiavi.
Lo schiavo non poteva avere nessuna situazione giuridica; che il potere del padrone su di lui era permanente,
in quanto, alla morte dello stesso, sarebbe subentrato un suo erede.
La condizione degli schiavi era simile a quella dei liberi, in quanto molti lavori agricoli, artigiani ecc., erano
compiuti dai liberi stessi.
Nel campo religioso lo schiavo era quasi pari ad un libero, (partecipazione al sacra familiaria, valore
vincolante del giuramento, natura religiosa dove veniva seppellito.) e i limiti religiosi posti al potere del
padrone valevano anche per il diritto.
L'integrità fissa degli schiavi era tutelata dalle XII Tavole. (la rottura di un osso di uno schiavo
corrispondeva alla metà della rottura di un libero).
La sua uccisione invece no, in quanto la legge di Numa punisce solo chi abbia ucciso un homo liber.
Lo schiavo non poteva essere parte di un processo; sia chi, vivendo come schiavo, voleva dimostrare di
essere libero, sia chi, vivendo come libero, sia stato rivendicato da un padrone che lo volesse come schiavo.
Senza adsertor in libertatem esso non poteva dimostrarsi libero. I processi erano comunque a favore della
libertà, infatti, fino alla sentenza, la persona in questione poteva restare libera.
La schiavitù deriva da prigionia di guerra; madre schiava; la deditio (consegna)
Prigionia di guerra e deditio potevano riguardare anche i cittadini di Roma.
La prigionia però non era definitiva, nel senso che, una volta rientrato a Roma il cittadino riacquistava
libertà e cittadinanza. (postliminium).
Altri fattori di schiavitù erano quelli che rendevano il cittadino romano schiavo di stranieri.
a. il debitore che non aveva pagato e aveva subito una manus iniectio.
b. il disertore
c. il renitente alla leva militare
d. chi non si sottoponeva al censimento
Costoro venivano venduti agli stranieri, questo perchè il cittadino romano non poteva divenire schiavo di un
altro romano.
Lo schiavo poteva essere libero unicamente tramite volontà del padrone con la manumissio, che a sua volta
si divideva in: vindicta, censu, testamento.
Vindicta finto processo di libertà, in cui l'adsertor libertatis, dinanzi al rex o magistrato, affermava
solennemente, tenendo in mano una bacchetta (vindictio), che lo schiavo era libero. Mentre il padrone
taceva. Il rex vedendo la mancanza di contenstazione rendeva efficace con la sua addictio la libertà. (l.a
sacramentum in rem)
Censu avveniva ogni cinque anni. Il censimento consisteva nella dichiarazione della propria appartanenza
alla civitas, fatta su autorizzazione del padrone.
Testamento clausola inserita nel testamento, dove il padrone imponeva che dopo la sua morte, lo schiavo
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano fosse libero.
Esso diveniva libertinus e rimaneva strettamente legato all'antico padrone.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 9. Diritto romano: cittadini e stranieri
La cittadinanza romana era un altro elemento necessario per poter essere titolari di situazioni giuridiche.
Questo non significa che gli stranieri siano equiparati agli schiavi, ma bisogna distinguere “stranieri” da
“nemici.”.
Gli stranieri non potevano valersi dei precetti del diritto, o delle legis actio. Ma c'erano delle leggi riferibili
anche a loro.
Una protezione specifica, che gli permettesse di rimanere in territorio romano, era un foedus (trattato)
eventualmente concluso tra la sua comunità e Roma, oppure dall'hospitium concesso da Roma. Questi gli
garantivano protezione da liti, e assistenza economica.
In mancanza di queste clausole esso poteva divenire un clientes, mettendosi così in una posizione di
soggezione dal patronus.
Accordi presenti tra Romani e Latini, permettevano agli ultimi di trasferirsi a Roma e godere di tutti i diritti
di un cittadino Romano.
La cittadinanza romana si acquistava anzitutto per nascita.
Si distinguono due regole: la prima era che se il marito della madre fosse cittadino romano, il figlio
acquistava la cittadinanza; nel secondo caso invece si tratta di nascite al di fuori del matrimonio, dove la
cittadinanza che importava era quella della madre.
La cittadinanza era comunque possibile conferirla a uno straniero, durante il regnum dal re, durante la
repubblica dai comizi. Oppure nel momento di annessione di un territorio conquistato. L'annessione rendeva
ager Romanus tale territorio.
In seguito Roma usò un nuovo sistema di ordinamento dei territori conquistati: formalmente restavano
indipendenti e li vincolava con un foedus. Gli abitanti conservavano così la propria cittadinanza.
(COLONIE).
La cittadinanza romana si perdeva come conseguenza della perdita di libertà, oppure con l'acquisto di una
nuova cittadinanza.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 10. Diritto romano: lo status familiae
Terzo status importante era lo status familiae. Ossia la posizione che si aveva nella famiglia.
La parentela presa in considerazione dal punto di vista giuridico era chiamata adgnatio (nascere accanto), e
comprendeva chiunque sia sottoposto alla patria potestas del medesimo pater familias.
La parentela poteva essere in linea retta o in linea collaterale. Nel primo caso univa gli ascendenti ai
discendenti; nel secondo è il caso in cui, pur avendo un capostipite in comune, non discendevano l'uno
dall'altro.
Per essere sottoposti a un comune pater familias occorreva che la parentela passasse attraverso uomini
poiché i discendenti da donne tramite un legittimo matrimonio appartenevano di necessità alla familia del
padre.
L'adgnatio era dunque una parentela in linea maschile. Erano adgnati cognati.
Coloro che erano parenti di sangue in linea femminile erano solo cognati.
Si ritiene che la famiglia agnatizia sia stata l'autentica familia, gestita da un capo (pater familia) che non
necessariamente era il più anziano, ma i modi in cui veniva scelto erano due: la primogenitura tra gli agnati
del grado più vicino al prescendente pater familias defunto; il testamento.
Alla morte del pater familia, permaneva fra i figli un'unità riguardante il patrimonio, per cui dovevano
usufruirne in comune, senza distinzione tra di loro.
Inoltre alla morte, quelli che erano sottoposti al suo potere, potevano divenire patres familias di altre
famiglie.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 11. Diritto romano: la patria potestas
LA PATRIA POTESTAS: Il pater familias era sui iuris, quindi non era sopposto a nessuno; tutti i suoi
sottoposti invece erano alieni iuris.
Il potere che aveva sui discendenti era chiamato patria potestas. Essa permetteva di impartire ai sottoposti
qualsiasi ordine e di disporre di essi,sia materialmente che giuridicamente. In essa era considerato anche il
diritto di vita e di morte dei sottoposti.
I filii non potevano essere titolari di situazioni giuridiche nel diritto privato, a differenza del diritto pubblico
in quanto i filii familias potevano benissimo prendere parte ai comizi, rivestire magistrature o essere
senatori.
La patria potestas spettava all'ascendente vivo più anziano sui nati da legittimo matrimonio.
Alla sua morte i suoi discendenti più immediati diventavano titolari di una patria potestas sui loro rispettivi
discendenti.
La patria potestas poteva avvenire anche tramite atto giuridico, l'adrogatio, che serviva a sottomettere ad un
pater familias (arrogante) un altro pater familias (arrogato) con tutto il complesso di persone e beni a lui
facenti capo. (assorbimento di una famiglia).
L'arrogato diventava da sui iuris ad alieni iuris. Si estringuevano però debiti fatti da lui o altri.
Non esisteva atto in cui il pater familias potesse volontariamente rinunciare alla potestas, possibile però era
la perdita relativa ad un singolo filius familias attraverso la emancipatio, dove se il padre vende per tre volte
il figlio, egli è libero dal padre.
Venne successivamente esteso un nuovo atto in cui, un filius emancipato poteva essere preso sotto la patra
potestas di un terzo. Questo atto veniva chiamato adoptio: prima dell'ultima manumissio, un terzo
rivendicava tale persona come propria e, non venendo contraddetto dal pater grazie ad un accordo, otteneva
l'addictio a suo favore.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 12. Diritto romano: la manus
LA MANUS: il pater familias aveva sotto la sua potestas anche la moglie e le mogli dei suoi discendenti,
essa viene definita manus.
La manus sulla moglie si differenziava dalla patra potestas in senso stretto: da una parte le mogli del pater
assumevano la figura di mater familias, dall'altra le mogli dei discendenti assomigliavano più a filii familias.
Se la donna che gli andava in moglie era sui iuris e aveva beni propri, questi passavano in blocco al pater
che acquistava la manus di lei.
La conventio in manum era un accordo per creare la manus, necessario per il matrimonio.
Tre modi diversi per acquistare la manus della moglie:
1. confarreatio:ito religioso, che oltre alle parole solenni e ai gesti rituali da parte dei nubendi, dovevano
mangiare insieme un pane al farro. (patrizi).
2. compera della moglie tramite mancipatio: non far andare come schiava la donna ma si assoggettasse alla
sua manus
3. usus acquisto della manus per il decorso di un anno. Simile all'usucapio.
Matrimonio e manus erano due cose diverse. Il matrimonio veniva svolto all'età pubere da parte di entrambi
i nubendi e con il consenso dei coniugi (conubium). La manus invece era un potere sulla donna vivente
come moglie nella familia e spettava al pater familias.
Nel periodo antico per l'una non viveva senza l'altra. La conventio in manum costituiva l'involucro del
matrimonio e lo rendeva giuridicamente rilevante, facendola uscire dalla famiglia originaria per farla entrare
in quella del marito.
Nel caso in cui il marito non fosse sui iuris e il pater morisse, la manus si estingueva, ma non il matrimonio.
Non era possibile il contrario.
La diffareatio era il modo volontario di estinzione della manus, un divorzio. Poteva applicarsi solo quando la
manus era stata acquistata tramite confarreatio.
La manus acquistata tramite coemptio e usus potè estinguersi solo quando si diffuse l'annullamento della
patria potestas. Dato che la moglie veniva vista come figlia e nipote. Emancipata la moglie, il marito doveva
intendersi ugualmente sciolto.
Le persone in mancipio o in causa mancipii erano i filii familias alienati a un terzo mediante mancipatio.
Alla base di questo c'è il bisogno del pater di soldi o vendendo il sottoposto o dandolo come garanzia.
L'acquirente avrebbe, qualora l'alienante avesse restituito la somma in denaro o il periodo di lavoro fosse
finito, remancipato il sottoposto all'alienante.
Un'altra causa di mancipationes poteva essere la volontà del pater di liberarsi della responsabilità
patrimoniale derivategli da un delitto del sottoposto. Dandolo come noxar deditio, cioè per compensare il
danno.
In seguito alla vendita il figlio diventa persona in causa mancipii, cioè nella condizione di mancipium:
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano schiavo anche se resta libero e cittadino.
Alla morte del titotale del mancipium, esse rimanevano sotto il potere degli eredi e potevano essere liberate
solo con una delle manomissioni ammesse nei riguardi degli schiavi.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 13. Diritto romano: sotto tutela o cura
Chi non era sottoposto né a patria potestas, né a manus, né a mancipium, si trovava nella condizione di sui
iuris ma poteva essere sotto tutela o sotto cura. Si poteva divenire sui iuris con l'uscire sia della patria
potesta o dalla manus, sia dalla schiavitù o mancipium. Si poteva anche nascere sui iuris se il pater e gli altri
discendenti fossero premorti.
Tutela degli impuberi impuberi erano i bambini che non avessero ancora raggiunto la pubertà; 14 anni per i
maschi, 12 anni per le femmine.
Tutela muliebre erano sottoposte a tutela le donne puberi.
I tutori erano legittimi e testamentari. Il tutore era il parente in linea maschile più vicino. La tutela spettava
ai gentiles, come spettava a loro il patrimonio ereditario. Gli impuberi e le liberte avevano come tutore il
patrono, che aveva nei loro confronti la posizione di adgnatus proximus.
Gentiles, patrono e adgnatus avevo solo l'interesse della conservazione del patrimonio del sottoposto.
La tutela non era concepita come un istituto a protezione dell'impubere o della donna, bensì come un potere
spettante al tutore nell'interesse proprio e della familia.
Il tutor legitimus poteva rinunciare a esercitare i suoi poteri e trasferirli a un estraneo mediante in iure cessio
(processo fittizio), quindi facendo una vindicatio.
Al tutore spettava la proprietà funzionale: egli doveva conservare e, nel caso, incrementare il patrimonio
dell'impubere e della donna, compresa la restituzione dei beni una volta che l'impubere raggiungesse la
pubertà; e in più doveva proteggere l'interesse della famiglia. Quindi questo carattere funzionale concedeva
al tutore poteri sia della fides sia del diritto.
Quindi possiamo dire che alla donna e all'impubere mancasse la capacità di agire.
Vi erano impuberi fisicamente incapaci di atti giuridici, chiamati infantes, bambini fino ai 5 anni.
Continuava ad essere praticata la gestio. I poteri invece del tutore muliebre si attenuavano con la optio
tutoris, dove i mariti titolari della manus, facevano scegliere alla uxores (mogli) in manu, un tutore che
soddisfacesse i loro desideri. Il tutor optivus.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 14. Diritto romano: i poteri del tutor
Il tutore oltre ai limiti fondati sulla fides, ne avevano anche di strettamente giuridici. Quindi non potevano
sfruttare il potere a loro vantaggio derubando l'impubere o la donna.
- Nel caso di un furiosus (pazzo), considerato incapace assoluto, avevano il potere sulla sua persona e sui
beni gli adgati e i gentiles. Si trattava di un potere familiare, come la patria potestas, ma meno intenso.
La potestas spettava all'adgnatus proximus, e solo in mancanza di essi andava ai gentili. Più tardi la potestas
assunse potere protettivo e iniziò ad essere chiamata cura o curatio, e curator fu chiamato il suo titolare. I
suoi poteri erano strettamente quelli legati all'amministrazione e gestione del patrimonio.
Il potere del curator però non era destinato ad affievolirsi, dato che un furiosus non poteva compiere atti
giuridici conformi al diritto. In più il curator non poteva compiere decisioni strettamente personali, come la
adrogatio o la emancipatio.
- Una norma prevedeva la interdictio del prodigus, cioè per colui che dissipava il patrimonio rischiando di
mandare in rovina i figli. Per effetto giuridico, il prodigo diventava incapace di compiere atti giuridici ai
beni da essa contemplati, e che l'adgnatus proximus assumesse la funzione di curator nei suoi confronti.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 15. Diritto romano: i beni
Res:
bene giuridico
Possono essere titolari di un bene solo i sui iuris, quindi il pater familias.
Una categoria particolare era quella dei res mancipi (beni di proprietà): terra coltivata intensivamente con la
casa o capana in cui abitare; gli schiavi; gli animali domati al giogo o con la sella; la terra altrui verso il
proprio fondo; strade e sentieri; canale e condotta dell'acqua. Tutti gli altri beni sono d'uso personale, quindi
res nec mancipi.
I res mancipi erano più pregiate sotto il profilo economico-sociale, a causa della loro connessione funzionale
con l'agricoltura intensiva.
Diversi erano i modi di trasferimento di proprietà, e qui influiva la distinzione tra res mancipi e res nec
mancipi.
Mancipium:
le res mancipi potevano trasferirsi esclusivamente con questo atto che comporta la pronuncia di parole e il
compimento di gesti. Scambio immediato di un bene contro il prezzo. Con cinque testimoni il compratore
teneva il bene e affermava la sua vindictio.
In iure cessio:
applicazione fittizia della prima parte della l.a. L'acquirente dinanzi al rex o magistrato, faceva la sua
vindictio. L'alienante o rispondeva alla controvindictio con un no, oppure taceva. Allora il magistrato
pronunziava l'addictio a favore dell'acquirente.
La traditio:
consegna materiale del bene con la volontà di trasferirlo o acquistarlo.
La usucapio:
Acquisto mediante l'usus, ossia esercizio di fatto della proprietà o di altri poteri.
L'usus di due anni era necessario per l'acquisto di beni immobili, mentre per beni mobili bastava un anno
(donna trattata come moglie, patrimonio restato vacante per mancanza di eredi ….).
Non serviva che l'usus fosse giustificato, né che il soggetto fosse in buona fede.
L'usus non dava nessun vantaggio di rivendicazione né veniva tutelato; l'unico suo effetto era l'usucapio.
Uno stato uguale all'usus ma relativo a terre dell'ager publicus era il possessio. Tutelato. Era una signoria su
terre facenti parte dell'ager publicus e si sapeva che della proprietà di esse chi esercitava tale possessio non
era e non poteva essere titolare.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 16. Diritto romano: Le legis actiones
Le istituzioni di Gaio è un'organica esposizione storica sulle legis actiones, sulla base di regole già esistenti.
Le legis actiones erano modi di agire aventi ciascuno una data struttura formale, che corrispondeva ad un
dato tipo.
Ciascuna legis actio serviva a tutelare più di una situazione giuridica soggettiva, secondo le indicazioni date
dai mores, poi dalle XII Tav, e dalla loro interpretatio pontificale. Solo le situazioni giuridiche così
riconosciute erano tutelabili, avendo così una duplice tipicità, esterna e interna, ed entrambe conferivano
all'insieme una forte rigidità.
Nonostante la rigidità, molte legis mutarono nel corso degli anni, altre vennero annullate, altre ancora
affermate.
Prima delle XII Tavole esistevano la legis actio sacramento in rem e la manus iniectio.
Le legis actiones più antiche miravano direttamente ad attuare le situazioni giuridiche a cui si riferivano,
ossia a soddisfare l'interesse per loro mezzo riconosciuto dal diritto. (esecutiva).
Tuttavia il soddisfacimento immediato dell'interesse poteva essere impedito: nella l.a. Sacramento in rem
dalla controvindicatio dell'avversario; nella manus iniectio dall'intervento del vindex a difesa del soggetto
passivo.
In entrambi i casi bisognava decidere chi aveva ragione, così la l.a. Sacramento veniva ad assumere la natura
che oggi definiamo “di cognizione”. Concluso il giudizio, eventualmente, poteva riprendere il processo di
esecuzione.
La pignoris capio serviva a soddisfare direttamente l'interesse dell'attore e quindi a costringere un altro
soggetto a soddisfarlo, definendola cosa l.a esecutiva.
Gli atti esecutivi o parasecutivi dipendevano dall'iniziativa del soggetto privato interessato, e inoltre eseguiti
con l'impiego della forza dello stesso soggetto e dei suoi familiari e clienti. L'unica differenza dall'autotutela
era caratterizzato dal controllo della civitas, quindi venivano compiuti alla presenza del rex o magistrato.
Essi controllavano la regolarità formale degli atti e se la situazione giuridica da controllare esisteva oppure
no. In sostanza autorizzava o impediva l'attuazione dell'autotutela. Veniva chiamato ius dicere o iurisdictio.
Se fosse stato necessario un giudizio vero e proprio, inizialmente si ricorreva all'uso di un giudizio religioso
attraverso il sacramentum, successivamente venne nominato dal magistrato un giudice vero e proprio.
Il giudice e l'arbitro venivano scelti, inizialmente tra i patrizi, e successivamente tra i senatori.
Prima della fine del periodo antico vennero istituiti particolari organi giudicanti costituiti da un collegio di
dieci e da uno di cento giudici nominati in modo permanente ogni anno, togliendoli così dalla scelta caso per
caso del magistrato.
I decemviri stlitibus iudicandis erano competenti a giudicare nelle controversie sullo status di libero o
schiavo; i centumviri erano chiamati a giudicare in materia ereditaria.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 17. La legis actio sacramento in rem
Con questa legis actio potevano esser fatti valere i poteri del pater familias, dell'erede e del proprietario
verso i terzi; esso regolava anche i rapporti tra chi si riteneva proprietario di un dato individuo, in quanto
schiavo, e chi invece voleva affermare la sua libertà. Tutelava anche alcuni diritti sui beni.
Come veniva strutturato il processo
L'attore doveva portare in ius la cosa o la persona che affermava essere di sua proprietà, togliendola, nel
caso, con la forza a chi la possedeva, oppure facendo venire il rex sull'immobile di cui si contendeva.
Chiunque volesse contestare la vindicatio dell'attore doveva recarsi spontaneamente in ius e opporsi nelle
forme prescritte.
Dinanzi al rex o al magistrato, come afferma Gai 4.16, facendo l'esempio della vindicatio su uno schiavo,
l'attore con una bacchetta in mano affermava la proprietà di egli.
Il convenuto non poteva limitarsi a negare che lo schiavo appartenesse all'attore, ma aveva l'onere di
affermare che esso apparteneva invece a lui, fare quindi una contravindicatio, parlando e gestendo come
aveva fatto l'attore.
Entrambi affermavano proprio lo schiavo afferrandolo come per strapparselo l'un l'altro di mano.
Se invece dovesse trattarsi di un immobile, in quel caso il rex si reca sul posto vedendo la cerimonia del
manum conserere che consisteva nell'intreccio delle mani di una parte con l'altra; successivamente con le
XII Tavole divenne l'atto solo dichiarato di affermare insieme una zolla del fondo o parte dell'altro bene per
portarla dinanzi al magistrato e lì farne la vindicatio.
L'attore sfidava l'avversario al sacramentum, ossia a giurare in nome di Giove che la propria vindicatio era
conforme al ius.
In un periodo in cui era diffusa la credenza sovrannaturale, era ovvio sperare che una delle due parti non
volesse rischiare la vendetta divina. Secondo Gaio invece l'attore era pronto al giuramento e nel caso in cui
entrambi giuravano, si aveva una situazione di stallo, che veniva superata con un giudizio sulla conformità
al ius dell'uno o dell'altro sacramentum.
In attesa del giudizio il rex o magistrato assegnava il possesso provvisorio del bene ad una delle parti, a
quella che riteneva più probabile vincitrice o che forniva migliori garanzie di restituzione all'altra parte.
L'assegnatario doveva assicurare la restituzione, qualora l'altra parte vincesse, del bene o dei frutti nel
frattempo maturati.
La natura religiosa del sacramentum induce a supporre che anche il giudizio fosse religioso: si aveva un vero
e proprio giudizio di Dio, basato su un modello ordalico, e successivamente un giudizio con cui da parte
dell'uno o dell'altro collegio sacerdotale si scrutava in altro modo il pensiero della divinità.
In entrambi i casi la decisione finale era pronunziata dallo stesso rex supremo capo anche religioso, e
instaurata la repubblica fu dato il compito ai soli pontefici prima della laicizzazione del processo.
Concluso il giudizio, il vincitore poteva tenersi la cosa o la persona, l'altro poteva recuperarla con la forza.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano Questo processo non dava nessun vantaggio al possessore della cosa, in quanto non gli permetteva di negare
l'appartenenza della cosa o persona all'attore, ma lo costringeva ad affermarsi egli stesso titolare del potere
familiare o di proprietà. Lo metteva anche in una situazione di svantaggio in quanto doveva essere il primo a
pronunciare il sacramento. Alla fine il giudizio era relativo, in quanto il giudice dava faceva vincere colui
con il diritto più forte o meno debole.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano 18. La legis actio sacramento in personam
Nasce in relazione all'intervento del vindex a difesa di chi stava subendo una manus iniecto.
Come veniva strutturato il processo:
Iniziava con la ius vocatio.
I delitti nell'età antica erano vari, tra essi c'erano le percosse o il taglio di alberi altrui ecc..; L'attore chiedeva
al convenuto se riconosceva di essere tenuto a una certa prestazione nei suoi confronti.
Le affermazioni da parte dell'attore venivano chiamate INTENDERE.
Dopo Gaio maturò l'idea in cui si doveva sacramento agere per tutti i vincoli.
Questa intentio non era astratta, doveva indicare una causa da cui derivava l'oportere. Alla intentio
dell'attore, il convenuto poteva rispondere con una confessio, quindi di essere vincolato da quell'oportere.
Nel caso in cui il convenuto contestasse la intentio dicendo “nego”, l'attore lo sfidava al sacramentum: “dal
momento che neghi, ti sfido a un sacramentum di 500 assi”. Certamento non poteva essere il convenuto a
sfidare l'attore al sacramentum in quanto erano in posizioni processuali differenti.
Sara Zauli da Baccagnano Sezione Appunti
Istituzioni di diritto romano