Rielaborazione delle lezioni di Diritto processuale civile tenute dalla prof.ssa Besso presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Torino.
Diritto processuale civile
di Luisa Agliassa
Rielaborazione delle lezioni di Diritto processuale civile tenute dalla prof.ssa
Besso presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Torino.
Università: Università degli Studi di Torino
Facoltà: Giurisprudenza
Corso: Giurisprudenza
Esame: Diritto processuale civile
Docente: Besso1. Introduzione generale alla procedura civile
Il testo base della procedura civile è il CPC del 1942 - di cui noi analizzeremo i primi due libri -, ma
troviamo norme processualcivilistiche anche nel Libro VI CC, intitolato «Della tutela dei diritti», di cui il
Capo I del Titolo IV racchiude alcune disposizioni generali in materia di tutela giurisdizionale (=Tutela
davanti al giudice) dei diritti, quali il principio dispositivo EX ART. 2907 C. C., la disciplina generale
dell’azione costitutiva EX ART. 2908 C. C., il concetto di cosa giudicata EX ART. 2909 C. C.; ed in alcune
leggi speciali, di cui si tratterà in seguito.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 2. Funzioni del diritto processuale civile
Oggetto del corso è il sistema giustizia civile, così come offerto al nostro Stato: la giustizia civile è lo
strumento attraverso cui trova tutela il diritto soggettivo, una volta che sia stato violato. Pertanto, mentre il
diritto sostanziale individua astrattamente i diritti soggettivi, il diritto processuale da effettività/effettiva
tutela al diritto sostanziale: nel caso in cui non fosse previsto ex lege alcuno strumento per porre rimedio alla
violazione del diritto soggettivo, l’esistenza del diritto soggettivo ex lege sarebbe una mera enunciazione di
principio.
A tal proposito, bisogna considerare che, se il legislatore italiano si limitasse a prevedere il processo
ordinario di cognizione, cui segue l’assoluzione o la condanna del convenuto (previa pronuncia della
sentenza, egli prevederebbe una tutela in via astratta, ma, in concreto, non darebbe all’attore lo strumento
per ottenere un’effettiva soddisfazione del proprio diritto soggettivo. Infatti, nel caso in cui il convenuto
abbia perso la causa (il che, in linguaggio tecnico, si dice "il convenuto sia soccombente"), egli può
ottemperare o meno alla propria obbligazione; per questo motivo, accanto al processo ordinario di
cognizione, entra in gioco il processo esecutivo, che comporta la sostituzione dell’obbligato, che
spontaneamente non ottempera alla sentenza di condanna, con organi dello Stato dotati di potere coercitivo
[In particolare, un tipo di azione esecutiva è la c.d. espropriazione forzata: il c.d. ufficiale giudiziario
pignora i beni del convenuto inottemperante, vendendoli forzosamente, al fine di ricavare una somma da
versare all’attore creditore, per soddisfarne il proprio diritto soggettivo].
Inoltre, il diritto processuale svolge anche una funzione deterrente: nel caso in cui il legislatore non preveda
strumenti per rendere effettivo il diritto soggettivo violato, i cittadini rispetterebbero ancora di meno i propri
obblighi.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 3. Fasi del processo civile italiano
Salvo casi eccezionali, il processo civile è un processo di parte, un c. d. processo dispositivo (anche detto
principio della domanda): EX ART. 2907.1 C. C., «alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità
giudiziaria su domanda di parte». Ciò significa che il soggetto che si afferma titolare di un diritto soggettivo
(vs soggetto titolare del diritto, quale sottigliezza terminologica che chiarifica che sarà solo il giudice a dire
che si tratta veramente del soggetto titolare del diritto) propone, ad un giudice funzionario dello Stato, una
domanda di condanna nei confronti di un certo soggetto, quando ritenga che il suo diritto sia stato leso da
tale controparte; pertanto, l’attore, al fine di addivenire ad una soluzione della controversia tra sé medesimo
ed il convenuto in giudizio, affida al giudice la decisione della controversia.
Dal canto suo, il giudice dovrà accertare come si sono effettivamente verificati i fatti (addotti a propria
difesa sia dall’attore, sia dal convenuto) e, dopo averli ricostruiti, applicare ad essi la corretta norma
giuridica, emanando una sentenza.
A rigore di logica, quindi, le fasi del processo civile individuate dal CPC e, più in generale, le fasi di
qualunque tipo di processo sono le seguenti:
1. FASE INTRODUTTIVA, in cui sono individuate le parti e la domanda è proposta al giudice;
2. FASE DI ISTRUZIONE DELLA CAUSA, suddivisa a sua volta nella c.d. FASE DI TRATTAZIONE, in
cui sono individuate le questioni controverse di fatto e di diritto, e nell’eventuale c. d. FASE DI
ISTRUZIONE PROBATORIA, in cui sono eventualmente assunti i mezzi di prova (=Elementi dati al
giudice, affinché possa formare il proprio convincimento. Tipico mezzo di prova è la prova testimoniale).
3. FASE DECISORIA, in cui la causa è decisa.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 4. Correttezza e giustizia della decisione del giudice
Per quanto sopra detto, da un punto di vista teorico, un sistema di giustizia civile deve garantire che vi siano
delle decisioni/delle sentenze corrette e giuste, sia dal punto di vista dell’accertamneto dei fatti, sia dal punto
di vista dell’applicazione delle norme giuridiche. COME PUÒ IL LEGISLATORE GARANTIRE LA
CORRETTEZZA E LA GIUSTIZIA DELLA SENTENZA CIVILE? CHE TIPO DI PROCESSO CIVILE
DEVE PREDISPORRE ALLO SCOPO DI AVERE UN SISTEMA EFFICIENTE DI GIUSTIZIA CIVILE?
In primo luogo, il legislatore deve impostare un sistema giudiziario ben funzionante, con un adeguato
numero di giudici e con rispettive adeguate strutture [Infatti, il giudice non opera da solo, bensì è affiancato
dall’ufficio giudiziario, dagli ausiliari del giudice, dal cancelliere, dagli ufficili giudiziari], rispetto al tipo di
domanda di giustizia esistente in Italia.
In secondo luogo, il legislatore deve fissare regole processuali che consentano di conseguire l’obiettivo della
correttezza della sentenza, quali:
-la garanzia della preparazione e della professionalità dei giudici;
-la garanzia del diritto di difesa delle parti, che possano far valere al 100% le loro ragioni;
-la garanzia della collegialità dell’organo giudicante, il che implica una maggiore ponderazione della
sentenza, determinata dal confronto di diverse opinioni riguardo la controversia, purchè i soggetti giudicanti
non superino il numero di 3 o 5 (il che renderebbe la decisione comune troppo difficile da raggiungere, a
causa della molteplice disparità di opinione);
-la garanzia del controllo della sentenza previa impugnazione, il che implica più gradi di giudizio, sempre in
termini ragionevoli;
-[…]
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 5. Tempo regionevole di durata del processo civile ordinario di
cognizione
IL LEGISLATORE PUÒ OPERARE IN MATERIA DI GIUSTIZIA CIVILE, AVENDO COME UNICO
OBIETTIVO/PARAMETRO DI RIFERIMENTO LA CORRETTEZZA DELLA DECISIONE DEL
GIUDICE? No, il legislatore deve tenere contemperare questo obiettivo fonadamentale con il problema dei
tempi, poiché un processo, in cui siano date possibilità difensive senza limiti temporali alle parti ed in cui vi
siano dai 3 ai 5 gradi di giudizio, senza dubbio, porterà ad una decisione più corretta, ma si scontra con il
parametro temporale!
In particolare, il nostro legislatore costituzionale afferma che il legislatore deve garantire che il processo si
svolga in un TEMPO RAGIONEVOLE: che cosa si intende con quest’espressione? PERCHÉ È
IMPORTANTE CHE, AFFINCHÈ IL SISTEMA GIUSTIZIA CIVILE FUNZIONI BENE, LA
DECISIONE SIA PRESA DAL GIUDICE IN UN TEMPO RAGIONEVOLE E CHE, DA UN CERTO
MOMENTO IN POI, NON SIA PIÙ POSSIBILE METTERLA IN DISCUSSIONE [A questo proposito, i
processualcivilisti parlano di efficacia di giudicato: ad un certo punto, scende il giudicato sulla pronuncia del
giudice che, quindi, salvo casi eccezionali, non può più essere posta in dubbio] E, QUINDI, SIA
DEFINITIVA? Dobbiamo pensare che il processo civile è un processo tra privati, motivo per cui è
importante che il privato ottenga una riparazione del proprio diritto in tempi ragionevoli.
ESEMPIO: Pensando ad una sentenza di divorzio, si consideri che il divorzio è un diritto indisponibile,
motivo per cui i coniugi devono recarsi necessariamente dal giudice statale (e non possono recarsi
dall’arbitro); di conseguenza, il fattore tempo ha un’importanza a maggior ragione fondamentale.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 6. Costi del processo civile ordinario di cognizione
Inoltre, esiste l’ulteriore dimensione dei costi del processo: affinchè il sistema giustizia civile sia ben
funzionante, il cittadino deve potervi accedere a costi sopportabili per la collettività; infatti, dato che i
servizi pubblici sono molteplici, la collettività deve sostenere costi limitati per ciascuno di essi, tra cui anche
la giustizia.
Allo stesso tempo, un sistema giustizia, in cui costi molto alti sono fatti sopportare al singolo attore,
comporterebbe che il diritto di rivolgersi al giudice, anche se previsto in astratto, non sarebbe possibile in
concreto. In particolare, oltre al c. d. contributo unificato, l’attore deve sopportare l’ulteriore COSTO
DELL’AVVOCATO: in base ad una specifica scelta legislativa, questo È UN COSTO SEMPRE
NECESSARIO? Nel nostro ordinamento la difesa personale è estremamente limitata, ridotta ad un unico
tipo di giudice di fronte al quale si può far valere la propria pretesa, il c. d. giudice di pace; pertanto, di
regola, per far valere un proprio diritto soggettivo, il cittadino ha l’obbligo di rivolgersi ad un avvocato e, di
conseguenza, sostenerne il costo. Questa scelta del legislatore italiano è stata determinata dal fatto che, a
cause della complessità di costruzione dei diritti soggettivi e, più in generale, delle norme sostanziali e
processuali, il singolo cittadino non è in grado, nella maggior parte dei casi, di difendersi personalmente.
In ogni caso, citando una nozione relativa alle spese del processo, la c.d. regola della soccombenza afferma
che l’attore ha l’onere di anticipare le spese processuali, ma, nel momento in cui il giudice definisce la
causa, egli pronuncia/attribuisce le spese a carico della parte che perde il processo. Di conseguenza, se
l’attore perde la causa, dovrà sostenere, oltre alle proprie spese, anche quelle del convenuto: secondo un
processualcivilista, questa regola fa sì che una parte ottenga nel processo proprio ciò cui ha diritto e che,
quindi, il proprio diritto non sia decurtato delle spese! È chiaro che la regola della soccombenza gioca a
favore di una minore proposizione delle domande al giudice: l’attore sarà spinto a riflettere su tale
proposizione, perché, nonostante in Italia le spese processuali non siano molto elevate, il dover
eventualmente pagare anche le spese della controparte è comunque un deterrente!
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 7. Principi fondamentali del processo civile
Quali principi fondamentali del processo civile, possiamo individuare:
-LA TERZIETÀ E L’IMPARZIALITÀ DEL GIUDICE: Il giudice deve essere un soggetto non coinvolto
nella controversia, sia rispetto alle parti (=non avere rapporti di amicizia o di parentela con l’attore e/o con il
convenuto), sia rispetto all’oggetto della causa (=non avere un interesse rispetto alla controversia).
- IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO: Poiché il processo civile è processo di parte, ivi deve essere
garantita la tutela del diritto di difesa: il convenuto in giudizio, al pari dell’attore, deve sempre avere la
possibilità di fare valere le sue ragioni.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 8. Principi sovranazionali in materia di processo (civile ordinario di
cognizione)
Oltre ai tre parametri di cui sopra (=Decisione giusta e corretta + Tempo ragionevole + Costo contenuto), il
legislatore italiano deve anche tener conto, a livello europeo, dell’ART. 6.1 DELLA CONVENZIONE
EUROPEA DI SALVAGUARDIA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI,
rubricato "Diritto ad un processo equo", quale norma sovranazionale circa principi cardine/garanzie
fondamentali in materia processualcivilistica: «OGNI PERSONA HA DIRITTO AD UN’EQUA E
PUBBLICA UDIENZA ENTRO UN TERMINE RAGIONEVOLE, DAVANTI AD UN TRIBUNALE
INDIPENDENTE E IMPARZIALE COSTITUITO PER LEGGE, AL FINE DELLA DETERMINAZIONE
DEI SUOI DIRITTI E DEI SUOI DOVERI DI CARATTERE CIVILE […]».
Da questa norma, in primo luogo, si ricava il diritto di azione/di accesso alla giustizia/di rivolgersi ad un
giudice di ogni cittadino per la «DETERMINAZIONE DEI SUOI DIRITTI E DEI SUOI DOVERI DI
CARATTERE CIVILE». Inoltre, si ricava esplicitamente il principio dell’indipendenza ed imparzialità del
giudice funzionario di stato; allo stesso tempo, è esplicitato il parametro/la garanzia del termine ragionevole
di giudizio.
Infine, se pur non espressamente stabilito dall’ART. 6.1 CEDU, la giurisprudenza della Corte Europea ha
ricorrentemente ribadito il c. d. principio della parità delle armi: le parti devono essere trattate in modo
eguale davanti al giudice, cioè devono avere eguali facoltà di fronte al giudice.
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Diritto processuale civile 9. Principi costituzionali in materia di processo
Il legislatore ordinario italiano, nel delineare il processo civile, deve parimenti tenere conto degli ARTT. 24
E 111 DELLA COSTITUZIONE.
- In particolare, ex ART. 24.1 DELLA COSTITUZIONE, «TUTTI POSSONO AGIRE IN GIUDIZIO PER
LA TUTELA DEI PROPRI DIRITTI E INTERESSI LEGITTIMI», quale ribadito diritto di accesso alla
giustizia/diritto di azione in capo a ciascun cittadino.
- Inoltre, ex ART. 24.2 DELLA COSTITUZIONE, «LA DIFESA È DIRITTO INVIOLABILE IN OGNI
STATO E GRADO DEL PROCEDIMENTO», il che significa che il diritto di difesa deve essere garantito in
ogni grado di giudizio (=Primo grado + Appello e Cassazione, quale giudizio di impugnazione + Ulteriori
gradi di impugnazione c.d. straordinaria) e, più nello specifico, in ogni momento di ciascun grado di
giudizio [Ciò significa che, ad esempio, non è sufficiente che l’attore, nell’instaurare il processo, convenga
in giudizio la propria controparte, instaurando il contraddittorio nei suoi confronti; al contrario, deve anche
essere garantito il principio di parità delle armi, dando ad entrambe le parti, in ogni fase del processo, la
medesima facoltà di difesa].
- D’altro canto, ex ART. 24.3 DELLA COSTITUZIONE, «SONO ASSICURATI AI NON ABBIENTI,
CON APPOSITI ISTITUTI, I MEZZI PER AGIRE E DIFENDERSI DAVANTI AD OGNI
GIURISDIZIONE», quale comma a garanzia del diritto di accesso alla giustizia ai non abbienti,
indipendentemente dai costi della giustizia. In particolare, fino a qualche anno fa, il diritto di azione dei non
abbienti era scarsamente garantito, poiché era relegato all’istituto del c. d. gratuito patrocinio, secondo il
quale l’avvocato svolgeva il proprio compito gratuitamente, il che accadeva molto raramente; inoltre,
ulteriore causa di scarso utilizzo del gratuito patrocinio era anche determinato dal fatto che non era più stato
aggiornato il limite di reddito, entro cui potervi accedere.
Al contrario, EX DPR N. 115 DEL 2002, oggi lo Stato garantisce maggiormente la tutela del cittadino non
abbiente, previa il c.d patrocinio a spese dello Stato, secondo il quale l’avvocato del singolo cittadino non
abbiente è pagato dallo Stato. In particolare, QUALE SARÀ LA SOGLIA DELLA NON ABBIENZA CHE
CONSENTE, A SPESE DELLO STATO, DI AVVALERSI DELL'OPERA DI UN AVVOCATO PER FAR
VALERE IL PROPRIO DIRITTO VIOLATO? Al fine di accedere al patrocinio a spese dello Stato, oltre al
vaglio preliminare secondo cui le ragioni dell’attore non abbiente devono risultare non manifestamente
infondate, la soglia di reddito è di 10900 €.
- Invece, ex ART. 111.1 DELLA COSTITUZIONE, «LA GIURISDIZIONE SI ATTUA MEDIANTE IL
GIUSTO PROCESSO REGOLATO DALLA LEGGE»; a lungo, la dottrina si è interrogata sul significato
del termine GIUSTO PROCESSO, domandandosi se si tratta di garanzia ulteriore rispetto a quelle statuite
ex ART. 24 DELLA COSTITUZIONE. Sicuramente, con questo termine il legislatore costituzionale italiano
ha inteso richiamare l’EQUA E PUBBLICA UDIENZA ex ART. 6.1 CEDU; in secondo luogo, in questo
termine è sottesa l’idea della correttezza della decisione e, allo stesso tempo, "giusto" perché rispettoso delle
garanzie fondamentali del contraddittorio e della terzietà ed imparzialità del giudice.
- Infine, ex ART. 111.2 DELLA COSTITUZIONE, «OGNI PROCESSO SI SVOLGE NEL
CONTRADDITTORIO TRA LE PARTI, IN CONDIZIONI DI PARITÀ, DAVANTI A GIUDICE TERZO
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile E IMPARZIALE. LA LEGGE NE ASSICURA LA RAGIONEVOLE DURATA», quale richiamo del
principio del contradditorio, del principio della parità delle armi, della garanzia dell’imparzialità e della
terzietà del giudice e, infine, della garanzia di ragionevole durata.
In particolare, per quanto concerne la RAGIONEVOLE DURATA, qual è la differenza tra ART. 6.1 CEDU
ed ART. 111.2 DELLA COSTITUZIONE? IL LEGISLATORE EUROPEO E QUELLO
COSTITUZIONALE DISEGNANO IN MODO DIVERSO IL PRINCIPIO DELLA RAGIONEVOLE
DURATA? Mentre l'ART 6.1 CEDU individua il termine ragionevole come un diritto soggettivo del
cittadino, l'ART 111.2 DELLA COSTITUZIONE considera la ragionevole durata come una garanzia
oggettiva dell’ordinamento (In altre parole, ivi il principio della ragionevole durata è una prescrizione per il
legislatore italiano, che deve dettare una disciplina processualcivilistica che lo garantisca).
Questa distinzione ha delle ripercussioni pratiche: QUALORA UN CITTADINO DI UNO STATO
RITENGA DI ESSERE STATO LESO IN UN DIRITTO SOGGETTIVO INDIVIDUATO DALLA CEDU,
COME PUÒ TUTELARSI? Una volta esaurite le vie di tutela predisposte dal diritto nazionale, potrà
ottenere il c. d. risarcimento ad un’equa riparazione dalla Corte Europea. Pertanto, moltissimi cittadini
italiani, facendo emergere a livello europeo il problema dei tempi della giustizia civile italiana, moltissimi
cittadini italiani hanno fatto ricorso alla Corte Europea per ottenere un’equa riparazione EX ART. 6.1
CEDU; a fronte di tutti questi ricorsi, la stessa Corte Europea ha avuto problemi di tempo ragionevole del
processo e, soprattutto per questo motivo, l'Italia è stata esortata più volte dal Consiglio d'Europa a porvi un
rimedio, motivo per cui, negli ultimi anni, il processo civile italiano è stato oggetto di tentativi di riforma,
volti alla sua maggiore celerità.
In particolare, EX LEGGE N. 89 DEL 2001, il legislatore italiano ha introdotto la possibilità per il cittadino
italiano leso di fare una domanda ad un giudice nazionale, la Corte d'Appello, per ottenere un’equa
riparazione per la violazione del diritto soggettivo ad ottenere un processo in termini ragionevoli. Tuttavia,
quest’innovazione istituzionale non è stata un rimedio effettivo; infatti, da un lato, le Corti d'Appello, a loro
volta, sono state subissate da questo tipo di ricorsi e, dall’altro, oggi sono già in atto alcuni processi, volti a
far valere il tempo irragionevole dei processi davanti alle Corti d’Appello, diretti a dare ai cittadini l'equa
riparazione per la violazione del tempo ragionevole!
In ogni caso, questo nuovo ricorso interno ha almeno risolto, in parte, il sovraccarico di ricorsi EX ART. 6.1
CEDU della Corte Europea: poiché il cittadino europeo può adire la Corte Europea solo dopo aver esaurito
le vie interne, dal 2001 il cittadino italiano può adirvi solo qualora il suo diritto ad ottenere un'equa
riparazione per la violazione di questa garanzia non abbia ricevuto un'adeguata soddisfazione a livello
interno di fronte alla Corte d’Appello.
Si è posto poi anche un problema di rapporti tra la giurisprudenza nazionale italiana e quella della Corte
Europea; il problema è: QUALE DOVREBBE ESSERE MEDIAMENTE IL TEMPO RAGIONEVOLE
PER LO SVOLGIMENTO DI UN PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE DI I GRADO (Quando si
parla, senza specificazioni ulteriori, di processo di cognizione di I grado, ci si riferisce al processo che si
svolge davanti al Tribunale)? Oggi, in Italia, i tempi medi (del tutto irragionevoli) di un processo civile di I
grado davanti ad un Tribunale sono circa 3 anni, mentre, per percorrere tutti e tre i gradi di giudizio (=I
grado, Appello e ricorso per Cassazione) sono necessari circa 10 anni in media.
Invece, il paese europeo in cui il sistema di giustizia civile sembra più efficiente è la Germania, in cui i
tempi medi, per ottenere una pronuncia di I grado da un giudice corrispondente al Tribunale, sono 8 mesi. In
particolare, gli elementi da considerare per avere un processo civile efficiente dal punto di vista dei tempi di
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Diritto processuale civile durata sono molteplici; non dipende tanto dalla disciplina processualcivilistica (soprattutto considerato che
quella italiana ha preso molto da quella tedesca), bensì dipende soprattutto dall’efficienza del sistema
giustizia tedesco: il numero dei giudici tedeschi è più alto e ciascuno di essi ha un suo ufficio e propri
ausiliari molto efficienti.
Al contrario, nel sistema inglese l’efficienza del processo civile dipende da tutt’altro motivo; in particolare,
in Inghilterra neanche il 4% delle cause è deciso con sentenza, poiché, dato che il processo inglese è
costosissimo, si arriva molto spesso ad una chiusura anticipata della lite. Pertanto, dal punto di vista
dell'accesso dei cittadini alla giustizia, il sistema inglese non è considerato un sistema efficiente.
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Diritto processuale civile 10. Metodi alternativi di soluzione delle controversie civili
Negli ultimi anni, in Italia, quale fenomeno statisticamente non ancora così significativo, ma sicuramente
destinato a divenire tale, si parla di metodi di soluzione delle controversie civili alternativi al sistema
giustizia civile offerto dallo Stato.
In particolare, si tratta dei seguenti fenomeni giuridici:
1.L’ARBITRATO - Accanto al sistema giustizia statale, esiste anche un sistema giustizia privato, che,
comunque, è disciplinato nel titolo VIII del libro IV CPC, intitolato "Dei procedimenti speciali", poiché il
legislatore statale ha ritenuto indispensabile il rispetto e la tutela dei principi fondamentali del processo (=la
terzietà ed imparzialità del professionista giudicante; il principio del contraddittorio, collegato al diritto di
difesa) anche entro il giudizio arbitrale. In particolare, l’attore si rivolge per la decisione della controversia
ad un giudice privato, il c.d. arbitro, che emetterà, quale pronuncia di decisione della lite che chiude
l’arbitrato, il lodo. Davanti all’arbitro, possono essere fatti valere per lo più i diritti soggettivi disponibili.
Sotto il profilo dei costi di tutela del diritto soggettivo, mentre il giudice statale è più conveniente, perché
pagato in gran parte dai singoli cittadini (che, in generale, contribuiscono a qualunque altro servizio
pubblico ulteriore alla giustizia, quale la sanità) e, di conseguenza, solo in minima parte dall’attore (sotto
forma di pagamento del c. d. contributo unificato, quale sorta di tassa), l’arbitro, quale categoria
professionale abbastanza ristretta, è pagato interamente dalle parti. Di conseguenza, se il diritto violato è di
modesto valore, senza dubbio, non è una scelta ragionevole rivolgersi ad un arbitro: gli arbitrati, dal punto di
vista numerico, sono estremamente limitati rispetto ai milioni di cause pendenti, di cui è costituito il
contenzioso civile.
D’altro canto, l’arbitrato, rispetto alla giustizia statale, ha il vantaggio di offrire un servizio di soluzione
della controversia più celere e, allo stesso tempo, di offrire la riservatezza (vs processo pubblico statale).
Riepilogando, quindi, l’arbitrato si occupa della soluzione di liti di valore economico molto elevato, in cui,
magari, si contrappongono aziende e, di conseguenza, vi sono dei segreti commerciali di impresa.
2.FORME DI CONCILIAZIONE E DI MEDIAZIONE - Abbiamo visto che fondamentale è il tema
dell'accesso alla giustizia, secondo cui a ciascun cittadino deve essere data la possibilità di rivolgersi ad un
giudice; tuttavia, oggi, soprattutto a livello europeo, l’accesso al giudice statale e/o privato è visto quasi
come un'ultima possibilità, preceduta dai meno costosi e più rapidi sistemi alternativi di risoluzione delle
controversie, che si spera di potenziare sempre di più!
Infatti, quali ulteriori sistemi alternativi di soluzione delle controversie, del tutto diversi dalla giustizia
statale e/o dall’arbitrato, il legislatore italiano, sulla spinta del legislatore europeo (Nel 2008 è stata elaborata
una direttiva europea sulla mediazione), è sempre più orientato verso forme di conciliazione mediazione
della lite, perché, per ovviare alla problematica lentezza della giustizia civile statale, intende allegerirne il
carico, sviluppando questi nuovi metodi alternativi. In particolare, dalla metà degli anni Novanta, il
legislatore italiano ha voluto rendere il ricorso al giudice statale come l’ultima risorsa a capo del soggetto
leso, da utilizzare solo nei casi in cui non sia possibile giungere in altro modo alla soluzione della
controversia: mentre la giustizia arbitrale, in quanto troppo costosa, non può costituire un’alternativa
realistica, la conciliazione e la mediazione sono più economiche e, quindi, effettivamente utilizzabili ad
ampio raggio.
Un compito fondamentale in questo senso è svolto dalle Camere di Commercio, che hanno la funzione di
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile sviluppare il procedimento di conciliazione. In particolare, il soggetto leso si rivolge ad un soggetto terzo
che, però, non ha il compito di decidere chi ha torto o ragione, bensì ha il compito di facilitare le parti ad
arrivare ad una conciliazione/composizione della loro controversia.
Allo stesso tempo, EX LEGGE N. 69 DEL 2009, è prevista una legge delega/una delega al Governo ad
emanare decreti legislativi in materia di potenziamento della mediazione, quale procedimento di risoluzione
alternativa della controversia entro un limite massimo di 4 mesi.
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Diritto processuale civile 11. Riepilogo delle principali riforme del codice di procedura civile
Il testo base della disciplina processualcivilistica attuale è costituito dal Codice di Procedura Civile, entrato
in vigore nel 1942, quale CPC innovativo rispetto al precedente Codice del 1865, che è stato il primo codice
unitario, ove il processo civile era essenzialmente scritto (il che implica la prevalenza della scrittura
sull'oralità). Pertanto, il CPC del 1942 è stato preceduto da un intenso dibattito dottrinale, influenzato
soprattutto dalla dottrina e dalla concettualistica tedesca: esso era un codice del tutto innovativo, basato più
sull'oralità che sulla scrittura.
In generale, entro la disciplina del processo civile, esiste una certa tensione tra le istanze/tentativi di riforma
e le reazioni recalcitranti della categoria degli avvocati: la forte resistenza degli avvocati all’innovativo CPC
del 1942 ha notevolmente inciso sulla sua struttura, previa la c.d. controriforma del 1950, che ha inserito dei
maggiori elementi di struttura.
Gli anni '70 del secolo scorso sono stati caratterizzati da un importante movimento di riforma, anche a
livello sostanziale, in materia laburistica: contemporaneamente all’elaborazione dello Statuto dei lavoratori,
nel 1973 è stata introdotta una riforma importante nel rito del lavoro, postosi come innovativo rispetto al
modello strutturale processualcivilistico del 1942, così come riformato nel 1950. Nello specifico, la struttura
del processo del lavoro così risultante - che è stata gradualmente influente anche nelle sucessive riforme del
processo civile ordinario a noi noto - deve rispondere ai canoni fondamentali dell’oralità, dell’immediatezza
e della concentrazione: un processo civile efficiente, che garantisca i diritti dei cittadini in tempi rapidi, deve
essere un processo prevalentemente orale (dove, quindi, è ridotta l'attività scritta, il che implica un aumento
delle attività svolte davanti al giudice ed un conseguente aumento dei poteri di direzione processuale del
giudice), che si svolga davanti al giudice in modo concentrato (cioè in un lasso di tempo limitato, il che
implica anche un rafforzamento del sistema delle preclusioni delle parti) e in cui sussista un'immediatezza di
rapporto tra il giudice, le parti e le fonti di convincimento del giudice.
Inoltre, l’aumento della domanda di giustizia ed il parallelo progressivo aumento dei tempi del processo,
registratosi a partire dagli anni ’70, ha evidenziato una mutata esigenza di giustizia del cittadino italiano che,
coniugata alle esortazioni del Consiglio d’Europa, ha messo in moto, dagli anni ’80 in poi, moltissimi
progetti di riforma radicale, che, comunque, non sono tuttora sfociati nell’effettiva stesura di un nuovo
CPC.
A) Nello specifico, negli anni '90 le misure c. d. urgenti di riforma del CPC hanno trasposto nel processo
ordinario alcuni profili propri del rito laburistico; in particolare, è stato soprattutto potenziato e rafforzato il
sistema delle preclusioni. CHE COSA SIGNIFICA RAFFORZARE IL SISTEMA DELLE PRECLUSIONI?
Così come la certezza dei rapporti giuridici e la fondata esigenza di tutela del proprio diritto soggettivo leso
fanno sì che un processo (ed ogni rispettivo suo grado di giudizio) non si possa protrarre un tempo illimitato,
anche all'interno di ciascun grado di giudizio il legislatore può discrezionalmente imporre alle parti di
svolgere determinate attività, subito o entro un determinato momento, dopo il quale non lo possono più fare!
La preclusione, dunque, consiste nella fissazione ex lege di un determinato lasso di tempo, entro il quale
l'attività della parte deve essere posta in essere.
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Diritto processuale civile B) Allo stesso tempo, la riforma degli anni ‘90 ha posto un maggiore accento sul giudizio di I grado,
conferendo efficacia esecutiva alla pronuncia di I grado: già con la pronuncia di I grado, il vincitore può
iniziare il processo esecutivo! Al contrario, prima della riforma del '90, l’efficacia esecutiva si aveva solo
post decorso del termine per l'appello o post esperimento dell’appello stesso.
Volendo approfondire a tal proposito, considerato che il processo civile italiano si svolge in più gradi, è una
decisione discrezionale del legislatore il dare la possibilità all’attore vincitore di utilizzare il processo
esecutivo vs il convenuto soccombente inottemperante, subito con la sentenza di I grado; oppure solo con la
sentenza d'appello e/o solo post ricorso in Cassazione. Per semplificare, nel caso in cui il convenuto sia
soccombente e, perciò, sia stato condannato al pagamento di una somma di denaro all’attore, è possibile che
egli ritenga ingiusta tale sentenza, decidendo quindi di impugnarla proponendo appello! A tal proposito, si
deve considerare qual è l'efficacia ex lege di questa pronuncia di I grado; qualora il legislatore vi abbia
conferito efficacia esecutiva, se il convenuto soccombente non vi ottempera spontaneamente, l'attore
vincitore potrò instaurare un processo esecutivo, previa notifica tale titolo esecutivo e conseguente
pignoramento. Al contrario, il legislatore può decidere di non conferire efficacia esecutiva alla sentenza di I
grado, finchè non sia decorso il termine per impugnarla e, di conseguenza, non siano più proponibili i mezzi
di impugnazione ordinaria; oppure egli può anche decidere di conferire efficacia esecutiva solo alla sentenza
di II grado, post svolgimento di giudizio di appello.
CHE COSA CAMBIA, SE LA PRONUNCIA DI I GRADO HA GIÀ EFFICACIA ESECUTIVA? O,
INVECE, SE L’EFFICACIA ESECUTIVA SI HA SOLO POST SVOLGIMENTO E/O POST DECORSO
DEL TERMINE PER PROPORRE L'APPELLO O IL RICORSO IN CASSAZIONE? La scelta legislativa
di dare efficacia esecutiva alla pronuncia di I grado non significa impedire al soccombente (=chi ha perso la
causa) di impugnare la sentenza; tuttavia, in questo modo, poiché può accadere che il giudice d'appello,
diverso dal giudice di I grado, ribalti la decisione, ponendo nel nulla la decisione di I grado, l'esecuzione
forzata già iniziata, che magari ha già vincolato/pignorato e/o venduto dei beni del soccombente in I grado,
può essere posta nel nulla.
C) Inoltre, la riforma degli anni ’90 ha agito sulla collegialità o meno del Tribunale: a causa del problema
pressante dei tempi del processo, il legislatore italiano ha ritenuto che una collegialità nella fase decisoria
fosse un lusso eccessivo, motivo per cui, di regola, oggi il processo di Tribunale è un processo monocratico;
solo alcune cause, elencate tassativamente ex lege, sono ancora decise da un collegio di 3 giudici.
Al contrario, nel disegno originario del CPC del 1942, il legislatore italiano - previa ottimizzazione delle
risorse in termini di numero di giudici - aveva abbastanza astutamente deciso che, mentre la fase introduttiva
e quella istruttoria del processo civile dovevano essere affidate ad uno solo di essi, il c. d. giudice istruttore
(=il giudice che istruisce la causa), la decisione finale doveva sempre essere adottata da parte di tre giudici,
dato che tre teste decidono meglio di una sola (anche se, ovviamente, in tale collegio, il giudice istruttore,
avendo seguito la causa fin dall’inizio, avrà maggiore influenza sulla decisione).
Pertanto, le norme CPC, che disciplinano il processo davanti al Tribunale, ma non sono state toccate da
questa riforma del 1990, parlano ancora di giudice istruttore vs collegio, anche se ormai la regola è la
monocraticità del Tribunale.
D) Nel 1992, la figura del Pretore, quale giudice monocratico togato, è stata abrogata, mentre è stata
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile introdotta ex novo la figura del Giudice di Pace, quale giudice monocratico non togato. In particolare,
l’introduzione di questa nuova figura istituzionale è stata molto dibattuta; infatti nell’ordinamento italiano, i
giudici sono di regola giudici di carriera, con l'eccezione del giudice di pace, il quale oggi ha una fetta di
contenzioso civile importante: più del 50% delle cause civili di I grado sono attualmente decise da questo
giudice non togato!
Poiché le riforme degli anni '90 non hanno risolto i problemi della giustizia civile italiana, si sono avute
ancora ulteriori riforme all’inizio di questo secolo; in particolare, si è nuovamente ripresentata l’ipotesi di un
nuovo CPC, basato su una diversa ideologia di processo civile, rispetto a quella attuale fondata sui canoni
dell’oralità, dell’imediatezza e della concentrazione. Tale nuova idea di fondo, che è stata solo in parte
attuata (Infatti, da subito il legislatore ha compreso che non può introdurre CPC del tutto nuovo, dato che, da
subito, c’è forte reazione contraria) dal legislatore, approfittando astutamente della riforma del diritto
sostanziale societario EX D. LGS. N. 5 DEL 2003, è stata concretizzata nell’introduzione di un nuovo tipo
di processo/un nuovo rito speciale per le cause societarie, quale settore di contenzioso molto specializzato e
anche abbastanza elitario (anche se la causa societaria, così come intesa dal D. LGS. N. 5 DEL 2003, era
concetto abbastanza ampio): il processo societario, che, entrato in vigore nel 2004, è stato già abrogato EX
LEGGE N. 69 DEL 2009 (É l’ultima legge di riforma in materia processualcivilistica, che ha lasciato in
vigore solo alcune norme EX D. LGS. N. 5 DEL 2003, relative alla conciliazione e all’arbitrato) ed è ormai
valido solo per le cause già pendenti. Quindi, l’ipotesi legislativa di testare la nuova ideologia
processualcivilistica entro le sole controversie societarie, per poi estenderla in seguito alla generalità delle
liti, non ha avuto alcun seguito, con soddisfazione della maggior parte della dottrina e della giurisprudenza!
In particolare, l’idea di fondo del rito societario EX D. LGS N. 5 DEL 2003 consiste nel considerare il
processo civile come processo di parti e, pertanto, nell’affidare la prima fase processuale (=Fase introduttiva
+ Fase di trattazione della causa) alle parti, facendo entrare in gioco il giudice solo in un secondo momento:
le parti si scambiano un certo numero di atti scritti, con la possibilità, data a ciascuna delle parti, di
interrompere questo scambio, motivo per cui è una scelta delle parti il fare entrare in scena il giudice nel
momento da loro ritenuto più opportuno.
Un tale processo, ove vi sia un ruolo inferiore del giudice e un maggior ruolo delle parti, è complicatissimo:
la sua disciplina EX D. LGS. N. 5 DEL 2003, individuata da articoli molto lunghi, ha generato molti
problemi applicativi, incontrando una certa resistenza nella prassi da parte dei giudici/dei magistrati e, allo
stesso tempo, facendo intervenire anche la Corte Costituzionale per dichiarare illegittime alcune sue
disposizioni, per poi esser abrogato EX LEGGE N. 69 DEL 2009.
Nel 2005 - 2006 ulteriori riforme hanno interessato la disciplina delle preclusioni, del processo esecutivo,
del giudizio di Cassazione e dell'arbitrato.
Infine, nel 2009 si è avuto l'ultimo intervento legislativo in materia processualcivilistica EX LEGGE N. 69
DEL 2009, che si pone in linea con riforme degli anni ’90, abbandonando la nuova ideologia
processualcivilistica e ritornando a quella tradizionale; parallelamente, al suo interno, sono contenute
deleghe al Governo per emanare decreti legislativi a proposito del potenziamento della mediazione e della
semplificazione dei riti.
A quest’ultimo proposito, il legislatore vuole diminuire i riti (speciali), conservandone solo più tre: il rito
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile ordinario, il rito in materia di lavoro - che intende potenziare ulteriormente - ed il nuovo c. d. procedimento
sommario di cognizione - che, anche se collocato entro la disciplina dei riti speciali, è un modello alternativo
a quello di cognizione ordinaria, per quanto concerne il Tribunale in composizione monocratica -.
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Diritto processuale civile 12. La struttura del codice di procedura civile
Come tutti gli altri codici, il CPC italiano ha un’articolazione sistematica in 4 libri, di cui ciascuno si
distingue in titoli, in capi e in sezioni, per un totale di 840 articoli.
A) Il Libro I, composto da 162 articoli ed intitolato "Disposizioni generali", contiene le norme che si
applicano a qualsiasi tipo di procedimento civile (ordinario, speciale, di cognizione oppure no). Nello
spefico, i titoli del Libro I CPC sono dedicati ai personaggi del processo civile.
- Il TITOLO I DEL LIBRO I CPC, intitolato "Degli organi giudiziari", è dedicato al giudice ex Capo I e ai
suoi ausiliari, quali il cancelliere e l'ufficiale giudiziario ex Capo II (che sono gli ausiliari presenti in ogni
processo), e il consulente tecnico, il custode e gli altri ausiliari (eventuali) del giudice ex Capo III.
- Il TITOLO II DEL LIBRO I CPC, intitolato "Del pubblico ministero", è dedicato appunto al PM che, pur
svolgendo un ruolo fondamentale nel processo penale, nel processo civile svolge un ruolo marginale, perché,
dato che l'oggetto della tutela processualcivilistica è il diritto soggettivo leso, il processo civile è un processo
di parte/un processo dispositivo, la cui iniziativa spetta generalmente al soggetto che si afferma titolare del
diritto. Dal principio fondamentale del dispositivo, quindi, si ricava il divieto di autotutela, secondo cui, per
ottenere una riparazione alla lesione del proprio diritto soggettivo, occorre sempre e comunque rivolgersi
all’autorità pubblica giudiziaria.
In particolare, EX ART. 2907.1 C. C., «ALLA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI PROVVEDE
L’AUTORITÀ GIUDIZIARIA SU DOMANDA DI PARTE E, QUANDO LA LEGGE LO DISPONE,
ANCHE SU ISTANZA DEL PUBBLICO MINISTERO O D’UFFICIO»: nei casi eccezionali,
tassativamente previsti dal legislatore, in cui o sono coinvolti interessi pubblici/interessi della collettività -
che vanno al di là di quelli propri dell’attore -, o l’attore è un soggetto particolarmente debole, il pubblico
ministero può anche proporre l'azione, qualora il soggetto leso sia inerte nella proposizione della domanda.
ESEMPIO 1: Una tipica materia in cui entra in gioco la titolarità, da parte del PM, del potere di proporre la
domanda, a fronte dell'inerzia del titolare del diritto leso, è quella fallimentare; quindi, l'istanza di fallimento
può essere proposta anche dal PM, poiché ivi entra in gioco l’interesse della collettività ad espellere un
imprenditore che si trovi in un determinato stato di insolvenza.
ESEMPIO 2: Una tipica materia in cui abbiamo un soggetto leso versante in uno stato di particolare
debolezza inerisce il giudizio di interdizione e di inabilitazione, che può iniziare su domanda del PM.
- Il TITOLO III DEL LIBRO I CPC, intitolato "Delle parti e dei difensori", è dedicato all’attore, al
convenuto e ai loro rispettivi difensori. In particolare, nello schema processualcivilistico più semplice e
diffuso, le parti sono essenzialmente 3: il giudice, l’attore e il convenuto. Tuttavia, alcuni processi possono
avere una pluralità di attori e/o di convenuti, quale fenomeno giuridico del c. d. litisconsorzio
(=letteralmente, "lite in comune tra più parti", cioè processo con pluralità di parti): qualora una pluralità di
soggetti siano titolari della medesima situazione giuridica, si ha la c. d. class action, quale istituto innovativo
proveniente dagli USA.
- Finendo l'esame sommario del Libro I CPC, il Titolo IV è intitolato "Dell’esercizio dell'azione", il Titolo V
"Dei poteri del giudice" e, infine, il Titolo VI "Degli atti processuali". In particolare, quest’ultima disciplina
generale degli atti processuali è assai rilevante, perché, dal punto di vista dinamico, il processo è una serie di
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile atti, che va dall’atto iniziale della proposizione della domanda all’atto finale della sentenza.
B) Il Libro II CPC è intitolato "Del processo di cognizione", di cui il Titolo I è dedicato al procedimento
davanti al Tribunale, il Titolo II al procedimento davanti al giudice di pace, il Titolo III alla disciplina dei
mezzi di impugnazione e, infine, il Titolo IV alle controversie in materia del lavoro.
C) Il Libro III CPC è intitolato "Del processo di esecuzione".
D) Il Libro IV CPC è intitolato "Dei procedimenti speciali"; pertanto, si occupa dei procedimenti di
cognizione speciali (vs procedimento ordinario, che è il processo atipico, cioè il processo applicabile in
modo generico a tutte le situazioni giuridiche soggettive), diversi dal rito speciale del lavoro - già
disciplinato dal Titolo IV del Libro II CPC -, che si applicano solo a determinate controversie, per far valere
determinati diritti soggettivi. In particolare, il Titolo II, intitolato "Dei procedimenti in materia di famiglia e
di stato delle persone", se ne occupa.
- Tuttavia, poiché il Libro IV CPC è il meno sistematico di tutto il codice, ove il legislatore ha inserito tutte
le disposizioni mancanti nei libri precedenti, secondo il suo personale disegno processualcivilistico, il
TITOLO I DEL LIBRO IV CPC, intitolato "Dei procedimenti sommari", si occupa dei procedimenti di
cognizione sommaria (vs processo ordinario di cognizione piena, ove le parti hanno una piena possibilità di
esplicare il loro diritto di difesa, e di cui il legislatore CPC detta una disciplina molto dettagliata del
procedimento) che, nella prassi, sono molto utilizzati.
a) In particolare, il CAPO I si occupa del procedimento di ingiunzione, intentato dall’attore per ottenere il c.
d. decreto ingiuntivo, che può anche avere efficacia esecutiva: è procedimento a cognizione sommaria,
perché è un processo solo documentale, reso senza instaurare il contradditorio nei confronti della propria
controparte, motivo per cui il giudice decide solo sulla base della domanda dell’attore. UN
PROCEDIMENTO DI QUESTO TIPO VIOLA IL DIRITTO DI DIFESA EX ART. 24. 2 DELLA
COSTITUZIONE, CHE DEVE ESSERE GARANTITO «IN OGNI STATO E GRADO DEL
PROCESSO»? La dottrina ritiene che il diritto di difesa EX ART. 24. 2 DELLA COSTITUZIONE non sia
violato, perché ivi il contradditorio è solo posticipato: il giudice decide velocemente sulla base della
domanda di parte, senza sentire le ragioni del convenuto, dopodichè quest’ultimo ha diritto di instaurare un
normale processo a cognizione piena.
b) Il CAPO II si occupa del procedimento per convalida di sfratto.
c) Il CAPO III, invece, si occupa dei procedimenti cautelari: accanto all’azione ordinaria di cognizione e
all’azione esecutiva, si colloca l’azione cautelare, intentata dall’attore per ottenere un c. d. provvedimento
cautelare, che può essere un sequestro EX ARTT. 670 E 671 CPC, un provvedimento di urgenza EX ART.
700 CPC, […]. Poiché anche il processo civile ordinario di cognizione più efficiente, in cui entrambe le parti
hanno diritto di esercitare al pieno il proprio diritto di difesa, necessita, comunque, di un tempo fisiologico -
anche se il più ragionevole possibile - per ottenere una sentenza, al fine di evitare che il trascorrere del
tempo danneggi la pronuncia di merito, tutti i legislatori processualcivilisti prevedono un sistema di misure
cautelari. In particolare, esse possono di tipo conservativo (=che conservano il c. d. status quo), o di tipo
anticipatorio (=che anticipano la decisione di merito).
ESEMPIO: Attraverso un sequestro conservativo dei beni patrimoniali del debitore, il creditore può evitare
che, durante il tempo necessario per lo svolgimento del processo ordinario di cognizione, avvenga una
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile dispersione della garanzia patrimoniale di soddisfazione dell’eventuale futura decisione di merito.
Quindi, i presupposti generali per ottenere una misura cautelare sono il c. d. periculum in mora, cioè
l’urgenza, senza la quale, riscontrandosi una situazione giuridica non patologica dell’attore, egli può
attendere la decisione di merito; e il c. d. fumus boni iuris, cioè l’apparente e probabile fondatezza della
decisione di merito, senza la quale, anche se vi è l’urgenza, non ha senso la concessione di una misura
cautelare.
- D’altro canto, le poche norme del CAPO VI DEL TITOLO II DEL LIBRO IV CPC, intititolato
"Disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio", disciplina la c. d. volontaria giurisdizione,
quale importante branca processul-civilistica che, invece di tutelare un diritto soggettivo, tutela un mero
interesse; quindi, a tal proposito, si parla di giurisdizione inter volentes, oppure anche di amministrazione
pubblica del diritto privato.
Gli ambiti in cui il legislatore sceglie discrezionalmente di affidare la tutela di un mero interesse ad un
giudice - invece che alla PA - sono materie considerate delicate, qual è la tutela degli interessi del minore, in
cui non esiste una contrapposizione di diritti, ma si deve solo tutelare un soggetto debole: ad esempio, per
poter alienare i beni di proprietà del minore, si deve ottenere l’autorizzazione del giudice tutelare.
Quindi, volendo riepilogare, le azioni esercitabili nell’ambito del diritto civile sono l’azione di cognizione,
l’azione esecutiva, l’azione cautelare e, a parte, la volontaria giurisdizione. Noi trattiamo nel dettaglio solo
l’azione ordinaria di cognizione.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 13. La tripartizione dell’azione di cognizione
L’azione di cognizione si suddivide in 3 categorie: la c. d. azione di mero accertamento, la c. d. azione
costitutiva e la c. d. azione di condanna.
In termini molto generali, abbiamo detto che l’azione di cognizione è caratterizzata dalla presenza costante
del momento dell’accertamento, da parte del giudice, dei fatti addotti a propria difesa dall’attore e/o dal
convenuto: mentre nell’azione di mero accertamento si ha solo il suddetto accertamento, nell’azione
costitutiva ed in quella di condanna si ha anche un quid pluris.
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Diritto processuale civile 14. L’azione costitutiva ex art. 2908 c. c.
L’azione costitutiva è disciplinata in via generale dal C. C.; in particolare, EX ART. 2908 C. C. - intititolato
"Effetti costitutivi delle sentenze" - è stabilito che «NEI CASI PREVISTI DALLA LEGGE, L'AUTORITÀ
GIUDIZIARIA PUÒ COSTITUIRE, MODIFICARE O ESTINGUERE RAPPORTI GIURIDICI, CON
EFFETTO TRA LE PARTI, I LORO EREDI O AVENTI CAUSA». Pertanto, l’azione costitutiva può
essere esercitata solo nei casi tassativamente previsti dalla legge e, in tali casi, il giudice non si limita ad
accertare l’esistenza e la violazione del diritto soggettivo dell’attore, bensì, quale quid pluris, egli deve
anche costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico; ciò significa che l’attore, attraverso l’azione
costitutiva, esercita il c. d. diritto potestativo, cioè il potere di produrre un effetto giuridico che incide sulla
sfera giuridica dell’altro soggetto convenuto, indipendentemente dalla sua volontà e dalla sua
collaborazione.
Le azione costitutive possono essere necessarie, nel caso in cui la costituzione, modificazione o estinzione
del rapporto giuridico non può svolgersi per accordo tra le parti, ma è a priori indispensabile rivolgersi al
giudice per ottenere un provvedimento in merito.
ESEMPIO: In materia di diritto di famiglia, il giudizio di separazione e/o il giudizio di divorzio sono esempi
di azione costitutiva necessaria: chi intende separarsi e/o divorziare dal proprio coniuge non può farlo
mettendosi d’accordo con il coniuge medesimo, bensì deve per forza rivogersi al giudice. In particolare, con
la sentenza di separazione si ottiene una modificazione del rapporto giuridico matrimoniale, mentre con la
sentenza di divorzio si ottiene l’estinzione del rapporto giuridico matrimoniale. Quindi, in questi due casi, il
giudice non si limita ad accertare il presupposto sostanziale per concedere la separazione e/o il divorzio, ma
realizza anche il quid pluris della separazione e/o del divorzio, indipendentemente dalla volontà e dalla
cooperazione dell’altro coniuge.
Al contrario, le azioni costitutive sono non necessarie, nel caso in cui la costituzione, modificazione o
estinzione del rapporto giuridico può svolgersi per accordo tra le parti; pertanto, in questo caso, una di esse
si può rivolgere al giudice per ottenere una sentenza costitutica, solo se ha ricevuto dalla sua controparte un
rifiuto a collaborare in tal senso.
ESEMPIO 1: In materia contrattuale, l’azione di annullamento del contratto e l’azione di risoluzione del
contratto sono esempi di azioni costitutive non necessarie, che determinano l’estinzione di un rapporto
giuridico contrattuale.
ESEMPIO 2: Sempre in materia contrattuale, EX ART. 2932.1 C. C. - intitolato "Esecuzione specifica
dell’obbligo di concludere un contratto" - è stabilito che «SE COLUI CHE È OBBLIGATO A
CONCLUDERE UN CONTRATTO NON ADEMPIE L'OBBLIGAZIONE, L'ALTRA PARTE,
QUALORA SIA POSSIBILE E NON SIA ESCLUSO DAL TITOLO, PUÒ OTTENERE UNA
SENTENZA CHE PRODUCA GLI EFFETTI DEL CONTRATTO NON CONCLUSO». Il tipico ambito in
cui entra in gioco quest’azione costitutiva non necessaria, che determina la costituzione di un rapporto
giuridico contrattuale, è il contratto preliminare di compravendita, nel caso in cui una delle tue parti
obbligate a concluderlo (che, di solito, è il futuro venditore) non adempia.
QUAL È LA DIFFERENZA TRA UN’AZIONE COSTITUTIVA ED UN’AZIONE DI CONDANNA?
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile L’azione costitutiva e l’azione di condanna, essendo entrambe azioni di cognizione, hanno in comune il
momento dell’accertamento. Dall’ESEMPIO 2 si può dedurre la differenza tra le due azioni.
In particolare, nell’azione di condanna, l’attore, facendo valere il proprio diritto ad ottenere la conclusione
del contratto di compravendita, domanda al giudice di condannare il convenuto ad eseguire una determinata
prestazione (che, in quest’esempio, consiste nel concludere un contratto di compravendita, ma che, più in
generale, può consistere in un dare, un fare o un non fare), intimandogli, quindi, di collaborare alla
conclusione del contratto. Allo stesso tempo, come si deduce dall’ESEMPIO 2, qualora la controparte non
adempia la propria obbligazione derivante da un contratto di compravendita, l’attore può anche pensare di
proporre l’azione costitutiva ad hoc - che è prevista ex lege - e, attraverso il suo esercizio, di chiedere al
giudice EX ART. 2932.1 C. C., di porre lui in essere tale contratto attraverso la sentenza, prescindendo dalla
collaborazione della controparte stessa.
Pertanto, mentre post azione costitutiva l’effetto costitutivo del rapporto di compravendita sarà sempre
realizzato dalla sentenza, post azione di condanna può anche capitare che il convenuto non collabori e,
quindi, non ottemperi alla sentenza del giudice. In questo caso, l’attore può pensare di procedere
all’esecuzione forzata: qui entra in gioco la distinzione tra i c. d. obblighi fungibili (=prestazioni rispetto alle
quali il processo esecutivo può operare bene, determinando la sostituzione del debitore con un organo dello
Stato dotato di potere coercitivo) e i c. d. obblighi infungibili (=prestazioni che possono essere poste in
essere solo dal debitore, che, di solito, sono obblighi di fare). L’obbligo di concludere un contratto è il tipico
obbligo di fare infungibile, poiché costringere qualcuno con la forza a recarsi dal notaio è inimmaginabile;
di conseguenza, qualora il convenuto non collabori alla conclusione della compravendita neanche post
sentenza di condanna, l’attore, non potendo esercitare un’azione esecutiva, avrà solo la possibilità residuale
di ottenere una tutela risarcitoria.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 15. L’azione di condanna
Per quanto qui sopra spiegato, l’azione di condanna è l’azione di cognizione, il cui effetto principale/la cui
fondamentale peculiarità, rispetto all’azione di mero accertamento e/o all’azione costitutiva, è quello/quella
di consentire alla parte a cui favore è stata pronunciata la sentenza di condanna (che è il vincitore creditore)
di azionare il processo esecutivo (consistente nella sostituzione della persona dell’obbligato soccombente
con un organo coercitivo dello Stato), a fronte del mancato adempimento spontaneo/dell’inottemperanza
della controparte soccombente di tale provvedimento del giudice. La sentenza di condanna tradizionale,
quindi, è un c. d. titolo esecutivo, cioè un titolo che consente di attivare il procedimento di esecuzione
forzata.
Tuttavia, come appena specificato, il processo esecutivo trova un limite nell’incoercibilità dell’obbligazione
del soccombente; in altre parole, vi sono i c. d. obblighi di fare infungibili, per i quali non si può avere la
sostituzione della persona del debitore con un terzo e, di conseguenza, non può essere azionato un processo
esecutivo.
ESEMPIO 1: Se oggetto dell’obbligazione derivante da sentenza di condanna è tinteggiare una parete ed il
decoratore soccombente non ottempera, trattandosi di un obbligo di fare fungibile, il decoratore
soccombente potrà essere sostituito da un altro decoratore chiamato da un organo coercitivo dello Stato e, di
conseguenza, l’azione esecutiva di tale sentenza di condanna sarà proponibile.
ESEMPIO 2: Al contrario, se oggetto dell’obbligazione derivante da sentenza di condanna è dipingere un
quadro su commissione ed il pittore soccombente non ottempera, trattandosi di un obbligo di fare
infungibile, egli non potrà essere obbligato in modo coattivo a farlo e, di conseguenza, l’azione esecutiva di
tale sentenza di condanna non sarà proponibile.
QUALE STRUMENTO PUÒ IMPLICARE L’ADEMPIMENTO DI OBBLIGHI DI FARE INFUNGIBILI,
DERIVANTI DA UNA SENTENZA DI CONDANNA?
Oltre alla tutela residuale del risarcimento del danno, in alcuni ordinamenti molto severi, quali l’Inghilterra,
l’inottemperanza al provvedimento/all’ordine dell’autorità giudiziaria - civile e/o penale - è perseguibile
penalmente, quale reato di oltraggio alla Corte (= letteralmente, dall’inglese «Contempt of Court»). Nel
nostro ordinamento, esiste una norma a tal proposito nel CP, che, tuttavia, non è mai stata applicata.
Al contrario, al fine di spingere il soccombente all’ottemperanza delle sentenze di condanna ad un obbligo di
fare infungibile, in Italia da anni si discute circa l’introduzione delle c. d. misure coercitive indirette: lo
stesso «Contempt of Court» è una misura coercitiva indiretta, poiché, pur non essendovi una coercizione
diretta dell’adempimento dell’obbligazione, il timore di tale perseguibilità penale è un forte stimolo indiretto
all’adempimento.
Nello specifico, seguendo il modello legislativo francese del c. d. astreinte, nell’ordinamento italiano si è
discusso a lungo circa l’introduzione di sanzioni pecuniare volte ad ottenere l’adempimento della sentenza
di condanna; infine, la LEGGE N. 69 DEL 2009 ha introdotto quest’istituto in via generale EX ART. 614
BIS CPC, intitolato "Attuazione degli obblighi di fare infungibili o di non fare" e logicamente collocato nel
III Libro CPC, intitolato "Del processo di esecuzione".
In particolare, EX ART. 614 BIS.1 CPC, è stabilito che «CON IL PROVVEDIMENTO DI CONDANNA IL
GIUDICE, SALVO CHE CIÒ SIA MANIFESTAMENTE INIQUO, FISSA, SU RICHIESTA DI PARTE,
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile LA SOMMA DI DENARO DOVUTA DALL’OBBLIGATO PER OGNI VIOLAZIONE O
INOSSERVANZA SUCCESSIVA, OVVERO PER OGNI RITARDO NELL’ESECUZIONE DEL
PROVVEDIMENTO. IL PROVVEDIMENTO DI CONDANNA COSTITUISCE TITOLO ESECUTIVO
PER IL PAGAMENTO DELLE SOMME DOVUTE PER OGNI VIOLAZIONE O INOSSERVANZA.
[…]»; quindi, al momento della pronuncia della sentenza di condanna ad un obbligo di fare infungibile o di
non fare (cioè non nella fase esecutiva, ma prima ancora che si verifichi l’inadempimento, il che è, quindi,
un maggiore stimolo all’adempimento, poiché il soccombente sa già che, se non ottempererà alla sentenza di
condanna, andrà in conto a sanzione pecuniaria), il vincitore può domandare al giudice (Ciò significa che la
misura coercitiva indiretta può essere stabilita solo su iniziativa di parte e mai d’ufficio) che condanni il
soccombente anche a pagare un’eventuale somma di denaro, nel caso di «VIOLAZIONE O
INOSSERVANZA SUCCESSIVA, OVVERO PER OGNI RITARDO NELL’ESECUZIONE DEL
PROVVEDIMENTO».
Pertanto, l’ART. 614 BIS.1 CPC lascia un ampio margine di discrezionalità al giudice nel determinare tale
somma di denaro, che, essendo dovuta dall’obbligato soccombente anche «PER OGNI RITARDO
NELL’ESECUZIONE DEL PROVVEDIMENTO», è tanto più elevata quanto più si protrae nel tempo
l’inadempimento della sentenza di condanna ad un obbligo di fare infungibile o di non fare; nello specifico,
EX ART. 614 BIS.2 CPC, «IL GIUDICE DETERMINA L’AMMONTARE DELLA SOMMA DI CUI AL
PRIMO COMMA TENUTO CONTO DEL VALORE DELLA CONTROVERSIA, DELLA NATURA
DELLA PRESTAZIONE, DEL DANNO QUANTIFICATO O PREVEDIBILE E DI OGNI ALTRA
CIRCOSTANZA UTILE».
QUALE DIFFERENZA C’È TRA L’INNOVATIVO ISTITUTO GENERALE EX ART. 614 BIS CPC E
LA PREGRESSA MISURA COERCITIVA INDIRETTA SPECIALE EX ART. 140.7 D. LGS. N. 206 DEL
2005? Nel 2005, con l’emanzione del c. d. Codice del Consumo - che è il D. LGS. N. 206 DEL 2005 -, il
legislatore italiano aveva già previsto l’istituto delle misure coercitive indirette nell’ambito della tutela del
consumatore: le associazioni dei consumatori possono far valere la c. d. azione inibitoria e, nello specifico,
EX ART. 140.7 CODICE DEL CONSUMO, è prevista una misura coercitiva indiretta della sentenza di
condanna derivante da tale azione, secondo cui «CON IL PROVVEDIMENTO CHE DEFINISCE IL
GIUDIZIO DI CUI AL COMMA 1, IL GIUDICE FISSA UN TERMINE PER L'ADEMPIMENTO DEGLI
OBBLIGHI STABILITI E, ANCHE SU DOMANDA DELLA PARTE CHE HA AGITO IN GIUDIZIO,
DISPONE, IN CASO DI INADEMPIMENTO, IL PAGAMENTO DI UNA SOMMA DI DENARO DA 516
EURO A 1.032 EURO, PER OGNI INADEMPIMENTO OVVERO GIORNO DI RITARDO
RAPPORTATI ALLA GRAVITÀ DEL FATTO. […]. TALI SOMME DI DENARO SONO VERSATE
ALL'ENTRATA DEL BILANCIO DELLO STATO PER ESSERE RIASSEGNATE CON DECRETO DEL
MINISTRO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE AL FONDO DA ISTITUIRE NELL'AMBITO DI
APPOSITA UNITÀ PREVISIONALE DI BASE DELLO STATO DI PREVISIONE DEL MINISTERO
DELLO SVILUPPO ECONOMICO, PER FINANZIARE INIZIATIVE A VANTAGGIO DEI
CONSUMATORI».
Diversamente dall’istituto generale EX ART. 614 BIS.1 CPC, questa peculiare misura pecuniaria coercitiva
indiretta è delimitata ex lege nel suo ammontare «DA 516 EURO A 1.032 EURO», il che lascia un minore
margine di discrezionalità al giudice stesso, nel determinarla in termini quantitativi.
Allo stesso tempo, il pagamento di queste somme di denato è versato «ALL'ENTRATA DEL BILANCIO
DELLO STATO PER FINANZIARE INIZIATIVE A VANTAGGIO DEI CONSUMATORI», dato che
l’azione inibitoria, di cui è così sancito il ritardo nell’adempimento della sentenza, è peculiarmente proposta
dall’associazione dei consumatori. Al contrario, EX ART. 614 BIS CPC, il pagamento di tale sanzione
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile pecuniaria è a favore di chi ha vinto la pregressa azione di condanna.
QUALI ULTERIORI EFFETTI HA LA SENTENZA DI CONDANNA TRADIZIONALE, RISPETTO
ALL’EFFETTO PRINCIPALE DI EVENTUALE AZIONABILITÀ DEL PROCESSO ESECUTIVO? A.
Post sentenza di condanna, il creditore vincitore può procedere all’iscrizione sui beni dell’obbligato
soccombente della c. d. ipoteca giudiziale (vs ipoteca legale e/o ipoteca volontaria. L'ipoteca giudiziale è
decretata da un giudice a seguito della richiesta di un creditore insoddisfatto; all'origine può dipendere da
qualsiasi debito, anche di modesto importo. Ripassare il concetto di ipoteca in diritto privato) EX ART.
2818 C. C., secondo cui «OGNI SENTENZA, CHE PORTA CONDANNA AL PAGAMENTO DI UNA
SOMMA, O ALL'ADEMPIMENTO DI ALTRA OBBLIGAZIONE, OVVERO AL RISARCIMENTO DEI
DANNI DA LIQUIDARSI SUCCESSIVAMENTE, È TITOLO PER ISCRIVERE IPOTECA SUI BENI
DEL DEBITORE. LO STESSO HA LUOGO PER GLI ALTRI PROVVEDIMENTI GIUDIZIALI AI
QUALI LA LEGGE ATTRIBUISCE TALE EFFETTO». Con questa garanzia ipotecaria, il creditore, a cui
favore è stata pronunciata la sentenza di condanna, vincola i beni del debitore soccombente al
soddisfacimento del proprio credito derivante dalla sentenza di merito.
B. Ulteriore effetto della sentenza di condanna, esclusivamente se passata in giudicato - e, quindi,
logicamente non conseguente alla sentenza costitutiva e/o alla sentenza di mero accertamento -, è previsto
EX ART. 2953 C. C., secondo cui «I DIRITTI PER I QUALI LA LEGGE STABILISCE UNA
PRESCRIZIONE PIÙ BREVE DI DIECI ANNI, QUANDO RIGUARDO AD ESSI È INTERVENUTA
SENTENZA DI CONDANNA PASSATA IN GIUDICATO, SI PRESCRIVONO CON IL DECORSO DI
DIECI ANNI». In altre parole, la sentenza di condanna passata in giudicato trasforma l’eventuale
prescrizione breve in prescrizione ordinaria di 10 anni.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 16. Figure particolari di sentenze di condanna
Accanto alla sentenza di condanna tradizionale di cui si è trattato sinora, il legislatore prevede figure
particolari di sentenze di condanna, con cui o si ha un’anticipazione di taluni effetti della condanna classica
(come nell’ipotesi della condanna generica, con cui si ha un’anticipazione dell’iscrizione dell’ipoteca
giudiziale rispetto alla determinazione del quantum della prestazione; o nell’ipotesi della condanna in futuro,
con cui si ha un’accelerazione nella costituzione del titolo esecutivo), o si ha un iter procedimentale
abbreviato (comme nell’ipotesi della condanna con riserva di eccezioni, che è pronunciata dal giudice senza
previo esame delle eccezioni del convenuto) In particolare, si tratta delle seguenti figure peculiari di
provvedimento di condanna:
1. Figura peculiare della CONDANNA GENERICA EX ART. 278.1 CPC: In particolare, EX ART. 278.1
CCP, contenuto nel Libro II CPC, è stabilito che «QUANDO È GIÀ ACCERTATA LA SUSSISTENZA DI
UN DIRITTO, MA È ANCORA CONTROVERSA LA QUANTITÀ DELLA PRESTAZIONE DOVUTA,
IL COLLEGIO (In questo caso, il termine collegio, ancora risalente all’originaria formulazione codicistica
del 1942, è riferito all’originaria forma collegiale del giudice istruttore per la generalità delle cause; oggi,
invece, deve essere letto, in chiave evolutiva, come giudice unico), SU ISTANZA DI PARTE, PUÒ
LIMITARSI A PRONUNCIARE CON SENTENZA LA CONDANNA GENERICA ALLA
PRESTAZIONE, DISPONENDO CON ORDINANZA CHE IL PROCESSO PROSEGUA PER LA
LIQUIDAZIONE». Pertanto, si tratta della situazione in cui è stata proposta un’azione di condanna, ma il
giudice, pur avendo accertato la sussistenza del diritto soggettivo dell’attore, non ha ancora individuato
esattamente la quantità della prestazione dovuta dall’obbligato soccombente; in altre parole, si parla di
condanna generica, perché, con tale pronuncia, è accertato l’an (ESEMPIO: Nel caso di una prestazione di
dare, il giudice ha stabilito che il soccombente deve restituire una determinata somma di denaro al creditore
vincitore, in virtù di un contratto di mutuo concluso tra le due parti, di cui ha accertato l’esistenza), ma non
il quantum (ESEMPIO: Nel caso di una prestazione di dare, il giudice non ha, comunque, ancora stabilito
l’ammontare della somma di denaro, che il creditore vincitore ha diritto a ricevere dall’obbligato vincitore,
in virtù del contratto di mutuo tra loro concluso, di cui ha accertato l’esistenza) della prestazione oggetto
della condanna.
Nel momento in cui è certo l’an, ma è ancora controverso il quantum, l’attore può chiedere al giudice di
pronunciare una condanna generica alla prestazione; tuttavia, post tale sentenza di condanna generica, il
processo civile non è chiuso, bensì procede per la determinazione del quantum, affinchè, in seguito, la
controparte soccombente possa essere condannata al pagamento di un preciso ammontare di denaro.
In particolare, la sentenza di condanna generica non costituisce un titolo esecutivo, poiché non è ancora
stabilito il quantum della prestazione, che, quindi, non è ancora liquida ed esigibile.
Invece, essendo già accertato l’an, il vantaggio derivante all’attore dalla/la ragionevolezza dell’istituto della
condanna generica è la conseguente possibilità, in capo all’attore, di procedere all’iscrizione dell’ipoteca
giudiziale sui beni dell’obbligato soccombente. Infatti, EX ART.2838.1 C. C., rubricato "Somma per cui
l’iscrizione è eseguita", è stabilito che «SE LA SOMMA DI DANARO NON È ALTRIMENTI
DETERMINATA NEGLI ATTI IN BASE AI QUALI È ESEGUITA L'ISCRIZIONE O IN ATTO
SUCCESSIVO, ESSA È DETERMINATA DAL CREDITORE NELLA NOTA PER L'ISCRIZIONE»; in
particolare, poiché l’attore creditore potrebbe iscrivere l’ipoteca giudiziale per una somma di denaro - da lui
determinata -, su cui l’obbligato soccombente non è assolutamente d’accordo, vi può essere la riduzione
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile dell’ipoteca su istanza del debitore EX ARTT. 2872 E SGG. C. C.
2. Figura peculiare della CONDANNA PROVVISIONALE EX ART. 278.2 CPC: Al contrario, EX ART.
278.2 CCP, è stabilito che «IN TAL CASO IL COLLEGIO, CON LA STESSA SENTENZA E SEMPRE
SU ISTANZA DI PARTE, PUÒ ALTRESÌ CONDANNARE IL DEBITORE AL PAGAMENTO DI UNA
PROVVISIONALE, NEI LIMITI DELLA QUANTITÀ PER CUI RITIENE GIÀ RAGGIUNTA LA
PROVA». Ciò significa che, qualora il giudice abbia accertato l’an ed abbia già raggiunto il proprio
convincimento su una porzione di quantum della prestazione dovuta dal soccombente, egli pronuncia,
sempre su domanda di parte - e, quindi, mai d’ufficio - la c. d. provvisionale, quale vera e propria sentenza
di condanna tradizionale, anche se provvisioria, a tale porzione di quantum.
3. Figura peculiare della CONDANNA IN FUTURO EX ARTT. 657 E 664 CPC: In questo caso, l’attore
creditore agisce in giudizio per ottenere la condanna del suo debitore convenuto prima che il suo credito sia
diventato esigibile; questo tipo di provvedimento di condanna può essere richiesto solo nelle ipotesi
peculiari tassativamente previste dalla legge, al fine di favorire una determinata categoria di soggetti.
In particolare, il Capo II del Titolo I del Libro IV CPC, intitolato "Del procedimento per convalida di
sfratto", favorisce i proprietari di beni immobili, che li diano in locazione: EX ART. 657.1 CPC, con questo
procedimento (speciale) sommario, il locatore può intimare al conduttore la licenza per finita locazione,
prima del termine di scadenza relativo allo stesso contratto di locazione e, perciò, prima che sia attuale il suo
diritto al rilascio dell’immobile. In altre parole, il locatore può domandare un provvedimento di condanna in
futuro ai danni del conduttore, in modo che, una volta scaduto il contratto di locazione, egli ha già in mano
un titolo esecutivo, che gli consenta, in caso di inadempimento del conduttore, di procedere all’esecuzione
forzata (In particolare, al di là della disciplina originaria del 1942 EX ART. 657 CPC, una serie di leggi
speciali ha disciplinato in seguito nel dettaglio l’esecuzione forzata dello sfratto).
Inoltre, sempre entro la disciplina del procedimento speciale per convalida di sfratto, EX ART. 664.1 CPC è
stabilito che il giudice può anche pronunciare un decreto di ingiunzione per l’ammontare non solo dei
canoni scaduti, ma anche di quelli che scadranno, fino all’esecuzione dello sfratto: tale decreto ingiuntivo è
un ulteriore esempio di provvedimento di condanna in futuro.
4. Figura peculiare della CONDANNA CON RISERVA DELLE ECCEZIONI EX ART. 35 CPC: In questo
caso, il giudice pronuncia una sentenza di condanna, senza esaminare le eccezioni proposte dal convenuto
(L’eccezione è il tipico strumento difensivo del convenuto, di cui si dirà in seguito), pur avendo instaurato il
contradditorio nei confronti del convenuto (in quanto si tratta, comunque, di un procedimento ordinario di
cognizione, vs procedimento per ingiunzione, in cui il provvedimento è reso dal giudice senza
l’instaurazione del contraddittorio nei confronti del convenuto). Anche questo peculiare provvedimento di
condanna può essere richiesto solo nei casi tassativamente previsti dal legislatore, perché, essendo la
domanda dell’attore accolta dal giudice con riserva delle eccezioni, è un istituto potenzialmente lesivo del
diritto di difesa del convenuto, che, di conseguenza, favorisce l’attore.
In particolare, una peculiare ipotesi ex lege di condanna con riserva delle eccezioni è disciplinata EX ART.
35 CPC, quale norma complessa, rubricata "Eccezione di compensazione" (La compensazione è un istituto
di diritto sostanziale, che determina l’estinzione del debito: EX ART. 1241 C. C., è stabilito che «QUANDO
DUE PERSONE SONO OBBLIGATE L'UNA VERSO L'ALTRA, I DUE DEBITI SI ESTINGUONO PER
LE QUANTITÀ CORRISPONDENTI […]». ESEMPIO: Alla domanda dell’attore di condanna alla
restituzione di una certa somma di denaro data a mutuo, il convenuto eccepisce il fatto che, pur essendo
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile debitore per tale somma nei confronti dell’attore, egli è anche creditore nei suoi confronti per una somma
equivalente), secondo cui «QUANDO È OPPOSTO IN COMPENSAZIONE UN CREDITO CHE È
CONTESTATO [In altre parole, è l’ipotesi in cui l’attore contesta/nega l’eccezione di compensazione
allegata dal convenuto e, quindi, nega l’esistenza di un proprio debito nei confronti del convenuto] ED
ECCEDE LA COMPETENZA PER VALORE DEL GIUDICE ADITO [In altre parole, è l’ipotesi in cui la
verifica dell’esistenza di tale credito del convenuto non rientra nella competenza per valore (di cui poi si dirà
in seguito) del giudice di I grado, cui è stato eccepito per compensazione], QUESTI, SE LA DOMANDA È
FONDATA SU TITOLO NON CONTROVERSO O FACILMENTE ACCERTABILE, PUÒ DECIDERE
SU DI ESSA [In altre parole, qualora il giudice abbia verificato che la domanda dell’attore è fondata su un
titolo/un fatto costitutivo non controverso/contestato tra le parti o facilmente accertabile (È l’ipotesi in cui
l’attore ha allegato alla propria domanda dei documenti, per cui non è necessaria una lunga istruzione
probatoria da parte del giudice), il giudice può pronunciare un provvedimento di condanna con riserva
dell’eccezione di compensazione] E RIMETTERE LE PARTI AL GIUDICE COMPETENTE PER LA
DECISIONE RELATIVA ALL'ECCEZIONE DI COMPENSAZIONE […]».
Riepilogando, quindi, la finalità di quest’istituto è la seguente: si ha una sentenza che pronuncia una
condanna a favore dell’attore solo sulla base della sua domanda - il che implica un esclusivo accertamento
delle ragioni dell’attore, che sono non contestate o accertabili con facilità - ed una sucessiva sentenza,
pronunciata da un altro giudice, in cui, essendo ormai già accertati i fatti costitutivi, è verificata solo
l’eccezione del convenuto.
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Diritto processuale civile 17. Controversa collocazione dell’azione inibitoria ex art. 140 codice
del consumo
Entro le tre categorie tradizionali di azione di cognizione (=Azione costiutiva + Azione di condanna +
Azione di accertamento mero), l’azione inibitoria è di difficile collocazione: secondo la maggior parte della
dottrina, l’azione inibitoria rientra nella categoria dell’azione di condanna, con cui, quindi, l’attore può
chiedere non solo la cessazione di determinati comportamenti lesivi e la condanna a ripristinare il proprio
diritto violato, ma anche con cui può prevenire la violazione del proprio diritto soggettivo; d’altro canto,
altra parte della dottrina si è domandata se essa sia o meno un’azione di tipo generale (cioè se possa
esercitarsi, anche se non prevista ex lege) e, allo stesso tempo, se essa sia una categoria autonoma di azione
di cognizione, cioè la c. d. azione preventiva (Infatti, nonostante non vi sia ancora stata la violazione
dell’interesse diffuso fatto valere, attraverso l’azione inibitoria il consumatore o l’utente domanda al giudice
una reintegrazione preventiva di tale propria situzione giuridica, previa ordine di cessazione e/o omissione di
determinati atti lesivi).
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Diritto processuale civile 18. L’azione di mero accertamento
Come già ricordato sopra, oltre ad un quid pluris, un momento di accertamento è sempre presente sia
nell’azione costitutiva, nel qual caso consiste nella verifica della sussistenza in capo ad una delle parti del
diritto alla modificazione giuridica; sia nell’azione di condanna, nel qual caso consiste nella verifica della
sussistenza e della violazione di un diritto soggettivo.
Al contrario, nell’azione di mero accertamento, il giudice si limita ad accertare la sussistenza di un diritto
soggettivo in capo a colui che, proponendo la domanda, se ne è affermato titolare.
ESEMPIO: Una tipica ipotesi di azione di mero accertamento è l’azione di nullità.
È SEMPRE PROPONIBILE L’AZIONE DI ACCERTAMENTO MERO? O È IL LEGISLATORE A
DOVERLA PREVEDERE?
Al riguardo, il legislatore italiano tace sia nel CPC, sia nel C. C.; invece, in alcuni ordinamenti,come quello
tedesco, il legislatore afferma esplicitamente che l’azione di mero accertamento è sempre proponibile.
Questa problematica della proponibilità o meno dell’azione di mero accertamento è legata all’opportunità o
meno di chiamare in causa il giudice solo per ottenere l’accertamento del proprio diritto, senza che ancora vi
sia stata una sua violazione.
- Parte della dottrina ritiene che, in quanto inopportuno, quest’intento del titolare di un diritto non sia
sufficiente ad ottenere una sentenza di mero accertamento; al contrario, affinchè sia proponibile un’azione di
mero accertamento, occorre se non la vera e propria violazione del diritto, almeno il vanto altrui nei
confronti del diritto fatto valere dall’attore e, allo stesso tempo, l’espressa previsione tassativa ex lege. Per
comprendere meglio quest’orientamento dottrinale, analizziamo alcune ipotesi di accertamento mero
esplicitamente previste ex lege, che sono riscontrabili nella materia dei diritti assoluti.
Ad esempio, nel Capo IV del Titolo II del Libro III C. C., intitolato "Delle azioni a difesa della proprietà",
EX ART. 949.1 C. C., rubricato "Azione negatoria", è stabilito che «IL PROPRIETARIO PUÒ AGIRE PER
FAR DICHIARARE L'INESISTENZA DI DIRITTI AFFERMATI DA ALTRI SULLA COSA (In altre
parole, "al fine di accertare che nessun altro abbia diritti sulla cosa di proprietà del proprietario"), QUANDO
HA MOTIVO DI TEMERNE PREGIUDIZIO [Ecco qui un’espressione legislativa, con cui si indica il vanto
altrui nei confronti del diritto - in questo caso di proprietà - fatto valere dall’attore.]».
Allo stesso tempo, nel Capo VII del Titolo VI del Libro III C. C., intitolato "Delle azioni a difesa della
servitù", EX ART. 1079 C. C., è stabilito che «IL TITOLARE DELLA SERVITÙ PUÒ FARNE
RICONOSCERE IN GIUDIZIO L'ESISTENZA CONTRO CHI NE CONTESTA L'ESERCIZIO [Ecco qui
un’espressione legislativa, con cui si indica il vanto altrui nei confronti del diritto - in questo caso di servitù
- fatto valere dall’attore.] […]».
- Altra parte della dottrina, invece, ritiene che l’azione di accertamento mero sia atipica, perché tale azione è
di ambito generale.
Ad esempio, quando l’attore propone una qualsivoglia domanda e il giudice la rigetta/la respinge, poiché
accerta l’inesistenza dei fatti costitutivi allegati (ESEMPIO: Alla domanda dell’attore di condanna alla
restituzione di una certa somma di denaro data a mutuo, il giudice accerta che tale somma non è mai stata
consegnata al convenuto), quest’ultimo pronuncia una sentenza di accertamento mero, vagliante
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile l’inesistenza del diritto vantato dall’attore. Tuttavia, l’azione di rigetto non è esplicitamente prevista ex lege!
- La giurisprudenza, invece, ha un atteggiamento molto più pragmatico: il problema si pone non tanto per le
azioni che tutelano i diritti assoluti, quale ambito in cui, essendo sussistente un’esplicita previsione ex lege,
è pacifico che ci possano essere delle azioni di accertamento mero; bensì quanto per le azioni che tutelano i
diritti relativi/i diritti di credito, quale ambito in cui la giurisprudenza afferma che può essere proposta
un’azione di mero accertamento, purché l’attore abbia un interesse a proporre la domanda e ad ottenere la
pronuncia del giudice [Dal punto di vista concettuale, questo principio giurisprudenziale è una condizione
dell’azione, EX ART. 100 CPC, rubricato "Interesse ad agire", secondo cui «PER PROPORRE UNA
DOMANDA O PER CONTRADDIRE ALLA STESSA È NECESSARIO AVERVI INTERESSE»].
In particolare, la giurisprudenza non ha determinato un criterio generale per ravvisare o meno (nel qual caso
l’attore, per proporre una domanda, deve attendere un’effettiva violazione del proprio diritto) un interesse
dell’attore a proporre un’azione di accertamento mero del proprio diritto, ma, al contrario, ha dato soluzioni
caso per caso: a seconda della domanda di accertamento proposta dall’attore, il giudice individua se l’attore
ha un interesse ad ottenere una pronuncia o no! A questo proposito, si scontrano/si oppongono due principi
generali in materia processualcivilistica: il diritto di azione, EX ART. 6.1 CEDU e EX ART. 24.1
COSTITUZIONE, secondo cui «TUTTI POSSONO AGIRE IN GIUDIZIO PER LA TUTELA DEI
PROPRI DIRITTI E INTERESSI LEGITTIMI»; ed il principio di economia processuale, secondo cui,
affinché la tutela giurisdizionale sia effettiva e, di conseguenza, siano superabili le problematiche del
sistema giutizia italiano - di cui si è detto -, se non vi è stata violazione del diritto, il suo titolare non ha
ancora interesse a proporre una domanda al giudice.
ESEMPIO PRATICO: Vi sono state molte cause proposte dai lavoratori per ottenere, in pendenza del
rapporto di lavoro, l’accertamento del loro diritto alla maturazione del TFR (=Diritto alla computazione di
una determinata voce retributiva entro il Trattamento di Fine Rapporto, quale fattispecie a formazione
progressiva): essendo ancora in costanza del rapporto di lavoro, il lavoratore attore non ha ancora subito una
violazione del proprio diritto al riconoscimento di un determinato TFR. Pertanto, si tratta esclusivamente di
una domanda di accertamento mero che, fino a quel momento, l’ammontare del TFR sia proprio quello
sinora computato. A tal proposito, vi sono state pronunce della Corte di Cassazione contrastanti tra loro, ma
poi le Sezioni Unite hanno affermato la proponibilità di questa domanda da parte dei lavoratori, che, quindi,
hanno un interesse ad agire in mero accertamento.
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Diritto processuale civile 19. Il giudicato formale
(La cosa giudicata si distingue in due concezioni: il concetto di c. d. giudicato formale ed il concetto di c. d.
giudicato sostanziale.)
La sentenza passata in giudicato, i cui effetti sono stabiliti EX ART. 2909 C. C., è la c. d. cosa giudicata
formale, definita EX ART. 324 CPC, secondo cui «SI INTENDE PASSATA IN GIUDICATO LA
SENTENZA CHE NON È PIÙ SOGGETTA NÈ A REGOLAMENTO DI COMPETENZA, NÈ AD
APPELLO, NÈ A RICORSO PER CASSAZIONE, NÈ A REVOCAZIONE PER I MOTIVI DI CUI AI
NUMERI 4 E 5 DELL'ARTICOLO 395 (Si tratta della c. d. revocazione ordinaria)».
In altre parole, il passaggio in giudicato (formale) della sentenza si ha quando contro la sentenza non son più
proponibili/sono esaurite certe possibilità difensive/determinati mezzi di impugnazione, quali il regolamento
di competenza, l’appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione ordinaria; essi prendono il nome di
mezzi di impugnazione ordinari, che, appunto, sono i mezzi di impugnazione la cui proponibilità impedisce
il passaggio in giudicato (formale) della sentenza. Ad esempio, la sentenza di I grado ha efficacia esecutiva
ex lege, ma passa in giudicato formale, solo quando contro di essa non è più proponibile l’appello; invece, la
sentenza d’appello passa in giudicato formale, solo se sono decorsi i termini per proporre il ricorso per
Cassazione.
Quale ratio dell’ART. 324 CPC, la sentenza passata in giudicato formale non è più attacabile, perché, solo in
questo modo, la legge può garantire la certezza dei rapporti giuridici: se il risultato ottenibile attraverso un
processo fosse sempre soggetto a modificazioni, avrebbe un’utilità piuttosto scarsa!
Tuttavia, bisogna ricordare che, anche se di regola la sentenza passata in giudicato formale non è più
attaccabile, non è inattaccabile in assoluto, perché nei suoi confronti sono ancora eccezionalmente
proponibili i c. d. mezzi di impugnazione straordinari, che sono l’opposizione di terzo e la revocazione
straordinaria.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 20. Il giudicato sostanziale
(La cosa giudicata si distingue in due concezioni: il concetto di c. d. giudicato formale ed il concetto di c. d.
giudicato sostanziale.)
Una volta che la sentenza è passata in giudicato formale, essa ha effetto di giudicato sostanziale EX ART.
2909 C. C.
In generale, la dottrina parla di cosa giudicata sostanziale/di giudicato sostanziale EX ART. 2909 C. C. per il
seguente motivo: il diritto processuale ha una funzione strumentale di attuazione del diritto sostanziale (In
altre parole, quando c'è l'esigenza di far accertare un diritto soggettivo violato e/o vantato, si ricorre sempre
al processo); di conseguenza, salvo un’eventuale (e assai raro) utilizzo dei mezzi di impugnazione
straordinari, nel momento in cui il diritto processuale ha svolto questa sua funzione (In altre parole, nel
momento in cui nei confronti della pronuncia del giudice sono stati esperiti i mezzi di impugnazione
ordinaria o, comunque, è decorso il termine per proporlo), il dictum/la pronuncia del giudice acquista un
valore sostanziale, indipendentemente dal fatto che sia giusta e/o corretta oppure no, e, di conseguenza, si
sostituisce al diritto sostanziale.
In particolare, nell’ambito del Capo I del Titolo IV del Libro VI C. C., dedicato alle disposizioni generali in
materia della tutela giurisdizionale dei diritti, l’ART. 2909 C. C., rubricato "Cosa giudicata", detta la
definizione del c. d. giudicato sostanziale, secondo cui «L'ACCERTAMENTO CONTENUTO NELLA
SENTENZA (consistente nel verificare che i fatti si sono svolti in un determinato modo e nell’applicare a
questi fatti la corretta norma giuridica, quale momento comune a tutti e tre i tipi di azione di cognizione, che
può essere di accertamento mero, di condanna e/o costitutiva) PASSATA IN GIUDICATO [Si intende
"passata in giudicato di tipo formale EX ART. 324 CPC", cioè contro cui siano esauriti/non siano più
proponibili i mezzi di impugnazione ordinari] FA STATO [In altre parole, quest’espressione significa che,
anche se l’accertamento non è corretto (perché i fatti non sono stati accertati in modo corretto, il che è
possibile, ad esempio, se le parti non hanno allegato tutti i fatti al processo/se le parti non hanno dedotto nel
processo tutto il deducibile e, di conseguenza, vi è stata una cognizione non completa da parte del giudice;
e/o perché, a causa di un errore dell’attività giudiziaria, non è stata applicata la norma giuridica che doveva
essere applicata), è comunque definitivo e vincolante. In dottrina, quale migliore sinonimo di
quest’espressione, si afferma che il giudicato (formale) non copre solo il dedotto, ma anche il deducibile: ciò
significa che, se le parti hanno allegato solo determinati fatti e/o hanno dedotto solo la violazione di alcune
norme giuridiche, l’ulteriore deducibile, non entrato nel processo, è coperto dal giudicato. Solo il non
deducibile non è coperto dal giudicato (formale): ad esempio, i c. d. patti sopravvenuti, che sono stati
conclusi tra attore e convenuto in un momento successivo alla pronuncia della sentenza, non erano
deducibili nel giudizio pregresso, motivo per cui possono essere utilizzati dal soccombente per bloccare il
giudicato (formale). ESEMPIO: Se, post pronuncia della sentenza di condanna e suo sopravvenuto
passaggio in giudicato (formale), il convenuto soccombente paga all’attore vincitore la somma presa a
mutuo che gli doveva, qualora sia fatta valere dall’attore nei suoi confronti un’azione esecutiva per il
pagamento di tale somma, egli vi potrà opporre il proprio sopravvenuto adempimento.] A OGNI EFFETTO
TRA LE PARTI, I LORO EREDI O AVENTI CAUSA».
«L’ACCERTAMENTO CONTENUTO NELLA SENTENZA PASSATA IN GIUDICATO FA STATO A
OGNI EFFETTO» - Il giudicato (sostanziale) dal punto di vista oggettivo: Nello specifico, il giudicato
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile formale può avere efficacia diretta, in processi in cui sia proposta la stessa domanda, e, perciò, sia fatto
valere lo stesso diritto, su cui esso già sussiste; o può avere efficacia riflessa, in processi in cui sia proposta
domanda, e, perciò, sia fatto valere un diritto, legati con un nesso di pregiudizialità - dipendenza alla
domanda e al diritto, su cui esso già sussiste.
1. La c.d. efficacia diretta del giudicato formale è la seguente: se la stessa domanda, che è stata
respinta/rigettata dal giudice con una sentenza ormai passata in giudicato formale (perché, ad esempio, sono
decorsi i tempi per proporre l’appello), è riproposta dallo stesso attore - il cui diritto soggettivo vantato nel
frattempo non si è prescritto - nei confronti dello stesso convenuto davanti ad un altro o allo stesso giudice,
il giudice adito per secondo rigetta/respinge nuovamente tale domanda, perché su di essa esiste già un
giudicato formale! In altre parole, ciò significa che il giudicato formale ha effetto anche in un successivo
processo, nei cui confronti è fatta valere la stessa domanda: questo è il principio del ne bis in idem.
2. Al contrario, la c. d. efficacia riflessa del giudicato formale può essere in senso negativo o in senso
positivo; in entrambi i casi, si tratta dell’ipotesi in cui di due domande, proposte in tempi diversi, sono legate
tra loro da un c. d. nesso di pregiudizialità - dipendenza.
- In particolare, l’efficacia riflessa del giudicato in senso negativo è la seguente: se una domanda,
strettamente dipendente e collegata alla domanda respinta dal giudice con una sentenza ormai passata in
giudicato (formale), è proposta dal medesimo attore nei confronti dello stesso convenuto davanti ad un altro
o allo stesso giudice, il giudice adito per secondo respinge anche quest’ulteriore domanda. Questa è ulteriore
dimensione del principio del ne bis in idem
ESEMPIO: L’attore propone un’azione di ripetizione dell’indebito, al fine di ottenere la restituzione di una
somma di denaro, a proprio parere, ingiustamente conferita in pagamento; tuttavia, se il fatto che l’attore
stesso fosse debitore per questa somma di denaro è stato accertato con una sentenza di condanna passata in
giudicato, l’efficacia riflessa di tale giudicato formale determina il rigetto, da parte del giudice, di tale azione
di ripetizione dell’indebito.
- D’altro canto, l’efficacia riflessa del giudicato in senso positivo è la seguente: dato che esiste una
pronuncia passata in giudicato, il giudice è vincolato da quest’accertamento positivo nell’ulteriore azione
esercitata dall’attore, poichè il diritto ivi da lui fatto valere esiste nella misura in cui esiste il diritto fatto
valere nell’azione precedente.
ESEMPIO: L’attore domanda al giudice la condanna di un certo soggetto al pagamento di una somma di
denaro a titolo di alimenti; affinchè tale domanda sia accolta dal giudice, i presupposti necessari sono la
sussistenza di un determinato vincolo di parentela tra l’attore ed il convenuto e la sussitenza di un particolare
stato di bisogno in capo all’attore. Pertanto, nel caso in cui esista un precedente giudicato che accerti la
sussistenza in capo all’attore di un rapporto di parentela con iel soggetto da lui convenuto per ottenere gli
alimenti, tale rapporto di parentela non potrà più essere contestato dal giudice, ma, al massimo, potrà
esclusivamente essere contestata la sussistenza di un effettivo stato di bisogno in capo all’attore.
«L’ACCERTAMENTO CONTENUTO NELLA SENTENZA PASSATA IN GIUDICATO FA STATO
TRA LE PARTI, I LORO EREDI O AVENTI CAUSA» - Il c. d. giudicato (sostanziale) dal punto di vista
soggettivo: Nello specifico, l’efficacia (diretta o riflessa) del giudicato formale ha dei limiti soggettivi,
essendo effettiva solo tra le parti, i loro eredi o gli aventi causa. In altre parole, affinchè il giudicato formale
sia efficace (in modo diretto o riflesso), la domanda (identica a quella su cui già sussiste giudicato formale, o
legata da un nesso di pregiudizialità - dipendenza a quella su cui già esso sussiste) deve anche essere
proposta tra le medesime parti e/o tra i loro eredi (cioè i successori mortis causa a titolo universale
dell’attore e del convenuto del processo, la cui sentenza è passata in giudicato) o tra i loro aventi causa (cioè
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Diritto processuale civile i successori inter vivos a titolo particolare; in altre parole, i soggetti che hanno acquistato a titolo derivativo
il diritto e/o l’obbligazione precedentemente a capo dell’attore e/o del convenuto del processo, la cui
sentenza è passata in giudicato).
PERCHÉ, SE L’ATTORE PONE LA DOMANDA (IDENTICA, O LEGATA DA UN NESSO DI
PREGIUDIZIALITÀ - DIPENDENZA A QUELLA SU CUI GIÀ SUSSISTE IL GIUDICATO
FORMALE) NEI CONFRONTI DI UN SOGGETTO TERZO (CHE, QUINDI, NON HA ACQUISITO
INTER VIVOS O MORTIS CAUSA L’OBBLIGAZIONE DEL PRECEDENTE CONVENUTO), IL
DICTUM DEL GIUDICE NON FA STATO AD OGNI EFFETTO? La limitazione soggettiva dell’efficacia
del giudicato formale, oltre che alle medesime parti processuali, anche ai rispettivi aventi causa - mortis
causa o inter vivos - è un’ulteriore attuazione della tutela del diritto di difesa EX ART. 24.2 DELLA
COSTITUZIONE: se l’azione, il cui dictum è passato in giudicato, non è stata instaurata nei confronti del
soggetto convenuto in giudizio con una domanda identica o legata da un nesso di pregiudizialità -
dipendenza a quella su cui già sussiste il giudicato formale, egli non ha potuto esercitato il proprio diritto di
difesa nel processo passato in giudicato! In altre parole, se il convenuto fosse vincolato da un dictum passato
in giudicato, che è stato pronunciato da un giudice entro un processo cui non ha partecipato, sarebbe violato
gravemente il suo diritto di difesa EX ART. 24.2 DELLA COSTITUZIONE.
ECCEZIONI AI LIMITI SOGGETTIVI DEL GIUDICATO FORMALE - In alcune ipotesi tassativamente
disciplinate dal C. C., si ha un’estensione del giudicato formale oltre i limiti soggettivi stabiliti EX ART.
2909 C. C.
1. ART. 1595.3 C. C., rubricato "Rapporti tra il locatore e il subconduttore" - EX ART. 1595.3 C. C., è
stabilito che «SENZA PREGIUDIZIO DELLE RAGIONI DEL SUBCONDUTTORE VERSO IL
SUBLOCATORE [Ciò significa che è fatta salva, in capo al subconduttore, l’eventuale richiesta di
risarcimento del danno nei confronti del sublocatore], LA NULLITÀ O LA RISOLUZIONE DEL
CONTRATTO DI LOCAZIONE HA EFFETTO ANCHE NEI CONFRONTI DEL SUBCONDUTTORE
(quale soggetto terzo al processo stesso, da cui è derivata la sentenza di mero accertamento della nullità o la
sentenza costitutiva di risoluzione), E LA SENTENZA PRONUNCIATA TRA LOCATORE E
CONDUTTORE HA EFFETTO ANCHE CONTRO DI LUI».
Nello specifico, la situazione sostanziale è la seguente: essendo stato concluso un contratto di locazione tra il
locatore Tizio e il conduttore Caio, quest’ultimo ha sublocato la cosa locata ad un terzo soggetto Sempronio
EX ART. 1594.1 C. C.. A livello processualcivilistico, invece, l’azione di mero accertamento, avente per
oggetto la nullità del contratto di locazione, o l’azione costitutiva, avente per oggetto la risoluzione del
contratto medesimo, si è instaurata tra il locatore Tizio e il conduttore Caio. In particolare, il fatto che,
eccezionalmente, in deroga alla limitazione soggettiva dell’efficacia del giudicato formale EX ART. 2909 C.
C., la sentenza derivante EX ART. 1594.1 C. C. abbia effetto anche sul subconduttore, quale soggetto del
tutto estraneo al processo, - fatta comunque salva la possibilità di domandare un risarcimento del danno al
subconduttore - dipende proprio dalla configurazione legislativa del rapporto sostanziale di sublocazione.
2. ART. 1306 C. C., riguardo il c. d. giudicato secundum eventum litis - L’ART. 1306.1 C. C., collocato
nella Sezione II del Capo VII del Libro IV C. C. dedicata alla materia delle obbligazioni solidali, disciplina
un’ipotesi peculiare di parziale estensione soggettiva dell’efficacia del giudicato formale secundum eventum
litis: il giudicato formale, avente ad oggetto un’obbligazione solidale (attiva o passiva), a seconda di come si
è chiuso il processo, opera solo se a favore degli altri debitori o degli altri creditori.
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Diritto processuale civile In particolare, concordamente alla limitazione soggettiva dell’efficacia del giudicato formale EX ART. 2909
C. C., EX ART. 1306.1 C. C. è stabilito che «LA SENTENZA PRONUNZIATA TRA IL CREDITORE E
UNO DEI DEBITORI IN SOLIDO (nel qual caso è sottesa un’obbligazione solidale dal punto di vista
passivo), O TRA IL DEBITORE E UNO DEI CREDITORI IN SOLIDO (nel qual caso è sottesa
un’obbligazione solidale dal punto di vista attivo), NON HA EFFETTO CONTRO GLI ALTRI DEBITORI
O CONTRO GLI ALTRI CREDITORI».
ESEMPIO 1: Il creditore Tizio cita in giudizio Caio, uno dei suoi debitori solidali, che viene condannato al
pagamento del debito. A tale sentenza è però estraneo Sempronio, l’altro condebitore, per la cui condanna
sarà necessaria un’altra causa.
Tuttavia, eccezionalmente, in deroga alla limitazione soggettiva dell’efficacia del giudicato formale EX
ART. 2909 C. C., EX ART. 1306.2 C. C. è stabilito che «GLI ALTRI DEBITORI POSSONO OPPORLA
AL CREDITORE [Nello specifico, una giudicato favorevole ai debitori/agli obbligati solidali, che, quindi,
può essere da ciascuno di loro opposto/eccepito al creditore nel caso di un’ulteriore sua domanda nei propri
confronti, può essere una sentenza di rigetto della domanda del creditore nei confronti del debitore solidale
convenuto, che farà nuovamente rigettare la domanda del creditore.], SALVO CHE SIA FONDATA
SOPRA RAGIONI PERSONALI AL CONDEBITORE; GLI ALTRI CREDITORI POSSONO FARLA
VALERE CONTRO IL DEBITORE (nel qual caso è sottesa un’obbligazione solidale dal punto di vista
attivo), SALVE LE ECCEZIONI PERSONALI CHE QUESTI PUÒ OPPORRE A CIASCUNO DI ESSI».
ESEMPIO 2: Nell’ESEMPIO 1, si supponga che la sentenza abbia accertato l’invalidità del patto sugli
interessi extralegali EX ART. 1284.3 C. C., riducendo, quindi, la pretesa del creditore. Sempronio, estraneo
alla sentenza, potrà nondimeno giovarsi di tale aspetto di essa e opporre al creditore quest’accertamento
senza che occorra un nuovo giudizio.
3. ART. 81 CPC, rubricato "Sostituzione processuale" - Riguardo l’efficacia o meno del giudicato formale
in capo al sostituito, si veda la parte dedicata all’istituto della sostituzione processuale. Al contrario, nel caso
di rappresentanaza processuale (legale o volontaria), poiché la parte processuale è pur sempre il
rappresentato attore, non si ha alcuna estensione soggettiva del giudicato sostanziale, in deroga a quanto
stabilito EX ART. 2909 C. C..
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Diritto processuale civile 21. I criteri di identificazione della domanda dell’attore
Numerosi sono i profili del processo per i quali è indispensabile sapere qual è la domanda che è stata
proposta dall’attore e su cui il giudice si è pronunciato.
A. In primo luogo, questo profilo è indispensabile per sapere dinnanzi a quale giudice l’attore deve proporre
la domanda: la competenza del giudice cambia a seconda di quale sia il tipo di domanda a lui proposta.
B. L’efficacia diretta e/o riflessa del giudicato formale EX ART. 2909 C. C. dipende da questo profilo: come
possiamo dire che la domanda proposta dall’attore è la stessa e/o ha abbia un nesso di pregiudizialità -
dipendenza, oppure no?
C. Secondo il principio dispositivo EX ART. 2907.1 C. C., il giudice ha l'obbligo di pronunciarsi sulla
domanda proposta dalle parti.
Pertanto, è importante chiarire quali sono gli elementi soggettivi ed oggettivi che identificano la domanda
dell’attore.
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Diritto processuale civile 22. Elemento soggettivo: l’attore ed il convenuto
Pensando anche ai limiti soggettivi dell’efficacia del giudicato formale EX ART. 2909 C. C., ci sarà
sicuramente un profilo soggettivo che identifica la domanda dell’attore; in particolare, dal punto di vista
soggettivo, gli elementi che identificano la domanda sono le parti processuali, di cui si occupa il Capo I del
Titolo III del Libro I CPC: l’attore (=colui che propone la domanda al giudice) ed il convenuto (=colui nei
cui confronti la domanda è proposta al giudice).
LA RAPPRESENTANZA PROCESSUALE LEGALE E VOLONTARIA - In primo luogo, si deve
distinguere tra la capacità di essere parte processuale (quasi corrispondente alla nozione sostanziale di
capacità giuridica, che si acquista dal momento della nascita) e, invece, la capacità di porre in essere gli atti
del processo (cioè la c. d. capacità processuale, quasi corrispondente alla nozione sostanziale di capacità
d’agire, che si acquista con la maggiore età, salvo gli atti per il cui compimento è stabilita ex lege un’età
diversa). Infatti, mentre chiunque ha la capacità di essere parte processuale, non tutti i soggetti hanno la
capacità di porre in essere gli atti del processo.
A tal proposito, EX ART. 75.1 CPC, rubricato "Capacità processuale", è stabilito che «SONO CAPACI DI
STARE IN GIUDIZIO (=capaci di porre in essere gli atti processuali) LE PERSONE CHE HANNO IL
LIBERO ESERCIZIO DEI DIRITTI CHE VI SI FANNO VALERE»; di conseguenza, EX ART. 75.2 CPC,
è stabilito che «LE PERSONE CHE NON HANNO IL LIBERO ESERCIZIO DEI DIRITTI (quali, ad
esempio, i minori) NON POSSONO STARE IN GIUDIZIO SE NON RAPPRESENTATE (previa la c. d.
rappresentanza legale che, appunto, è un tipo di rappresentanza, imposta dalla legge, per i soggetti che non
hanno il libero esercizio dei loro diritti. ESEMPIO: Per il minore, il rappresentante legale è un genitore),
ASSISTITE O AUTORIZZATE, SECONDO LE NORME CHE REGOLANO LA LORO CAPACITÀ».
Allo stesso tempo, EX ART. 75.3 CPC, «LE PERSONE GIURIDICHE STANNO IN GIUDIZIO PER
MEZZO DI CHI LE RAPPRESENTA A NORMA DELLA LEGGE O DELLO STATUTO (previa la c. d.
rappresentanza legale)».
Oltre alla rappresentanza legale di cui appena trattato, è anche possibile una forma di rappresentanza
volontaria, per cui l’attore, titolare del diritto soggettivo, può volontariamente nominare un rappresentante,
che sia già procuratore dal punto di vista sostanziale, che ponga in essere gli atti del processo. In particolare,
EX ART. 77.1 CPC, rubricato "Rappresentanza del procuratore e dell’institore", è stabilito che «IL
PROCURATORE GENERALE E QUELLO PREPOSTO A DETERMINATI AFFARI NON POSSONO
STARE IN GIUDIZIO PER IL PREPONENTE, QUANDO QUESTO POTERE NON È STATO LORO
CONFERITO ESPRESSAMENTE PER ISCRITTO, TRANNE CHE PER GLI ATTI URGENTI E PER LE
MISURE CAUTELARI».
Inoltre, EX ART. 78.1 CPC, rubricato "Curatore speciale", è prevista l’eventuale nomina di un curatore
speciale, «SE MANCA LA PERSONA A CUI SPETTA LA RAPPRESENTANZA O L'ASSISTENZA, E
VI SONO RAGIONI DI URGENZA», che rappresenti o assista l’attore, finchè subentra colui al quale spetta
la rappresentanza o l’assistenza.
Ai fini dell’identificazione della domanda, quando un rappresentante (legale o volontario) pone in essere gli
atti del processo in vece dell’attore, la parte processuale è pur sempre il rappresentato attore, perché il
rappresentante agisce nel processo, facendo valere un diritto altrui (dell’attore) in nome altrui; pertanto,
secondo il principio generale del ne bis in idem, il rappresentato attore non potrà proporre nuovamente la
stessa domanda (posta in essere dal proprio rappresentante) nei confronti dello stesso convenuto!
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Diritto processuale civile 23. La sostituzione processuale (anche detta "legittimazione
straordinaria")
Quale istituto diverso dalla rappresentanza processuale (legale o volontaria), EX ART. 81 CPC, è stabilito
che «FUORI DEI CASI ESPRESSAMENTE PREVISTI DALLA LEGGE, NESSUNO PUÒ FAR
VALERE NEL PROCESSO IN NOME PROPRIO UN DIRITTO ALTRUI»; da questo dettato normativo,
si ricava che, per ragioni di opportunità (come nel caso dell’azione surrogatoria EX ART. 2900 C. C., che da
sempre alla tradizione processualcivilistica italiana) e/o per ragioni di carattere sociale, legata al diritto di
associazione costituzionalmente garantito (come nel caso della class action a tutela dei consumatori), in
alcuni casi tassativamente previsti dalla legge, un soggetto sostituto è legittimato a far valere nel processo in
nome proprio un diritto altrui (dell’attore sostituito).
Ai fini dell’identificazione della domanda, mentre, nell’ipotesi di rappresentanza processuale (legale o
volontaria), si è detto che la parte processuale è, comunque, l’attore rappresentato, nell’ipotesi di
sostituzione processuale la parte processuale è il sostituto (e non più il sostituito effettivo titolare del diritto).
Pertanto, qualunque azione esercitata in nome proprio, facendo valere (la violazione di) un diritto altrui,
presenta un duplice problema: da un lato, la garanzia del diritto di difesa del sostituito, effettivo titolare del
diritto fatto valere, dato che il suo sostituto, che agisce in nome proprio, si può anche avvalere di un
avvocato non tanto esperto, non tutelando, perciò, al meglio il suo diritto; d’altro canto, l’estensione
dell’efficacia del giudicato formale, reso tra il sostituto ed il terzo debitore del sostituito, anche al sostituito,
considerando i limiti soggettivi dell’efficacia del giudicato formale EX ART. 2909 C. C..
Per questi due motivi, nella maggior parte dei casi di sostituzione processuale, il legislatore
processualcivilista opta per l’obbligo, in capo al sostituto che agisce in nome proprio, di convenire in
giudizio anche il titolare del diritto da lui fatto valere: si tratta di un’ipotesi, tassativamente prevista ex lege,
del c d. litisconsorzio necessario.
Nella minoranza dei casi, invece, il legislatore processualcivilista, non imponendo quest’obbligo di
convocazione del sostituito effettivo titolare del diritto, si limita a legittimare il sostituito ad entrare nel
processo e ad impugnare eventualmente la sentenza ivi pronunciata; allo stesso tempo, in questi casi limitati,
la sentenza pronunciata tra il sostituto ed il terzo debitore del sostituito ha efficacia di giudicato nei confronti
del sostituito stesso.
1. Il pubblico ministero - É un sostituto processuale di tipo particolare, disciplinato dal Titolo II del Libro I
CPC e di cui si è sommariamente trattato.
2. Il sostituto creditore legittimato ad intentare la c. d. azione surrogatoria EX ART. 2900 C. C. - Entro la
disciplina codicistica dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, EX ART. 2900.1 C. C. è
stabilito che «IL CREDITORE (quale sostituto legittimato a far valere in nome proprio il diritto di credito
del proprio debitore), PER ASSICURARE CHE SIANO SODDISFATTE O CONSERVATE LE SUE
RAGIONI (cioè nel timore che venga meno la garanzia patrimoniale del proprio debitore), PUÒ
ESERCITARE I DIRITTI E LE AZIONI CHE SPETTANO VERSO I TERZI AL PROPRIO DEBITORE
(quale sostituito, titolare del diritto di credito fatto valere) E CHE QUESTI TRASCURA DI ESERCITARE,
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Diritto processuale civile PURCHÉ I DIRITTI E LE AZIONI ABBIANO CONTENUTO PATRIMONIALE (cioè purchè si tratti di
un diritto di credito) E NON SI TRATTI DI DIRITTI O DI AZIONI CHE, PER LORO NATURA O PER
DISPOSIZIONE DI LEGGE, NON POSSONO ESSERE ESERCITATI SE NON DAL LORO
TITOLARE».
Quale opzione legislativa a favore del litisconsorzio necessario, EX ART. 2900.2 C. C. è stabilito che «IL
CREDITORE, QUALORA AGISCA GIUDIZIALMENTE, DEVE CITARE ANCHE IL DEBITORE AL
QUALE INTENDE SURROGARSI».
3. Il sostituto esponente dell’associazione dei consumatori legittimato ad intentare la c. d. azione inibitoria e
la c. d. class action - Negli ultimi decenni, si è assistito al conferimento/riconoscimento, in capo al sostituto
esponente di una determinata associazione (o categoria, o gruppo sociale) - ritenuto, quindi, socialmente più
forte del singolo appartenente a suddetta associazione (o categoria, o gruppo sociale) -, della legittimazione
ad agire in nome proprio per far valere i c. d. interessi diffusi (Anche detti interessi collettivi, sono situazioni
giuridiche soggettive che appartengono a gruppi di persone) e/o i c. d. diritti omogenei (Diritti di modesto
valore economico comuni a tutti i membri di categoria. ESEMPIO: diritto al risarcimento dei danni per
prodotto difettoso) dei singoli appartenenti all’associazione (o alla categoria, o al gruppo sociale).
In particolare, soprattutto negli ultimi anni, soprattutto sotto la spinta della legislazione comunitaria,
l'attenzione del legislatore si è soffermata sulla tutela dei consumatori EX D. LGS. N. 206 DEL 2005
(altrimenti detto Codice del Consumo), quale settore disciplinare in cui si assiste ad un'applicazione meno
tradizionale dell'istituto della sostituzione processuale EX ART. 81 CPC.
A tal proposito, nel Titolo II della Parte V del Codice del Consumo, intitolato "Le azioni inibitorie e
l’accesso alla giustizia", EX ART. 139.1 CODICE DEL CONSUMO, rubricato "Legittimazione ad agire", è
stabilito che «LE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI E DEGLI UTENTI, INSERITI NELL’ELENCO
DI CUI ALL’ARTICOLO 137, SONO LEGITTIMATE AD AGIRE A TUTELA DEGLI INTERESSI
COLLETTIVI DEI CONSUMATORI E DEGLI UTENTI. OLTRE A QUANTO DISPOSTO
DALL’ARTICOLO 2, LE DETTE ASSOCIAZIONI SONO LEGITTIMATE AD AGIRE NELLE IPOTESI
DI VIOLAZIONE DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI […]».
Le azioni che possono essere esercitate dalle associazioni dei consumatori e degli utenti sono:
3a - L’azione inibitoria EX ART 140 CODICE DEL CONSUMO: Nello specifico, EX ART. 140.1
CODICE DEL CONSUMO, è stabilito che «I SOGGETTI DI CUI ALL’ARTICOLO 139 SONO
LEGITTIMATI AD AGIRE A TUTELA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI E
DEGLI UTENTI RICHIEDENDO AL TRIBUNALE: A) DI INIBIRE (cioè ordinare la cessazione e/o
l’omissione) GLI ATTI E I COMPORTAMENTI LESIVI DEGLI INTERESSI DEI CONSUMATORI E
DEGLI UTENTI». Entro le tre categorie tradizionali di azione di cognizione (=Azione costiutiva + Azione
di condanna + Azione di accertamento mero), l’azione inibitoria è di difficile collocazione: secondo la
maggior parte della dottrina, l’azione inibitoria rientra nella categoria dell’azione di condanna, con cui,
quindi, l’attore può chiedere non solo la cessazione di determinati comportamenti lesivi e la condanna a
ripristinare il proprio diritto violato, ma anche con cui può prevenire la violazione del proprio diritto
soggettivo; d’altro canto, altra parte della dottrina si è domandata se essa sia o meno un’azione di tipo
generale (cioè se possa esercitarsi, anche se non prevista ex lege) e, allo stesso tempo, se essa sia una
categoria autonoma di azione di cognizione, cioè la c. d. azione preventiva (Infatti, nonostante non vi sia
ancora stata la violazione dell’interesse diffuso fatto valere, attraverso l’azione inibitoria il consumatore o
l’utente domanda al giudice una reintegrazione preventiva di tale propria situzione giuridica, previa ordine
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile di cessazione e/o omissione di determinati atti lesivi).
3b - L'azione di classe EX ART 140 BIS CODICE DEL CONSUMO: Per molti anni in Italia si è discusso
circa la possibilità di far valere in via collettiva il diritto violato del singolo consumatore; in altre parole, vi
sono stati molti progetti di legge circa l'introduzione di un'azione (simile alla c. d. class action degli USA),
attraverso la quale il sostituto esponente di un’associazione dei consumatori possa ottenere una pronuncia di
condanna a favore di una pluralità di singoli sostituiti consumatori, facendo valere in nome proprio ed in via
collettiva il diritto omogeneo leso altrui.
Infine, vi è stata l'approvazione dell'ART. 140 BIS CODICE DEL CONSUMO, rubricato "Azione collettiva
risarcitoria" - e poi rirubricato "Azione di classe" EX LEGGE N. 99 DEL 23 LUGLIO DEL 2009 -, che,
però, non è mai diventato efficace nell’ordinamento italiano, perché, pur essendo stato inserito nella Legge
Finanziaria del 2008, secondo cui doveva diventare efficace 180 giorni dopo la sua entrata in vigore, il
legislatore italiano ha sempre deferito/posticipato, con una tecnica legislativa alquanto discutibile, la sua
effettiva efficacia.
Nello specifico, EX VECCHIO ART. 140 BIS.1 CODICE DEL CONSUMO, rubricato "Azione collettiva
risarcitoria", era stabilito che «LE ASSOCIAZIONI DI CUI AL COMMA 1 DELL’ARTICOLO 139 E GLI
ALTRI SOGGETTI DI CUI AL COMMA 2 DEL PRESENTE ARTICOLO SONO LEGITTIMATI AD
AGIRE A TUTELA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI E DEGLI UTENTI
RICHIEDENDO AL TRIBUNALE DEL LUOGO IN CUI HA SEDE L’IMPRESA L’ACCERTAMENTO
DEL DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO E ALLA RESTITUZIONE DELLE SOMME
SPETTANTI AI SINGOLI CONSUMATORI O UTENTI [Ciò significa che l’azione collettiva risarcitoria è
un’azione di mero accertamento o, secondo altra parte della dottrina, un'azione di condanna generica, in cui
fosse accertato l'an, ma non il quantum spettante al singolo consumatore, in base al proprio diritto
omogeneo. Quindi, essa è seguita da una fase successiva in sede di conciliazione, al fine di determinare il
quantum.] NELL’AMBITO DI RAPPORTI GIURIDICI RELATIVI A CONTRATTI STIPULATI AI
SENSI DELL’ARTICOLO 1342 DEL CODICE CIVILE, OVVERO IN CCONSEGUENZA DI ATTI
ILLECITI EXTRACONTRATTUALI, DI PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE O DI
COMPORTAMENTI ANTICONCORRENZIALI, QUANDO SONO LESI I DIRITTI (omogenei) DI UNA
PLURALITÀ DI CONSUMATORI O DI UTENTI».
Per quanto concerne l’efficacia del giudicato formale derivante da un’azione collettiva risarcitoria,
l’aternativa risolutiva è duplice: secondo il sistema del c. d. opt in, tale pronuncia definitiva vincola solo il
consumatore sostituito che aderisce, in modo facoltativo, all’azione collettiva risarcitoria, mediante
comunicazione scritta inviata all’attore sostituto esponente di un’associazione dei consumatori; al contrario,
secondo il sistema del c. d. opt out, tale pronuncia definitiva vincola qualunque sostituito appartente alla
classe dei consumatori, salvo l’esercizio del diritto d’autoesclusione dall’azione collettiva risarcitoria, previa
apposita dichiarazione scritta.
Nello specifico, EX VECCHIO ART. 140 BIS.1 CODICE DEL CONSUMO, era stabilito che «[…] I
CONSUMATORI O UTENTI CHE INTENDONO AVVALERSI DELLA TUTELA PREVISTA DAL
PRESENTE ARTICOLO DEVONO COMUNICARE PER ISCRITTO AL PROPONENTE (cioè al
sostituto esponente di un’associazione dei consumatori) LA PROPRIA ADESIONE ALL’AZIONE
COLLETTIVA […]»; ciò significa che il legislatore del 2007 aveva aderito al modello più moderato del c.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile d. opt-in (vs il modello più ecclatante dell’opt-out, adottato dalla class action USA).
La resistenza legislativa (italiana e di tutti gli altri paesi continentali europei) all’effettiva introduzione
dell’azione collettiva risarcitoria EX VECCHIO ART. 140 BIS.1 CODICE DEL CONSUMO è determinata
dal fatto che, oltre ad essere totalmente innovativa rispetto agli istituti tradizionali del diritto processuale
civile italiano, l’azione collettiva risarcitoria si pone potenzialmente in contrasto con gli interessi delle
aziende. Infatti, EX VECCHIO ART. 140 BIS CODICE DEL CONSUMO, i diritti omogenei dei
consumatori - che, presi singolarmente, essendo dal valore economico molto modesto, non hanno una tutela
giurisdizionale, perché il singolo consumatore non ha un sufficiente interesse economico a proporre una
domanda in proposito -, qualora riguardino centinaia di migliaia di consumatori, possono essere
convenientemente fatti valere attraverso un’azione risarcitoria collettiva, il che risulta essere un onere
economico significativo in capo all’azienda convenuta/al produttore convenuto!
Proprio a causa dell’inattuazione della precedente versione dell’ART. 140 BIS CODICE DEL CONSUMO,
la LEGGE N. 99 DEL LUGLIO 2009 ha introdotto un nuovo testo dell’ART. 140 BIS CODICE DEL
CONSUMO, ora rubricato "Azione di classe", che dovrebbe avere efficacia nel gennaio del 2010.
Nello specifico, EX ATTUALE ART. 140 BIS CODICE DEL CONSUMO, è stabilito che «I DIRITTI
INDIVIDUALI OMOGENEI DEI CONSUMATORI E DEGLI UTENTI DI CUI AL COMMA 2 SONO
TUTELABILI ANCHE ATTRAVERSO L'AZIONE DI CLASSE, SECONDO LE PREVISIONI DEL
PRESENTE ARTICOLO. A TAL FINE, CIASCUN COMPONENTE DELLA CLASSE, ANCHE
MEDIANTE ASSOCIAZIONI CUI DÀ MANDATO O COMITATI CUI PARTECIPA, [Ciò significa che,
a differenza dell'azione collettiva risarcitoria, la legittimazione ad agire dell’azione di classe è simile a
quella della class action USA, poiché spetta sia ad un sostituto esponente di un’associazione riconosciuta e/o
di un comitato dei consumatori, sia al sostituto singolo consumatore, quale rappresentante della classe. In
particolare, mentre il sostituto esponente di un’associazione riconosciuta e/o di un comitato dei consumatori
fa valere in nome proprio il diritto dei terzi sostituiti consumatori che rappresenta, il sostituto singolo
consumatore, quale rappresentante della classe, fa valere in nome proprio un diritto tanto proprio, quanto dei
terzi sostituiti consumatori che rappresenta.] PUÒ AGIRE PER L'ACCERTAMENTO DELLA
RESPONSABILITÀ E PER LA CONDANNA AL RISARCIMENTO DEL DANNO E ALLE
RESTITUZIONI [Ciò significa che, a differenza dell'azione collettiva risarcitoria, l’azione di classe è una
vera e propria azione di condanna dell'impresa a pagare al singolo consumatore il danno subito, di cui è stato
accertato sia l’an sia il quantum]».
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Diritto processuale civile 24. Elemento oggettivo: il petitum e (eventualmente) la causa
petendi
Non basta che le parti siano le stesse per dire che la domanda è la stessa, ma abbiamo anche un elemento
oggettivo. Dal punto di vista dell'oggetto della domanda, sono due gli elementi che la identificano: il
petitum e la causa petendi.
- Il petitum è quello che l’attore domanda al giudice: si distingue tra un petitum immediato (=quello che
l’attore chiede immediatamente al giudice, cioè il tipo di provvedimento chiesto al giudice, che può essere
una sentenza di condanna, costitutiva e/o di accertamento mero) e un petitum mediato (=il bene della vita
che l’attore chiede al giudice e, perciò, intende ottenere attraverso il petitum immediato),
ESEMPIO: Se l’attore chiede al giudice di condannare il convenuto a pagare una certa somma, il petitum
immedito sarà la sentenza di condanna, mentre il petitum mediato è la suddetta somme di denaro.
- La causa petendi consta nelle ragioni alla base del petitum, cioè nei c. d. fatti costitutivi della domanda
dell’attore; in particolare, affinchè la domanda dell’attore sia identificata, mentre è sempre necessaria
l'indicazione del petitum, non è sempre necessaria l'indicazione della causa petendi.
A tal proposito, la dottrina e la giurisprudenza distinguono tra i c. d. diritti autodeterminati, quali i diritti
assoluti (di proprietà e/o reali di godimento), per la cui individuazione è sufficiente l'indicazione del petitum
mediato e/o immediato; ed i c. d. diritti eterodeterminati, quali i diritti relativi (di obbligazione al pagamento
di una somma di denaro o alla consegna di determinati beni fungibili), per la cui individuazione sono
necessari sia l'indicazione del petitum mediato e/o immediato, sia l’indicazione della causa petendi.
Tuttavia, è ovvio che, qualora l’attore rivendichi un diritto autodeterminato, affinchè la propria domanda
risulti fondata e, perciò, sia accolta dal giudice, egli dovrà allegare e dimostrare i fatti costitutivi alla base
del proprio diritto soggettivo. Questo chiarimento, comunque, attiene alla fase introduttiva ed istruttoria
della causa e non al profilo dell’identificazione della domanda.
ESEMPIO 1 - DIRITTO AUTODETERMINATO: Se l’attore propone al giudice una domanda in cui
rivendica la proprietà di un bene immobile, affinchè essa sia identificata, non sono necessari i fatti costitutivi
alla base del petitum, quali, ad esempio, l’acquisto del diritto di proprietà a titolo derivativo con contratto di
compravendita e/o l’acquisto a titolo originario con usucapione.
ESEMPIO 2 - DIRITTO ETERODETERMINATO: Affinchè la domanda sia identificata, non è sufficiente
che l’attore chieda al giudice di condannare la controparte a pagare una certa somma, ma egli deve anche
indicare i fatti costitutivi alla base di tale petitum, quali la stipulazione di un contratto di mutuo (nel caso
l’attore abbia prestato tale somma al convenuto) e/o la stipulazione di un contratto di locazione (nel caso in
cui tale somma sia l’equivalente di un canone scaduto di locazione).
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Diritto processuale civile 25. Le iniziative difensive del convenuto nei confronti della
domanda dell’attore
Nel processo ordinario di cognizione, il momento della proposizione della domanda dell’attore si ha con la
notificazione del c. d. atto di citazione, da parte dell’attore, ad un certo soggetto. In particolare, qualora sia
notificato nei confronti di un certo soggetto un atto di citazione da parte dell’attore - e, di conseguenza, sia
stata intentata contro di lui un’azione civile -, tale proposizione della domanda dell’attore fa assumere a
quest’ultimo la qualità di convenuto e, quindi, di parte processuale, indipendentemente dal fatto che egli
prenda o meno un’iniziativa difensiva previa deposito o meno della c. d. comparsa di risposta (Infatti, un
sistema giuridico, in cui il processo non può iniziare se il convenuto non si difende, non è ipotizzabile,
perché, altrimenti, per consentire a tutti i convenuti di evitare i processi, sarebbe sufficiente la loro mancata
difesa.).
Riepilogando, quindi, a partire dalla notifica dell’atto di citazione, il convenuto sa che nei suoi confronti
potrà essere pronunciata una sentenza sfavorevole e può scegliere: di rimanere fuori dal processo/di essere
inerte nell’iter processuale/di non difendersi; o di entrare nel processo/di avere un ruolo attivo nell’iter
processuale/di difendersi/di costituirsi nel processo, normalmente rivolgendosi ad un avvocato, al fine di
addurre mezzi di prova che contraddicano/neghino i fatti costitutivi della domanda dell’attore.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 26. Il convenuto contumace
La rischiosa scelta del convenuto di non difendersi/di non costituirsi nel processo può essere determinata
dalla sua ferma convizione nell’assoluta pretestuosità della domanda dell’attore, evitando così di anticipare
inutilmente i costi della propria difesa ad opera di un avvocato. In linguaggio tecnico, in questo caso
l’ordinamento processualcivilistico italiano afferma che "il convenuto è dichiarato contumace" dal giudice.
In ogni caso, bisogna vedere qual è l'atteggiamento assunto dal legislatore nei confronti dell’inerzia del
convenuto contumace: un ordinamento molto comprensivo (e più razionale, come quello italiano) nei suoi
confronti stabilisce che, anche a fronte della sua mancata costituzione in giudizio, l'attore deve comunque
provare le sue pretese nei suoi confronti/dimostrare i fatti costiutivi della sua domanda. Al contrario, un
ordinamento molto severo (e meno razionale, come quello inglese) nei suoi confronti prevede che, essendo
la contumacia sinonimo di sussistenza del torto a proprio capo, la domanda dell’attore nei suoi confronti sia
automaticamente accolta, quale vera e propria sanzione del contumace stesso; pertanto, in un sistema
processualcivilistico di questo tipo, il convenuto, sapendo che, non difendendosi nel processo, andrà
incontro ad una pronuncia a sé sfavorevole, è fortemente spinto a costituirsi nel processo, salvo non abbia
effettivamente alcuna difesa da spendere a proprio favore.
- La posizione dell’ordinamento italiano nei confronti del convenuto contumace è ancora legata alla visione
tradizionale di favor legis: nel caso in cui il convenuto non si costituisca nel processo nei termini previsti dal
legislatore, egli è dichiarato contumace, ma l'attore deve, comunque, provare i fatti costitutivi della propria
domanda, il che è più semplice, in seguito alla mancanza di difese proposte dal convenuto.
Proprio il favor legis pro contumace fa sì che il procedimento in contumacia abbia determinate peculiarità:
determinati atti, che hanno conseguenze a lui pregiudizievoli, devono essere obbligatoriamente portati a sua
conoscenza. In particolare, l’atto, la cui conoscenza è per lui fondamentale, al fine di cambiare
eventualmente il proprio comportamento processuale, è la sentenza pronunciata dal giudice: il legislatore
processualcivilista italiano prevede che la sentenza sia notificata anche al contumace, perché, in questo
modo, egli può costituirsi nel processo, impugnare la suddetta pronuncia ed ottenere un eventuale
ribaltamento della pronuncia.
Di fronte alla crisi della giustizia civile italiana, a causa dei tempi troppo lunghi, in Italia si sta discutendo se
non sia opportuno cambiare quest’atteggiamento tradizionale di favor legis nei confronti del convenuto, pur
non arrivando all’opposta opzione pro automatico accoglimento della domanda a fronte della mancata difesa
del convenuto.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 27. L’eccezione di merito
L’eccezione di merito è il tipico strumento difensivo del convenuto, di cui esistonno due diverse accezioni,
l’una in senso ampio e l’altra in senso stretto.
A - L’eccezione di merito in senso ampio comprende in sè qualsiasi difesa posta in essere dal convenuto,
cioè sia la mera difesa (=Negazione dei fatti costitutivi allegati dall'attore a fondamento della propria
domanda, senza addurre ulteriori fatti modificativi, impeditivi o difensivi a propria difesa), sia l’eccezione in
senso proprio.
B - Al contrario, l’eccezione di merito in senso proprio consiste nell’allegazione, da parte del convenuto, dei
c. d. fatti modificativi, impeditivi e/o estintivi, che siano in risposta alla domanda dell’attore ed ai rispettivi
fatti costitutivi allegati che, standovi alla base, la identificano (Infatti, al fine di considerare un processo
pendente su un determinato convenuto, non è sufficiente una dichiarazione di intenti dell’attore, del tipo
«voglio proporre una domanda nei confronti di Tizio convenuto», bensì essa deve essere identificata
dall’allegazione dei c. d. fatti costitutivi della domanda, cioè dalla c. d. causa petendi).
ESEMPIO: L’attore chiede che il convenuto sia condannato a pagare una determinata somma di denaro, che
egli stesso gli ha dato a mutuo. Il convenuto potrà limitarsi a negare i fatti allegati dall’attore, affermando
che tale somma di denaro non gli è mai stata data dall’attore; oppure potrà allegare a propria difesa un fatto
estintivo del diritto di credito dell’attore, affermando che egli ha già restituito tale somma di denaro.
La distinzione tra fatti costitutivi da un lato e fatti modificativi, impeditivi ed estintivi dall’altro è
individuata EX ART. 2697 C. C., rubricato "Onere della prova". In particolare, EX ART. 2697.1 C. C., ecco
la seguente definizione di fatto costitutivo: «CHI VUOL FAR VALERE UN DIRITTO IN GIUDIZIO
DEVE PROVARE I FATTI CHE NE COSTITUISCONO IL FONDAMENTO». Invece, EX ART. 2697.2
C. C., ecco la definizione di fatto modificativo, impeditivo o estintivo: «CHI ECCEPISCE L’INEFFICACIA
DI TALI FATTI, OVVERO ECCEPISCE CHE IL DIRITTO SI È MODIFICATO O ESTINTO, DEVE
PROVARE I FATTI SU CUI L’ECCEZIONE SI FONDA».
… Approfondimento circa l’onere della prova … - Allo stesso tempo, EX ART. 2697 C. C., oltre
all’allegazione dei fatti (=affermazione dei fatti), emerge anche l’ulteriore nozione della prova dei fatti
(=fornire al giudice determinati elementi cononoscitivi, che lo convicano della fondatezza del fatto allegato):
il dettato normativo afferma che è onere dell’attore provare i fatti costitutivi (Ciò implicitamente significa
anche solo l’attore ha ex lege l’onere di provare i fatti costitutivi, mentre il convenuto che pone in essere una
mera difesa, limitandosi a negare tali fatti costitutivi allegati, può o meno fornire al giudice una prova
negativa, non sussistendo a suo carico alcun onere della prova in proposito EX ART. 2697 C. C.), mentre è
onere del convenuto provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi, quali fatti ulteriori e diversi da quelli
allegati dall’attore.
ESEMPIO: Qualora l’attore proponga una domanda di condanna nei confronti del convenuto al pagamento
di una somma di denaro, egli deve allegare il fatto costitutivo della conclusione di un contratto di mutuo,
ma, allo stesso tempo, deve fornire al giudice anche taluni elementi conoscitivi in proposito, quali, ad
esempio, il documento scritto e/o eventuali testimoni attestanti tale conclusione del contratto di mutuo. Dal
canto suo, il convenuto può limitarsi a negare tale fatto costitutivo, affermando di non avere mai stipulato un
contratto di mutuo e/o di non avere mai ricevuto una somma in prestito, nel qual caso è sua facoltà
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile discrezionale fornire o meno una prova negativa al giudice; oppure può allegare, ad esempio, il fatto
estintivo del già avvenuto pagamento, nel qual caso è suo onere fornire una prova al giudice.
Tuttavia, al di là del contenuto di questa disciplina generale, bisogna chiarire che non tutti i fatti hanno
bisogno di essere provati, cioè che non esiste un onore della prova in capo a ciascun fatto assunto nella fase
di istruzione probatoria.
- In primo luogo, EX ART. 115.2 CPC, rubricato "Disponibilità delle prove", è stabilito che «IL GIUDICE
PUÒ, TUTTAVIA, SENZA BISOGNO DI PROVA, PORRE A FONDAMENTO DELLA DECISIONE
(quale allegazione sempre e comunque secondaria e mai principale, di applicazione piuttosto ristretta) LE
NOZIONI DI FATTO CHE RIENTRANO NELLA COMUNE ESPERIENZA (=i c. d. fatti notori a tutti gli
appartenenti di una determinata comunità. ESEMPIO: evento bellico, il crollo delle torri gemelle.)», il che,
comunque, non esclude il divieto generale per cui, durante l’istruzione probatoria, il giudice non deve
utilizzare la sua scienza privata/le conoscenze da lui acquisite casualmente quale comune cittadino
(ESEMPIO: Durante l’istruzione probatoria di un’azione di risarcimento del danno da incidente stradale, se
si pone il problema della ricostruzione dei fatti, anche se il giudice è stato testimone di quest’incidente, non
può utilizzare la sua conoscenza privata!).
- In secondo luogo, EX LEGGE N. 69 DEL 2009, il legislatore ha espressamente accolto il risalente
principio/orientamento giurisprudenziale italiano - affermatosi progressivamente prima nel processo del
lavoro e, poi, nel processo ordinario, vs orientamento dottrinale di maggioranza, secondo cui non avevano
bisogno di essere provati solo i c. d. fatti pacifici, ciè i fatti allegati da una parte ed esplicitamente o
implicitamente ammessi dal comportamento difensivo della controparte -, secondo cui i fatti costitutivi
allegati dall’attore, qualora non siano contestati/non ne sia negata l’esitenza dal convenuto costituitosi in
giudizio, non devono essere provati dall’attore stesso. In altre parole, l’attore ha l’onere di provare solo i
fatti costitutivi, che sono oggetto di una contestazione specifica da parte del convenuto costituito. Nello
specifico, EX ATTUALE ART. 115.1 CPC, è stabilito che «SALVI I CASI PREVISTI DALLA LEGGE, IL
GIUDICE DEVE PORRE A FONDAMENTO DELLA DECISIONE LE PROVE PROPOSTE DALLE
PARTI [Nello specifico, la prova non arriva sempre e solo dalla parte onerata dal rischio della mancata
prova, motivo per cui esiste questo principio processualcivilistico di acquisizione della prova al processo da
chiunque essa arrivi (Ad esempio, anche se la prova del fatto costitutivo è solitamente fornita dall’attore,
qualora essa sia fornita dal convenuto, essa è ugualmente acquisita al processo)] O DAL PUBBLICO
MINISTERO NONCHÉ I FATTI NON SPECIFICATAMENTE CONTESTATI DALLA PARTE
COSTITUITA».
ESEMPIO: L’attore propone al giudice una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro, in
virtù di un contratto di mutuo, da parte del convenuto, che, a sua volta, eccepisce il fatto estinitivo
dell’avvenuto pagamento. In questo caso, EX ATTUALE ART. 115.1 CPC, l’attore non ha più l’onere di
provare il fatto costitutivo della conclusione del contratto di mutuo, proprio perchè il convenuto non ha
contestato l’avvenuta conclusione del contratto di mutuo, ma si è limitato ad eccepire il fatto estintivo
dell’avvenuto pagamento.
- Infine, alcuni mezzi di prova possono essere assunti dal giudice, cioè alcuni fatti possono essere provati su
iniziativa del giudice.
Fatte queste precisazioni, si consideri che la disciplina generale dell’onere della prova EX ART. 2697 C. C.
è una c. d. regola di giudizio, che attribuisce/addossa il rischio della mancata prova; ciò significa che, una
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile volta che si è chiusa l’istruzione probatoria - indipendentemente dal fatto che ad avere fornito le prove sia
stata o meno la parte processuale onerata -, e, comunque, per insufficienza di prove, il giudice non ritiene
raggiunto il suo convincimento, poichè nell’ordinamento processualcivilistico italiano vige la regola per cui
il giudice deve sempre decidere, al fine di pronunciare una sentenza, il giudice stesso applica l’art. 2697 C.
C..
Di conseguenza, se il giudice ritiene che non siano stati provati i fatti costitutivi, rigetta la domanda
dell’attore EX ART. 2697 C. C.; al contrario, se ritiene che non siano stati provati i fatti impeditivi,
modificativi o estintivi, accoglie la domanda dell’attore EX ART. 2697 C. C..
È importante, quindi, ai fini dell’attribuzione del rischio della mancata prova, qualificare un fatto allegato,
relativamente alla propria categoria di appartenenza.
Nello specifico, facile è distinguere un fatto costitutivo da un fatto modificativo o estintivo: ovviamente,
quest’ultimo presuppone che, una volta venuto in essere un diritto soggettivo, si sia verificato un fatto
successivo che l’abbia modificato o estinto.
ESEMPIO: L’avvenuto pagamento di un determinato debito pecuniario è un fatto estintivo, mentre il
parziale avvenuto pagamento è un fatto modificativo.
Più problematica, invece, è la distinzione tra fatto costitutivo e fatto impeditivo: la realizzazione del fatto
impeditivo è contemporanea rispetto a quella del fatto costitutivo, il che impedisce fin dall’inizio la nascita
del diritto soggettivo; di conseguenza, secondo la dottrina, il fatto impeditivo è il fatto costitutivo con il
segno invertito, in quanto è proprio la mancanza di un fatto impeditivo che garantisce la nascita di un diritto
soggettivo. Nelle ipotesi giudiziarie in cui un fatto allegato sia di qualificazione controversa, ovviamente,
ciò influirà sulla sentenza finale: se il giudice lo qualifica come costitutivo e ritiene non raggiunta la prova,
egli rigetta la domanda, mentre, se lo qualifica il come impeditivo e ritiene non raggiunta la prova, egli
accoglie la domanda.
In genere, per distinguere il fatto costitutivo da quello impeditivo, la legge formula il fatto impeditivo in
termini negativi, cioè condiziona la nascita del diritto al mancato verificarsi di una determinata circostanza
descritta in modo negativo.
ESEMPIO: Ex ART. 1490.1 C. C., rubricato "Garanzia per i vizi della cosa venduta", è stabilito che «IL
VENDITORE È TENUTO A GARANTIRE CHE LA COSA VENDUTA SIA IMMUNE DA VIZI CHE
LA RENDANO INIDONEA ALL’USO A CUI È DESTINATA, O NE DIMINUISCANO IN MODO
APPREZZABILE IL VALORE»; al contrario, EX ART. 1491.1 C. C., rubricato "Esclusione della
garanzia", è stabilito che «NON È DOVUTA LA GARANZIA (EX ART. 1490.1 C. C.), SE AL
MOMENTO DEL CONTRATTO IL COMPRATORE CONOSCEVA I VIZI DELLA COSA VENDUTA
[…]». La conoscenza o la mancata conoscenza dei vizi della cosa venduta è, in questo caso, un fatto di
qualificazione controversa: se il venditore deve provare che il proprio compratore conosceva il vizio, si
tratta di un fatto impeditivo del diritto del compratore al risarcimento del danno per vizio della cosa venduta;
se, invece, è il compratore/l’acquirente a dover provare la sua non conoscenza del vizio, si tratta di un fatto
costitutivo del proprio diritto al risarcimento del danno per vizio della cosa venduta!
Per risolvere questa qualificazione controversa, la giurisprudenza utilizza il criterio di vicinanza del mezzo
di prova, secondo il quale l’onere della prova del fatto spetta alla parte che ha più facilità d’accesso al mezzo
di prova, secondo la regola del c. d. id quod plerumque accidit (letteralmente, "ciò che avviene
comunemente"). Nello specifico, di solito, chi compra un bene lo compra pensando che non abbia vizi,
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile motivo per cui l’onere della prova della conoscenza dei vizi della cosa venduta è addossato dalla
giurisprudenza al venditore e, di conseguenza, la conoscenza dei vizi della cosa venduta è un fatto
impeditivo della domanda di risarcimento del danno per vizio della cosa venduta!
Inoltre, spesso, la qualificazione di un fatto come impeditivo o costitutivo dipende anche dal tipo di azione
esercitata/proposta dall’attore nei confronti del convenuto.
ESEMPIO: A seconda del tipo di azione proposta, la sussistenza di un vizio della volontà nella conclusione
di un contratto è un fatto di diversa qualificazione: se l’attore esercita un’azione di annullamento del
contratto, questo fatto è di tipo costitutivo; al contrario, se egli esercita un’azione di adempimento del
contratto, questo fatto è di tipo impeditivo.
… Eccezione (in senso proprio) di merito: Eccezione rilevabile d’ufficio vs Eccezione (su istanza) di parte
… - Ex lege, l’eccezione in senso proprio è ulteriormente distinta in eccezione rilevabile d’ufficio dal
giudice, ed eccezione per cui è necessaria l’istanza di parte.
Questa distinzione dottrinale e giurisprudenziale ha notevoli ripercussioni pratiche perché, entro il processo
di cognizione, le eccezioni rilevabili d’ufficio sono diversamnete disciplinate rispetto a quelle riservate ad
istanza di parte; nello specifico, queste ultime hanno un sistema di preclusioni molto più rigido.
In generale, qualunque fatto entra nell’istruzione probatoria del processo, perché allegato dall’attore e/o dal
convenuto; tuttavia, talvolta, un fatto impeditivo, modificativo o estintivo emerge dai documenti prodotti in
giudizio e/o dalle dichiarazioni rese dalle stesse parti in sede di interrogatorio libero, senza che vi sia stata la
richiesta del convenuto di farlo valere come eccezione nel processo. Il problema, in quest’ultimo caso, è
comprendere se tale eccezione può essere rilevata d’ufficio dal giudice o se sia, a priori, necessaria l’istanza
di parte/la richiesta del convenuto: in taluni casi, è lo stesso legislatore a stabilire espressamente in quale
delle due ipotesi si ricada, come negli esempi qui di seguito.
- Eccezione su istanza di parte EX ART. 2938 C. C., rubricato "Non rilevabilità d’ufficio", secondo cui «IL
GIUDICE NON PUÒ RILEVARE D’UFFICIO LA PRESCRIZIONE [Tranne il caso eccezionale in cui sia
imprescrittibile, il diritto deve essere fatto valere entro il termine ordinario di prescrizione di 10 anni] NON
OPPOSTA».
Questo significa che, qualora dagli atti del processo emerga che il diritto vantato dall’attore sia ormai
prescritto e, perciò, che la sua domanda sia stata proposta quando ormai sono decorsi 10 anni dalla sua
violazione, ma il convenuto non abbia allegato/opposto come fatto estintivo tale prescrizione, il giudice non
potrà rilevarla d’ufficio.
- Eccezione su istanza di parte EX ART. 1242.1 C. C. rubricato "Effetti della compensazione", secondo cui
«LA COMPENSAZIONE (quale fatto estintivo) ESTINGUE I DUE DEBITI DAL GIORNO DELLA
LORO COESISTENZA. IL GIUDICE NON PUÒ RILEVARLA D’UFFICIO».
- Eccezione rilevabile d’ufficio EX ART. 1421 C. C., rubricato "Legittimazione all’azione di nullità",
secondo cui «SALVO DIVERSE DISPOSIZIONI DI LEGGE, LA NULLITÀ PUÒ ESSERE FATTA
VALERE DA CHIUNQUE ABBIA INTERESSE E PUÒ ESSERE RILEVATA D’UFFICIO DAL
GIUDICE».
Al contrario, qualora il legislatore non disponga espressamente nulla in proposito, è esegeticamente
complesso stabilire se la regola sia la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione o la sua rilevabilità su esclusiva
istanza di parte.
Nello specifico, EX ART. 112 CPC, rubricato "Corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato", è stabilito
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile che «IL GIUDICE DEVE PRONUNCIARE SU TUTTA LA DOMANDA E NON OLTRE I LIMITI DI
ESSA (E’ questa l’enunciazione del principio della domanda); E NON PUÒ PRONUNCIARE D’UFFICIO
SU ECCEZIONI, CHE POSSONO ESSERE PROPOSTE SOLTANTO DALLE PARTI». Questo dettato
normativo, in realtà, non dispone esplicitamente una regola generale circa la rilevabilità d’ufficio o meno
dell’eccezione, perché si limita ad affermare che, se l’eccezione può essere proposta solo dal convenuto, non
può essere rilevata d’ufficio dal giudice; al massimo, a livello esegetico, può essere ivi implicitamente
dedotto che i casi di rilevabilità d’ufficio sono tassativamente individuati dal legislatore, mentre che, nei casi
di vuoto normativo, la regola generale sia la rilevabilità su istanza di parte.
Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale prevalente ritiene che la regola generale sia la rilevabilità
d’ufficio delle eccezioni, mentre che il caso speciale, tassativamente previsto ex lege, sia l’eccezione di
parte.
… Eccezione di merito (o sostanziale) vs Eccezione di rito (o processuale) … - Fino ad ora abbiamo parlato
dell’eccezione di merito che, a sua volta, si contrappone all’eccezione di rito.
Riepilogando, quindi, l’eccezione sostanziale attiene al merito della domanda dell’attore e, perciò, qualora
essa sia fondata ed accolta dal giudice, esclude la sussistenza dello stesso diritto dell’attore e, di
conseguenza, escludendo la fondatezza della domanda dell’attore, ne comporta il rigetto da parte del
giudice.
ESEMPIO: Eccezione dell’avvenuto pagamento e/o eccezione della sostituzione del diritto.
Al contrario, l’eccezione processuale esclude il dovere del giudice di decidere il merito della domanda
dell’attore e, perciò, qualora essa sia fondata ed accolta al giudice, il giudice si arresta prima di valutare la
fondatezza o meno del merito della domanda dell’attore, limitandosi a decidere circa l’invalidità del
processo stesso!
ESEMPIO 1: Eccezione di difetto di giurisdizione, che attiene alla facoltà giurisdizionale del giudice adito
(Infatti, esistono limiti alla giurisdizione di tutti i giudici civili italiani, di cui si dirà in seguito) e/o, più nello
specifico, eccezione di incompetenza, che attiene alla competenza del giudice adito (In particolare,
all’interno della giurisdizione, esistono dei criteri di competenza; a tal proposito, ad esempio, si è già detto
che i giudici civili di I grado sono il giudice di pace ed il Tribunale: se il giudice di I grado adito dall’attore
non è competente, il convenuto, entro determinati limiti, può sollevare l’eccezione di incompetenza). In
particolare, la competenza e la giurisdizione appartengono alla categoria dei c. d. presupposti processuali,
quali condizioni di decidibilità nel merito della domanda dell’attore da parte del giudice.
ESEMPIO 2: Eccezione di previa pendenza della medesima domanda/causa di fronte ad un altro giudice.
Anche con riferimento alle eccezioni di rito, si distingue tra eccezioni rilevabili d’ufficio da parte del giudice
e eccezione rilevabili su istanza di parte.
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Diritto processuale civile 28. La domanda riconvenzionale
Qualora il convenuto proponga al giudice una domanda riconvenzionale - assumendo nei confronti di
quest’ultima il ruolo dell’attore -, egli non si limita ad arricchire il processo sotto il profilo dell’allegazione
dei fatti, bensì propone una vera e propria domanda nei confronti dell’attore originario - che, quindi, nei
confronti della domanda riconvenzionale diventa il convenuto -, che deve essere pertinente al merito della
domanda principale originaria.
Infatti, il dubbio posto dall’istituto della domanda riconvenzionale è comprendere se essa possa avere
qualunque contenuto, purchè sia collegata alla domanda principale originaria dalla mera identità delle parti
processuali coinvolte e ivi a ruoli invertiti; oppure, se oltre a questo requisito minimo, la domanda
riconvenzionale debba anche avere un contenuto riconducibile/collegabile al merito della domanda
principale originaria.
La dottrina italiana, la giurisprudenza italiana e, di conseguenza, il legislatore italiano hanno ritenuto più
ragionevole, dal punto di vista processuale, la seconda opzione, poiché, nel caso di mera identità delle parti
coinvolte, il cumulo della domanda riconvenzionale sulla domanda originaria violerebbe il diritto dell’attore
originario alla ragionevole durata del processo, dato che, qualora tra di esse non sussista alcun collegamento
contenutistico e, di conseguenza, le loro rispettive questioni di diritto e/o questioni di fatto siano del tutto
diversi, il processo dura molto più a lungo. Pertanto, secondo quest’opzione del tutto irragionevole, la
proposizione della domanda riconvenzionale da parte del convenuto può essere del tutto pretestuosa, al solo
scopo di guadagnare tempo, ottenendo un prolungamento dei tempi processuali di per sé già lunghi; in
particolare, è vero che la trattazione di due domande separate e distinte all’interno del medesimo processo ha
dei vantaggi in termini di economia processuale, ma tale economia processuale è tanto più rilevante quanto
più esse sono collegate tra di loro!
Nello specifico, al fine di stabilire quanto stretto è il collegamento contenutistico tra domanda principale e
domnada riconvenzionale, EX ART. 36 CPC, rubricato "Cause riconvenzionali", è stabilito, quale
definizione assai restrittiva di domanda riconvenzionale, che «IL GIUDICE COMPETENTE PER LA
CAUSA PRINCIPALE CONOSCE ANCHE DELLE DOMANDE RICONVENZIONALI CHE
DIPENDONO DAL TITOLO DEDOTTO IN GIUDIZIO DALL’ATTORE [Il titolo dedotto in giudizio
dall’attore è la c. d. causa petendi, cioè l’insieme dei fatti costitutivi allegati/dedotti dall’attore a fondamento
della propria domanda; pertanto, l’espressione qui sottolineata significa che la domanda riconvenzionale
deve avere a proprio fondamento i rispettivi fatti costitutivi allegati dall’attore come fondamento della
propria domanda principale: il collegamento contenutistico molto stretto, in questo caso, è la comunanza di
fatti costitutivi.] O DAL TITOLO CHE GIÀ APPARTIENE ALLA CAUSA COME MEZZO DI
ECCEZIONE [Ciò significa che, quale alternativa più soft rispetto alla comunanza di fatti costitutivi, il
collegamento contenutistico della domanda riconvenzionale alla domanda principale può essere il seguente:
la domanda riconvenzionale deve essere uno sviluppo dell’eccezione proposta in via principale dal
convenuto, essendo la sua causa petendi un fatto impeditivo, modificativo o estintivo, rispetto ai fatti
costitutivi allegati in via principale dall’attore.], PURCHÉ NON ECCEDANO LA SUA COMPETENZA
PER MATERIA O PER VALORE […]».
ESEMPIO 1: Un locatore, attore originario, propone un’azione di risoluzione del contratto di locazione nei
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Diritto processuale civile confronti del covenuto originario conduttore; quest’ultimo, non limitandosi a difendersi previa allegazione
fatti modificativi, impeditivi o estintivi rispetto alla domanda del locatore, può formulare, nei confronti di
quest’ultimo, una domanda riconvenzionale di risarcimento del danno pertinente all’originaria azione
costitutiva. Di conseguenza, il merito dell’azione risarcitoria del convenuto non potrà essere un risarcimento
del danno da incidente stradale avvenuto tra attore e convenuto, bensì il conduttore potrà domandare la
restituzione della caparra/cauzione data al locatore per l’eventuale risarcimento dei danni (a fine rapporto di
locazione), arrecati eventualmente dal medesimo convenuto. Questa domanda riconvenzionale dipende dal
titolo dedotto in giudizio dall’attore, perché il suo fatto costitutivo/la sua causa petendi è sempre il contratto
di locazione.
ESEMPIO 2: Un creditore attore principale domanda al giudice la condanna al pagamento di una certo
credito inadempiuto in capo al convenuto debitore, il quale fa valere, a propria difesa, un diverso credito da
lui vantato nei confronti dell’attore principale, il cui ammontare è superiore a quello del suo rispettivo
debito! Di conseguenza, la porzione del suddetto credito equivalente all’ammontare del proprio debito nei
confronti dell’attore principale è un’eccezione di compensazione, che estingue la causa petendi dell’attore;
invece, la porzione residuale del suddetto credito è la causa petendi di un’ulteriore domanda riconvenzionale
di condanna dell’attore principale.
Accanto a questi due casi ex lege di stretta connessione di contenuto tra domanda principale e domanda
riconvenzionale, esistono anche casi di collegamento contenutistico meno stretto, in cui sussite una mera
identità di questioni (di fatto e/o di diritto) tra le due domande e, di conseguenza, il diritto fatto valere in via
riconvenzionale dal convenuto è fondato su fatti costitutivi diversi rispetto a quelli allegati dall’attore
principale. Nello specifico, sotto il profilo dell’economia processuale, anche in queste ipotesi peculiari è
utile la trattazione di due domande separate e distinte all’interno del medesimo processo, che, comunque,
sono accomunate dalle questioni di fatto e di diritto.
A tal proposito, la dottrina di maggioranza ammette la domanda riconvenzionale solo negli stretti limiti
contenutistici EX ART. 36 CPC, escludendo, quindi, la sua proponibilità in queste ipotesi peculiari.
Al contrario, la giurisprudenza, ai fini della proponibilità della domanda riconvenzionale da parte del
convenuto, ritiene sufficiente la c. d. connessione impropria alla domanda principale, cioè l’identità/la
comunanza delle sue questioni di fatto o di diritto rispetto a quelle della domanda principale dell’attore.
Nello specifico, l’argomento testuale EX ART. 36 CPC utilizzato dalla giurisprudenza è il fatto che le
domande rinconvenzionali possono essere proposte «PURCHÉ NON ECCEDANO LA COMPETENZA
PER MATERIA O PER VALORE» del giudice competente per la domanda principale; in altre parole, la
giurisprudenza ha interpretato la ratio legis dell’ART. 36 CPC nel senso che la trattazione di domanda
principale e riconvenzionale all’interno del medesimo processo esula dai limiti contenustici EX ART. 36
CPC, purchè esse non spettino alla competenza di giudici diversi, nel qual caso la domanda riconvenzionale
deve rispettare i limiti contenustici ristretti EX ART. 36 CPC.
Volendo chiarire ulteriormente, poiché l’ART. 36 CPC è collocato sistematicamente entro la Sezione IV del
Capo I del Titolo I del Libro I CPC, intitolata "Delle modificazioni di competenza per ragioni di
connessione", la giurisprudenza ritiene che questa norma non sia esclusivamente dedicata alla definizione
restrittiva di domanda riconvenzionale, bensì che essa debba essere collocata nel più generico ambito della
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Diritto processuale civile circoscrizione della competenza del giudice.
… La domanda di accertamento incidentale EX ART. 34 CPC vs La domanda riconvenzionale EX ART. 36
CPC … - EX ART. 34 CPC, rubricato "Accertamenti incidentali", quale definizione legislativa di
quest’istituto, è stabilito che «IL GIUDICE, SE PER LEGGE [In alcune ipotesi peculiari, è il legislatore
stesso a prevedere espressamente l’efficacia di giudicato in capo alla decisione del giudice riguardo una
determinata questione pregiudiziale. ESEMPIO: EX ART. 124 C. C., rubricato "Vincolo di precedente
matrimonio", è stabilito che «IL CONIUGE PUÒ IN QUALUNQUE TEMPO IMPUGNARE IL
MATRIMONIO DELL'ALTRO CONIUGE; SE SI OPPONE LA NULLITÀ DEL PRIMO MATRIMONIO,
TALE QUESTIONE DEVE ESSERE PREVENTIVAMENTE GIUDICATA»: ciò significa che, quando un
coniuge contesta la sussistenza di un precedente matrimonio, il legislatore sostanziale impone che su tale
questione pregiudiziale il giudice decida con efficacia di giudicato.] O PER ESPLICITA DOMANDA DI
UNA DELLE PARTI [Si tratta della c. d. domanda di accertamento incidentale, con cui - come chiarito qui
di seguito dal testo normativo - l’attore e/o il convenuto chiedono al giudice di decidere su un punto
pregiudiziale controverso con efficacia di giudicato.] È NECESSARIO DECIDERE CON EFFICACIA DI
GIUDICATO [Ciò significa, EX ART. 2909 C. C., che il dictum del giudice «FA STATO A OGNI
EFFETTO TRA LE PARTI, I LORO EREDI O AVENTI CAUSA», cioè ha effetto diretto o riflesso tra le
medesime parti coinvolte nel processo anche nei futuri processi, identici a questo o ad esso collegato da un
nezzo di pregiudizialità - dipendenza. A tal proposito, si veda tutta la parte relativa al giudicato sostanziale.]
UNA QUESTIONE PREGIUDIZIALE [Più nello specifico, per decidere nel merito della domanda
dell’attore e, di conseguenza, accoglierla o meno, è necessario che, entro il proprio ragionamento, il giudice
compia determinati passaggi logici, che costituiscono i presupposti/gli antecedenti della sua sentenza/del suo
dictum: si tratta dei c. d. punti pregiudiziali ripsetto alla pronuncia di merito che, in quanto tali, sono
attinenti al merito stesso della domanda. Essi possono essere pacifici o controversi tra le parti: qualora uno
di essi sia controverso tra le parti e, perciò, sia oggetto di contestazione da parte dell’attore e/o del
convenuto, sorge la questione pregiudiziale.] CHE APPARTIENE PER MATERIA O VALORE ALLA
COMPETENZA DI UN GIUDICE SUPERIORE, RIMETTE TUTTA LA CAUSA A QUEST’ULTIMO,
ASSEGNANDO ALLE PARTI UN TERMINE PERENTORIO PER LA RIASSUNZIONE DELLA
CAUSA DAVANTI A LUI». Anche questa norma, al pari dell’ART. 36 CPC circa la domanda
riconvenzionale, è collocata sistematicamente entro la Sezione IV del Capo I del Titolo I del Libro I CPC,
intitolata "Delle modificazioni di competenza per ragioni di connessione".
Volendo chiarire ulteriormente, di regola, il giudice deve decidere sulla questione pregiudiziale con
un’efficacia limitata a quel processo; in altre parole, generalmente, sulla questione pregiudiziale non scende
il giudicato, bensì essa potrà essere oggetto di contestazione in un altro processo.
ESEMPIO 1: Se l’attore propone una domanda avente ad oggetto la condanna al pagamento di una somma
di denaro a titolo di alimenti, i presupposti logici per cui si arrivi ad una condanna di questo tipo sono la
sussitenza di un determinato rapporto di parentela tra l’attore ed il convenuto e l’ulteriore sussistenza di uno
stato di necessità in capo all’attore. Qualora il convenuto contesti uno di questi due punti pregiudiziali,
allora sorge la questione pregiudiziale, la cui decisione da parte del giudice, in genere, può essere contestata
in un altro processo, quale, ad esempio, un’azione di rivendicazione di una quota d’eredità.
Al contrario, qualora una parte proponga una domanda d’accertamento incidentale, con cui chiede al giudice
di decidere su un punto pregiudiziale controverso con efficacia di giudicato, su tale questione pregiudiziale
scende il giudicato e, di conseguenza, essa non potrà più essere oggetto di contestazione in un altro processo
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile identico o collegato a questo da un nesso di pregiudizialità - dipendenza.
ESEMPIO 2: Al contrario, sempre facendo riferimento all’ESEMPIO 1 precedente, qualora il convenuto,
contestando uno dei due punti pregiudiziali, proponga una domanda di accertamento incidentale sul
medesimo, la decisione ivi derivante ha efficacia di giudicato.
Nello specifico, mentre con la domanda riconvenzionale il convenuto fa valere un contro diritto rispetto al
diritto soggettivo fatto valere inella domanda principale dall’attore, con la domanda d’accertamento
incidentale sia l’attore, sia il convenuto possono contestare un punto pregiudiziale controverso. Allo stesso
tempo, diversamente dalla domanda riconvenzionale, la domanda d’accertamento incidentale fa già parte
della cognizione del giudice.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 29. Il giudice civile ordinario in generale
NOZIONI GENERALI FONDAMENTALI
EX ART. 1 CPC, rubricato "Giurisdizione dei giudici ordinari", è stabilito che «LA GIURISDIZIONE
CIVILE, SALVO SPECIALI DISPOSIZIONI DI LEGGE, È ESERCITATA DAI GIUDICI ORDINARI
SECONDO LE NORME DEL PRESENTE CODICE».
Nello specifico, EX ART. 102.1 COSTITUZIONE, quale identificazione della figura del giudice ordinario,
è stabilito che «LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE È ESERCITATA DA MAGISTRATI ORDINARI
ISTITUITI E REGOLATI DALLE NORME SULL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO [Nello specifico, la
legge fondamentale sull’ordinamento giudiziario è il REGIO DECRETO N. 12 DEL 30 GENNAIO 1941,
che ha subito numerose riforme, di cui l’ultima risale ad una LEGGE DEL 2007. In ogni caso, quest’ultima
LEGGE DEL 2007 ha previsto l’elaborazione di un nuovo codice dell’ordinamento giudiziario in
sostituzione di questo risalente testo normativo].»; allo stesso tempo, EX ART. 102.2 COSTITUZIONE, è
stabilito che «NON POSSONO ESSERE ISTITUITI GIUDICI STRAORDINARI O GIUDICI SPECIALI
[Tuttavia, quale limite costituzionale alla tutela del giudice civile ordinario, la Costituzione
riconosce/costituzionalizza determinati giudici speciali, quali il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti; nello
specifico, EX ART. 103.1 COSTITUZIONE, è stabilito che «IL CONSIGLIO DI STATO E GLI ALTRI
ORGANI DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA HANNO GIURISDIZIONE PER LA TUTELA NEI
CONFRONTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DEGLI INTERESSI LEGITTIMI E, IN
PARTICOLARI MATERIE INDICATE DALLA LEGGE, ANCHE DEI DIRITTI SOGGETTIVI (Pertanto,
il giudice ordinario, che, per definizione, è il giudice dei diritti soggettivi, è limitato nella propria tutela da
questi casi in cui sussiste una c. d. giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo)».].
POSSONO SOLTANTO ISTITUIRSI PRESSO GLI ORGANI GIUDIZIARI ORDINARI SEZIONI
SPECIALIZZATE PER DETERMINARE MATERIE, ANCHE CON LA PARTECIPAZIONE DI
CITTADINI IDONEI ESTRANEI ALLA MAGISTRATURA [Le sezioni specializzate ono organi diversi
dai giudici speciali, composti da un giudice ordinario/un giudice togato affiancato dai c. d. esperti cittadini
nelle materie di loro competenza. ESEMPI: Il Tribunale dei Minori, il Tribunale Regionale delle Acque
Pubbliche e/o le Sezioni Specializzate Agrarie]».
D’altro canto, quale modalità concorsuale d’accesso alla carica di giudice ordinario/di giudice togato, che ne
garantisce la professionalità, EX ART. 106.1 COSTITUZIONE, è stabilito che «LE NOMINE DEI
MAGISTRATI HANNO LUOGO PER CONCORSO».
Il controllo sulla carriera dei magistrati e la vigilanza sul funzionamento della magistratura sono affidati al
CSM (=Consiglio Superiore della Magistratura): EX ART. 107.1 COSTITUZIONE è stabilito che «I
MAGISTRATI SONO INAMOVIBILI [Infatti, EX ART. 101.2 COSTITUZIONE, è stabilito che «I
GIUDICI SONO SOGGETTI SOLTANTO ALLA LEGGE»]. NON POSSONO ESSERE DISPENSATI O
SOSPESI DAL SERVIZIO, NÉ DESTINATI AD ALTRE SEDI O FUNZIONI, SE NON IN SEGUITO A
DECISIONE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, ADOTTATA O PER I
MOTIVI E CON LE GARANZIE DI DIFESA STABILITE DALL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO, O
CON IL LORO CONSENSO»; inoltre, EX ART. 107.2 COSTITUZIONE, è stabilito che «IL MINISTRO
DELLA GIUSTIZIA HA FACOLTÀ DI PROMUOVERE L'AZIONE DISCIPLINARE», che poi è svolta
proprio dal CSM.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile
Inoltre, EX ART. 107.3 COSTITUZIONE, è stabilito che «I MAGISTRATI SI DISTINGUONO FRA
LORO SOLTANTO PER DIVERSITÀ DI FUNZIONI» loro attribuite, quale unica peculiarità di ciascuno
di essi rispetto allo svolgimento automatico della propria carriera; nello specifico, al suo termine, un giudice
è anche giudice di Cassazione, ma può continuare a svolgere anche le funzioni di giudice di tribunale.
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile 30. Elencazione e breve descrizione dei giudici civili
Qui di seguito si tratteranno i tratti descrittivi essenziali di ogno singolo giudice civile ordinario.
1. IL GIUDICE DI PACE
In Italia, i giudici di pace ammontano ad un totale di un po’ meno di 5000 uffici, la cui sede coincide con
ciascun vecchio mandamento delle preture.
Il giudice di pace è sempre un giudice monocratico.
Onorarietà dell’ufficio e sue conseguenze - Quale figura istituzionale introdotta/istituita dalla LEGGE N.
374 DEL 21 NOVEMBRE 1991, in sostituzione del precedente giudice conciliatore, il giudice di pace è un
giudice civile di primo grado c. d. onorario/non professionale/non togato, il che significa che non è
selezionato attraverso un concorso EX ART. 106.1 COSTITUZIONE e, di conseguenza, non è legato da un
rapporto organico, o di servizio con l’amministrazione della giustizia.
Pertanto, essendo un giudice onorario, il giudice di pace non è un giudice di carriera, bensì è un incarico a
tempo; nello specifico, EX ART. 7.1 DELLA LEGGE N. 374 DEL 1991, rubricato "Durata dell’ufficio e
conferma del giudice di pace", è stabilito che «IN ATTESA DELLA COMPLESSIVA RIFORMA
DELL'ORDINAMENTO DEI GIUDICI DI PACE, IL MAGISTRATO ONORARIO CHE ESERCITA LE
FUNZIONI DI GIUDICE DI PACE DURA IN CARICA QUATTRO ANNI E PUÒ ESSERE
CONFERMATO PER UN SECONDO MANDATO DI QUATTRO ANNI E PER UN TERZO MANDATO
DI QUATTRO ANNI».
Inoltre, pur essendo un giudice non professionale con una carica a tempo, in Italia il giudice di pace non
svolge gratuitamente la propria carica, diversamente dall’Inghilterra, in cui il giudice di pace, essendo un
comune cittadino che assume tale ruolo - soprattutto nel settore penalistico - solo per alcune settimane
all’anno, svolge la propria funzione gratuitamente. Nello specifico, EX ART. 11 DELLA LEGGE N. 374
DEL 1991, rubricato "Indennità spettanti al giudice di pace", il giudice di pace lavora a cottimo, nel senso
che gli spetta una determinata indennità, che varia in base al provvedimento pronunciato/al processo
definito/all’udienza tenuta.
Competenza del giudice di pace - La sua competenza riguarda le c. d. cause bagatellari, cioè le
controversie di minor valore e circa determinate materie, che rappresentano una fetta di contenzioso
numericamente significativa e, post riforma EX LEGGE N. 69 DEL 2009, in progressivo aumento,
attualmente equivalente ad oltre il 50% del contenzioso civile di primo grado. In particolare, la competenza
per valore e/o per materia del giudice di pace è disciplinata EX ART. 7 CPC, rubricato "Competenza del
giudice di pace", articolo di legge originariamente formulato EX LEGGE N. 374 DEL 1991, che ha subito
una recentissima modifica EX LEGGE N. 69. DEL 2009.
Più precisamente, quale criterio verticale di competenza per valore del giudice di pace - che non è mai puro,
ma è sempre combinato insieme ad un criterio di competenza per materia -, EX ART. 7.1 CPC è stabilito
che «IL GIUDICE DI PACE È COMPETENTE PER LE CAUSE RELATIVE A BENI MOBILI DI
VALORE NON SUPERIORE A EURO 5.000, QUANDO DALLA LEGGE NON SONO ATTRIBUITE
ALLA COMPETENZA DI ALTRO GIUDICE»; inoltre, EX ART. 7.2 CPC, è stabilito che «IL GIUDICE
DI PACE È ALTRESÌ COMPETENTE PER LE CAUSE DI RISARCIMENTO DEL DANNO
PRODOTTO DALLA CIRCOLAZIONE DI VEICOLI E DI NATANTI, PURCHÉ IL VALORE DELLA
Luisa Agliassa Sezione Appunti
Diritto processuale civile