Titolo V del Libro I CPC: dei poteri del giudice
L'art 112 l'abbiamo già visto insieme, abbiamo in particolare esaminato la seconda parte dell'art 112, vi ricordate che il giudice non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti. Quindi questa distinzione tra l'eccezione rilevabile d'ufficio da parte del giudice e, invece, quella riservata alla parte. Ho già detto più volte, qual'è la regola? Se il legislatore non dice nulla, l'eccezione è rilevabile d'ufficio o è necessaria l'istanza di parte? È rilevabile d'ufficio, anche se abbiamo detto che dalla lettera dell'art 112 forse potremmo ricavare il contrario; però questa è l'opinione pacifica della giurisprudenza. Ecco, vedete la prima parte dell'art 112 che dice che: "Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa"; quindi questa prima parte dell'art 112 ci dice qualcosa di più rispetto al principio della domanda, perché come deve pronunciare sulla domanda? Su tutta la domanda e non oltre i suoi limiti; quindi cosa succede se il giudice non pronuncia su tutta la domanda? Si ha la c.d omissione di pronuncia, affinché, però, si abbia una omissione di pronuncia bisogna immaginare che nel processo siano proposte più domande, quindi ci sia una omissione di pronuncia su una domanda proposta dall'attore. Vi ricordate che abbiamo visto che ci può essere un cumulo di domande (più domande) che l'attore può proporre nei confronti del convenuto, quindi con una connessione che è legata solo alla comunanza soggettiva. E, invece, cosa vorrà dire "non oltre i limiti di essa"? Si distingue tra il vizio di c.d "ultra petizione" ed "extra petizione", quale sarà la differenza tra andare "ultra petita" ed "extra petita"? Cosa vorranno dire queste espressioni latine? Io non posso andare oltre e non posso dare qualcosa di diverso, quindi vuol dire che se viene chiesta la condanna al convenuto a pagare 70, il giudice non potrà andare oltre e quindi condannarlo a 100, ma non potrà neanche condannarlo a qualcosa di diverso rispetto a quello chiesto dall'attore.
Adesso, quindi, possiamo vedere l'art 113, cosa ci dice il 1° comma? "Nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità". Quindi la regola del nostro ordinamento è costituita dalla decisione secondo diritto che, appunto, il legislatore contrappone alla decisione secondo equità. Cosa vorrà dire? Anzitutto, questa contrapposizione "diritto-equità" vale per le norme di diritto sostanziale che sono applicate nel decidere, quindi, la domanda proposta al giudice, ovvero possiamo avere anche un'equità per quanto concerne lo svolgimento del processo? Cosa dite, leggendo questo 1° comma dell'art 113? È sempre nel pronunciare sulla causa, quindi questa eventuale, eccezionale decisione secondo equità concerne soltanto il profilo sostanziale. Quindi vuol dire che per il processo valgono sempre le norme, che stiamo studiando adesso, fissate dal legislatore, però nel decidere il caso si dice che di regola il giudice, quindi, deve applicare le norme di diritto sostanziale, a meno che, appunto, possa decidere secondo equità. Che cosa si intende per "diritto" secondo voi? Dove troviamo le norme di diritto (chiarito che si tratta delle norme di diritto sostanziale)? Il legislatore fa riferimento sia alle norme di rango costituzionale che a quelle di rango ordinario, ai trattati, alle convenzioni internazionali, ma anche agli usi, alle consuetudini. In particolare, per quanto concerne le norme di diritto vale una regola fondamentale: è il giudice che conosce d'ufficio le norme di diritto, quindi le parti hanno un onere di allegazione dei fatti e in genere nel prospettare, ad esempio, la domanda l'attore non solo allega i fatti, ma dà già una configurazione giuridica ai fatti che allega, però il giudice è libero, nei suoi poteri discrezionali, di applicare anche una norma giuridica non indicata dalle parti, perché nel nostro ordinamento c'è il principio fondamentale c.d dello "iura nobis curia", quindi il diritto è conosciuto dal giudice. Si è, però, posto il problema per quanto concerne il diritto straniero. Qualora ci sia una causa che ha dei profili c.d "transnazionali", però è una causa che rientra nella giurisdizione del giudice civile italiano che può trovarsi a dover applicare una norma di diritto straniero, allora ci si pone il dubbio "ma è il giudice d'ufficio che deve conoscere il diritto straniero, o è un onere delle parti quello di portare a conoscenza del giudice italiano il diritto straniero"? Questo adesso è risolto dalla legge speciale n. 218 del 1995 ( che abbiamo già citato per quanto concerne la giurisdizione del giudice civile italiano). All'art 14, questa legge ci dice che: "L'accertamento della legge straniera è compiuto d'ufficio dal giudice"; quindi rientra nei suoi poteri, ma anche, quindi, non sono le parti che hanno l'onere di portare alla conoscenza del giudice la legge straniera. Può anche non conoscerla, però il giudice italiano, cosa ci dice questo art 14 al 2° comma, che "A tal fine può avvalersi, oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali, di informazioni acquisite per il tramite del Ministero della giustizia; può altresì interpellare esperti o istituzioni specializzate". Quindi anche la legge straniera è conosciuta d'ufficio dal giudice. Vediamo che, però, ci sono dei casi in cui il giudice decide, quindi, la controversia che gli viene sottoposta non secondo le norme di diritto, ma secondo equità. Quando succede questo? Vedete il 2° comma dell'art 113 che ci dice che: "Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro". Questo diciamo che è un giudizio di equità necessario, nel senso che sino al valore di millecento euro il giudice di pace decide non applicando le norme di diritto, ma secondo equità; a meno che si tratti di cause derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'articolo 1342 del codice civile. Quali saranno, secondo voi, questi contratti in cui anche se siamo sotto questo limite di valore..sono i contratti conclusi mediante moduli o formulari. Quindi, il giudice di pace sino a questo limite di valore, altrimenti l'art 114 ci dice che possiamo avere anche una pronuncia secondo equità da parte del tribunale, sia in primo grado che in appello, quando la causa riguarda diritti disponibili e le parti gliene fanno concorde richiesta. Cosa vorrà dire decidere, appunto, secondo equità e non seguendo le norme del diritto? Questo è un tema controverso perché che cosa sia l'equità e anche come il giudice possa decidere..il giudice di pace sempre, sino a millecento euro, gli altri giudici se si tratta di diritti disponibili e le parti ne facciano concorde richiesta, voi capite che la seconda ipotesi è rara, in cui le parti chiedono al giudice di decidere secondo equità. Cosa dite? Cosa sarà questa giustizia secondo equità e non secondo le norme di diritto? La norma di diritto dovrebbe avere la caratteristica di essere generale e astratta, quindi non diretta a disciplinare il singolo caso concreto, ma una serie di casi. Invece, la decisione secondo equità è la decisione, appunto, del caso singolo, la giustizia del caso concreto. Quindi nel decidere il caso, il giudice che decide secondo equità può non seguire quelle che sono le norme di diritto, ma applicare, appunto, delle norme che siano più consone, più adatte al singolo caso. Quindi potrebbe anche ritenere che una norma di diritto, quindi elaborata in modo astratto, non sia giusta, diciamo, non sia corretta per risolvere questo singolo caso che ha di fronte a sé. Il problema che si è posto, in particolare proprio per le pronunce del giudice di pace, quale sarà il problema che ci dà la giustizia secondo equità? Andiamo contro quella che è la certezza del diritto e poi c'è il problema di dire "ma è controllabile, in qualche modo, la decisione resa secondo equità, e non secondo le norme di diritto"? Quindi, ci sono stati così vari cambiamenti, proprio per quanto concerne l'appellabilità delle pronunce rese dal giudice di pace secondo equità. Quindi, o si è subordinata la pronuncia secondo equità comunque al rispetto di quelli che possono essere i principi fondamentali del nostro ordinamento, rispetto al caso concreto deciso dal giudice, o del tutto inappellabili, solo ricorribili per cassazione. Quindi c'è stata la conseguenza di gravare molto la Corte di cassazione di impugnazioni proposte nei confronti delle sentenze del giudice di pace, quindi su case "millecento euro", quindi veramente bagatellari. Poi lo riprenderemo quando vedremo la disciplina delle impugnazioni, come vedete l'art 339 cpc, al 3° comma, ci dice che: "Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità", perché vedete il 2° comma, "È inappellabile in genere la sentenza che il giudice ha pronunciato secondo equità", proprio perché non è una decisione secondo norme di diritto; però il 3° comma ci dice che se si tratta di sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità, siccome dire che sono inappellabili vorrebbe dire gravare poi troppo la Corte di cassazione, adesso si prevede che siano appellabili, ma solo per violazione delle norme sul procedimento, che in ogni caso le norme sul processo sono quelle, quindi non possiamo avere un'equità che concerne il processo, o se no per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia. Da qui ricaviamo che comunque il giudice di pace, pur quando decide secondo equità, deve rispettare le norme costituzionali o comunitarie ovvero i principi regolatori della materia, con il problema, poi, di determinare quali sono i principi regolatori della materia. Si è discusso molto se nel decidere, ad esempio, secondo equità, a fronte della prescrizione del diritto, le norme sulla prescrizione possano essere superate da una decisione secondo equità. Quindi dire "secondo la norma di diritto si tratterebbe ormai, il diritto che si fa valere è prescritto, però in una decisione secondo equità posso lo stesso, nel caso concreto, considerarlo non prescritto". Quindi lì sta a vedere se si considerano le norme sulla prescrizione come attinenti a principi regolatori della materia. Accanto a questa decisione secondo equità, quindi per quanto concerne il profilo sostanziale, non vengono seguite le norme di diritto, questa è l'equità c.d sostitutiva. C'è poi anche l'equità c.d integrativa, quando l'equità, non con la decisione secondo equità, non concerne l'intera fattispecie, ma una sua sola parte che viene rimessa al giudizio equitativo del giudice. Un esempio lo troviamo all'art 432 cpc, in materia di processo del lavoro, che ci dice che: "Quando sia certo il diritto, ma non sia possibile determinare la somma dovuta, il giudice la liquida con valutazione equitativa"; quindi qui si tratterebbe, appunto, di una equità solo integrativa, quindi vuol dire certo il diritto, l'an quindi accertato applicando le norme di diritto, ma la determinazione, appunto, avviene secondo equità. Quindi abbiamo questi articoli 113 e 114 relativi alla pronuncia secondo diritto, ovvero pronuncia secondo equità. Proseguendo l'analisi di queste disposizioni.
vediamo invece l'art 115, che è intitolato "Disponibilità delle prove". Quindi, questo art 115 ci dà il principio dispositivo non in relazione alla domanda, perché abbiamo detto che il processo civile è un processo di parte, quindi in cui vale questo principio dispositivo, per cui, salvo i casi tassativi eccezionalmente previsti dalla legge, il processo inizia su domanda di parte. C'è poi anche nel nostro ordinamento un principio dispositivo per quanto concerne le prove, quindi cosa vorrà dire "principio di disponibilità dei mezzi di prova"? Che, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero. Quindi ci dice questo 1° comma dell'art 115 che i poteri istruttori esercitabili d'ufficio da parte del giudice sono eccezionali. Quindi la regola è costituita dalla disponibilità dei mezzi di prova, cioè le prove devono essere chieste, portate nel processo dalle parti. Come vedremo, questo vale fino ad un certo punto perché il giudice anche nel processo ordinario di cognizione (nel processo del lavoro vedremo che il giudice può disporre d'ufficio l'assunzione di qualsiasi mezzo di prova), nel processo civile ordinario no, però il giudice ha un certo numero di poteri istruttori che può esercitare d'ufficio; però la regola, appunto, che vuole stabilire, in via generale, il nostro legislatore è questa, quindi quella della disponibilità delle prove. Ricordiamoci questa distinzione tra principio della domanda, abbiamo detto che di regola il processo civile è un processo che inizia su domanda di parte, su domanda di colui che, perché sia legittimato ad agire, deve affermare di essere titolare di un determinato diritto soggettivo. Quindi abbiamo il principio della domanda, poi abbiamo il principio fondamentale per cui i fatti devono essere allegati dalle parti; questo non incontra eccezioni perché c'è il divieto di scienza privata da parte del giudice, quindi i fatti devono entrare nel processo perché sono portati dalle parti. Poi c'è questo principio di disponibilità delle prove, quindi bisogna distinguere tra il fatto e la prova del fatto. Fatemi una distinzione tra il fatto e la sua prova. Identifichiamo la mia domanda, pagamento della somma di denaro, allegazione dei fatti, è l'attore che deve allegare i fatti costitutivi della domanda; nel nostro esempio l'attore afferma di aver venduto questo bene mobile, di averlo anche consegnato e che non è stato mai pagato il prezzo. Quindi questi sono fatti che io, attore, affermo; poi, però, io devo anche provare questi fatti costitutivi, quindi dovrò indicare dei testimoni, dovrò produrre dei documenti da cui risulta la conclusione di questo contratto ecc..Quindi dobbiamo aver chiara questa distinzione. Poi vi ricordate che abbiamo anche già visto un principio fondamentale per quanto concerne la prova dei fatti, chi si ricorda di questo principio? Ci siamo occupati della c.d regola dell'onere della prova, anzitutto questa regola la troviamo disciplinata nel Codice civile, all'art 2697 che ci dice, al 1° comma, che: "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento"; quindi l'attore deve provare i fatti costitutivi, il convenuto deve provare i fatti modificativi, estintivi e impeditivi. Però vi ho già anche detto che questa è una regola di giudizio, che quindi entra in gioco nel momento in cui il giudice, esaurita la fase di istruzione probatoria, decide la causa. In quel momento se non è convinto circa la sussistenza del fatto costitutivo applica il 1° comma dell'art 2697 c.c, quindi se non ha raggiunto il suo convincimento sull'esistenza del fatto costitutivo, come decide? Respinge la domanda. Se invece si tratta di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo, la accoglie. È una regola di giudizio, nel senso che ovviamente la prova dei fatti costitutivi sarà in genere data dall'attore, così quella dei fatti modificativi, impeditivi e estintivi, però c'è anche il principio di acquisizione delle prove, perciò da qualunque parte provenga la prova, viene acquisita al processo. Quindi, se anche la prova di un fatto costitutivo è data dal convenuto, il fatto si considera comunque provato. Inoltre, abbiamo appena visto che per quanto concerne le prove, queste sono di regola date dalle parti, però ci sono anche dei poteri istruttori d'ufficio del giudice. Inoltre (e adesso qui entriamo in questa seconda parte dell'art 115, che è una novità che abbiamo adesso con la legge n. 69/2009) in realtà, non tutti i fatti hanno bisogno di essere provati, quali fatti non hanno bisogno di essere provati? Anzitutto i fatti c.d notori, vedete il 2° comma dell'art 115: "Il giudice può, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza". Perciò se il fatto è notorio, quindi appartiene alla mia conoscenza non come giudice singolo, ma a me giudice, come cittadino che fa parte di una determinata comunità, quindi questo fatto è notorio e non ha bisogno di essere provato. Inoltre, vedete che adesso quest'ultima parte del 1° comma dell'art 115 ci dice che possono essere posti a base della decisione, senza essere provati, i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita. È scritto un po' male questo art 115, perché sembrerebbe dirci che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero o i fatti non specificamente contestati. In realtà, questi fatti non hanno bisogno di essere provati; quindi sono i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, non hanno bisogno di essere provati. Questo cosa significa? Era un risultato a cui era ormai giunta dopo molti anni, voi pensate che di questo onere di contestazione si parla, nel nostro processo, dalla riforma del rito del lavoro, quindi dal 1973. Quindi, da ben più di trent'anni si discute, perché con la riforma del rito del lavoro si è introdotto, appunto, l'onere per il convenuto, costituendosi, di contestare i fatti allegati dall'attore. È una formula, appunto, che troviamo per il processo ordinario anche nell'art 167, però si discuteva che cosa fosse quest'onere di contestazione da parte del convenuto e poi, comunque, anche da parte dell'attore rispetto ai fatti estintivi, modificativi e impeditivi allegati dal convenuto. La Corte di cassazione è arrivata, appunto, (prima per il rito del lavoro, poi per il rito ordinario) a dire che se la controparte non contesta in modo specifico il fatto allegato, questo fatto non ha, appunto, bisogno di essere provato. Questa posizione della Corte di cassazione è stata, appunto, fatta propria dal legislatore e adesso la troviamo espressa in modo molto chiaro nell'art 115. Quindi tornando all'esempio che abbiamo fatto prima, io propongo la mia domanda, allego alla mia richiesta di condanna (a pagare, poniamo, 10 mila euro) la conclusione di un contratto, la consegna di beni ecc..io sarò onerato dalla prova dei fatti costitutivi che ho allegato, solo se il mio convenuto non contesta in modo specifico il fatto costitutivo. Quindi c'è un onere di contestazione, non solo, ma anche un onere di contestazione specifica, quindi si dice, già con questa nuova norma, che non basta che la controparte (facciamo l'esempio del convenuto) si limiti a contestare in modo generico tutto quello che ha affermato l'attore, questo non è sufficiente. Quindi, da un lato, occorre che ci sia un'allegazione specifica da parte dell'attore, però poi il convenuto ha, a sua volta, un onere di contestare in modo specifico i fatti, perché altrimenti questi, appunto, non hanno bisogno di essere provati, ma si ritengono già provati se non sono specificamente contestati. Vedete che si parla comunque di parte costituita, quindi rimane quell'atteggiamento comunque di favor nei confronti del contumace; altrimenti si potrebbe dire "il convenuto non costituendosi, che venga dichiarato contumace", si intendono in questo modo automaticamente provati i fatti allegati dall'attore, però vedete che si parla di "parte costituita". È comunque un cambiamento importante perché vuol dire che oggi nel nostro ordinamento perciò, quando verrà applicata la regola dell'onere della prova di cui all'art 2697 del Codice civile? Solo quando, appunto, (poniamo il caso dei fatti costitutivi) l'attore non ne abbia fornito una prova, il giudice non abbia disposto d'ufficio l'assunzione di un mezzo di prova, la prova non sia venuta dal convenuto o comunque il convenuto abbia contestato in modo specifico il fatto allegato dall'attore. Questo, quindi, per quanto concerne l'art 115.
L'art 116 concerne sempre le prove, però qui si ha riguardo non alla richiesta di assunzione del mezzo di prova, all'ingresso della prova nel processo, ma alla sua valutazione. Facciamo un esempio concreto: la prova testimoniale, quindi è la parte che chiede che sia sentito un testimone (quindi entra in gioco l'art 115), però poi come viene valutata la prova testimoniale? Cioè, quando noi abbiamo la dichiarazione di un testimone, come viene valutata questa dichiarazione da parte del giudice? Vedete il 1° comma dell'art 116, ci dice che: "Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti". Quindi, la regola qui è costituita dalla libera valutazione della prova da parte del giudice, libera non vuol dire arbitraria, vedete che il legislatore parla di "prudente apprezzamento". Cosa vuol dire che, ad esempio, la dichiarazione del testimone è valutata dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento? Che, appunto, il giudice è libero nel valutare in modo prudente se la dichiarazione del testimone è una dichiarazione attendibile, oppure no. Quando si parla, appunto, di libera valutazione delle prove, lo si contrappone alla valutazione, invece, legale; cioè vuol dire che il giudice è libero, non ci sono dei criteri di valutazione del singolo mezzo di prova fissati dal legislatore. Quindi nel nostro ordinamento la regola è la libera valutazione del mezzo di prova. Ci sono però delle eccezioni, eccezioni che non sono così limitate, perché nel nostro ordinamento ci sono ancora numerosi esempi di prove c.d legali, in cui, quindi, la valutazione della prova non è libera da parte del giudice, ma è vincolata da criteri che sono fissati dal legislatore. In questo il nostro ordinamento è più "indietro" rispetto ad altri ordinamenti perché c'è stato un progressivo abbandono dai criteri di prova legale a, invece, criteri di libera valutazione delle prove da parte del giudice. In epoca medievale la valutazione della prova testimoniale non era libera da parte del giudice, ma era vincolata da criteri predeterminati, ad esempio la testimonianza della donna non era considerata sullo stesso piano di quella dell'uomo; non bastava la testimonianza di un solo soggetto ecc..C'è stato un progressivo abbandono, adesso la prova testimoniale è liberamente valutabile da parte del giudice, però sono rimasti dei mezzi di prova c.d legali, vedremo poi quali sono, ma pensiamo alla confessione. La confessione è un mezzo di prova legale, nel senso che la sua valutazione non è libera da parte del giudice, ma è vincolata a quanto stabilisce il legislatore. Quale sarà il vincolo che incontra il giudice nei confronti della confessione? La deve considerare vera, anche se ritiene una dichiarazione confessoria non attendibile, la deve però considerare come vera, perché come possiamo definire la confessione? Quand'è che io pongo in essere una dichiarazione che ha i caratteri della confessione? Quando affermo dei fatti che sono a me sfavorevoli e favorevoli alla controparte; in questo caso il giudice civile è vincolato a ritenere come veri i fatti affermati. Non è irragionevole, c'è alla base una regola di comune esperienza, per cui se io affermo dei fatti che sono a me sfavorevoli e favorevoli alla controparte, quei fatti sono veri. Invece, nel processo penale c'è stata una maggiore evoluzione verso il libero convincimento dei mezzi di prova da parte del giudice. Quindi questo è per quanto riguarda l'art 116. Quindi, il principio di disponibilità delle prove con eccezioni all'art 115; all'art 116 il principio della libera valutazione delle prove da parte del giudice con eccezioni. Al 2° comma vediamo un'altra nozione, che è quella dell'argomento di prova, perché abbiamo una sorta di "scala", di graduatoria per quanto concerne l'efficacia probatoria: più in alto troviamo la prova legale, poi sotto la prova liberamente valutabile e poi sotto ancora, possiamo dire l'argomento di prova. Perché una sorta di graduatoria? Perché se il mezzo di prova è legale il giudice è vincolato circa la sua valutazione; se il mezzo di prova è liberamente valutabile, appunto, il giudice è libero, però appunto può fondare sui risultati di quel mezzo di prova il suo convincimento. Invece il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che gli danno le parti in sede di interrogatorio non formale, dal rifiuto ingiustificato delle parti a consentire le ispezioni o comunque, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo. Quindi, vuol dire che dal contegno che ha la parte nel processo il giudice può desumere argomenti di prova. Cosa sarà, quindi, questo argomento di prova? Questa è una delle nozioni controverse del processo civile; quella che è la nozione più comunemente accettata è quella che l'argomento di prova dà degli elementi comunque probatori, ma non può l'argomento di prova, da solo, fondare il convincimento del giudice. Poi, comunque, le riprendiamo queste nozioni.
Vedete invece che gli artt 117 e 118 si riferiscono a mezzi di prova particolari, l'interrogatorio non formale e l'ispezione; l'art 119 è riferito alla cauzione e l'art 120 alla pubblicità, sono norme più particolari.
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Dettagli appunto:
- Autore: Luisa Agliassa
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Giurisprudenza
- Corso: Giurisprudenza
- Esame: Diritto processuale civile
- Docente: Besso
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