Questi ottimi appunti schematizzano il "Manuale breve diritto ecclesiastico" di E. Vitali e A.G. Chizzoniti che si concentra sulla normativa che disciplina in Italia il rapporto tra Stato e Chiese, in particolare il rapporto con la Chiesa cattolica.
Si parte da una definizione del concetto del diritto ecclesiastico e la sua evoluzione storica, soffermandosi sui Patti Lateranensi.
Si esplicitano poi gli articoli della Costituzione Italiana che riconoscono i diritti religiosi, la libertà e l'uguaglianza delle confessioni religiose.
Vengono poi rapidamente presentati i rapporti giuridici tra Stato Italiano e Città del Vaticano. Questo aspetto viene approfondito nei temi dell'assistenza spirituale e il segreto di culto, dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole, del rapporto tra matrimonio religioso e civile, oltre che del trattamento dei dati personali.
Diritto ecclesiastico
di Stefano Civitelli
Questi ottimi appunti schematizzano il "Manuale breve diritto ecclesiastico" di
E. Vitali e A.G. Chizzoniti che si concentra sulla normativa che disciplina in
Italia il rapporto tra Stato e Chiese, in particolare il rapporto con la Chiesa
cattolica.<br />
Si parte da una definizione del concetto del diritto ecclesiastico e la sua
evoluzione storica, soffermandosi sui Patti Lateranensi.<br />
Si esplicitano poi gli articoli della Costituzione Italiana che riconoscono i diritti
religiosi, la libertà e l'uguaglianza delle confessioni religiose.<br />
Vengono poi rapidamente presentati i rapporti giuridici tra Stato Italiano e Città
del Vaticano. Questo aspetto viene approfondito nei temi dell'assistenza
spirituale e il segreto di culto, dell'insegnamento della religione cattolica nelle
scuole, del rapporto tra matrimonio religioso e civile, oltre che del trattamento
dei dati personali.
Università: Università degli Studi di Firenze
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Diritto Ecclesiastico, a.a. 2006/2007
Titolo del libro: Manuale breve diritto ecclesiastico
Autore del libro: E. Vitali e A.G. Chizzoniti1. Il concetto di diritto ecclesiastico
Il diritto ecclesiastico costituisce quel settore dell’ordinamento giuridico dello Stato che disciplina il
fenomeno religioso.
Esso va distinto dal diritto canonico che è il complesso delle norme poste e fatte valere dalla Chiesa cattolica
per regolare la propria organizzazione e per disciplinare l’attività dei propri membri secondo i fini che essa
si pone.
Il diritto ecclesiastico è invece costituito da un complesso di norme poste dallo Stato e, oggi, anche dalle
Regioni, dall’Unione Europea e dalla Comunità internazionale.
Da una concezione che vedeva il diritto ecclesiastico come insieme di norme che regolano i rapporti tra
Stato e Chiesa (intesi come rapporti tra vertici, ossia tra Sovrano e Pontefice, rapporti in cui la religione era
considerata essenzialmente come strumento per regnare, perché essa era la base del potere del Principe) si è
passati, con l’avvento dello Stato democratico, ad una diversa visione della materia, condizionata dal nuovo
ruolo dello Stato che tende a soddisfare i bisogni dei cittadini.
Tra questi vi è il bisogno del sacro.
La Costituzione repubblicana ha tenuto conto di queste esigenze spirituali ed ha dettato alcune disposizioni
che colgono l’espressione del sentimento religioso nella sua dimensione individuale e associata.
Le disposizioni che vengono in considerazione sono quelle contenute negli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 cost., che
vanno legate anche all’art. 117 cost. nella attuale versione.
Esse hanno la funzione di garantire la libera estrinsecazione del sentimento religioso, sia del singolo sia dei
gruppi o collettività.
La tendenza degli Stati a disciplinare con norme ogni momento della vita dell’uomo fa sorgere spesso dei
conflitti di lealtà nel cittadino, che si trova a domandarsi a quale norma deve obbedire: a quella dello Stato o
a quelle della confessione.
A partire dagli anni ’80, istituzioni e forze religiose hanno elevato una sfida culturale, sociale, politica,
mettendo in discussione la pretesa neutralità dello Stato sui valori fondamentali e ribaltando la tradizionale
distinzione tra etica pubblica ed etica privata.
Di qui la tendenza a proclamare la necessità di far coincidere i valori di una determinata credenza religiosa
con i principi e i valori su cui si fonda l’ordinamento giuridico dello Stato.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 2. Diritto ecclesiastico dal 1848 al 1929
Diritto ecclesiastico dal 1848 al 1929
Lo Statuto Albertino, concesso nel 1848, proclamava il principio che la religione cattolica apostolica romana
è la sola religione dello Stato e che gli altri culti sono semplicemente tollerati conformemente alle leggi.
Con la legge Sineo 735/1848, volendosi togliere ogni dubbio sulla capacità civile e politica dei cittadini che
non professassero la religione cattolica, si stabilì che “la differenza di culto non forma eccezione al
godimento dei diritti civili e politici e all’ammissibilità alle cariche civili e militari”.
Vanno poi ricordate le c.d. leggi Siccardi, che abolirono il privilegio del foro ecclesiastico (per cui gli
ecclesiastici erano sottratti, qualora si fossero resi autori di fatti penalmente rilevanti, alla giurisdizione dello
Stato e affidati al Tribunale del Vescovo).
Per i governi liberali della seconda metà dell’800 il problema fu quello della fondazione dello Stato
moderno, che doveva essere caratterizzato dalla identificazione di laicismo e libertà.
Del 1865 fu l’emanazione del codice civile che introdusse il matrimonio civile come unica forma valida ed
efficace per lo Stato.
Furono di quel periodo anche le c.d. leggi eversive dell’asse ecclesiastico, che provvidero alla soppressione
di corporazioni e associazioni religiose e degli enti che non attendessero alla cura d’anime, all’educazione o
all’assistenza religiosa, togliendo loro la capacità di acquistare e di possedere (e quindi la personalità
giuridica).
Dopo la presa di Roma del 20 Settembre 1870 da parte delle truppe italiane, che aveva provocato la fine
dello Stato Pontificio, la legge più importante fu indubbiamente la legge delle Guarentigie Pontificie, che fu
legge unilaterale dello Stato (l. 214/71), emanata per salvaguardare la persona del Sommo Pontefice,
garantiva inoltre la intangibilità della “città Leonina” (che pur era sotto la sovranità italiana) in cui il
Pontefice risiedeva.
Tale legge non fu accettata dal Pontefice e la “questione romana” rimase aperta con profonde lacerazioni
negli equilibri del nuovo Stato (come la non partecipazione dei cattolici alla vita politica).
Infine, il codice penale del 1889 (c.d. codice Zanardelli), introducendo il Capo intitolato “Diritti contro la
libertà dei culti”, abolì la categoria dei reati contro la religione e tutelò in modo uguale la situazione di ogni
cittadino credente.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 3. Diritto ecclesiastico dal 1929 al 1948
L’11 Febbraio 1929 furono stipulati i Patti Lateranensi.
Essi constavano di tre strumenti: Trattato, Concordato e Convenzione finanziaria.
Il primo abrogò la legge delle Guarentigie e risolse la “questione romana” con la costituzione dello Stato
della Città del Vaticano, che doveva rappresentare il segno tangibile dell’indipendenza del Sommo
Pontefice.
Il Concordato disciplinava la situazione della Chiesa in Italia, mentre la Convenzione chiudeva i rapporti
economici pregressi tra Stato italiano e Santa Sede, riconoscendo a quest’ultima una somma a titolo di
indennizzo per la perdita degli Stati pontifici.
La “conciliazione” fu il momento di più alto prestigio internazionale della dittatura mussoliniana, il cui
disegno comportava la cancellazione dei diritti di libertà, e di libertà religiosa in particolare, onde la
posizione del singolo era tutelata nei limiti e nella misura in cui coincidesse con l’interesse dell’istituzione.
Per completare il quadro normativo, si ricorda che con la l. 1159/29 fu disciplinato “l’esercizio dei culti
ammessi nello Stato” e il “matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi”.
Detta legge prevedeva che potessero essere ammessi nello Stato italiano i culti diversi dalla religione
cattolica purché non professassero principi o non seguissero riti contrari all’ordine pubblico o al buon
costume.
Nel 1930 fu pubblicato il nuovo codice penale, che prevedeva una serie di reati che tutelavano il sentimento
religioso.
L’art. 402 c.p. puniva il vilipendio della sola religione dello Stato, ossia della religione cattolica; gli articoli
successivi punivano il vilipendio di persone e di cose e la turbativa di funzioni religiose (artt. 403-405 c.p.);
la pena era tuttavia diminuita (art. 406 c.p.) se i fatti si fossero realizzati contro culti ammessi.
La ratio consisteva nel fatto che solo la religione cattolica, a differenza dei culti ammessi, costituiva
tradizione secolare e quindi elemento unificatore del popolo italiano nel regime fascista.
In questo quadro si inseriscono, infine, le c.d. “leggi razziali”, che colpivano i cittadini italiani di razza
ebraica, dichiarati decaduti da qualsiasi ufficio o impiego pubblico, nonché dagli impieghi presso banche e
società assicurative; tali disposizioni imposero il divieto di esercitare qualsiasi professione, di gestire
imprese, di essere proprietari di immobili; di contrarre matrimoni con soggetti di razza ariana; ai fanciulli
ebrei fu impedito di frequentare scuole pubbliche.
La Repubblica Sociale italiana, con provvedimento 30 Novembre 1943, dispose l’”arresto di tutti gli ebrei”.
Le leggi razziali vennero abrogate nell’Italia del Sud liberata, con i r.d.l. n. 25 e 26 del 1944.
Tali provvedimenti furono estesi a tutta Italia dopo il 25 Aprile del 1945.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 4. Diritto ecclesiastico dal 1945/1948 ad oggi
Con la caduta del fascismo, la ricostruzione dell’ordinamento in senso democratico e pluralista attuato dalla
Costituzione repubblicana del 1948 mutò grandemente il diritto ecclesiastico italiano.
La Costituzione pose infatti norme fondamentali che sanciscono la nuova posizione della Repubblica
rispetto al sentimento religioso dei cittadini.
Sono proclamati i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 cost.), il principio di uguaglianza (art. 3 cost.) e di non
discriminazione (art. 20 cost.).
Sono posti i principi di distinzione degli ordini civile e religioso (art. 71 cost.) e di autonomia delle
confessioni (art. 82 cost.); infine sono poste due norme sulla produzione giuridica laddove si tratti di
disciplinare i rapporti fra Stato e Chiesa cattolica e tra Stato e confessioni diverse dalla cattolica (artt. 72
cost. e art. 83 cost.).
Peraltro di significativo nella nostra materia nulla è avvenuto fino al 1967, quando il Parlamento votò una
mozione che invitava il Governo a riconsiderare alcune norme del Concordato in rapporto all’evoluzione dei
tempi.
Nel 1970 vi fu l’introduzione del divorzio che intaccò il principio della riserva di giurisdizione ecclesiastica
sul matrimonio concordatario; nel 1975 la radicale riforma del diritto di famiglia.
Questo movimento culminò, il 18 Febbraio 1984, nell’Accordo di Villa Madama, firmato dal Presidente del
Consiglio Bettino Craxi e dal Cardinale Agostino Casaroli.
Tale accordo abrogava e sostituiva il Concordato Lateranense e apportava alcune modifiche al Trattato del
Laterano.
Contestualmente lo Stato italiano stipulò una serie di intese con le confessioni diverse dalla cattolica
liberandole dai vincoli della legge del 1929.
All’Accordo del 1984 seguì la l. 206/85 e la l. 222/85 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e
per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi).
Infine va ricordato che l’Italia fa oggi parte dell’Unione Europea e partecipa a una serie di organismi
internazionali.
Ne è scaturita la possibilità per detti organismi di emanare norme incisive direttamente anche sulla materia
ecclesiastica.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 5. Fonti del diritto ecclesiastico italiano: norme statali di origine
unilaterali e norme di origine bilaterale
Il diritto ecclesiastico, sotto il profilo temporale, è costituito da successive stratificazioni normative: i Patti
Lateranensi del 1929; la legge sui culti ammessi 1159/29; la Costituzione repubblicana del 1948; il nuovo
Accordo tra Stato e Santa Sede del 1984; la normativa da esso derivata; le intese con le confessioni
acattoliche; la nuova legislazione unilaterale dello Stato.
Sotto il profilo gerarchico, le fonti appartengono a gradi diversi della produzioni normativa: le norme
costituzionali con efficacia prevalente rispetto alle leggi ordinarie.
Quanto all’origine: il sistema è costituito sia dalla produzione normativa unilaterale dello Stato, sia dalla
produzione normativa di origine bilaterale, per regolare i rapporti con la Chiesa cattolica e con le altre
confessioni.
La Costituzione repubblicana, agli artt. 72 cost. e 83 cost., ha introdotto il principio della negoziazione
legislativa o della bilateralità pattizia, in forza del quale si hanno fonti di produzione bilaterale.
Tali norme “concordate” sono rese efficaci nell’ordinamento italiano da una legge unilaterale dello Stato.
Per queste leggi di origine bilaterale è stato stabilito un procedimento aggravato rispetto al normale
procedimento legislativo nel senso che la legge presuppone un accordo tra Stato e Chiesa o tra Stato e
Confessione, che il Parlamento può solo approvare o respingere e non emendare.
A questo tipo di leggi appartengono la legge di esecuzione dei Patti Lateranensi 810/29 (oggi vigente solo
relativamente al Trattato del 1929) e quella di esecuzione dell’Accordo del 1984 121/85.
Le leggi che hanno dato esecuzione agli accordi con la Chiesa non sono state costituzionalizzate; ma esse,
ove presentino contrasti con le norme costituzionali, resistono, secondo la Corte Costituzionale, alle stesse
norme costituzionali, ma non ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale.
La Corte Costituzionale ha dichiarato non ammissibile rispetto alle norme pattizie il referendum abrogativo,
in conseguenza della copertura costituzionale loro attribuita.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 6. Fonti del diritto ecclesiastico italiano: l’Accordo del 1984
L’Accordo del 1984 è comunemente inteso come un “accordo-quadro”, nel quale le due Alte Parti contraenti
hanno fissati i “principi”, impegnandosi contestualmente alla reciproca collaborazione per la promozione
dell’uomo e il bene del Paese.
Detti principi devono quindi essere portati ad attuazione mediante altre norme, che taluno ha qualificato
come paraconcordatarie.
Nell’Accordo di Villa Madama, inoltre, si prevede che ulteriori materie per le quali si manifesti l’esigenza di
collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due
Parti, sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza Episcopale Italiana.
Per provvedere alla disciplina di tali ulteriori materie, si è fatto ricorso per lo più a nuovi accordi
intercorrenti tra le competenti autorità dello Stato e la CEI.
A tali accordi si suole dare la qualifica di intese di 2° grado o subconcordatarie.
Esse hanno trovato esecuzione nell’ordinamento dello Stato mediante la forma del d.p.r.
Rilevanza più limitata hanno le “intese procedimentali”, che costituiscono in genere una fase di determinati
procedimenti amministrativi.
In tali procedimenti l’autorità ecclesiastica viene sentita in quanto deve rappresentare all’autorità civile le
esigenze religiose della popolazione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 7. Fonti del diritto ecclesiastico italiano: le norme di origine
confessionale
Tra le fonti del diritto ecclesiastico italiano un ruolo di notevole importanza è giocato dalle c.d. “fonti-fatto”,
espressione che ricomprende tanto i comportamenti riconosciuti dal corpo sociale come giuridicamente
vincolanti (consuetudine) quanti gli atti di produzione normativa esterni al nostro ordinamento (trattati
internazionali, norme dell’UE, norme degli ordinamenti confessionali).
L’art. 82 cost. prevede una vera e propria “riserva di statuto” in favore delle confessioni.
Ciò comporta la rinuncia da parte dello Stato non solo a qualsiasi ingerenza nella determinazione dei singoli
ordinamenti interni, ma anche alla regolazione unilaterale della disciplina dei propri rapporti con le
confessioni stesse.
Quanto alla rilevanza degli ordinamenti confessionali, si può ricordare che le norme del diritto canonico o
delle altre confessioni possono divenire rilevanti per l’ordinamento dello Stato attraverso gli strumenti del
rinvio recettizio, del rinvio formale e del presupposto in senso tecnico.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 8. La riforma dell’art. 117 cost.
Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione lo Stato non ha più la potestà legislativa generale.
L’attribuzione ai Comuni della generalità delle funzioni amministrative, salvo quelle che per assicurarne
l’esercizio unitario siano conferite agli altri enti sulla base del principio di sussidiarietà, apre una visione
indubbiamente dinamica della sussidiarietà.
Ciò comporta che, pur tenendo fermo che la materia dei rapporti tra Stato e confessioni è sottratta in via
generale alla potestà normativa delle Regioni, il nuovo dettato costituzionale non esclude che le Regioni
possano concorrere a strutturare il sistema dei rapporti tra pubblici poteri e confessioni religiose.
Il ruolo delle Regioni è però destinato a spiegarsi all’interno di un quadro preventivamente tracciato dalla
legislazione statale, e si struttura prevalentemente attraverso la stipulazione di quelle intese di 2° grado di
cui abbiamo parlato in precedenza.
A ciò si aggiunga che non poche materie, che ai sensi dell’art. 117 cost. sono di competenza regionale,
presentano una marcata rilevanza ecclesiastica.
Sembra opportuno profilare una gerarchia delle fonti del diritto ecclesiastico italiano, ovvero la loro
disposizione secondo una scala gerarchica, per effetto della quale nessuna norma proveniente da una fonte di
grado inferiore può validamente porsi in contrasto con una norma proveniente da una fonte di grado
superiore.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 9. I principi supremi nella Costituzione italiana
Secondo la Corte Costituzionale nella Costituzione italiana sono individuabili alcuni principi supremi, che
non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione
costituzionale o da altre leggi costituzionali.
Anche le disposizioni di derivazione concordataria, come il Concordato e il Trattato, prima, e come
l’Accordo, ora, che godono di quella già menzionata particolare “copertura costituzionale”, non si
sottraggono all’accertamento della loro conformità ai “principi supremi dell’ordinamento costituzionale”.
Tra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale rilevanti per il sistema normativo del diritto
ecclesiastico italiano ricorderemo il principio supremo di laicità dello Stato; il principio del diritto alla tutela
giurisdizionale; il principio della inderogabile tutela dell’ordine pubblico.
La legislazione unilaterale dello Stato: le norme costituzionali
Come già accennato, la Costituzione repubblicana contiene norme a tutela delle esigenze spirituali della
cittadinanza, cioè gli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 cost.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 10. I Patti Lateranensi: il Trattato
È un accordo tra due soggetti di diritto internazionale (Stato italiano e Santa Sede) con cui l’Italia ha
riconosciuto alla Santa Sede “la sovranità nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura,
in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo”.
Il Trattato ha inoltre riconosciuto alla Santa Sede “la piena proprietà e la esclusività ed assoluta potestà e
giurisdizione sovrana sul Vaticano”: si è così costituito lo Stato della Città del Vaticano, una monarchia
assoluta elettiva.
Il Trattato è tuttora vigente salvo alcune modifiche, tra le quali il n. 1 del Protocollo Addizionale, allegato
all’Accordo del 1984, che ha stabilito che non si considera più in vigore il principio richiamato dall’art. 1
del Trattato “della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 11. I Patti Lateranensi: il Concordato
Era destinato a regolare le condizioni della religione e della Chiesa cattolica in Italia, ma è stato
integralmente modificato dall’Accordo di Villa Madama e dal Protocollo Addizionale annesso allo stesso.
L’art. 1 dell’Accordo riafferma il principio per cui “Stato e Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine
indipendenti e sovrani”.
Vedremo più oltre le specifiche materie regolate dall’Accordo.
Qui sarà sufficiente ricordare che l’art. 2 garantisce alla Chiesa cattolica la “libertà di svolgere la sua
missione pastorale, educativa e caritativa di evangelizzazione e di santificazione, nonché la libertà di
organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché
della giurisdizione in materia ecclesiastica.
L’art. 3 garantisce all’autorità ecclesiastica la libertà di determinare le circoscrizioni delle diocesi e delle
parrocchie e di nominare i titolari dei relativi uffici.
L’art. 4 delinea immunità ed esenzioni dal servizio militare per gli ecclesiastici e religiosi e stabilisce il
principio che “gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone
o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero”.
L’art. 5 specifica garanzie e privilegi relative agli edifici di culto mentre l’art. 6 concerne le festività
religiose riconosciute dalla Repubblica.
L’art. 7 rinvia a futuri accordi tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici.
L’art. 8 disciplina gli effetti civili del matrimonio religioso.
L’art. 9 assicura alla Chiesa cattolica il diritto di istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado e di
assicurare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e
grado.
L’art. 10 afferma l’esclusiva dipendenza dall’autorità ecclesiastica di università, seminari, accademie,
collegi e istituti per ecclesiastici e religiosi o per la formazione nelle discipline ecclesiastiche, costituiti
secondo il diritto canonico.
L’art. 11 prevede che venga assicurata l’assistenza spirituale e l’esercizio della libertà religiosa ai cattolici
che si trovano ed operano nelle Forze Armate, nella Polizia di Stato in ospedali, case di cura o di assistenza,
istituti di prevenzione o di pena.
L’art. 12 esprime i principi generali relativi alla collaborazione tra Stato e Chiesa “per la tutela del
patrimonio storico e artistico”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 12. Il Concordato Lateranense: una fonte atipica
Al Concordato Lateranense, la Corte Costituzionale, nella sent. 30/71, rifacendosi all’art. 7 cost. ha
attribuito una forza particolare, nonostante si presenti con la forma della legge ordinaria, ossia una capacità
di resistenza all’abrogazione e alla modificazione superiore alle norme ordinarie e assimilabile, sotto questo
limitato profilo, alle norme costituzionali.
Tuttavia tali norme non possono resistere ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale.
Sono fonti atipiche perché, pur presentandosi con la forma della legge ordinaria, hanno, rispetto alle leggi
ordinarie, una forza maggiore che si esplica nella resistenza all’abrogazione o alla modifica; pertanto
rispetto a tali norme e materie il potere legislativo può essere esercitato solo in due modi: o con previo
accordo con la Santa Sede, ed in tal caso basterà una legge ordinaria, o, in mancanza di un accordo, con il
procedimento di revisione costituzionale.
Si ha qui una riserva aggravata o rinforzata di legge.
Le norme dell’Accordo del 1984 sono state qualificate dalle parti contraenti come “modificazioni del
Concordato Lateranense accettate dalle due Parti” al fine di attribuire loro la stessa copertura che la Corte
Costituzionale aveva riconosciuto al Concordato con la sent. 30/71.
Di conseguenza, laddove vi fossero delle modificazioni unilateralmente decise dallo Stato italiano, il testo
vigente non potrà legittimamente venire modificato se non con lo strumento della revisione costituzionale.
Se invece sulla modificazione vi fosse l’accordo della Santa Sede, basterebbe la legge ordinaria.
Ne discende che la l. 121/85 è una fonte atipica.
Gli accordi tra Stato e Chiesa cattolica che disciplinano meterie la cui regolamentazione è stata ad essi
espressamente rinviata dall’Accordo di Villa Madama
Tra essi ricordiamo l’accordo relativo alla disciplina degli enti e dei beni ecclesiastici.
Secondo alcuni a tali leggi si dovrebbe riconoscere la copertura costituzionale di cui all’art. 72 cost.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 13. Le fonti bilaterali per disciplinare i rapporti fra Stato e
confessioni non cattoliche
L’art. 83 cost. ha sancito il principio c.d. della “bilateralità” secondo il quale i rapporti tra lo Stato e le
confessioni diverse da quella cattolica sono regolati per legge sulla base di intese con le relative
rappresentanze”.
Da tale principio deriva la rinuncia da parte dello Stato non solo a qualsiasi ingerenza nella determinazione
dei singoli ordinamenti interni, ma anche la rinuncia a regolare con atti sostanzialmente ed anche
formalmente unilaterali la disciplina dei propri rapporti con le confessioni stesse.
È opportuno ricordare che, almeno fino ad oggi, la procedura per la stipulazione delle intese non è
disciplinata in via legislativa, ma dalla prassi costituzionale, intesa come molteplicità di atti o fatti dotati di
capacità “esplicativa” ed anche “integratrice” rispetto al diritto stesso e consolidatasi attraverso la ripetizione
costante di comportamenti uniformi e posti in essere da organi costituzionali.
Le fonti bilaterali dirette a disciplinare i rapporti fra Stato e confessioni non cattoliche sono rappresentate
da:
- l’intesa con la Tavola Valdese, l. 449/84;
- le intese con l’Unione Italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno e con le Assemblee di Dio in
Italia, l. 516/88 e l. 517/88;
- l’intesa con l’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, l. 101/89;
- l’intesa con l’Unione cristiana Evangelica Battista d’Italia, l. 116/95;
- l’intesa con la Chiesa Evangelica Luterana in Italia, l. 520/95;
- inoltre, il 4 Aprile 2007 sono state stipulate le intese tra la Repubblica italiana e la Chiesa Apostolica in
Italia, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi giorni, la Congregazione cristiana dei Testimoni di
Geova, la Sacra Arcidiocesi Ortodossa in Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale, l’Unione Buddhista
italiana e l’Unione Induista italiana (delle quali mancano le leggi di approvazione).
Le leggi di approvazione delle intese sono fonti atipiche, rientranti nella categoria delle c.d. “leggi
rinforzate”; rispetto ad esse tuttavia non vi sono limitazioni all’esame sotto il profilo della legittimità
costituzionale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 14. Le norme dell’Unione Europea in materia ecclesiastica
L’UE non ha competenza diretta in materia ecclesiastica; tuttavia il diritto comunitario aprendosi
progressivamente ai diritti fondamentali sembra toccare anche la materia ecclesiastica: infatti l’art. 6 parr. 1-
2 del Trattato di Amsterdam stabilisce che “l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla
Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritto dell’Uomo e delle Libertà fondamentali e quali
risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto
comunitario”.
L’art. 13 del Trattato di Amsterdam prevede la possibilità che il Consiglio prenda i provvedimenti opportuni
per combattere le discriminazioni fondate, tra l’altro, sulla religione o le convinzioni personali.
Infine, la Carte Europea dei Diritti fondamentali, proclamata a Nizza nel 2000, fa riferimento alla libertà di
pensiero, di coscienza e di religione e alle sue concrete estrinsecazioni.
La Dichiarazione n. 11 ammessa nell’atto finale del Trattato di Amsterdam precisa che l’UE si impegna a
rispettare e a non pregiudicare lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le Chiese e le associazioni o
comunità religiose degli Stati membri.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 15. La tutela dei Diritti umani fondamentali: convenzioni europee e
internazionali
La Convenzione europea
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a
Roma il 4 Novembre 1950 è stata resa esecutiva il Italia con la l. 848/55.
Essa, all’art. 9, tutela la libertà di pensiero, di coscienza e di religione.
Le convenzioni internazionali
Vi è inoltre tutta una serie di leggi che danno esecuzione a convenzioni internazionali: per esempio contro
tutte le forme di discriminazione razziale (l. 564/74); ovvero il Patto relativo ai diritti civili e politici (l.
881/77); ovvero contro la discriminazione nei confronti della donna (l. 132/85); o sui diritti del fanciullo (l.
17/91).
Tali convenzioni hanno trovato ingresso nel nostro ordinamento in virtù di legge ordinaria di ratifica e
pertanto sono ritenute leggi ordinarie.
Tuttavia esse sono garantite da ciò che fino a quando detti accordi saranno in vigore nell’ordinamento
internazionale fra gli Stati che li hanno ratificati, non potranno essere unilateralmente abrogate dal
legislatore ordinario.
È però da segnalare un nuovo e importante indirizzo giurisprudenziale, il quale prende le mosse dal
novellato art. 117 cost.
Come è noto, la norma impone allo Stato di osservare, nell’esercizio della potestà legislativa i “vincoli
derivanti dagli obblighi internazionali”.
Da ciò, in molte recenti pronunce, la Cassazione ha desunto la superiorità gerarchica della CEDU sulla legge
ordinaria.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 16. Le leggi ordinarie dello Stato e le leggi regionali per la tutela dei
diritti umani
Tra le leggi ordinarie dello Stato di rilievo per la nostra materia ricorderemo la l. 1159/29 sui culti ammessi.
Vanno ricordate inoltre: la l. 669/67 (di estensione dell’assicurazione contro le malattie in favore dei
sacerdoti di culto cattolico e dei ministri di altre confessioni religiose); la l. 151/75 (di riforma del diritto di
famiglia); la l. 300/70 (norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori); la l. 898/70 (casi di
scioglimento del matrimonio); la l. 194/78 (sull’interruzione volontaria di gravidanza); la l. 266/91 (legge-
quadro sul volontario); la d.l. 122/93 (misure urgenti in materia di discriminazione razziale); la l. 413/93
(sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale); la l. 651/96 (misure urgenti per il grande
Giubileo del 2000); la l. 675/96 (trattamento dei dati personali); il d.l. 460/97 (riordino della disciplina
tributaria degli enti non commerciali e ONLUS); la l. 230/98 (norme in materia di obiezione di coscienza); il
d.l. 490/99 (Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali); la l. 62/2000 (norme per la parità
scolastica); il d.p.r. 396/2000 (regolamento per la revisione e semplificazione dell’ordinamento dello stato
civile); la l. 383/2000 (disciplina delle associazioni di promozione sociale); la l. 85/2006 (modifiche al
codice penale in materia di reati di opinione).
Tra le leggi regionali dirette a regolamentare la libera estrinsecazione del sentimento religioso ricorderemo
quelle in materia di istruzione, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, valorizzazione dei
beni culturali e ambientali, nonché in tema di promozione e organizzazione di attività culturali.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 17. Intese, note diplomatiche e circolari tra Stato e CEI
Si possono ricordare le “intese” sull’ora di religione, cui si è data esecuzione con i d.p.r. 751/85 e 202/90;
sull’assistenza religiosa alle Forze di Polizia, cui si è data esecuzione con i d.p.r. 92/91 e 421/99; il d.p.r.
571/96, che da efficacia all’intesa tra il Ministro per i beni culturali e ambientali e il Presidente della CEI; il
d.p.r. 189/2000, che da esecuzione all’intesa tra il Ministro per i beni e le attività culturali e il Presidente
della CEI relativa ala conservazione e consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche
degli enti e istituzioni ecclesiastiche.
A livello regionale si possono ricordare le intese aventi ad oggetto la tutela del patrimonio culturale e di
interesse religioso tra Regione Toscana e Conferenza Episcopale toscana e l’intesa tra Regione Puglia e
Conferenza Episcopale pugliese per la valorizzazione dei beni culturali; nonché l’intesa per la disciplina del
servizio di assistenza religiosa nelle strutture di ricovero delle aziende sanitarie tra Regione Toscana e
Conferenza Episcopale toscana.
Lo scambio di note diplomatiche
Si tratta di una forma con la quale sono state concluse tra Stato e Chiesa cattolica intese relative a fonti di
grado inferiore a quello della legge.
Ricorderemo gli atti per la determinazione delle festività religiose riconosciute come festività civili, d.p.r.
792/85, o per il riconoscimento dei titoli accademici pontifici, d.p.r. 175/94.
Le circolari
Alcune disposizioni di diritto ecclesiastico sono state emanate mediante circolari od ordinanze ministeriali.
Tra queste ricorderemo i provvedimenti diretti a disciplinare l’esposizione del crocifisso nei locali pubblici.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 18. L’art. 2 cost.: il principio personalista
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sa personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale”
Esso evidenzia la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella componente dei suoi valori e dei
suoi bisogni, non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio
di quella.
L’art. 2 cost. enuncia il principio “personalista” per cui l’individuo è il centro dell’organizzazione sociale e
politica, titolare di diritti anteriori allo Stato.
La disposizione in esame riconosce e garantisce i diritti inviolabili non solo al singolo, in quanto individuo,
ma anche al singolo in quanto membro di formazioni sociali.
Data la finalità dello sviluppo della persona umana, i soggetti collettivi e le forme associative risultano
dunque strumentali a tale realizzazione (principio pluralista).
Riguardo all’art. 2 cost. si sono delineate due posizioni dottrinali.
Secondo la prima tale disposizione assume particolare rilevanza perché fornirebbe copertura costituzionale
anche a nuovi diritti non menzionati espressamente nel testo originario nella Carta del 1948.
Questo orientamento permetterebbe, nel diritto ecclesiastico, di considerare come “fondamentali” nuovi
diritti emersi negli ultimi decenni e connessi all’estrinsecazione del sentimento religioso individuale (come
per esempio, il diritto all’obiezione di coscienza).
Ad avviso del secondo indirizzo, invece, la formula contenuta nell’art. 2 cost. sarebbe semplicemente
riassuntiva dei diritti di libertà espressamente tutelati nelle successive disposizioni costituzionali e dunque
idonea a garantire “nuovi diritti”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 19. L’art. 3 cost.: il principio di uguaglianza
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”
L’art. 3 cost. proclama il principio di uguaglianza.
Il primo comma riguarda il principio di uguaglianza formale, il secondo quello dell’uguaglianza sostanziale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 20. L’art. 31 cost.: l’uguaglianza formale
Si determina violazione dell’art. 31 cost. quando situazioni identiche siano trattate in modo
ingiustificatamente diverso, mentre non si ha tale contrasto con il principio di uguaglianza quando alla
diversità di disciplina corrispondano situazioni non sostanzialmente identiche.
Il primo comma pone una serie di divieti di discriminazione con riferimento a sesso, razza, lingua, religione,
ecc…
Il giudizio sulla violazione o meno della eguaglianza formale investe così la giustificabilità della
differenziazione.
Si tratta, pertanto, non di una eguaglianza assoluta ma relativa, tendente a risolversi nel divieto di arbitrarie
discriminazioni tra soggetti che si trovino in situazioni identiche o affini, così come di arbitrarie
assimilazioni tra soggetti che si trovino in situazioni diverse.
La valutazione che la Corte Costituzionale offre delle differenziazioni consiste in sostanza in un giudizio di
ragionevolezza delle medesime, nel quale il giudice delle leggi procede in genere attraverso un esame
“trilaterale”.
Nel c.d. ragionamento (o giudizio) trilatero o triangolare, che la Corte effettua, alla base vengono dunque
poste le due norme a confronto, mentre al vertice si colloca la ratio della norma.
Se quest’ultima risulta comune, la differenziazione non deve sussistere; se invece la ratio delle due norme
appare diversa, la differenziazione ha la sua ragionevolezza, ossia risponde al principio di coerenza
dell’ordinamento.
Quanto al fattore religioso, possiamo precisare che esso vieta:
- ogni discriminazione diretta, che viene a crearsi allorché vengano promulgati atti normativi che producano
un effetto pregiudizievole, creando una preferenza, esclusione, distinzione tra individui fondata
esclusivamente sulla religione;
- ogni discriminazione indiretta, che consiste in ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione
di atti normativi, che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore gli individui in ragione della loro
appartenenza (o non appartenenza) religiosa.
Infine, si può osservare che, in base all’art. 31 cost., tutte le esperienze religiose devono essere considerate
capaci di assolvere al compito di promuovere e garantire lo sviluppo della società.
In virtù di questa considerazione, i pubblici poteri sono chiamati a garantire un regime di pluralismo
confessionale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 21. L’art. 32 cost.: l’uguaglianza sostanziale
Tale articolo attribuisce allo Stato il compito di rimuovere gli ostacoli (di ordine economico e sociale) che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana.
In questa linea ci si è chiesti se non sia possibile tentare di garantire l’uguaglianza sostanziale degli individui
attraverso trattamenti preferenziali accordati a un gruppo religioso minoritario, al fine di rimuovere
eventuali ostacoli che di fatto pongano i soggetti appartenenti a tale gruppo in condizioni di svantaggio e,
quindi, misure positive di incentivazione e di incoraggiamento (c.d. azioni positive).
Ma il principio della parità di trattamento e l’adozione di misure di “diritto diseguale” sembrano porsi fra
loro in intrinseco contrasto.
Infatti, l’imparzialità religiosa non sembra in alcun caso poter giustificare le “azioni positive” nei confronti
degli appartenenti a uno o più determinati gruppi religiosi.
Le appartenenze confessionali risultano (devono risultare) “uguali davanti alla legge in senso assoluto” e
pertanto non possono “ritenersi legittimi interventi promozionali speciali a sostegno della libertà religiosa
dei credenti di una determinata confessione”.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 22. L’art. 7 cost.: rapporto Stato e Chiesa
“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non
richiedono procedimento di revisione costituzionale”
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 23. L’art. 71 cost.: il principio della distinzione degli ordini
Una volta entrata in vigore, la disposizione in esame fu dapprima trascurata dalla dottrina: si attribuì infatti
alla formula un valore puramente dichiarativo, privo di conseguenze giuridiche.
In seguito si è invece scritto che essa contiene il riconoscimento dell’originarietà dell’ordinamento canonico,
ponendo le premesse dogmatiche alla disposizione di cui al secondo comma.
In conseguenza di ciò, sarebbero in contrasto con la norma in esame le disposizioni statali che istituissero un
sistema di rapporti di subordinazione della Chiesa allo Stato e viceversa.
Dal principio della distinzione degli ordini segue anzitutto il divieto per lo Stato di ogni attività diretta ad
alterare la struttura gerarchico-istituzionale della Chiesa ed il divieto di sindacarne dottrina e disciplina.
Per contro, l’efficacia di leggi e provvedimenti della Chiesa non potrà mai essere diretta e immediata nello
Stato, ma sarà sempre necessaria una statuizione degli organi statali, che ne sanciscano l’efficacia.
Di qui il diritto di tutte le Chiese di organizzarsi secondo la propria struttura gerarchica ed istituzionale, e
conseguentemente anche di scegliere, nominare e sostituire i propri ministri conformemente alle norme del
proprio ordinamento (c.d. riserva di statuto).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 24. La sent. 30/71 della Corte Costituzionale sull'art. 7 cost
La Corte Costituzionale con la sent. 30/71 ha affermato che l’art. 7 cost. “non sancisce solo un generico
principio pattizio da valere nella disciplina dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, ma contiene altresì
un preciso riferimento al Concordato in vigore e, in relazione al contenuto di questo, ha prodotto diritto”; per
precisare quale fosse il diritto prodotto dall’art. 7 cost. ha sottolineato come, pur riconoscendo
l’indipendenza e la sovranità dello Stato e della Chiesa, il richiamo ai Patti “non ha la forza di negare i
principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato”.
Quindi, l’art. 7 cost. ha parificato le norme di origine concordataria alle norme poste da leggi costituzionali.
Per quanto riguarda l’individuazione delle norme protette dall’art. 7 cost., la giurisprudenza della Corte
Costituzionale è stata nel tempo oscillante.
Inizialmente ha considerato comprese non solo le disposizioni di origine concordataria, ma anche le relative
norme di attuazione.
Successivamente ha adottato un orientamento opposto, ritenendo la copertura costituzionale applicabile alla
sola l. 810/29 (sent. 1/77).
Infine, nell’Accordo di Villa Madama del 1984, ratificato dalla l. 121/85, preoccupazione delle parti
contraenti è stata l’estensione delle garanzia di cui all’art. 7 cost. anche a tale rinnovato accordo.
Di conseguenza, anche la l. 121/85, con cui viene data esecuzione al Concordato del 1984, si ritiene dotata
di una forza passiva o di resistenza all’abrogazione che la rende assimilabile alle norme costituzionali.
La l. 121/85 può dunque considerarsi una fonte atipica.
Parte della dottrina ha sostenuto che l’Accordo del 1984 non godrebbe della copertura di cui all’art. 7 cost.,
posto che la norma in esame si limita a fare riferimento espresso ai soli Patti Lateranensi.
Contro questa interpretazione è stato tuttavia rilevato come ove fosse negata alla l. 121/85 la garanzia della
copertura costituzionale dell’art. 7, sarebbe riservato a nuovi accordi tra Italia e Santa Sede un trattamento
deteriore rispetto a quello previsto dall’art. 83 cost. per le intese con le confessioni acattoliche.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 25. L’art. 72 cost.: interpretazioni dottrinali e pronunce della Corte
Costituzionale
Sancisce il valore della normativa bilaterale e specifica i procedimenti che regolano la produzione normativa
di derivazione pattizia.
Attraverso tale disposizione si voleva garantire stabilità ai Patti Lateranensi senza tuttavia
costituzionalizzare le singole norme degli stessi.
Si indicò, infatti, la disposizione in esame come una norma sulle fonti, volta ad indicare l’iter da seguire per
formulare ulteriori eventuali norme modificatrici dei Patti.
Successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, le interpretazioni della norma proposte dalla
dottrina furono sostanzialmente tre.
La prima, che prendeva le mosse dall’esplicito richiamo contenuto nell’art. 7, fu quello della c.d.
costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi.
Questa tesi fu dominante fino ai primi anni ’60, anche se andava in senso opposto a quelle che erano state le
intenzioni manifestate dai costituenti, quando cominciò ad affermarsi un’altra teoria che sosteneva come la
Carta avesse in realtà costituzionalizzato il c.d. “principio concordatario”, in forza del quale lo Stato sarebbe
obbligato a regolare per via concordataria le materie che toccano gli interessi della Chiesa cattolica.
La teoria ora riferita non tiene conto però del fatto che, in sede di Assemblea costituente, fu proposto un
emendamento al testo di quello che doveva divenire l’art. 7, per il quale “i rapporti fra Stato e Chiesa
cattolica sono regolati in termini concordatari” e che esso fu respinto.
Altra opinione considerò l’art. 7 cost. come una “norma sulle fonti del diritto”.
Secondo questa interpretazione, nella scala gerarchica delle leggi, tra le norme costituzionali e le leggi
ordinarie ci sarebbe un gradino intermedio occupato dalle c.d. “fonti normative atipiche”.
Queste ultime, pur avendo la forma di legge ordinaria, sarebbero dotate di una speciale forza di resistenza
all’abrogazione, alla modifica e alla deroga da parte di leggi ordinarie; possono invece essere modificate da
leggi ordinarie precedute dall’accordo con la controparte.
Altrimenti, la modifica unilaterale può avvenire solo con il procedimento aggravato di cui all’art. 138 cost.
(procedimento di revisione costituzionale).
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 26. L’art. 8 cost.: libertà religiosa
“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in
quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico 27. L’art. 81 cost.: l’eguale libertà delle confessioni
Tale articolo si pone come “la regola fondamentale” del diritto ecclesiastico italiano.
Questa disposizione muove da una concezione per la quale il fenomeno religioso è rilevante come tale,
senza che si possano più discriminare gradi diversi di libertà per le differenti confessioni.
La considerazione statistica del maggiore o minore numero di appartenenti non può giustificare
discriminazioni.
L’art. 81 cost. vincola quindi i pubblici poteri a costruire un pluralismo confessionale aperto, diretto alla
realizzazione dell’uguaglianza nella libertà di tutte le confessioni religiose.
Detta uguaglianza nella libertà comporta:
che i pubblici poteri debbano astenersi dal favorire, propagandare o biasimare i valori di una determinata
dottrina confessionale;
“il diritto alla parità delle chances di tutte le confessioni” e di tutti gli individui senza distinzione di religione
per ciò che riguarda la partecipazione ai mezzi giuridici predisposti dall’ordinamento per rendere effettivo il
perseguimento dei diritti di libertà.
L’eguale libertà garantita alle confessioni non vieta però la possibilità che ciascuna di esse possa essere
soggetta ad un regime giuridico parzialmente differenziato.
Infatti, l’art. 8 cost. non preclude al legislatore la possibilità di prevedere differenziazioni nel trattamento
giuridico delle confessioni, quando trovino causa nell’esigenza di tutela del pluralismo confessionale e non
nella volontà di creare posizioni di favore nei confronti di una confessione.
Gli organismi confessionali possono infatti ottenere, attraverso lo strumento delle intese, l’opportuna
valorizzazione della propria identità, mediante una regolazione dei reciproci rapporti con lo Stato calibrata
rispetto alle proprie specificità.
Una delle questioni più delicate relative al primo comma dell’art. 8 cost. è l’individuazione di quali siano i
soggetti che possono essere qualificati come “confessioni religiose”, espressione con la quale si indicano gli
aggregati sociali che costituiscono manifestazioni del diritto fondamentale di professare liberamente la
propria religione in forma associata.
Taluno ha posto l’accento sull’elemento quantitativo del gruppo, nel senso che si avrebbe una confessione
religiosa solo in presenza dell’adesione e del concorso stabile di un certo numero di aderenti; altri hanno
elaborato un criterio sociologico, nel senso che il gruppo dovrebbe avere finalità religiose per la pubblica
opinione formatasi nella società italiana; o storico, nel senso che il gruppo dovrebbe essere riconosciuto
come confessione religiosa stabilizzata dalla tradizione italiana.
Altri autori hanno sottolineato l’aspetto progettuale del gruppo, sostenendo che si può avere una confessione
religiosa solo in presenza di “comunità sociali stabili dotate o non di organizzazione e normazione propria e
di una originale concezione del mondo, basata sull’esistenza di un essere trascendente, in rapporto con gli
uomini, o con la ricerca del divino nell’immanenza”.
Parte della dottrina, infine, rinunciando a una vera e propria definizione del concetto in esame, sostiene
l’importanza dell’elemento psicologico degli appartenenti, rilevando che la confessione religiosa non può
che essere l’esito di un processo di autoindividuazione del gruppo come tale e, pertanto, “saranno le stesse
formazioni sociali-religiose ha qualificarsi e definirsi come confessione e a rendersi consequenzialmente
autonome”.
La giurisprudenza costituzionale ha stabilito che per l’accertamento del carattere religioso di
un’organizzazione non basta che il gruppo si autoqualifichi come “confessione religiosa”, ma occorre tenere
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto ecclesiastico