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La giurisprudenza costituzionale sulla protezione del sentimento religioso


A fronte del reiterato silenzio del legislatore, un ruolo da protagonista è stato assunto dalla Corte Costituzionale, che avviò una azione di ripristino della legalità costituzionale intervenendo sulle singole fattispecie.
In alcuni casi l’intervento è meramente demolitorio: sent. 508/2000, che dichiara l’illegittimità dell’art. 402 c.p., “un anacronismo al quale non ha in tanti anni posto rimedio il legislatore”.
In altri è finalizzato all’estensione della tutela: sent. 440/95, che con un’operazione manipolativa riscrive la fattispecie di bestemmia, poi depenalizzata, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 724 c.p. limitatamente alle parole “o i simboli o le persone venerati nella religione di Stato”.
In altri ancora propone un riequilibrio del trattamento sanzionatorio attraverso il superamento della diversità di pena prevista dall’art. 406 c.p., ove le fattispecie di cui agli artt. 403, 404 e 405 c.p. fossero state commesse “contro un culto ammesso nello Stato”.
Quella della Corte Costituzionale è un’azione, comunque, condizionata dai limiti imposti dalla stretta riserva di legge operante in materia penale che impone alla Corte di non ricorrere a sentenze di tipo additivo.
Un’attenzione particolare deve essere prestata alla sent. 329/97.
Con essa, infatti, la Corte, affermando che “la protezione del sentimento religioso è venuta ad assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di libertà di religione”, sembra segnalare la necessità della previsione di una qualche forma di tutela penale, impedendone così la totale eliminazione.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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