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Forme di tutela penale della religione


Tra le forme tipiche di tutela penale della religione viene fatta rientrare tradizionalmente la fattispecie di bestemmia, sanzionata dall’art. 724 c.p.
Originariamente prevista come contravvenzione e ridotta a illecito amministrativo dal d.l. 507/99, nell’attuale formulazione punisce “chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o con parole oltraggiose, contro la divinità con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire centomila a seicentomila”.
Il taglio dell’inciso “o i simboli o le persone venerati nella religione dello Stato”, operato dalla Corte Costituzionale nel 1995, rende non facile l’individuazione del concetto di divinità.
Competente per l’irrogazione della sanzione è oggi il Prefetto.
Non direttamente inquadrabile tra i classici strumenti penali posti a tutela della religione, quanto piuttosto nell’ambito dei più moderni interventi di lotta alla discriminazione razziale, è l’art. 3 l. 654/75.
La norma, nell’attuale formulazione, al 1° comma punisce, alla lett. a “con la reclusione fino a 1 anno e 6 mesi o con la multa fino a 6000 € chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, e alla lett. b “con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”
Vieta, inoltre, al 3° comma, “ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Il d.l. 122/93 all’art. 3 ha previsto l’aumento della pena fino alla metà (circostanza aggravante) per i reati commessi “per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità”.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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