Appunti delle lezioni del prof. Cristian Califano e rielaborazione di materiale reperito a vario titolo da fonti dell'agenzia delle entrate. a.a 2008/09
Diritto Tributario
di Alessandro Remigio
Appunti delle lezioni del prof. Cristian Califano e rielaborazione di materiale
reperito a vario titolo da fonti dell'agenzia delle entrate. a.a 2008/09
Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di
Chieti e Pescara
Facoltà: Economia1. Il tributo. La nozione tradizionale
Nel nostro ordinamento non esistono definizioni legislative di tributo, né delle sue specie (imposta, tassa,
ecc…).
Nelle prime elaborazioni dei giuristi, la nozione di tributo è influenzata dagli studi di scienza delle finanze
che considerano le entrate tributarie in termini di scambio tra contribuenti e Stato e le distinguono in
relazione al tipo di spese pubbliche che vanno a finanziare: le entrate destinate a finanziare le spese
pubbliche indivisibili sono dette imposte; le entrate destinate a finanziare spese divisibili sono dette tasse.
Questa impostazione ha risentito notevolmente l’influenza della dottrina tedesca del diritto pubblico che,
dopo aver adotta il c.d. metodo giuridico, considerava la sovranità l’elemento tipico del tributo.
Di qui l’elemento fondamentale della definizione di tributo: il tributo è un’entrata la cui obbligatorietà è
imposta con un atto dell’autorità, senza che vi concorra la volontà dell’obbligato.
Ecco che il tributo presenta alcuni caratteri:
- Coattività;
- Comporta il sorgere di un’obbligazione;
- È un fatto economico;
- È un istituto con finalità essenzialmente fiscale.
Alla luce di ciò, il tributo può essere definito come un istituto giuridico che, racchiudendo una prestazione
obbligatoria imposta, collegata ad un fatto economico, attua il concorso di tutti al finanziamento della spesa
pubblica.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 2. La classificazione tradizionale: imposte, tasse, contributi
“Tributo” è un termine che comprende:
- L’imposta è il tributo per eccellenza. Per distinguere l’imposta dalla tassa, l’imposta si caratterizza per il
suo presupposto ovvero un fatto posto in essere dal soggetto passivo per i quale è estranea l’attività pubblica
(reddito, possesso di un bene);
- La tassa si distingue dall’imposta perché il suo presupposto è un atto o attività pubblica, ovvero
l’emanazione di un provvedimento (tasse sulle concessioni governative), o la prestazione di un pubblico
servizio (raccolta rifiuti) riguardanti un determinato soggetto;
- Il contributo (o tributo speciale) è un particolare tipo di tributo che ha come presupposto l’arricchimento
che determinate categorie di soggetti hanno dall’esecuzione di un’opera pubblica destinata alla collettività in
modo indistinto.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 3. La potestà legislativa in materia tributaria
La potestà legislativa in materia tributaria spetta, a norma dell’art. 117 Cost., allo Stato e alle Regioni; allo
Stato è attribuita in via esclusiva la potestà di disciplinare il sistema tributario dello Stato e di stabilire i
principi fondamentali del sistema tributario complessivo; le Regioni hanno potestà legislativa concorrente in
materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario ed hanno potestà legislativa in
materia di tributi regionali e locali nell’ambito dei principi stabiliti dalla legge statale di coordinamento.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 4. La riserva di legge (art. 23 cost.)
La riserva di legge (art. 23 cost.)
L’art. 23 Cost. afferma che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base
alla legge”. In questo senso che esiste una riserva di legge che contiene il principio classico delle
democrazie liberali “ no taxation without representation”.
Già lo Statuto albertino prevedeva una riserva di legge in materia tributaria stabilendo che “nessun tributo
può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle camere e sanzionato dal Re”.
Con tale norma i Parlamenti, mediante l’approvazione delle leggi tributarie e di bilancio, esercitavano il loro
controllo sul monarca e sull’esecutivo. Inoltre nel pensiero liberale comporta che il controllo parlamentare
risponde al principio secondo cui gli interventi di potere pubblico su proprietà e libertà dei cittadini (“liberty
and property clause”) potevano avvenire solo per legge.
Anche l’art. 23 Cost. prevede la funzione di tutela della libertà e proprietà dei singoli. Tuttavia, oggi, la
dottrina vede nella riserva di legge non solo una funzione di garanzia dei singoli, ma anche una funzione
istituzionale per la quale “la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposta si pone in
funzione immediata e prevalente di interessi generali e solo in via mediata e subordinata agli interessi dei
privati”.
a. Esegesi dell’art. 23 Cost.
Considerato il principio di legalità nel suo significato generale, sorgono alcuni problemi esegetici:
a. L’art. 23 riguarda le “prestazioni personali e patrimoniali imposte”. Da questo punto di vista i tributi sono
prestazioni coattive come le prestazioni obbligatorie di servizi pubblici, servizio militare…
La Corte costituzionale ha individuato una nozione più ampia del concetto di tributo: essa ha considerato le
imposte “in senso formale” ovvero le imposte come un atto autoritativo i cui effetti dipendono dalla volontà
del soggetto passivo.
Successivamente la Corte ha ritenuto che l’art. 23 deve essere applicato anche alle “imposizioni in senso
sostanziale” ovvero alle ipotesi in cui l’obbligazione, pur nascendo da un contratto, costituisca corrispettivo
di un servizio pubblico che soddisfi un bisogno essenziale e sia reso in regime di monopolio.
Quindi la corte ha considerato nell’art. 23 Cost non solo i tributi ma anche i corrispettivi che hanno fonte
contrattuali in tutti i casi in cui vi siano dei profili autoritativi nella disciplina delle contrapposte prestazioni
e quando il corrispettivo è fissato unilateralmente ed al privato resta solo la libertà di richiedere o meno la
prestazione;
b. Il termine “legge” è assunto nell’art. 23 Cost. per indicare non solo la legge statale ordinaria ma ogni atto
normativo avente efficacia formale di legge (dl, dlgs) tuttavia anche la legge regionale soddisfa l’art. 23
Cost., ovviamente nei limiti costituzionali della potestà legislativa).
Problema particolare sorge per il rapporto tra riserva di legge e fonti comunitarie, in particolare con i
regolamenti. Il problema è stato risolto dalla Corte costituzionale secondo la quale, con l’adesione al
Trattato, l’Italia ha accetta una limitazione della propria sovranità che comporta una deroga alle norme
costituzionali in materia di potestà legislativa, ma anche in materia di riserva di legge. Quindi i regolamenti
hanno un proprio ambito di operatività e la ripartizione delle competenze è stabilita e garantita dal Trattato;
c. La riserva dell’art. 23 Cost. è relativa. Tale articolo infatti richiede che le prestazioni imposte abbiano solo
una “base legislativa” per cui non occorre che la prestazione imposta sia regolata interamente dalla legge,
ma la legge deve avere un contenuto minimo, al di sotto del quale la riserva non è rispettata.
Quindi, se la base dell’imposizione deve essere legislativa, occorre individuare quali aspetti della disciplina
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario del tributo devono essere tassativamente previsti dalla legge e quali possono essere regolati con atti non
legislativi (con atti regolamentari):
- Va precisato che la riserva di legge non riguarda tutti i tipi di norme tributarie ma solo quelle di diritto
sostanziale (ovvero le norme impositrici di prestazioni). Quindi l’art. 23 non riguarda le norme
sull’accertamento e riscossione.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, la legge deve stabilire il presupposto, i soggetti passivi e la misura
del tributo.
Inoltre la legge deve fissare anche la base imponibile e l’aliquota. Secondo la Corte costituzionale l’art. 23
Cost. è rispettato se la legge indica la misura massima dell’aliquota od i criteri per la sua quantificazione.
Infatti La determinazione del quantum dell’imposizione non può essere rimessa interamente all’atto
dell’esecutivo senza indicare alcun criterio e limite in quanto dalla disciplina legislativa devono desumersi
criteri oggettivi atti a guidare e circoscrivere adeguatamente le scelte relative all’entità della prestazione
imposta.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 5. Le leggi dello stato in materia tributaria
Le fonti del diritto tributario sono le leggi e gli altri atti aventi valore di legge in relazione alla riserva di
legge prevista dall’art. 23 Cost.
Per la formazione ed approvazione delle leggi ordinarie dello Stato contenenti norme tributarie, si applicano
gli artt. 70 e segg. Della Costituzione, con il limite secondo cui le leggi tributarie non possono essere
approvate con la legge di bilancio (art. 81 Cost.) e non possono essere abrogate con i referendum popolari
(art. 752 Cost.) in quanto i referendum abrogativi di tributi potrebbero avere effetti eversivi.
a. I decreti-legge
I decreti legge sono provvedimenti provvisori con forza di legge che possono essere adottati dal Governo in
casi straordinari di necessità ed urgenza e devono essere convertiti in legge entro 60 gg altrimenti decadono
ex-tunc.
Del decreto legge vi è un uso frequente in materia tributaria. Alla base di quest’uso frequente vi sono diverse
ragioni: ad esempio, se si istituisce o si aumenta un tributo sui consumi, è necessario un provvedimento
celere, non preannunciato, per evitare l’accaparramento dei generi colpiti. Inoltre può presentarsi la
necessità di adottare un decreto legge per far fronte ad esigenze finanziarie dello Stato che richiedono una
certa urgenza.
b. I decreti legislativi
L’art. 76 Cost. il Parlamento può delegare al Governo l’esercizio della funzione legislativa con
determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti.
Il ricorso allo strumento dei dlgs è frequente in materia tributaria in quanto la discussione in sede
parlamentare può risultare molto estesa.
A tal proposito la riforma tributaria del 1971 è stata attuata con una legge di delega, per passare
all’emanazione di molti testi unici che hanno forma di decreti delegati per arrivare alla legge 80/2003 che ha
riformato la tassazione dei redditi delle società (Ires) ed è stato ampliamente modificato il Test unico delle
imposte dirette.
c. I testi unici
Il testo unico non è un tipo di fonte, ma una fonte caratterizzata da un particolare contenuto ovvero la
riunificazione in un unico testo di norme contenute in leggi diverse. Quindi possono esservi testi unici
contenuti in leggi, dlgs o regolamenti.
A tal proposito è rilevante la legge delega del 1971 per la riforma tributaria che aveva attribuito al Governo
il potere di emanare dlgs per l’attuazione della riforma, dlgs con disposizioni integrative e correttive, dlgs
recanti “testi unici”.
Dal punto di vista del contenuto, i testi unici possono essere meramente compilativi o innovativi. A questo
proposito, la legge delega del 1971 aveva disposto che essi contenessero le norme emanate in attuazione
della riforma e le norme previgenti rimaste in vigore, con la possibilità di apportare le modifiche necessarie
per il coordinamento delle diverse disposizione e per eliminare ogni contrasto con i principi e criteri direttivi
della delega.
Inoltre nel testo unico vi sono anche norme emanate dopo la riforma tributaria a cui potevano essere
apportate integrazioni e correzioni.
In conclusione, i testi unici di attuazione della riforma tributaria non sono solo testi compilativi (raccolta di
disposizioni vigenti) ma testi unici innovativi in quanto possono contenere disposizioni integrative e
correttive delle norme preesistenti.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 6. I regolamenti governativi e la delegificazione
La produzione di norme astratte e generali può essere compiuta anche dal Governo e da altre autorità
amministrative con atti che hanno forma ed efficacia di atti amministrativi. Tali atti sono subordinati alle
leggi e non possono essere in contrasto con le norme di legge. Se contrari, sono illegittimi e possono essere
annullati dal giudice amministrativo e disapplicati dagli altri giudici (tributario e ordinario).
I regolamenti non sono oggetto di giudizio di costituzionalità ma, se contrari a norme costituzionali, sono
annullati o disapplicati.
La potestà regolamentare non è disciplinata dalla Costituzione, ma da una legge ordinaria ovvero la legge
400/1988 recante “disciplina dell’attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri”. Nell’art. 17 di tale legge sono disciplinati i regolamenti governativi che sono deliberati dal
Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio di Stato e sono emanati dal Presidente della Repubblica.
Tali regolamenti disciplinano a:
a. L’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi (regolamenti esecutivi);
b. L’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio (regolamento
attuativi e integrativi);le materia in cui manchi la disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge
(regolamenti indipendenti);
c. L’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla
legge (regolamenti organizzatori);
d. L’organizzazione del lavoro ed i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi sindacali.
In questi casi il Governo dispone di una potestà regolamentare generale esercitabile senza autorizzazione
legislativa.
L’art. 17 prosegue individuando i cc.dd. regolamenti delegati mediante i quali trova attuazione la c.d.
delegificazione. In base a ciò il Governo è titolare di una potestà esercitabile previa autorizzazione
legislativa nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge per le quali le leggi determinano le norme
generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in
vigore delle norme regolamentari (i regolamenti delegati che abrogano norme di legge sono detti
regolamenti delegificanti)
a. I regolamenti ministeriali
I regolamenti ministeriali sono adottati nelle materie di competenza di un singolo Ministro quando la legge
espressamente conferisca tale potere.
I regolamenti ministeriali non possono dettare due norme contrarie a quelle dei regolamenti governativi e
devono essere comunicati al Presidente del Consiglio prima della loro emanazione. Tra i regolamenti
ministeriali in materia tributaria, sono da ricordare quelli con cui il Ministro fissa la revisione del catasto,
aggiorna le rendite catastali, approva il modello di dichiarazione dei redditi…
Se la materia è di competenza di più ministri, sono adottati regolamenti interministeriali sempre previa
autorizzazione legislativa.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 7. Il riparto della potestà legislativa dopo la riforma del titolo V
della Costituzione
Le norme costituzionali in materia di potestà legislativa previste dal titolo V della Costituzione sono state
modificate con la legge costituzionale 3/2001 che ha rafforzato i poteri legislativi delle regioni.
Dopo la riforma del 2001, il nostro resta un ordinamento unitario in cui lo Stato conserva le competenza
esclusive in materie cruciali come la politica estera e moneta, difesa e sicurezza…Allo Stato compete la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali, la fissazione di
principi fondamentali nelle materia di legislazione concorrente e il coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario complessivo.
La potestà legislativa è ripartita tra Stato e Regioni. La potestà legislativa regionale assume due
connotazioni: è potestà concorrente e potestà residuale.
Nelle materia di legislazione regionale concorrente, la potestà legislativa delle Regioni trova un limite nei
“principi fondamentali” fissati da leggi dello Stato (art. 1173). Nella competenza legislativa residuale
ricadono le materie che non sono riservate alla competenza esclusiva dello Stato (art. 1174).
a. La competenza legislativa in materia di tributi regionali
L’art. 117, ripartendo la potestà legislativa tra Stato e Regioni, menziona la disciplina del sistema tributario
statale, ma non menzione espressamente la disciplina dei tributi regionali e locali. Per la Corte costituzionale
ciò significa che tale materia è attribuita alla competenza regionale residuale.
In effetti la disciplina dei tributi regionali è di competenza legislativa regionale non perché residuale ma
perché strumentale alle funzioni materiali delle Regioni.
La potestà legislativa regionale in materia tributaria è ammessa dall’art. 23 Cost. che è da coordinare con
l’art. 1192 Cost. per cui le Regioni “stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la
costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanzia pubblica e del sistema tributario”.
In definitiva le Regioni hanno potestà legislativa e possono disciplinare i tributi propri con leggi proprie.
b. La competenza legislativa in materia di tributi locali
In materia di tributi locali non è una riserva espressa a favore dello Stato o delle Regioni, ma solo la riserva
di legge prevista dall’art. 23 Cost.
Quindi possono esserci tributi locali creati e disciplinati da leggi statali e tributi locali creati e disciplinati da
leggi regionali. In questo senso si è pronuncia la Corte costituzionale affermando che “in astratto si possono
concepire situazioni di disciplina normativa su tre livelli (legislativa statale, regionale e regolamentare
locale), ma anche su due livelli (statale e locale, regionale e locale)”.
Quindi le Regioni che sono dotate di potestà legislativa, disciplinano i tributi propri con leggi proprie; ma gli
enti locali (come i Comuni), che non hanno potestà legislativa, disciplineranno i tributi proprio con i
regolamenti sempre nel rispetto della riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost.
In altri termini l’art. 119, riconoscendo agli enti locali la potestà di disciplinare i propri tributi, ha dato
copertura costituzionale alla potestà regolamentare degli enti sub-regionali in materia tributaria.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 8. L’attuazione delle norme fiscali del titolo V
La giurisprudenza costituzionale ha negato l’immediata operatività della nuova normativa in materia
tributaria ritenendo che continuano ad operare le norme abrogate fino a che non sia data attuazione al nuovo
art. 119 con le norme di coordinamento e con norme transitorie che regolamentino il passaggio dal vecchio
al nuovo sistema.
Prima di questa legislazione-ponte, le Regioni non possono intervenire sui tributi propri, regolati da leggi
statali. Solo lo Stato può modificare le sue leggi in materia di tributi regionali.
Il passaggio al nuovo sistema richiede, secondo la Corte costituzionale, “l’intervento del legislatore statale
che, per coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovrà fissare, oltre ai principi a cui devono attenersi i
legislatori regionali, anche le grandi linee dell’intero sistema tributario e definire gli spazi entro cui potrà
esplicarsi l’attività impositiva rispettivamente di Stato, Regioni ed enti locali”.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 9. I regolamenti delle Province e dei Comuni
Le Regioni hanno potestà regolamentare generale. Quindi possono emanare regolamenti anche in materia
tributaria.
Per quanto riguarda gli enti locali, è da ricordare che una legge del 1996 ha conferito al Governo una delega
legislativa avente per oggetto l’attribuzione ai Comuni del potere di disciplinare con regolamento tutte le
fonti delle entrate locali, sempre nel rispetto dell’art. 23 Cost.
A seguito della delega, la potestà regolamentare di Province e Comuni può avere ad oggetto le entrate
tributarie ma, vista la riserva di legge dell’art. 23 Cost., gli enti locali non possono disporre in materia di
fattispecie imponibili, soggetti passivi ed aliquota massima.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 10. Le Convenzioni Internazionali
Anche nel diritto internazionale pubblico vi sono norme con oggetto tributario. L’art. 117 Cost. subordina la
potestà legislativa statale e regionale ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. Quindi sarà
incostituzionale la norma di legge che contrasta con norme di convenzioni internazionali.
Le convenzioni internazionali in materia tributaria riguardano i dazi e la doppia imposizione dei redditi, dei
patrimoni e delle successioni. Inoltre riguardano la collaborazione tra autorità fiscali di Stati diversi, la lotta
all’evasione all’elusione fiscale internazionale, ecc…
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 11. Le Fonti Comunitarie
I trattati di origine comunitaria (Trattato di Roma sulla CEE, Atto unico europeo, Trattato di Maastricht.
Trattato di Amsterdam, Trattato di Nizza) sono entrati a far parte dell’ordinamento giuridico italiano per
effetto dell’art. 80 Cost.
I trattati sono alla base del diritto comunitario derivato che si costituisce di norme poste in essere dagli
organi comunitari: regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri.
I trattati europei, a differenza dei trattati internazionali, prevedono e disciplinano un ordinamento
sopranazionale i cui organi possono creare norme che si indirizzano agli Stati quanto ai cittadini.
Il rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale è concepito dalla Corte costituzionale
come un rapporto tra ordinamenti distinti ma coordinati. Infatti le norme comunitarie sono emanazione di
una fonte di produzione autonoma, propria di un ordinamento distinto da quello interno.
Tuttavia la Corte di giustizia considera i due ordinamenti come uno unico.
Nella gerarchia delle fonti, le norme comunitarie sono posta ad un livello più elevato rispetto alle norme
interne che verranno disapplicate se contrastanti con le prime.
a) I regolamenti (art. 249 Trattato) hanno portata generale nel senso che si rivolgono a categorie di
destinatari (Stati e cittadini) determinate in modo astratto; inoltre sono obbligatori in tutti i loro elementi;
sono direttamente applicabili negli ordinamenti a prescindere da un qualsiasi atto di recepimento.
b) Le direttive vincolano gli Stati membri per quando riguarda il risultato da raggiungere, mentre è rimessa
alla discrezione degli Stati l’adozione degli strumenti e dei mezzi per raggiungerlo. Da questo punto di vista
che le direttive sono uno strumento di legislazione indiretta.
Tuttavia è riconosciuto anche un effetto diretto quando contengono disposizioni precise ed incondizionate la
cui applicazione non richiede un atto di recepimento.
Scaduto il termine entro cui deve essere recepita la direttiva, le disposizioni precise e incondizionate
acquistano efficacia diretta nell’ordinamento dello Stato inadempiente.
c) Le decisioni sono atti comunitari che riguardano casi specifici. Essi sono simili a provvedimenti
amministrativi, hanno effetto diretto e sono obbligatori per i destinatari in esse indicati.
d) Mentre le sentenze della Corte di giustizia hanno effetto diretto negli ordinamenti degli Stati membri, le
raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 12. Efficacia delle Norme Tributarie nel tempo
a) Dopo l’approvazione parlamentare e la promulgazione, le leggi sono pubblicate nella GU ed entrano in
vigore 15 gg dopo la pubblicazione.
Tuttavia è da distinguere l’entrata in vigore (art. 73 Cost) dall’efficacia nel tempo.
La data di entrata in vigore è anche la data dalla quale inizia l’efficacia nel tempo delle norme legislative e
regolamentari.
Tuttavia vi sono casi in cui l’entrata in vigore ed efficacia non coincidono. Sono casi in cui l’entrata in
vigore indica solo il fatto che la legge è perfetta ma i suoi effetti sono differiti o retroagiscono (es. il dlgs
546/1992 regola il processo tributario ed è entrato in vigore nel 1993 ma la sua efficacia è stata differita al
1996 con l’insediamento di nuove commissioni tributarie) (es. i decreti legge hanno efficacia dal giorno
della pubblicazione perdono efficacia se non sono convertiti in legge entro 60 gg dalla pubblicazione).
b) L’efficacia nel tempo delle leggi è dominata dal principio dell’irretroattività della legge. Tuttavia la
norma è posta da una legge ordinaria (art. 11 disp. Prel cc) per cui può essere derogata da altre norme di
legge.
Al contrario i regolamenti possono essere retroattivi se una norma di legge lo consente espressamente. La
retroattività può riguardare la fattispecie dell’imposta, gli effetti od entrambi gli elementi della norma
tributaria.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 13. Cessazione di efficacia delle norme tributarie
Le leggi cessano di essere efficaci quando sono abrogate, quando sono dichiarate incostituzionali e quando
scade il termine previsto.
L’abrogazione di una legge può avvenire in tre modi: - per dichiarazione espressa del legislatore; - per
incompatibilità con nuove disposizioni o precedenti; - perché la nuova legge regola l’intera materia già
regolata da legge anteriore.
Con l’abrogazione, l’efficacia della legge abrogata cessa ex nunc. Tuttavia essa continua a valere per i fatti
avvenuti nell’arco temporale che va dalla sua entrata in vigore fino alla sua abrogazione.
Invece, la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare gli effetti ex tunc (effetti retroattivi).
In caso di dichiarazione di incostituzionalità di una norma tributaria, le imposte riscosse sulla base di questa
devono essere rimborsate.
In conclusione, le norme nazionali, pur rimanendo formalmente vigenti, diventano inapplicabili se
sopravviene una norma comunitaria non compatibile con la norma nazionale.
a. Il divieto di referendum abrogativo delle leggi tributarie
E’ da ricordare che le leggi possono essere abrogate mediante referendum. Tuttavia il referendum abrogativo
non è ammesso per le leggi tributarie.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 14. Efficacia delle norme tributarie nello spazio
La legge tributaria esplica i suoi effetti in tutto il territorio nazionale. Quindi si applica a tutti i presupposti
che si verificano entro tale ambito.
La legge tributaria non può avere efficacia oltre i limiti del territorio sottoposto alla sovranità dello Stato.
Entro questo territorio, la legge tributaria nazionale è unica ed esclusiva. Al di fuori del territorio dello Stato
valgono le leggi tributarie degli altri Stati.
Le leggi emanate da enti diversi dallo Stato (leggi e regolamenti regionali e regolamenti comunali) esplicano
i loro effetti nel territorio su cui ha potestà l’ente.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 15. Interpretazione e integrazione: difficoltà interpretative delle
leggi tributarie. I tecnicismi e le polisistemicità
L’interpretazione e la conoscenza delle leggi tributarie presentano difficoltà legate alla particolarità della
legislazione tributaria.
I cc.dd. elementi di instabilità tributaria sono diversi:
a. In primo luogo, la legislazione tributaria non è sistematicamente raccolta in un testo unitario, né vi è una
legge generale di tutta la materia. Infatti il diritto tributario è polisistematico per cui ad ogni tributo
corrisponde una disciplina sostanziale (riguardante il presupposto, i soggetti passivi, la quantificazione,
ecc…). Infatti per ogni tributo l’interprete deve stabilire in quale modo quel tributo viene applicato. Infine
deve individuare le sanzioni applicabili.
In molti casi tutto ciò non risulta regolato in modo chiaro e completo;
b. Un secondo motivo è legato alla iperlegificazione che caratterizza il diritto tributario. Infatti il legislatore
produce una quantità notevole di norme tributarie per motivi di gettito e per adeguare la legislazione alle
nuove realtà economiche. Ecco che le leggi tributarie sono continuamente ritoccate e modificate per
individuare nuovi oggetti imponibili e nuove fonti di entrata;
c. Un terzo fattore è dato dal fatto che le norme tributarie nascono spesso per far fronte a situazioni di
emergenza. Infatti può accadere che vengano elaborati dei decreti legge alla cui emanazione seguano
polemiche ed avversioni (politiche e lobbistiche); inoltre può accadere che il decreto legge non venga
convertito o che venga convertito con tante modifiche;
d. Un altro elemento di instabilità è dato dall’emanazione frequente di “leggi a termine” come le leggi
congiunturali con cui viene stabilito un certo trattamento fiscale per determinati fatti se posti in essere entro
una certa data (si pensi alle agevolazioni per le fusioni societarie, alla rivalutazione dei beni d’impresa,
ecc…). Accanto a ciò si pone lo strumento spesso utilizzato del rinvio ad altre disposizioni che determina
difficoltà per l’interprete della norma che effettua il rinvio;
e. Infine, spesso le leggi tributarie sono di difficile comprensione perchè richiedono la conoscenza di nozioni
e discipline estranee alla formazione tipica del giurista (si pensi alle norme sui redditi di capitale che
richiede competenza in materia finanziaria).
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 16. Le dottrine fiscali dell’interpretazione e l’autonomia del diritto
tributario
Nel XIX secolo, si era affermata la dottrina dell’interpretazione stretta delle leggi tributarie secondo cui il
tributo era considerato un’intromissione dello stato nell’economia privata ed una limitazione della libertà e
della proprietà privata e, da qui, si deduceva anche il divieto di interpretazioni estensive.
Nell’ambito della Costituzione repubblicana, venuto meno il presupposto della dottrina dell’interpretazione
stretta delle leggi tributarie, occorre ritenere che non esiste alcun canone che imponga preventivamente di
sviluppare l’interpretazione in modo da pervenire ad una estensione o restrizione della materia imponibili.
Discussioni e dibattiti sull’interpretazione della legge tributaria hanno sempre riguardato le norme
sostanziali dell’imposizione.
A tal proposito sono state sostenute dottrine che possono essere classificate in:
- L’indirizzo autonomisico sostiene che la legge tributaria racchiude una nozione autonoma, diversa da
quella propria del settore giuridico in cui l’istituto è regolato in via primaria. Tra gli indirizzi autonomistici è
da ricordare una corrente dottrinale che sosteneva un’interpretazione funzionale delle norme tributarie.
- L’indirizzo antiautonomistico sostiene che la legge tributaria accoglie la medesima nozione che di un atto è
delineata nel settore giuridico di provenienza.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 17. L’interpretazione letterale. Lingua corrente e termini tecnici
Secondo la dottrina elaborata dai giuristi tedeschi del XIX secolo, l’interprete si avvale di quattro mezzi o
strumenti: - l’elemento letterale; - l’elemento logico-sistematico; - l’elemento storico; - l’elemento
teleologico.
L’interprete opera con discrezionalità e può servirsi liberamente di tutti gli strumenti che ha a disposizione.
Tuttavia deve rispettare alcuni vincoli posti in tema di interpretazione. A tal proposito, l’art. 12 disp. Prel.
Cc. indica il criterio letterale come principio-guida secondo cui l’interprete, nell’applicare la legge, deve
attribuire alle parole il palese significato secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore.
Il primo elemento è il dato letterale a cui sono legati problemi in caso di dubbio interpretativo come la
semantica, la sintattica…Dal punto di vista della semantica, il legislatore usa termini della lingua corrente e
termini tecnici. Quindi, se viene usato un termine tratto dalla lingua ordinaria di cui non si ha la definizione
data dal legislatore, l’interprete deve attenersi al significato corrente.
Può accadere che un termine della lingua corrente assuma un significato tecnico ovvero un significato che si
differenzia da quello ordinario. Ecco che il linguaggio tributario è denso di tecnicismi. Quando un termine,
oltre che essere di uso comune, ha un significato tecnico, si ritiene che il legislatore lo usi nel suo significato
tecnico.
In definitiva, nell’interpretazione della legge il significato tecnico prevale su quello corrente.
a. Le definizioni legislative
Il significato che l’interprete deve attribuire al termine tecnico può derivare da una definizione data dallo
stesso legislatore. In altri termini, l’interprete è aiutato dalle definizioni legislative.
Spesso il legislatore, all’inizio di un testo legislativo, si preoccupa di fornire all’interprete la definizione
delle espressioni usate.
Infatti di uno stesso termine possono esserci più definizioni: si pensi alla nozione civilistica di residenza che
non coincide con quella di residenza fiscale.
b. I termini mutuati dal diritti privato
La dottrina ha spesso discusso del problema secondo cui l’uso di termini tecnici mutuati da altri settori
dell’ordinamento giuridico vincoli l’interprete ad attribuire al termine lo stesso significato che ha nel settore
giuridico di provenienza.
La dottrina ha tradizionalmente ritenuto che, quando la norma tributaria descrive la propria fattispecie
usando termini di altri settori dell’ordinamento, ciò significa che nel diritto tributario quel termine assume lo
stesso significato che gli è attribuito dal settore di provenienza.
c. Le convenzioni internazionali, i testi multilingue e le traduzioni
Le convenzioni internazionali devono essere interpretate secondo gli artt. 31, 32, 33 della Convenzione di
Vienna sul diritto dei trattati.
L’art. 31 prevede che i trattati devono essere interpretati secondo buona fede, alla luce del contesto,
dell’oggetto e dello scopo.
L’art. 32 richiama i lavori preparatori e le circostanze della conclusione del trattato.
L’art. 33 si occupa dei trattati redatti in più lingue e stabilisce che fa fede ciascuno dei testi autentici, che i
termini hanno lo stesso significato nei diversi testi e che, se c’è differenza di significati, occorre adottare il
significato che concilia meglio i diversi testi.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 18. L’interpretazione adeguatrice
Dall’ordinamento gerarchico delle fonti deriva il principio per cui, nell’interpretazione di un testo
normativo, debba prevalere l’interpretazione conforme al testo gerarchicamente sovraordinato (c.d.
interpretazione adeguatrice o conforme). Secondo questa linea interpretativa, i testi dei decreti delegati
devono essere interpretati in modo da risultare conformi alle norme di legge; le norme di legge devono
essere interpretate in modo da risultare conformi alle norme costituzionali e alle norme comunitarie (c.d.
principio della doppia conformità).
Infine le norme comunitarie devono essere interpretate alla luce del Trattato.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 19. Gerarchia tra i mezzi ermeneutici. Preminenza del dato letterale
Ai fini dell’interpretazione, il giurista si serve di diversi strumenti (elemento letterale, logico, ecc…).
Se la lettera della legge è ambigua, l’interprete deve servirsi di altri elementi interpretativi. Se non vi sono
vincoli normativi, l’interprete può servirsi di qualsiasi elemento a sua discrezione.
Tuttavia, se vi sono vincoli normativi, si affermano le dottrine dell’interpretazione ovvero dottrine che
indicano dei criteri da seguire nell’interpretazione della legge.
Esse variano tra due poli: il formalismo e la fedeltà alla lettera della legge da un lato e quello
dell’interpretazione sostanzialistica (più sensibile alla ratio) dall’altro.
In diritto tributario vi è la prevalenza dell’indirizzo formalistico giustificato con il richiamo alla certezza del
diritto.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 20. I testi interpretativi
I testi giuridici normativi sono una cosa diversa dai cc.dd. testi interpretativi.
L’interpretazione assume un nome a seconda di chi la fa, del suo ruolo nel sistema. In ogni caso, chi la fa
porta avanti interpretazioni a favore degli interessi di cui è portatore o a favore del principio di imparzialità.
L’interpretazione dottrinale è quella degli articoli di riviste, delle note a sentenza. Molti scritti non sono
opera di studiosi ma di pratici.
L’interpretazione forense è quella degli atti difensivi e dei pareri. L’avvocato adotta o muta l’interpretazione
di una disposizione a seconda dell’interesse del suo cliente.
Gli interpreti ufficiali (giudici, legislatore) dovrebbero perseguire interpretazioni non condizionate da
particolari interessi o fini. Tuttavia di fatto non è sempre così.
a. Le leggi interpretative. Limiti costituzionali alla retroattività delle leggi interpretative
Anche il legislatore è un interprete quando, data una disposizione di dubbio significato, ne impone una
determinata interpretazione.
Le leggi interpretative riguardano di solito una disposizione di incerto significato. In questo modo, il
legislatore detta una norma interpretativa che impone una determinata interpretazione. Così il testo
interpretato resta immutato ma sono normativamente eliminate le interpretazioni considerate errate e ne
sopravvive solo una.
A tal proposito occorre fare una distinzione tra leggi interpretate e leggi interpretative. Le seconde non
costituiscono la disposizione interpretata. Le leggi interpretative sono per loro natura retroattive visto che il
loro scopo è quello di stabilire il significato di una precedente disposizione.
Gli operatori distinguono pongono una differenza tra disposizioni innovative e disposizioni interpretative
per dedurre che le prime sono irretroattive, le seconde retroattive.
b. Le circolari interpretative
L’amministrazione svolge opera di applicazione e, quindi, interpretazione. In questo contesto non interessa
l’interpretazione di ogni singolo provvedimento in se ma l’opera di interpretazione delle circolari (ordini e
direttive) che gli uffici centrali impartiscono agli uffici periferici.
Solitamente, a seguito dell’emanazione di una nuova legge, l’amministrazione finanziaria fa seguire una
circolare in cui illustra agli uffici periferici il significato.
Tali circolari hanno valore strettamente interno. Infatti non sono fonti di diritto per l’ordinamento giuridico
generale ma hanno valenza interna all’ordinamento amministrativo.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 21. L’integrazione mediante norme di rinvio e mediante analogia
Nel diritto tributario vi sono insiemi di norme autonome (come le norme sostanziali di un tributo) e insiemi
non autonomi.
I settori non autonomi sono settori speciali rispetto ad altre parti dell’ordinamento. Un tempo, il diritto
tributario era considerato un diritto speciale o eccezionale facente parte del diritto comune. Quindi, quando
un problema non era risolto dal diritto tributario, si applicava il codice civile. Ciò non è vero per il diritto
tributario in generale ma solo per alcune sue parti.
Vi sono casi particolari in cui la disciplina di un particolare settore del diritto tributario è integrata per
effetto di una norma di rinvio (la disciplina del processo tributario è integrata da quella del cpc).
Quando il testo di una legge non fornisce all’interprete la disciplina espressa del caso, si ha una lacuna e,
quindi, un problema d’integrazione. Nel nostro ordinamento, lo strumento di portata generale con cui si
integra il testo lacunoso è l’analogia per il quale se una controversia non può essere risolta con una
disposizione precisa, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili; se c’è ancora il dubbio, si
ricorre ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
a. Discipline tributarie non integrabili analogicamente
Come noto, quando c’è una lacuna, si pone un problema in integrazione. Se la disciplina è completa, non
necessitano integrazioni.
Quindi, le fattispecie imponibili sono solo quelle indicate espressamente dal legislatore. Non sono ammesse
aggiunte.
Le ragioni che sono alla base di tale divieto sono diverse.
Per alcuni il divieto di analogia deriva direttamente dall’art. 23 Cost.
Per altri il divieto deriva dal fatto che le norme tributarie sono norme a fattispecie esclusiva
Per l’autore le norme tributarie impositrici non possono essere integrate analogicamente perché sono norme
complete (se la legge impone che A sia tassato e B no, l’interprete non può decidere di tassare anche B).
b. Analogia iuris e principi generali dell’ordinamento tributario
L’art. 12 delle preleggi indica due forme di analogia: l’analogia legis ed il ricorso ai principi generali
dell’ordinamento giuridico (analogia iuris). Anche in diritto tributario si applicano i principi generali
dell’ordinamento.
Il principio di buona fede non è solo un principio generale del diritto civile, ma anche un principio generale
del diritto tributario.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 22. I principi: i limiti della potestà legislativa in materia tributaria
I limiti alla potestà legislativa tributaria sono limiti innanzitutto costituzionali. Il più notevole è quello
previsto dall’art. 53 Cost. che vincola il legislatore all’osservanza del principio di capacità contributiva.
Secondo limite importantissimo è previsto dall’art. 117 Cost per cui la potestà legislativa è esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali.
Ovviamente il legislatore non deve solo rispettare l’art. 53 Cost. e l’art. 117 Cost. ma anche altri principi
costituzionali come quello per cui la tassazione del salari non deve ledere l’art. 36 Cost.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 23. I tributi nella costituzione. Doveri di solidarietà e fini
extrafiscali
L’art. 53 Cost. afferma che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contribuiva. Questo dovere è uno dei doveri inderogabili di solidarietà sanciti dall’art. 2 Cost. e l’art. 53
Cost. specifica che TUTTI sono tenuti a tale dovere in ragione della propria capacità contributiva.
Quindi il singolo deve contribuire alle pubbliche spese non in ragione di ciò che riceve dallo Stato, ma in
quanto membro della collettività ed in ragione della sua capacità contributiva. In questo modo il prelievo dei
tributi assume un carattere fiscale (entrata per lo Stato) ma anche un carattere extrafiscale se si pensa al
tributo come un mezzo di attuazione del principio di solidarietà.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 24. Il principio di capacità contributiva
Il principio sancito dall’art. 53 Cost. presenta un duplice significato normativo.
Da un lato è correlato con i doveri inderogabili di solidarietà (art. 2 Cost.) specificando il dovere per TUTTI
di contribuire alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva.
Dall’altro il principio di capacità contributiva limita anche il potere legislativo in materia fiscale nel senso
che il legislatore può imporre tributi solo ed esclusivamente in ragione della capacità contributiva dei
soggetti passivi che finiscono, così, per essere tutelati. Sono fatti espressivi di capacità contributiva ogni
fatto di natura economica che esprime forza economica.
a. Nozione di tributo soggettiva e nozione oggettiva di capacità contributiva
Non basta dire che esprimono capacità contributiva i fatti economici. In proposito vi sono diversi
orientamenti.
Un orientamento garantista che adotta una nozione soggettiva di capacità contributiva secondo cui questa
indica l’effettiva idoneità soggettiva del contribuente a far fronte al dovere tributario manifestata da indici
concretamente rivelatori di ricchezza.
All’opposto vi è un orientamento che nega all’art. 53 Cost. il ruolo di garanzia per i privati. In base alla
nozione oggettiva, si dà peso ai fatti economici che appaiono come indice di capacità contributiva.
b. Indici diretti e indiretti di capacità contributiva
Vi sono indici diretti e indici indiretti di capacità contributiva.
Indice diretto per eccellenza è il reddito complessivo delle persone fisiche al netto delle spese di produzione
(ammettendo anche le deduzioni di particolari oneri) in quanto si presta a rispecchiare al capacità
contributiva complessiva delle persone fisiche ed a fungere da base di commisurazione dell’imposta
progressiva sul reddito globale.
Assieme al reddito, sono considerati indici diretti di capacità contributiva anche il patrimonio e gli
incrementi di valore del patrimonio.
Indici indiretti della capacità contributiva sono, invece, il consumo e gli affari. Se, in generale, il consumo di
beni o servizi è indice di capacità contributiva perché implica disponibilità economica, ciò non vale per ogni
consumo. Altro indice indiretto è il trasferimento di un bene.
c. Capacità contributiva ed obblighi dei terzi
L’art. 53 Cost. pone un requisito soggettivo in quanto esige che ciascuno sia tenuto a contribuire in ragione
della propria capacità contributiva. Alla luce di ciò occorre che il presupposto indichi un’attitudine
soggettiva del contribuente chiamato a concorrere alle spese pubbliche.
Ed occorre che l’obbligazione tributaria sia posta a carico di chi ha realizzato il presupposto del tributo. Così
sarebbe violato l’art. 53 Cost. se il tributo ricadesse su di un soggetto che, non realizzando il presupposto,
non pone in essere il fatto espressivo di capacità contributiva a cui si ricollega il tributo.
Tuttavia vi sono norme che pongono obblighi a carico di terzi, ovvero a carico di soggetti diversi da coloro
cui è imputabile il presupposto. Accettando questo concetto, occorre che il terzo sia in grado di far ricadere
l’onere economico del tributo su chi ne realizza il presupposto.
Il sostituto e il responsabile d’imposta non realizzano il fatto economico espressivo di capacità contributiva
ma sono obbligati al pagamento dell’imposta, ma il principio di capacità contributiva non è violato perché
essi possono riversare l’onere economico del tributo su colui che realizza il presupposto.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 25. Il requisito di effettività. Forfettizzazioni e principio
nominalistico
Si realizza il requisito dell’effettività se il collegamento tra fatto espressivo di capacità contributiva e tributo
è effettivo.
Dal requisito di effettività della capacità contributiva sono stati estratte una serie di questioni:
- È stata ritenuta incostituzionale la norma che imponeva un contributo minimo al SSN, anche in assenza di
reddito;
- È stata ritenuta incostituzionale la norma che imponeva di valutare le aziende agricole al lordo delle
passività.
Spesso il legislatore tributario si avvale di norme che forfetizzano la quantificazione di qualche elemento
dell’imponibile o dell’imposta. Si pensi al reddito catastale, alle forfetizzazioni dei redditi, alle detrazioni
Irpef. Il requisito dell’effettività, inteso in senso rigido, dovrebbe comportare l’incostituzionalità di tali
norme quando hanno valore sostanziale.
Alla luce di ciò la giurisprudenza della corte ha considerato costituzionalmente legittimo il sistema catastale
in quanto comporta la tassazione del reddito medio ordinario; ha giudicato costituzionale la norma che
impediva il riporto a nuovo delle perdite ai fini Ilor.
a. Il requisito di attualità: i tributi retroattivi
Oltre che effettiva, la capacità contributiva deve essere attuale. Il requisito dell’attualità presuppone che il
tributo, nel momento in cui trova applicazione, deve essere correlato ad una capacità contributiva in atto,
non ad una capacità contributiva passata o futura.
I tributi retroattivi colpiscono fatti pregressi e quindi una capacità contributiva del passato. Tuttavia devono
essere individuati i limiti entro cui il legislatore può istituire tributi retroattivi vista la vigenza del principio
di irretroattività. A tal proposito è prevista una deroga a tale principio per cui il legislatore può emanare
tributi retroattivi purchè trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in
contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti.
In particolare, secondo la giurisprudenza costituzionale, i tributi retroattivi sono costituzionalmente legittimi
se colpiscono fatti del passato che esprimono una capacità contributiva ancora attuale.
b. I pagamenti anticipati
Il requisito di effettività impedisce al legislatore anche di imporre pagamenti anticipati di tributi che si
collegano a presupposti d’imposta che si verificheranno in futuro. Tuttavia il legislatore può imporre
pagamenti anticipati ma è necessario che la fattispecie cui si collega il prelievo anticipato non sia del tutto
estranea al presupposto; che il contribuente abbia la possibilità di non versare se prevede di non produrre
reddito; che alla previsione del prelievo anticipato si saldi la previsione di meccanismi di riequilibrio.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 26. Capacità contributiva e rimborso dell’indebito
Il principio costituzionale, se da un lato impone che non vi siano prelievi non collegati ad un fatto espressivo
di capacità contributiva, dall’altro richiede che il fisco non trattenga prelievi avvenuti in difetto del
presupposto d’imposta, e quindi in assenza di capacità contributiva. Ciò significa, in definitiva, che viola
l’art. 53 Cost. un meccanismo legislativo che impedisce il rimborso dei tributi indebitamente pagati.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 27. Capacità contributiva e tributi commutativi (o tasse)
Secondo la lettera dell’art. 53 Cost. deve essere giustificato dalla capacità contributiva ogni concorso alle
spese pubbliche, senza distinzioni né rispetto ai modi del concorso, né rispetto alle spese pubbliche. Secondo
la Corte l’art. 53 Cost. non è criterio di riparto di tutte le spese pubbliche, ma soltanto di quelle indivisibili.
Questo orientamento restrittivo contrasta, però, sia con la lettera dell’art. 53, sia con una visione d’insieme
del testo costituzionale. Perciò anche le entrate collegate a servizi divisibili possono essere addossate a chi
ne fruisce, solo se il fruirne è segno di capacità contributiva.
La garanzia costituzionale può venir meno solo per i servizi pubblici non essenziali per i quali sono
ammissibili modalità di finanziamento che prescindono dalla capacità contributiva di chi li usa, ma si basano
sul principio del beneficio.
In conclusione, spesa pubblica è quella relativa sia a servizi indivisibili, sia quella relativa a servizi
essenziali, anche se divisibili.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 28. Capacità contributiva, uguaglianza e ragionevolezza
La combinazione tra art. 53 Cost. ed art. 3 Cost dà luogo al principio di eguaglianza tributaria in base al
quale a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi ed a situazioni diverse un
trattamento tributario diseguale.
Solitamente non sorgono questi di costituzionalità perché una norma tributaria colpisce un fatto che non è
manifestazione di capacità contributiva, ma perchè non vi è parità di trattamento tra fatti che esprimono pari
capacità contributiva o vi è parità di trattamento fiscale tra fatti che sono espressione di capacità contributiva
diversa.
La Corte costituzionale afferma che il principio di uguaglianza postula trattamenti uguali di situazioni
uguali, trattamenti diversi di situazioni diverse; in materia tributari significa “tassazione uguale di situazioni
uguali”, trattamenti diseguali dove la capacità contributiva è diversa.
Inoltre spetta al legislatore stabilire se due situazioni sono uguali o diverse ma la Corte può sindacare le
scelte discrezionali del legislatore se queste sono irragionevoli.
a. Principio di uguaglianza e coerenza interna della disciplina dei tributi
Il principio di uguaglianza esige che la legge non detti discipline contraddittorie; esige, cioè, coerenza
interna alla legge. Si parla di coerenza interna perché ci si riferisce ai casi nei quali la contraddizione emerge
rispetto a situazioni che lo stesso legislatore mostra di considerare eguali.
b. Principio di uguaglianza e agevolazioni fiscali
Il problema del rispetto del principio di uguaglianza non si pone soltanto per le norme impositive ma anche
per le norme agevolative ( dove agevolazione significa qualsiasi norma di favore). Il legislatore può
concedere agevolazione se ciò risponde a scopi costituzionalmente riconosciuti; in sostanza, se il trattamento
differenziato trova giustificazione in una norma costituzionale. Di solito, le questioni di costituzionalità
sorgono non in quanto si giudica incostituzionale un norma agevolativa, ma in quanto si ritiene contrario al
principio di uguaglianza che una certa agevolazione sia accordata ad una certa categoria di soggetti o di fatti
imponibili, e non sia accordata ad altre categorie. Le norme agevolative sono norme di deroga rispetto al
regime ordinario e che derivano, perciò, da scelte legislative discrezionali che possono essere censurate dalla
Corte solo nei modi e nei limiti in cui si svolge il sindacato sulle scelte discrezionali, ossia come giudizio
sulla ragionevolezza delle scelte legislative.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 29. Il principio di progressività
L’art. 53, secondo comma, della Cost. recita: il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Nella
giurisprudenza della Corte cost. viene sottolineato che il principio di progressività non riguarda i singoli
tributi ma il sistema nel suo complesso; non è quindi vietato che singoli tributi siano ispirati a criteri diversi.
Il principio di progressività, che, inteso nel senso dell’aumento di aliquota col crescere del reddito,
presuppone un rapporto diretto tra imposizioni e reddito individuale di ogni contribuente.
Inoltre, il principio di progressività indica che il sistema tributario non ha solo lo scopo di fornire i mezzi
finanziari allo Stato, ma anche funzioni redistributive per il raggiungimento dei fini di giustizia sociale
fissati dalla Costituzione.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 30. Capitolo V - la fattispecie: tipologia delle norme tributarie
La dottrina tributaristica tradizionale ordinava le varie norme che disciplinano l’imposta adottando il
concetto di rapporto d’imposta, inteso come rapporto complesso; in questo rapporto confluiscono, da un
lato, le norme sostanziali dell’imposta ( quelle che stabiliscono chi, in presenza di quali presupposti, in quale
misura, deve pagare l’imposta) e, dall’altro le norme formali sul procedimento d’accertamento, sulla
riscossione, sul processo, sul rimborso: tutte queste norme e le vicende da esse disciplinate sono viste come
svolgimento o attuazione del rapporto complesso d’imposta nascente dal presupposto.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 31. Il presupposto
Ogni norma giuridica si compone di due elementi: la fattispecie e l’effetto. La fattispecie che dà vita
all’imposta è variamente denominata: fatto imponibile, fatto generatore, presupposto. In relazione all’effetto
principale, il presupposto è quell’evento che determina, direttamente o indirettamente, il sorgere
dell’obbligazione tributaria. Qui il presupposto deve essere esaminato dal punto di vista strutturale. I
caratteri oggettivi del presupposto sono:
A) il presupposto d’imposta va tenuto distinto dall’oggetto; l’uno è nozione giuridica, l’altro
nozione economica;
B) la distinzione tra presupposto e oggetto dell’imposta rende ragione delle divergenze di classificazione che
si riscontrano a proposito di taluni tributi che vengono considerati indiretti da chi tiene conto del profilo
giuridico formale, ed imposte dirette da chi ne considera l’oggetto economico.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 32. Imposte dirette e indirette; reali e personali
Le classificazioni più correnti dell’imposta hanno come riferimento il presupposto. Note è la distinzione tra
imposte dirette e imposte indirette: le prime sono quelle che colpiscono le manifestazioni dirette di capacità
contributiva (reddito e patrimonio); le seconde le manifestazioni indirette (imposte sui consumi,
trasferimenti, sugli affari).
Le imposte sul reddito sono distinte in personali e reali a seconda che nella loro disciplina abbia rilievo o
meno quale elemento che attiene alla persona del soggetto passivo.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 33. Imposte istantanee e periodiche
Dal punto di vista temporale, la fattispecie dell’imposta può essere costituita da un fatto istantaneo o da un
fatto di durata. Di qui la distinzione tra imposte istantanee e periodiche. Le prime hanno per presupposto
fatti istantanei per cui sorge una distinta ed unica obbligazione (imposta di registro); le seconde hanno come
presupposto una fattispecie che si prolunga nel tempo (imposte sui redditi o Iva).
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 34. Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni
Nella disciplina di un tributo, con gli enunciati legislativi che definiscono la fattispecie tipica ( il
presupposto), possono coesistere delle disposizioni che ne ampliano o ne restringono l’area di applicabilità.
A. È definita agevolazione, o aiuto fiscale, ogni tipo di norma che, in deroga al regime ordinario, riduce il
peso dell’imposta. Gli strumenti di cui il legislatore può servirsi sono molteplici (esenzioni, deduzioni dalla
base imponibile, detrazioni dell’imposta, riduzione dei aliquote, regimi sostitutivi, sospensione dell’imposta,
crediti d’imposta);
B. Le esenzioni sono disposizioni normative che sottraggono all’applicazione del tributo fattispecie che
invece sono imponibili in base alla definizione generale del presupposto.
La conseguenza di una esenzione è la non applicazione di una imposta. Tuttavia il legislatore esenta una
fattispecie da una imposta per l’applicazione di un’altra imposta.
Si ritiene, che l’esenzione non sia il portato di una norma distinta ed autonoma, ma che l’enunciato
legislativo che indica il caso esentato concorra, con la disposizione che definisce il presupposto, a definire
l’area di applicabilità del tributo. Cade , quindi, anche la possibilità di ravvisare nell’esenzione la fattispecie
d’un effetto impeditivo, ovvero la fattispecie di un particolare diritto soggettivo. Anche la eccezionalità delle
norme esentative è contestata dalla moderna dottrina. Dal punto di vista delle conseguenze si ha esenzione
quando è escluso il sorgere del debito d’imposta; ma ciò non necessariamente implica esclusione di obblighi
strumentali di varia natura (di presentare la dichiarazione). Rispetto alle imposte periodiche, le esenzioni
possono essere temporanee oppure permanenti. Altra distinzione è tra esenzioni oggettive e soggettive.
Diverso può essere il modo di operare delle esenzioni: vi sono infatti esenzioni operanti ex lege, ed
esenzioni operanti solo a seguito di istanza di parte, o di apposito provvedimento esonerativo.
C. Le esenzioni si differenziano dalle esclusioni perché le prime costituiscono una deroga rispetto alla
disciplina generale del tributo, mentre le esclusioni risultano da enunciati con cui il legislatore chiarisce i
limiti di applicabilità del tributo, senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 35. Fattispecie sostitutive (e regimi fiscali sostitutivi)
Il legislatore può sottrarre una certa categoria di ipotesi al genere di quelle che costituiscono il presupposto
dell’imposta non solo esentandola, ma anche disponendo che, in via di deroga, quella categoria sia
sottoposta ad altra imposta. Si ha, in tal caso, una fattispecie sostitutiva e correttamente si dice che si ha un
regime fiscale sostitutivo.
Ecco alcuni casi notevoli di tributi sostitutivi: a) le imposte sulle assicurazioni e sui contratti di rendita
vitalizia sostituiscono le imposte di registro e d bollo; b) le tasse sui contratti di borsa sostituiscono le
imposte di registro e di bollo.
Pongono in essere dei regimi sostitutivi le norme che sottopongono determinati redditi a ritenuta alla fonte a
titolo d’imposta. Rispetto al regime normale, in tali ipotesi si hanno le seguenti differenze: soggetto passivo
del tributo non è il reddituario ma il sostituto; il reddito è tassato in via autonoma con aliquota fissa, non è
quindi componente del reddito complessivo ed è sottratto alla progressività; la tassazione alla fonte in via
definitiva sostituisce ogni imposta diretta (IRPEF ed IRES).
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 36. Fattispecie equiparate (o assimilate)
Con le esenzioni e con le fattispecie sostitutive il legislatore pone delle deroghe alla fattispecie tipica
sottraendo certe ipotesi alla sua sfera di applicazione: ma deroghe possono esservi anche in direzione
inversa, ossia mediante la previsione di altre ipotesi di fattispecie imponibili diverse da quelle tipiche. Il
legislatore può prevedere che siano sottoposti ad un certo tributo anche casi diversi dal presupposto tipico,
semplicemente perché vuole che certi fatti economici siano sottoposti a quella imposta. Si ha quindi una
equiparazione di queste fattispecie a quella tipica. In altri casi, l’ampliamento della sfera di applicazione del
tributo risponde a fini antielusivi. Per distinguere terminologicamente le due ipotesi, si può parlare, nel
primo caso, di fattispecie equiparate o assimilate, e, nel secondo, di fattispecie surrogatorie o supplementari.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 37. Fattispecie supplementari (o antielusive)
L’elusione può essere ostacolata dal legislatore o con l’introduzione di una clausola generale o con la
previsione di norme ad hoc. Tra gli strumenti antielusivi di carattere specifico hanno un rilievo preminente
le fattispecie supplementari, ovvero le fattispecie imponibili che il legislatore aggiunge a quelle tipiche al
solo fine di impedire ai contribuenti di utilizzare lo strumento previsto dalla fattispecie supplementare per
fini di elusione.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 38. Fattispecie sovrapposte; sovrimposte e addizionali
La sovrapposizione di fattispecie tributarie si ha quando la fattispecie imponibile di un tributo viene usata
come fattispecie di un’altra imposta.
La dottrina parla di imposta madre e imposta figlia quando una fattispecie, già perfetta ed esattamente
accertata viene usata per applicarla, mutata od invariata, come fattispecie di un’altra imposta. Di regola
dunque, il fatto che un medesimo evento integri la fattispecie di più imposte comporta il cumulo delle
imposte, senza che ciò possa essere escluso invocando il divieto della doppia imposizione. Prossimo al
fenomeno descritto è quello della sovrimposta e dell’addizionale. Nel caso della sovraimposta si assume la
base imponibile di un’imposta come base imponibile di un’altra imposta. Nel caso dell’addizionale si
impone il pagamento di un quantum, ragguagliato ad una frazione o multiplo di quanto dovuto per un certo
tributo.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 39. Fattispecie alternative e condizionali
Si hanno fattispecie alternative quando un certo fatto od evento, normalmente soggetto ad una certa imposta,
cessa di esserlo (o lo è in misura ridotta), se è soggetto anche ad un’altra imposta. Può darsi, cioè, che la
sovrapposizione di fattispecie non determini l’applicazione di più imposte, ma l’applicazione d’una sola
imposta e la non applicazione dell’altro tributo.
L’efficacia della fattispecie tributaria può essere sottoposta a condizione, sospensiva o risolutiva. Nel primo
caso (cond. sospensiva) l’avveramento della condizione determina il sorgere del debito d’imposta; nel
secondo la condizione estingue il debito.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 40. L’obbligazione tributaria: obbligazione tributaria e
procedimento impositivo
Gli effetti della fattispecie dell’imposta sono molteplici. Si tratta di effetti di diritto sostanziale (obbligazione
tributaria) e di effetti di diritto formale (obblighi e poteri formali nn sempre derivanti dal presupposto
dell’imposta).
Effetto principale della fattispecie dell’imposta è quindi l’obbligazione tributaria.
L’obbligazione tributaria è un’obbligazione di diritto pubblico che non si differenzia dall’obbligazione di
diritto privato ma ha una disciplina propria nel diritto tributario. In caso di lacuna normativa, ecco che
l’interprete può colmare tale lacuna con norme del codice civile, ma solo se ricorrono i presupposti
dell’analogia che è possibile solo in tre casi: - la disciplina tributaria presenti lacune in senso tecnico; - le
norme del codice siano suscettibili di essere estese oltre l’ambito del diritto privato; - le norme del codice
siano compatibili con le peculiarità del diritto tributario.
L’obbligazione tributaria è un’obbligazione legale in quanto la sua disciplina è tutta stabilita dalla legge ma,
a differenza delle obbligazioni di diritto privato, nulla della disciplina dell’obbligazione tributaria può essere
rimesso all’autonomia contrattuale.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 41. La base imponibile
La misura del debito d’imposta risulta dall’applicazione del tasso d’imposta fissato dalla legge, ad una
grandezza, denominata base imponibile. Non bisogna confondere presupposto e base imponibile, anche
quando lo stesso evento viene assunto dalla legge sia come presupposto, sia come base imponibile.
Concettualmente, presupposto è ciò che provoca l’applicabilità di un tributo; base imponibile ciò che ne
determina la misura. Può darsi peraltro identificazione o sovrapposizione di concetti; il reddito, ad esempio,
è al tempo stesso presupposto e base imponibile.
La base imponibile è costituita solitamente da una grandezza monetaria: l’ammontare del reddito, il valore
di un bene, un corrispettivo contrattuale.
Se gli elementi della base imponibile non sono entità monetaria, ma beni o servizi, sarà necessario
quantificarne il valore in moneta.
A tal proposito, il legislatore non si limita a stabilire quale sia la base imponibile di un tributo ma detta
anche norme che fissano la composizione della base imponibile ed i criteri di valutazione.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 42. Il tasso
L’imposta è liquidata applicando un tasso alla base imponibile.
Il tasso può essere fisso o variabile. Si ha il primo quando l’imposta è predeterminata in una somma fissa. Il
sistema prevalente è però quello del tasso variabile, costituito, quando la base imponibile è una grandezza
monetaria, da una aliquota che può essere fissa o progressiva.
Nel caso di imposta proporzionale, l’aliquota non muta con il variare della base imponibile.
Nel caso di imposta progressiva, possono aversi diverse soluzioni matematiche che determinano il variare
dell’aliquota in relazione al variare della base imponibile. Nell’IRPEF, la progressività è per scaglioni: ad
ogni scaglione di reddito corrisponde un’aliquota via via crescente.
Possono aversi imposte regressive, quando l’aliquota diminuisce con l’aumentare della base imponibile; o
graduali quando la base imponibile è divisa in più gradi , a ciascuno dei quali corrisponde un’imposta fissa
in misura diversa.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 43. Obbligazioni d’acconto
Al presupposto di fatto si ricollega un rapporto obbligatorio. Il verificarsi del presupposto rende
definitivamente dovuto il tributo. Sono tuttavia previsti, per le imposte sui redditi e per l’imposta sul valore
aggiunto, dei pagamenti anticipati rispetto al compiuto verificarsi del presupposto. Ci sono, cioè, delle
obbligazioni che sorgono prima della chiusura del periodo d’imposta e che realizzano un’anticipazione della
riscossione rispetto al presupposto.
Il credito d’imposta può essere ed è per lo più assistito da garanzie di vario tipo. Un esame sommario delle
quali deve dare particolare rilievo ai privilegi, che assicurano al fisco di essere soddisfatto a preferenza di
altri creditori in caso di espropriazione. Sono previsti privilegi generali e speciali, sui mobili e sugli
immobili. Una indicazione sommaria delle norme che prevedono privilegi può raggruppare tali norme in 4
classi:
a) privilegio generale sui mobili del debitore: tale garanzia è prevista per l’IRPEF, l’IRES e l’IVA;
b) privilegio speciale sui mobili: i crediti dello Stato per i tributi indiretti hanno privilegio sui mobili ai quali
i tributi si riferiscono. Uguale privilegio hanno i crediti di rivalsa IVA;
c) privilegio generale immobiliare: i crediti per l’IRES e IRPEF limitatamente alla quota imputabile ai
redditi immobiliari o fondiari non determinabili catastalmente hanno privilegi sugli immobili del debitore
situati nel comune in cui il tributo si riscuote;
d) privilegio speciale immobiliare: tale privilegio assiste crediti per tributi indiretti in relazione agli
immobili cui il tributo si riferisce.
In altre ipotesi è previsto che il contribuente presti una garanzia a tutela del credito fiscale. Il contribuente
deve prestare idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria per ottenere la dilazione
o la sospensione del pagamento delle somme iscritte a ruolo, se di importo superiore ad € 25822,84.
Il credito d’imposta può essere garantito da ipoteca; l’intendente di finanza, quando vi sia pericolo nel
ritardo può chiedere al presidente del tribunale competente l’iscrizione di ipoteca legale sui beni del
trasgressore, ed anche l’autorizzazione a procedere a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro
conservativo. Ipoteca e sequestro possono essere impugnati da chiunque vi abbia interesse, innanzi al
giudice civile quando non vi sia reato, o innanzi al giudice penale secondo le norme del codice di procedura
penale.
Altra forma di tutela cautelare del credito erariale è il fermo amministrativo previsto dal regolamento di
contabilità pubblica. Un’amministrazione pubblica, debitrice verso un privato, può sospendere il pagamento
del suo debito se è a sua volta creditrice verso il privato.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 44. I soggetti passivi: contribuente e domicilio fiscale
Il termine contribuente è utilizzato e tecnicizzato dalle leggi tributarie che lo usano per indicare il debitore
dell’imposta, o meglio, il soggetto passivo di obblighi verso il fisco. Ogni contribuente ha il domicilio
fiscale in un Comune dello Stato. Il concetto di domicilio fiscale si distingue dal concetto di residenza
fiscale che è una nozione di diritto sostanziale che determina la tassazione in Italia della totalità dei redditi,
anche se prodotti all’estero.
Al contrario il domicilio fiscale è una nozione di diritto formale che è regolato ai fini reddituali. Quello dei
residenti è nel comune dell’anagrafe in cui sono iscritti; per le società è nel comune in cui hanno la sede
legale; i non residenti sono domiciliati nel comune in cui è prodotto il reddito.
La determinazione del domicilio fiscale di un contribuente è necessaria ai fini dell’individuazione
dell’ufficio che deve controllarne la posizione fiscale.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 45. La soggettività tributaria
Oltre alle persone fisiche ed agli enti collettivi dotati di personalità giuridica, possono essere titolari di
situazioni giuridiche anche dei soggetti non dotati di personalità (soggetti non personificati). Infatti sono
soggetti passivi d’imposta anche le società di persone, le associazioni non riconosciute e le altre
organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi nei confronti dei quali il presupposto si verifica in
modo unitario ed autonomo.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 46. La solidarietà tributaria
Le diverse situazioni passive che scaturiscono dalle fattispecie tributarie possono far capo ad una pluralità di
soggetti passivi. Possono consistere in obblighi formali o dell’obbligazione tributaria. La figura
dell’obbligazione solidale in senso tecnico ricorre solo quando più soggetti sono tenuti n solido ad
adempiere all’obbligazione tributaria. Quindi, anche per l’obbligazione tributaria, come per quella civile,
può aversi la solidarietà. Tuttavia è da precisare che in diritto tributario non esiste la solidarietà attiva ma
solo quella passiva in virtù di norme civilistiche in quanto il diritto tributario non fornisce definizioni di
solidarietà passiva.
Vi sono due tipi di solidarietà tributaria: quella paritetica e quella dipendente. La prima si ha quando il
presupposto del tributo è riferibile ad una pluralità di soggetti; nel secondo caso, vi è un obbligato principale
che ha posto in essere il presupposto del tributo, ed un obbligato dipendente (c.d. responsabile d’imposta)
che non ha partecipato alla realizzazione del presupposto ma è obbligato (in solido) perché ha posto in
essere una fattispecie collaterale.
La solidarietà paritaria. La fattispecie :
I casi in cui si ha solidarietà tributaria paritaria sono caratterizzati dal fatto che ai coobbligati è riferibile, in
modo unitario il presupposto del tributo.
Ciò avviene soprattutto nel campo delle imposte indirette. Ad esempio:
- Obbligati al pagamento dell’imposta di registro sono le parti contraenti il contratto da registrare;
- Le imposte ipotecarie sono dovute dagli interessati e dai debitori contro cui è iscritta o rinnovata l’ipoteca;
L’imposta sulle successioni è dovuta dagli eredi in solido.
La solidarietà dipendente ed il responsabile d’imposta. La fattispecie :
È definito responsabile d’imposta quel particolare debitore d’imposta che non realizza il presupposto ma una
fattispecie collaterale ed è fiscalmente obbligato, in via dipendente, in solido con i soggetto che realizza il
presupposto (obbligato principale).
Ciò che distingue il responsabile d’imposta dal coobbligato della solidarietà paritaria è il fatto che la sua
responsabilità non deriva dall’aver concorso a realizzare il presupposto dell’imposta, ma dall’aver posto in
essere una fattispecie ulteriore e diversa.
Tra fattispecie principale (relativa all’obbligato principale) e secondaria (relativa al responsabile) vi è un
rapporto di pregiudizialità-dipendenza per cui l’obbligazione del responsabile non esiste se non esiste quella
principale. Quindi il responsabile è in coobbligato in via dipendente.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 47. I rapporti interni
I rapporti interni tra condebitori d’imposta non sono disciplinati dal diritto tributario, ma dal codice civile.
L’art. 1298 cc stabilisce che l’obbligazione solidale, nei rapporti interni tra coobbligati, si divide per quote
che si presumono uguali se non risulta diversamente.
L’art. 1299 cc, sul regresso, chi ha pagato l’intero può ripetere dai condebitori soltanto la quota che compete
a ciascuno di essi.
Secondo l’opinione prevalente, i rapporti tra condebitori d’imposta sono rapporti di tipo privatistico, e non
rapporti di tipo tributario. E quindi sono disciplinati dal cc.
Quindi, nei rapporti interni, vale il principio per cui l’obbligazione solidale non è inscindibile ma si divide
per quote tra i condebitori.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 48. La disciplina della solidarietà. La teoria della c.d.
supersolidarietà
Per quanto riguarda la disciplina della solidarietà, è da ricordare che il soggetto passivo del tributo non è
solo obbligato all’adempimento di una prestazione pecuniaria, ma è tenuto anche all’adempimento di
obblighi formali, come la presentazione della dichiarazione.
Nei confronti di tali obblighi vale il principio per cui l’adempimento di un soggetto libera gli altri. Se la
dichiarazione è presentata da uno solo, anche gli altri sono liberati; ma se la dichiarazione comporta
sanzioni, queste sono applicabili a tutti.
A conferma di ciò c’è una vecchia giurisprudenza secondo cui l’avviso di accertamento notificato ad uno dei
condebitori, era efficace nei confronti di tutti i condebitori, compresi coloro a cui non era stato notificato. Da
ciò derivava che l’atto divenuto definitivo produceva effetti nei confronti di tutti. Questa dottrina è stata
definita come solidarietà formale o supersolidarietà ed era giustificata dall’unicità dei rapporti di solidarietà
tributaria e dalla considerazione di ciascun condebitore come rappresentante ex lege degli altri.
Tuttavia questa concezione è stata fortemente contestata dalla Corte costituzionale che ne ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale perché comportava lesione del diritto di difesa dei condebitori nei confronti dei
quali un atto poteva esplicare effetti senza che ad essi fosse notificato.
Con quest’intervento, si è consolidata l’idea che l’obbligazione solidale tributaria non differisce da quella
civile e, quindi, vengono applicate le norme del codice civile.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 49. Efficacia soggettiva degli atti di accertamento e della iscrizione a
ruolo
Con riferimento all’efficacia soggettiva degli atti di Amministrazione finanziaria, si sono posti diversi
problemi:
a. Primo problema: l’amministrazione finanziaria è tenuta a notificare l’avviso di accertamento a tutti i
coobbligati o può anche notificarlo solo ad uno, fermo restando che l’atto esplica effetti solo nei confronti
del soggetto notificato?
Nella solidarietà vi è sono più debitori per un’unica prestazione e l’adempimento di uno libera gli altri. Da
ciò deriva la facoltà per il creditore di rivolgersi ad uno piuttosto che ad un altro per l’adempimento.
Come il creditore può scegliere a sua discrezione a chi rivolgersi, così l’amministrazione finanziaria può
emettere l’avviso di accertamento nei confronti di uno solo o di alcuni, o di tutti i coobbligati.
Tuttavia la giurisprudenza ha ribaltato questo principio fissandone un altro secondo cui un avviso di
accertamento, che ha destinatario ed è notificato ad un condebitore, è efficace solo nei confronti di questi e
non ha effetti verso gli altri condebitori.
Gli unici casi in cui l’atto produce effetti nei confronti di soggetti diversi dai suoi destinatari sono due: -
quando un soggetto subentri ad un altro nell’obbligazione (successione nel debito d’imposta); - quando
l’amministrazione sia titolare di privilegio speciale perché viene esercitato su di un bene, a prescindere dalla
proprietà del bene stesso.
b. Secondo problema: in passato si riteneva che l’avviso di accertamento riguardante l’obbligazione
principale, producesse effetti anche per l’obbligazione dipendente. Tuttavia l’obbligato dipendente poteva
contestare i presupposti particolari dell’obbligazione dipendente ma non dell’obbligazione principale.
Ad oggi si è rifiutata questa tesi in quanto non ha fondamento il fatto che venga esteso al coobbligato
dipendente gli effetti di un atto emesso nei confronti di un altro soggetto (obbligato principale). Ecco che si
consente all’obbligato dipendente di contestare i presupposti dell’obbligazione principale.
c. Terzo problema: dato che l’avviso di accertamento esplica effetti solo nei confronti del condebitore a cui
viene notificato, è solo quel condebitore che può essere iscritto a ruolo. Tuttavia il fisco può iscrivere a ruolo
un condebitore in quanto quella iscrizione a ruolo sia legittimata da un avviso di accertamento emesso nei
confronti di quel condebitore.
Nella prassi, invece, accade che vengano iscritti a ruolo soggetti nei confronti dei quali non vi è alcun titolo
che legittimi la riscossione. Quindi, per l’iscrizione a ruolo, occorre che vi sia non solo un titolo che
legittimi l’iscrizione, ma anche l’iscrizione di un soggetto nei cui confronti si pretende di riscuotere.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 50. Notifica dell’accertamento e impedimento della decadenza
Quando l’avviso non viene notificato nei termini a tutti, la giurisprudenza afferma che l’art. 1310 cc,
secondo cui gli atti con cui il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno
effetto anche verso gli altri debitori, sia applicabile alla decadenza tributaria ovvero al termine entro cui
l’amministrazione finanziaria può emettere l’atto di accertamento.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 51. Problemi processuali. Applicazione dell’art. 1306 cc
Possono aversi tanti atti tanti quanti sono i condebitori e, se questi impugnano l’atto con distinti ricorsi, gli
enti possono essere tanti quanti sono i processi instaurati.
Un problema frequente si presenta quando l’avviso di accertamento non è impugnato da tutti i soggetti
notificati.
Es: due contribuenti a cui viene notificato un avviso di accertamento. Uno solo impugna il provvedimento
ottenendone l’annullamento con sentenza definitiva. Nei confronti del contribuente inerte, l’avviso diviene
definitivo.
Può questo opporsi alla riscossione facendo valere il giudicato dell’altro condebitore?
La giurisprudenza ritiene applicabile l’art. 1306 cc secondo cui la sentenza pronunciata tra creditore ed uno
dei debitori in solido non ha effetto contro gli altri debitori. Ecco che si dà privilegio al principio secondo
cui la sentenza vale solo tra le parti del processo. Tuttavia ciò vale solo se il giudice abbia respinto il ricorso
(effetti negativi).
Se il giudice avesse accolto il ricorso, la sentenza può valere anche ultra partes e gli altri debitori possono
opporla al creditore.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 52. Sostituzione soggettiva e regimi sostitutivi
La sostituzione può assumere due forme: una forma oggettiva ed una forma soggettiva.
Nel primo caso vi saranno i cc.dd regimi sostitutivi che implicano la sottoposizione di una fattispecie, in via
derogatoria, ad un regime fiscale diverso da quello ordinario.
Nel secondo caso l’obbligazione tributaria è posta a carico di soggetti diversi da colui che realizza il
presupposto.
Inoltre la sostituzione soggettiva si presenta in due forme: a titolo d’imposta (o a titolo definitivo) e a titolo
d’acconto.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario 53. La sostituzione a titolo d’imposta
La figura della sostituzione a titolo d’imposta è differente con quella del responsabile d’imposta.
La nozione di responsabile d’imposta è contraddistinta dal fatto che l’obbligazione tributaria ricade non solo
su chi realizza il presupposto ma anche su un altro soggetto (responsabile d’imposta).
Anche nella sostituzione a titolo d’imposta il soggetto passivo è un soggetto diverso da colui che realizza il
presupposto ma, mentre nella solidarietà dipendente vi sono più soggetti passivi (obbligato principale e
dipendente), nella sostituzione d’imposta il soggetto passivo è uno soltanto: il sostituto. Se il sostituto non
versa, alla sua obbligazione si aggiunge quella del sostituito divenendo obbligati in solido verso il fisco.
Dunque il sostituto a titolo d’imposta è l’unico debitore verso il fisco dell’imposta dovuta sul presupposto
realizzato dal sostituito. Il rapporto tra fisco e sostituto è quindi un rapporto d’imposta.
Tra sostituto e sostituito vi è un rapporto privatistico in base al quale il sostituto versa in una posizione
debitrice verso il sostituito. La norma tributaria fa si che questo rapporto si conclude quanto il sostituto
estingue il suo debito versando al sostituito una somma minore derivante dalla ritenuta operata.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Diritto Tributario