Appunti del corso di psicologia di comunità, intesa come l'area di ricerca e di intervento sui problemi umani e sociali che si rivolge in modo particolare all’interfaccia tra la sfera personale e quella collettiva, tra la sfera psicologica e quella sociale.
La psicologia di comunità
di Ivan Ferrero
Appunti del corso di psicologia di comunità, intesa come l'area di ricerca e di
intervento sui problemi umani e sociali che si rivolge in modo particolare
all’interfaccia tra la sfera personale e quella collettiva, tra la sfera psicologica e
quella sociale.
Università: Università degli Studi di Torino
Facoltà: Psicologia
Corso: Psicologia
Esame: Psicologia di comunità
Docente: Amerio e De Piccoli1. Definizione di Psicologia della comunità
Psicologia di comunità area di ricerca e di intervento sui problemi umani e sociali che si rivolge in modo
particolare all’interfaccia tra la sfera personale e quella collettiva, tra la sfera psicologica e quella sociale.
Ottica clinica:(essere umano in quanto portatore di un problema)
Ottica sociale: (essere umano come essere sociale)
Psicologia di comunità nasce negli USA come momento di rottura rispetto al quadro corrente della
psicologia ed al mainstream ideologico dominante nella società americana.
Concetto di comunità non come entità collettiva che trascende l’individuo e si impone su di lui perché solo
in essa si può trovare dignità, identità e completezza psicologica.
Concetto di comunità per RITROVARE l’idea di INDIVIDUO come principio e come valore.
Importanza fondamentale di concetti di RELAZIONE come valore in sé e di PARTECIPAZIONE, per
indicare una comunità nella quale il bene comune non è posto ontologicamente prima e al di là dei suoi
membri, ma costruito ogni giorno dal lavoro comune, dalla condivisione dei problemi, dallo spirito
costruttivo con cui si affrontano relazione non meramente utilitaristica con l’altro TENSIONE e META di
un LAVORO da COMPIERE.
Ivan Ferrero Sezione Appunti
La psicologia di comunità 2. La psicologia di comunità fra teoria psicologica e pratica sociale
Oggetto di una disciplina ottica con cui un qualche aspetto del mondo fisico, naturale o sociale è visto e
ricostruito all’interno di un sistema di concetti e modelli teorico-empirici.
Psicologia di comunità intersezione di due modalità di approccio ai fenomeni umano-sociali:
1. campo del sapere
2. formulazione dei problemi
cercheremo, dunque, di tracciarne un quadro d’insieme, delineando i punti di vista a cui si ispira nel
rivolgersi ai problemi umani e sociali, individuando i modi essenziali in cui li assume nella sua ottica
teorico-metodologica e nelle sue prospettive di intervento nella pratica sociale.
La psicologia di comunità è sorta poco più di 30 anni or sono negli USA anni particolari:
Uscita faticosa da quasi mezzo secolo di comportamentismo riscoperta di un soggetto attivo, motivato,
capace di ragionamenti e portatore di emozioni (grazie anche alla lettura di Piaget ed alla rilettura dei
gestaltisti) “mutilato”, però, dalla metafora “mente- PC” distacco dalle problematiche sociali e dalle
prospettive teoriche di Lewin.
Situazione odierna in Italia ed in Europa la psicologia di comunità si muove nel nostro paese su linee
differenti, pur collegandosi in alcuni suoi aspetti a modelli americani. Affrontando i problemi della tutela
sociosanitaria in modo più sintonico con il nostro assetto istituzionale e con la realtà dei nostri servizi, essa
va cercando una sua autonomia anche attraverso reti europee, producendo esperienze autoctone e soprattutto
ricercando un sostanziale ricambio di prospettive teoriche e politiche.
Identità di una disciplina:
1. come essa si rivolge alle situazioni umane e sociali di sua pertinenza e come le trasforma in problemi
(Dewey)
2. procedimenti con i quali assume tali problemi in una piattaforma concettuale inserendoli in sets teorico-
metodologici suscettibili di analisi empirica.
Il “sapere psicologico” è frutto non solo dell’analisi di laboratorio condotta sui processi più o meno separati
dall’attività pratica relativi alle cognizioni, alle emozioni e così via, ma anche della ricerca condotta sul
funzionamento di tali processi nel contesto dei problemi connessi con la vita concreta degli individui e dei
gruppi William James “Principi di psicologia” 1890 analisi della vita psichica nel bel mezzo delle sue
relazioni concrete, a livello cioè di quella realtà attraverso al quale si attualizza l’esperienza umana.
Diversamente dall’uomo nudo e dall’esperienza disincarnata che formavano l’oggetto della psicologia di
Wundt, James proponeva un essere umano nella sua tridimensionalità, spirituale, sociale e materiale (cioè,
della sua mente ma anche del suo corpo, degli abiti indossati, dagli strumenti utilizzati, dalle relazioni in cui
è collocato e da quelle che costruisce) capace di porsi non solo come soggetto ma anche come oggetto della
sua esperienza e di quella altrui.
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La psicologia di comunità 3. Le origini della psicologia di comunità negli Stati Uniti
Salute mentale e comunità
Convegno a Swampscott (New England) primavera 1965 partecipanti: in larga parte psicologi operanti nel
campo della salute mentale grosse riforme avviate da JFK (1960-1963) e portate avanti dal suo successore
(Johnson) fino al 1968.
La riforma nel settore dell’igiene mentale prende avvio con la promulgazione nel 1963 del COMMUNITY
MENTAL HEALTH CENTER ACT (CMHCA), che colloca la cura e la prevenzione nell’ambito di una
serie di centri largamente distribuiti sul territorio, ai quali sono affidati compiti di terapia, di controllo su
ospedalizzazioni “leggere” e temporanee (i grandi ospedali psichiatrici tendono ad essere smantellati e si
avvia un’opera di de-istituzionalizzazione), di iniziative in senso preventivo e di formazione. In definitiva
essi hanno il compito di riportare il malato nella comunità e di fornire alla comunità gli strumenti necessari
per ridurre il disagio psichico ed il disturbo mentale. (Situazione americana di segregazione razziale).
Diversa la situazione nel nostro paese, nonostante l’esistenza, all’epoca, di sacche di povertà e fenomeni di
emarginazione, ma:
1. non è presente una così grande minoranza etnica segregata
2. diversa impostazione della tutela socio-sanitaria
Unione Europea (e anche Canada e Nuova Zelanda) Welfare (protezione sociale) che oscilla tra “modelli
universalistici” (es. sanità in Italia) e “modelli occupazionali” (es. le pensioni in Italia) ma che garantisce
una tutela di base su problemi essenziali come la salute, le condizioni di lavoro, la scolarizzazione almeno
fino a 15 anni, la povertà (minimo vitale) Accordo di Maastricht.
USA “modello residuale di Welfare” lo stato interviene solo saltuariamente lasciando agire il mercato, la
famiglia, le opere caritative. Motivi di questa situazione:
1. persistenza culturale di un individualismo vecchia maniera persone sole di fronte allo stato ha allontanato
in modo tale le funzioni pubbliche da quelle private (famiglia e lavoro) che l’essere umano non può trovare
nella sua persona alcun legame fra le due.
2. liberalismo tradizionale disuguaglianze sociali come inevitabile correlato della libertà individuale e della
certezza del diritto.
3. Presente (in forte minoranza) la visione di una società che, pur nel pluralismo politico ed ideologico, punti
alla giustizia sociale e ad una più reale uguaglianza “individualismo democratico” filone di James, Dewey e
Rawls (“una teoria della giustizia” 1971) è, tuttavia, l’altra tendenza quella dominante.
Europa lotte sociali e da esse nascita di partiti socialdemocratici e di organizzazioni sindacali
(collaborazione) laddove in Europa si formano partiti e movimenti politico-sindacali, nella situazione
americana di frammentazione sociale e di isolamento degli individui e dei ceti meno abbienti nascono
devianze, si formano gruppi che lottano per la sopravvivenza delle loro identità come “nicchie subculturali”
negli “interstizi” della società organizzata.
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La psicologia di comunità 4. Dall'igiene mentale alla psicologia di comunità
DECENTRAMENTO LOCALISTICO COMUNITARIO dell’Amministrazione Kennedy-Johnson
coniugazione dell’intervento psicologico, con l’intervento sociale e verso un’ottica che mira a ragionare in
termini di risorse possibili, da rinvenire e da attivare non tanto a livello istituzionale quanto nella società
civile delle associazioni, dei gruppi, delle chiese, delle azioni che si dispiegano a livello di comunità etniche
e religiose, di quartiere, ecc.
I nuovi provvedimenti promossi dal governo federale favorirono la nascita della psicologia di comunità
anche attraverso la polemica che essa sviluppò verso il modo, a suo avviso troppo conservatore e
tradizionalista, con cui i dettami del CMHCA venivano (con qualche piccola eccezione) applicati: direzione
dei centri affidata agli psichiatri, ottica eminentemente medicalistica, scarsi elementi di personalizzazione
del rapporto con gli utenti, impegno nella prevenzione troppo limitato e soprattutto carente di apertura verso
la dimensione sociale dei problemi. Quello che gli psicologi a Swampscott propongono è un’ottica
essenzialmente diretta a recuperare il senso del sociale di contro all’ottica tradizionalmente individualistica
della psichiatria e della psicologia clinica.
Disturbi e disagi vanno perciò affrontati in un’ottica diretta non tanto a “curarli” quanto a prevenirli,
promovendo migliori condizioni di esistenza delle persone: queste ultime viste non come “pazienti” in senso
più o meno tradizionale ma piuttosto come individui che impegnano le risorse disponibili nel loro contesto
di vita per affrontare i problemi quotidiani del lavoro, della salute, della crescita dei figli, della casa e così
via. L’opera dello psicologo (di cui viene auspicata una formazione più largamente aperta in senso
sociologico, economico, politico) deve essere perciò diretta soprattutto a rinvenire ed attivare le risorse
possibili, accrescendo capacità, contribuendo ad annodare reti sociali, favorendo l’iniziativa dei singoli e dei
gruppi. Un lavoro dunque svolto in una dimensione comunitaria, che vede i problemi individuali come
strettamente connessi a quelli sociali e si rivolge all’individuo nell’insieme delle sue relazioni con gli altri e
con il contesto PARTECIPANT CONCEPTUALIZER idea di maggiore rottura rispetto allo spirito
dell’epoca stravolge la concezione classica del setting andare verso i problemi umani così come si
manifestano nel contesto sociale piuttosto che non restare ad aspettare che i problemi arrivino alla psicologia
di comunità.
Psicologia di comunità tendenza radicale non dissimile dall’antipsichiatria europea sui rapporti di potere che
si instaurano tra il medico ed il paziente, potere che è espressione di quei più forti poteri attraverso i quali i
ceti dominanti nella società si impongono sugli altri anche attraverso il rapporto salute-malattia.
L’ottica ecologica
Piattaforma concettuale della psicologia di comunità americana (della sua ottica) è essenzialmente costituita
dall’approccio ecologico ( Human Ecology della Scuola di Chicago) di Roger Barker (allievo di Lewin)
ECOLOGIA PSICOLOGICA molto distante, in verità, dall’ottica lewiniana.
SETTING COMPORTAMENTALI (cittadina di Midwest) 884 situazioni suscettibili di determinare
condotte specifiche del tutto indipendenti dalle persone coinvolte procedimento “da telecamera” alquanto
illusorio il punto di vista dell’osservatore non è mai neutrale; inoltre i dati non “parlano da sé”, non hanno in
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La psicologia di comunità sé una loro verità. Questi setting, ancorché descritti con un linguaggio apparentemente lewiniano, parlando,
cioè, di forze, di equilibri, di interdipendenze, non hanno in realtà alcun rapporto con le situazioni analizzate
da Lewin in cui si trovano persone che pensano, che hanno sentimenti, che agiscono in relazione con
ambienti, climi culturali e problemi. Il rapporto tra ambiente e comportamento è nell’ottica dei setting
decisamente deterministico in modo unidirezionale.
Fondandosi in parte sui lavori di Barker, James G. Kelly ha elaborato un’ottica ecologica in relazione
all’intervento nei servizi di igiene mentale che la psicologia di comunità ha largamente sposato. Essa è
basata sui concetti di RISORSA e di ADATTAMENTO. Una comunità, intesa in senso ecologico, è secondo
Kelly, un SISTEMA CHIUSO in cui ogni elemento è legato a tutti gli altri da un rapporto di
INTERDIPENDENZA, in modo che ogni cambiamento in una parte influenza tutte le altre; è un sistema che
si mantiene su un CICLO di RISORSE che vengono prodotte, trasferite e consumate in modo ciclico
secondo una classica metafora ecobiologica. Ognuno deve in qualche modo adattarsi alle risorse disponibili,
far fronte ai cambiamenti e così via. L’analisi di queste situazioni è fondamentale per capire i processi in
atto e per intervenirvi.
Rendendosi conto dei limiti connessi con un approccio di questo tipo che, come dicono Levine e Perkins è
fondamentalmente “astorico” e poco adatto a cogliere gli aspetti più propriamente connessi con la psicologia
delle persone, vari esponenti della psicologia di comunità hanno cercato di integrarlo, utilizzando, ad
esempio, gli studi di Moos sui climi sociali, ma l’assetto di base non è molto cambiato. In sintesi, dicono
Levine e Perkins, l’analogia ecologica puntualizza essenzialmente i seguenti aspetti:
L’influenza che l’ambiente fisico e sociale esercita sul comportamento
L’interdipendenza tra gli individui nell’ambito di specifici gruppi sociali intesi come comunità
Una prospettiva di ricerca e di intervento che si indirizza ad “unità più larghe che non individui”
Una ricerca che tende a svolgersi in contesti naturali e non in laboratorio o in setting clinici tradizionali
Un contesto di ricerca-intervento mirato a promuovere una collaborazione attiva e partecipativa tra il
ricercatore ed i residenti.
Lo sforzo maggiore per inserire la visione ecologica in un contesto in cui, pur conservandosi i suoi principi
di base ed essenzialmente quello di indirizzare l’intervento e la ricerca su “unità più larghe che non gli
individui”, ci si facesse carico anche dell’ATTIVITA’ PSICOLOGICA delle PERSONE, è stato compiuto
più recentemente da Kingry – Westergaard e Kelly l’ottica ecologica diviene una specie di programma
generale di ricerca-intervento sul terreno ed i punti innovativi sono costituiti:
a. La situazione che coinvolge setting e persone deve essere compresa nel suo significato attraverso una
stretta collaborazione tra i ricercatori ed i partecipanti cui la ricerca è indirizzata
b. Persone e setting del contesto interagiscono con persone e setting esterni e viceversa, in un reciproco
processo di influenzamento
c. Le persone influiscono sul setting ed il setting sulle persone, una persona influenza le altre ed un setting
influenza gli altri setting
L’ottica ecologica diviene, quindi, un programma di intenti generali nel quale sono ribaditi sia il carattere
sociale dei problemi umani sia la concezione sociale della persona, ma senza specificamente tradursi in
modelli teorico metodologici di approccio
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La psicologia di comunità
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La psicologia di comunità 5. Sviluppo di un punto di vista europeo e italiano sulla psicologia di
comunità
La psicologia di comunità europea, ed italiana in particolare, deve trovare sue proprie basi di fondazione non
solo perché il quadro socio-culturale e politico istituzionale in cui si colloca è notevolmente diverso da
quello statunitense ma anche perché le piattaforme concettuali ed i modelli teorico-metodologici sinora
elaborati si sono dimostrati poco capaci di collegare la sfera individuale e quella sociale, in un’ottica che
articoli insieme le competenze attive del soggetto ed il ruolo che il contesto sociale esercita su tali
competenze, fornendo loro le risorse e/o limitazioni, divenendo fonte di problemi o di possibilità positive.
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La psicologia di comunità 6. La nuova prospettiva della psicologia della comunità
La psicologia di comunità sull’interfaccia tra l’individuale e il sociale
Definiamo la psicologia di comunità come un’area di ricerca e di intervento sui problemi umani e sociali che
si rivolge eminentemente alla loro interfaccia tra la sfera individuale e quella collettiva, tra la sfera
psicologica e quella sociale.
Versante individuale è sostanzialmente l’individuo che li subisce sulla propria pelle (e nella propria mente) e
che in qualche modo vi deve far fronte CONNOTAZIONE OGGETTIVA (Psicologia di Comunità) e
CONNOTAZIONE SOGGETTIVA in un duplice senso: essi sono sentiti e valutati attraverso il filtro
dell’attività percettivo-cognitiva che attribuisce loro significati più o meno particolari e provocano (o
possono provocare) disagio, disturbo, sofferenza è sulla dimensione soggettiva che la psicologia si è
eminentemente fermata.
Problemi umani
Versante sociale, qui ancora in due sensi: nel senso che in genere nascono da situazioni sociali siano esse
riferite al microsociale relazionale o al macrosociale che coinvolge relazioni con il lavoro, le istituzioni, i
valori e quanto concerne la società organizzata spesso è nel sociale che trovano gli strumenti materiali e/o
psicologici per essere affrontati larga parte della psicologia clinica odierna si sviluppa all’interno di contesti
sociali, quali possono essere i servizi socio-sanitari, le istituzioni ospedaliere, le comunità terapeutiche e così
via, ed anche attraverso varie forme di quel “privato sociale” che in talune sue espressioni come il
volontariato ed i gruppi di auto-aiuto mostra in concreto il senso psicologico della partecipazione
solidaristica.
I problemi umani possono in generale evidenziare una dimensione sociale anche nel senso di presentarsi
come problemi collettivi, condivisi da gruppi, categorie, ceti, ecc.in questo senso essi sono riguardati in
genere dalla comunità soprattutto a livello strutturale, nell’ambito delle forme politico-giuridico-economiche
attraverso cui si esprime la sua gestione. Anche in questa dimensione, tuttavia, essi presentano aspetti
individuali e soggettivi che sarebbe miope non vedere, ed anche a livello di tale dimensione la psicologia di
comunità può portare il suo contributo di analisi e di intervento. Quando si denuncia l’assenteismo
nell’impegno sociale, la sfiducia nelle istituzioni, la valutazione pessima della “politica”, troppo spesso ci si
dimentica di rivolgere l’attenzione a quelle relazioni tra la sfera privata e la sfera pubblica che sono
impregnate di elementi psicologici.
L’articolazione psicosociale e il soggetto attivo
Rivendicazione di individualità intesa in senso essenzialmente sociale miglioramento individuale ed
emancipazione collettiva hanno camminato insieme espressione di un individuo che, nella misura in cui
ricerca indipendenza, dignità, identità diviene uno “essenzialmente non sociale”.
Lewin ci ha insegnato che i fattori oggettivi (connessi con l’ambiente sociale e fisico) ed i fattori soggettivi
(connessi con le percezioni, le cognizioni, i desideri, le motivazioni, i sentimenti delle persone) sono
ugualmente importanti nella determinazione delle situazioni della vita individuale e collettiva. Ma ha anche
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La psicologia di comunità mostrato come questi due aspetti dei campi sociali non siano appiccicati tra loro da qualche magico potere
esterno e cieco, bensì dall’agire concreto dei soggetti umani (individui o gruppi). L’articolazione della sfera
psicologica con quella sociale trova dunque il suo elemento dinamico nella nozione di SOGGETTO
ATTIVO un essere, cioè, capace di costruire/ricostruire il mondo in cui vive non solo nell’ambito della sua
mente ma anche concretamente attraverso la sua attività pratica. Un soggetto che pur essendo in parte
plasmato dalle condizioni materiali e sociali nelle quali si trova a nascere ed a condurre la sua esistenza, non
è solo da queste determinato in quanto ha la possibilità di intervenire su di esse: di cambiare e di trasformare
grazie alla sua azione. Lewin è stato uno dei pochi psicologi ad occuparsi, sia pure in modo non esaustivo,
dell'azione: la psicologia l’ha in genere ignorata. Eppure l’azione non è un attributo accessorio dell’essere
umano ma una caratteristica fondante specie-specifica. Dotato di un corredo istintuale meno rigido e più
povero di quello degli animali, disponendo soltanto di un limitato corredo di reazioni essenziali di base,
l’uomo è costretto a fondare il suo rapporto di sopravvivenza nel mondo su scelte e decisioni che strutturano
la sua azione. Occorre peraltro riconoscere che l’azione è portatrice anche di una realistica dimensione di
limitatezza che vale a concretizzare l’idea di un soggetto attivo di contro a quelle concezioni idealistiche e
poi spiritualistiche che hanno contribuito ad allontanarne la psicologia fino a pochi anni or sono: infatti
l’azione, considerata come processo psicosociale, appare promossa e controllata non solo dal mondo
soggettivo delle intenzioni ma anche da quei fattori oggettivi costituiti dalle risorse disponibili. Così
un’azione può avere conseguenze impreviste, addirittura “perverse”. Inoltre, le scelte che vi presiedono
possono essere errate, imprecise, gravide anche di conclusioni tragiche.
L’azione apre al soggetto (individuale o collettivo) la possibilità del cambiamento ma lo espone ai rischi di
un mondo percorso da asimmetrie di potere. Lo immette, anche, in quell’ottica della responsabilità sulla
quale è fondata la nostra società.
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La psicologia di comunità 7. La psicologia di comunità come programma di intervento
La psicologia di comunità si pone in definitiva come uno strumento – fosse pure limitato da ovvie ragioni di
competenza – per aiutare gli esseri umani a farvi fronte attraverso i suoi programmi di intervento.
SOGGETTO ATTIVO
RICERCA – AZIONE
PROCEDIMENTO SCIENTIFICO
EMPOWERMENT
RETI SOCIALI
ANALISI del TERRITORIO
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La psicologia di comunità 8. Individualità e società in psicologia
Individuo come principio e come valore nella sua unità ed unicità che “vale di per sé” per il suo pensare,
agire, scegliere, decidere, che possiede, quindi, la capacità di autodeterminarsi valori che, però, non sono
legati ad un qualcosa di ontologicamente precostituito rispetto alla vita sociale.
Norbert Elias “La società degli individui” impossibilità di presupporre un soggetto a se stante, fuori dalla
collettività.
Finalità della psicologia di comunità rendere più concreta la capacità di autodeterminazione della persona.
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La psicologia di comunità 9. Percorsi dell’individualità e socialità dal mondo antico alla
modernità
Mondo antico, greco-romano (200-300 dc) la socialità dell’uomo è vista come un prodotto di quell’ordine
naturale che ha immesso l’individuo nella sua organizzazione sociale, cioè nella polis. La polis non è solo la
città, ma la città-stato per eccellenza, la comunità che garantisce ai cittadini la loro identità sociale e la loro
libertà nei confronti di quanti sono fuori dall’in-group: gli schiavi e gli stranieri. La politeia è stata un dono
che gli dei hanno fato agli uomini per tirarli fuori dalle foreste in cui essi vivevano come bestie e farli così
vivere nell’ordine naturale dell’universo, al posto giusto che agli uomini compete.
Medioevo e Cristianesimo (1000 dc) dominio spirituale, politico, sociale ed economico di una piccola
minoranza mondo chiuso in classi e categorie mondo che “è come è e non può cambiare” individualità come
atto di superficie, si dissolve, anziché affermarsi, all’interno dei gruppi L’oppressione del collettivismo
multiplo del Medioevo (cioè delle rigide appartenenze alle gerarchie del vassallaggio o, nel caso dei non
nobili, alle corporazioni dei mestieri, alle comunità territoriali, al servaggio della gleba: categorie cui si
apparteneva per nascita, o quasi, e per sempre) ha così conferito al termine individuo un’aura ambigua:
l’individuo è colui che è potuto sfuggire al gruppo solo mediante qualche misfatto. È “colui che è sospetto”.
L’individuo della modernità
Umanesimo e Rinascimento (1400-1500 dc) idea dell’essere umano come individualità: come uno, cioè,
capace di pensare a sé ed al mondo in modo autonomo e di agire in quanto tale (non solo partecipa ai
cambiamenti del mondo ma di quei cambiamenti può essere artefice sul piano della fabbricazione di oggetti,
del commercio, della produzione artistica e della politica) la capacità di fare assume uno speciale rilievo
perché fare significa anche farsi cioè riconoscere a se stesso una capacità di autodeterminazione, di dirigere
il proprio agire e la propria esistenza in base a scelte e decisioni personali che impegnano esclusivamente
ogni individuo nel pieno della sua autonomia e della sua responsabilità motivazione dell’emergere
dell’individuo nel Rinascimento ed Umanesimo: l’Impero è lontano, la sua autorità in molte parti della
cristianità è più teorica che reale; la Chiesa è sempre più coinvolta nelle vicende temporali: si avvia a
diventare una potenza terrena tra le altre. L’idea di una comunità globale del mondo cristiano si va
frantumando rapidamente. Le città in crescita divengono i centri di un nuovo modo di esistere in cui non più
la fedeltà ma l’abilità diviene la dote necessaria per sopravvivere. {Leonardo sentimento di sé come
costruttore di opere e senso di una identità che attraverso l’opera permane tra le vicissitudini sociali.
Machiavelli “Il Principe” l’azione, pur promossa e guidata dall’uomo, può avere esiti differenti da quelli
previsti. La fortuna ed il caso hanno larga parte nelle cose umane. Ma la scelta e la decisione umana,
sostenute dall’abilità (la “virtù”) hanno altrettanto peso.}
Il soggetto, la coscienza, la ragione
Cartesio (1600 dc) il significato del “cogito ergo sum” cartesiano è quello di ancorare la certezza di noi
stessi non all’esperienza che facciamo del mondo e neppure a quanto la nostra azione può produrre nel
mondo, ma alla capacità del pensiero: che è capace non solo di pensare al mondo (quale che esso sia e
comunque esista o non esista) ma di pensare a se stesso. La capacità del pensiero è quella di farci pensare a
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La psicologia di comunità noi stessi pensanti. Il soggetto pensante è quindi una coscienza che è non solo e non tanto coscienza del
mondo esterno, ma coscienza di sé. Coscienza, dunque, non solo come una qualche forma di consapevolezza
(come la psicologia in generale la intende in quelle non frequenti occasioni in cui se ne occupa), ma una
relazione intrinseca dell’uomo con se stesso “un rapporto mediante il quale egli può conoscersi in modo
immediato e privilegiato” la coscienza viene così a compendiare “l’intera vita spirituale dell’uomo in tutte le
sue manifestazioni dal sentire, al ragionare, al volere […] la sua sfera è quella stessa dell’io pensante”.
Concezione di individualità come “spartiacque” L’individuo trova dunque in sé le ragioni del suo essere un
io come persona: non delle “maschere” che può indossare nel mondo (o che lo possono obbligare ad
indossare) ma nella relazione con se stesso che la coscienza gli permette. Questa concezione del soggetto e
dell’io costituisce, come si vede, un vero spartiacque tra il vecchio mondo ed il nuovo che si addentra nella
modernità. Un nuovo modo di intendere l’individuo umano non solo come uno tra i molti (sia pure ben
identificato dal suo esistere e dal suo fare) ma come uno che può interamente assumersi il confronto con le
cose: conoscerle, amarle, giudicarle soprattutto. È in definitiva quest’idea che permetterà a John Locke
(1632-1704) di elaborare il concetto di “identità” e ad Immanuel Kant di formulare quella che permane
come una delle più forti concezioni della “responsabilità” e della “condotta morale”.
Locke e “l’esperire” “Saggio sull’intelletto umano” Ogni nostra conoscenza ci deriva dall’esperienza: è
questa che ci fornisce le idee e che, nel contempo è lo strumento per verificarne la validità l’esperienza
costruisce il nostro mondo mentale nel suo fluire nel tempo e nelle situazioni (WILLIAM JAMES riprenderà
questa tesi nei suoi PRINCIPI DI PSICOLOGIA) ma la multiformità delle esperienze ed il loro succedersi
non intacca l’unità e la continuità del senso che l’essere umano ha di se stesso, in quanto individuo
specifico, perché quest’unità e questa continuità sono garantite dall’io come coscienza di sé. È a Locke che
dobbiamo il concetto oggi diventato pervasivo in psicologia di “self”: “ciascuno è per se stesso quello che
egli definisce self, la persona è un self intelligente e pensante, un essere, cioè, che può considerare se stesso,
cioè la cosa pensante che egli è, in luoghi e tempi diversi”. Il concetto di self ha anche una funzione sociale:
gli serve a sostenere, insieme, sia una rigorosa difesa dell’individuo e dei suoi diritti nei confronti dello
stato, sia una concezione consensuale, contrattualistica (e potremmo dire democratica) dello stato stesso e
dei limiti che esso deve avere.
Kant ragione come strumento di conoscenza perché permette di valicare il senso stesso dell’esperienza
“strumento critico” perché ci permette di cogliere anche i limiti della conoscenza e di renderla problematica
quest’idea della ragione che eleva l’uomo rende Kant uno dei massimi esponenti dell’Illuminismo. L’“io
come soggetto” di Kant non è un essere isolato sul piano morale e sociale la mia dignità è direttamente
legata alla dignità dell’Altro.
sul piano cognitivo sa che esiste una realtà, una cosa in sé, indipendentemente dalla sua esperienza.
Kant creatività, pensiero e libertà di scelta MA anche esistenza di una realtà oggettiva e dei limiti dati
dall’autodeterminazione dell’uomo come “essere razionale finito” (cfr. Platone)
Idealismo assoluto di Fichte e Schelling Ponendo l’Io al centro di un mondo in cui “la cosa in sé” non esiste
più, facendo quindi dell’Io il depositario di tutta la realtà possibile, amplifica infinitamente il suo soggetto, e
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La psicologia di comunità nello stesso tempo soggettivizza in toto la realtà. Anche l’azione perde ogni limitazione, sia al suo principio
di autodeterminazione (assolutizzato al soggetto), che al suo fine come operazione dello spirito capace di
trascendere il mondo umano. In tale quadro resta poco spazio per l’individuo concreto, per una critica reale
delle situazioni e per l’impegno che gli uomini possono mettere in campo per cercare di modificarle.
Questo “super-soggetto” elevato a grandezza del mondo ha in sé le radici del suo crollo, che avverrà per
mano dei tre grandi “Maestri del Sospetto”: Marx, Nietzsche, Freud.
Marx non le idee ma i rapporti di potere determinati dai rapporti di produzione, e quindi l’attività materiale
in cui l’uomo è impegnato nella sua storia, costruiscono ciò che sta alla base del mondo “Non è la coscienza
che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza” Le idee (valori, principi, massime conoscitive e
morali) non sono che ideologie: cioè rivestimenti che celano quella realtà vera di conflitti materiali tra
dominanti e dominati in cui siamo immersi.
Nietzsche Il conflitto che domina la vita sociale è dentro l’individuo stesso, concepito non più quale “centro
ultimo della scelta e della responsabilità, ma come campo di lotte tra impulsi opposti; il suo comportamento
è sempre e soltanto il risultato di equilibri provvisori raggiunti da tali impulsi. La coscienza, poi, che la
morale ha sempre considerato come l’istanza suprema, è solo la maschera di questi giochi di forze, che essa
non determina ma si limita a registrare”.
Freud il mondo interno dell’uomo è un regno di conflitti; al centro della vita psichica sta un mondo
inconscio le cui vicissitudini passano completamente al di là dell’esperienza cosciente. Egli sottolinea la
presunzione dell’uomo di “sentirsi sovrano della propria coscienza” pensando che psichico sia identico a
cosciente e fidandosi del “servizio di informazioni della coscienza” e quindi di quella realtà che l’Io gli
presenta. L’Io, luogo di resistenza, è un distorcitore della realtà. Il fatto che la “vita pulsionale della
sessualità non si può domare completamente in noi, e che i processi psichici sono per se stessi inconsci”
indica chiaramente “che l’Io non è padrone in casa propria”.
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La psicologia di comunità 10. Libertà individuale e istituzioni sociali in filosofia
Rottura del globalismo politico – religioso del Medioevo Monarchia Nascita dello Stato (come ordinamento
giuridico e politico in cui si svolge la vita di una comunità organizzata) emergere dell’idea individualistica.
Riforma protestante e guerre di religione (che insanguinano l’Europa della 2° metà del 1500 fino oltre il
1650) hanno un ruolo fondamentale nel fondare il diritto alla libertà religiosa (attraverso un’affermazione
della laicità dello Stato) E nell’aprire la via ad altri diritti che si connettono alla libertà di parola, di
espressione, di associazione ed alle libertà politiche in genere. Protestantesimo rapporto diretto uomo – Dio
forte contributo all’idea individualistica.
Nozione di individuo idea di libertà
Nozione di Stato idea di potere (il primo Stato è quello assolutistico della monarchia) + monopolio legittimo
dell’uso della forza per far rispettare le sue leggi ed il suo ordinamento.
Come conciliare la libertà e l’autonomia dell’individuo con la necessità di uno stato che si elevi a garanzia
della vita collettiva?
Hobbes (1588 – 1679) contrappone un ipotetico “stato di natura” nel quale l’essere umano (essere socievole,
si associa solo per bisogno o per ambizione) è posto nascendo (=vive isolato, nemico di tutti per realizzare il
massimo del suo potere) ad una “società civile” che l’uomo può costruire usando la sua ragione nasce per
contrasto, dalla situazione di vita primitiva, nella misura in cui gli uomini delegano il loro potere ad un
potere comune, che elevandosi sopra tutti, costituisce la condizione per vivere insieme, garantendo la pace,
la libertà, la sicurezza, il diritto di proprietà. Lo stato diviene il depositario di questo potere che è fortissimo
perché è la somma di tutti, ed è assoluto, così come assoluto era il potere dell’uomo singolo in natura perché
lo stato è esso stesso una “creatura” LEVITANO che deriva dall’insieme di tutte le altre, non per “consenso
o accordo”, ma per mezzo d una “reale unificazione di tutti quelli [i voleri umani] in un’unica medesima
persona”: una persona che potrà “usare la forza ed i mezzi di tutti loro secondo ciò che crederà opportuno
per la loro pace e per la loro comune difesa” idea di “stato macchina” che più modernamente diverrà il
“meccanismo statale”.
Paradosso partito dall’idea di un essere totalmente libero nell’espressione della sua volontà, perviene a
teorizzarne la perdita totale in nome della vita in comune la sua tesi vale, piuttosto, come una
“giustificazione” dell’assolutismo del suo tempo.
La dicotomia “stato di natura – società civile” sarà ripresa anche da Locke, da Kant, da Rousseau, ma in
termini assai diversi da quelli hobbesiani: e questo anche perché la situazione concreta politica europea si
era andata alquanto modificando.
Società civile per Locke (Gran Bretagna) nell’ottica di Locke lo stato, che unisce coloro che decidono di
“unirsi in una società civile” nasce da un contratto tra “individui che si associano”. Tale patto non è la
correzione di una umanità che, preda di antiche rovinose passioni rinuncia alla libertà per trovare pace,
sicurezza ed ordine sociale sotto l’imperio di una autorità assoluta, ma un modo per poter meglio realizzare
quella liberà di fondo che è distintiva dell’essere umano, ponendole dei limiti attraverso il consenso di
ciascuno. (Kant è sostanzialmente su questa posizione.)
In una Francia con un assolutismo al suo culmine (Luigi XIV e Luigi XV) che sfocerà nella “presa della
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La psicologia di comunità Bastiglia” (14 luglio 1789 Luigi XVI si troverà nelle mani un regno dominato da una nobiltà e da un alto
clero che vivono alle spalle dello Stato e di un ceto agricolo povero che rappresenta il 50% della
popolazione. La borghesia, classe in ascesa, composta di artigiani e mercanti, tartassata da alte tasse e priva
di quei diritti che alla nobiltà ed al clero sono concessi, è sempre più insofferente. In una Francia ormai in
bancarotta, Luigi XVI tenta una via d’uscita con la convocazione degli Stati Generali – nobiltà, clero e terzo
stato borghese – ma la situazione è troppo compromessa) “cadono” le idee di Montesquieu “Spirito delle
Leggi” (Ginevra 1748).
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La psicologia di comunità 11. I diritti dell’uomo e lo stato liberale
La Rivoluzione francese non fu solo un atto politico secondo Alexis de Tocqueville (teorico europeo
dell’individualismo democratico) il fatto di aver voluto contrapporre all’assolutismo dispotico dell’Antico
Regime l’idea di libertà altrettanto assoluta, indirizzata non allo specifico contesto francese ma a tutti gli
uomini del mondo, conteneva già in sé le radici del suo fallimento pratico. Ma forse proprio in questo
universalismo sta la sua grandezza, forse proprio per questo ha contribuito a cambiare il mondo.
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (Francia 1791) da un lato riprende una grande tematica
dell’Illuminismo, dall’altro si ispira alle tesi umanitarie di Jean Jacques Rousseau Il suo senso travalica il
tempo. Affermando l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, per natura stabilita, nei loro diritti fondamentali
di libertà personale, di religione, di associazione, di giustizia, di proprietà (ecc…) concretizzava il
movimento di idee diretto ad affermare l’imprescrittibile valore dell’individuo come persona,
indipendentemente da ogni sua appartenenza di status sociale, di censo, di religione, di nazionalità.
Jean Jaques Rousseau pur legato in parte all’Illuminismo, se ne colloca per vari versi più in là: non solo per
il suo accostare alla ragione il sentimento e la spontaneità in chiave già romantica, ma anche per il modo con
cui affronta il problema dell’uguaglianza tra gli uomini e dell’azione politica e pedagogica per raggiungerla.
L’occhio che Rousseau getta sulla vita sociale del suo tempo è molto più realistico ed impietoso di quello
che vi gettano Locke e Kant: quello che egli vede è soprattutto l’estrema disuguaglianza che regna tra gli
uomini. “Discorso sull’origine della disuguaglianza” tre “cause”:
1. la nascita della proprietà privata
2. la magistratura che ha creato il debole ed il potente
3. la trasformazione del potere legittimo in quello arbitrario, che ha prodotto il padrone e lo schiavo.
Per porre rimedio a tutto ciò, tenendo sempre lo sguardo rivolto verso la condizione felice che regnava nello
stato di natura, occorre costruire “una forma di associazione che difenda e protegga con tutta la forza
comune la persona ed i beni di ciascun associato, e per la quale ciascuno, unendosi con tutti, non obbedisca
tuttavia a se stesso e rimanga così libero come prima”. A questo scopo gli uomini devono fare un contratto,
in forza del quale ciascuno cede i suoi propri diritti al corpus dell’intera comunità: questa diviene così
un’unità che possiede un suo io, una sua vita, una sua volontà. Non è lo stato di Locke ma una comunità
stretta in cui tutti si identificano attraverso una volontà generale. Di questa volontà generale sono
espressione le leggi che mirano al bene comune e che guidano l’azione del governo, il quale è in definitiva
solo l’esecutore della volontà del popolo. RAGIONE formata attraverso l’EDUCAZIONE L’appello alla
ragione diviene dunque fondamentale per creare una società più giusta. Ma la ragione deve essere formata
attraverso l’educazione: un’educazione che permetta, come Rousseau ampiamente dirà nell’Emilio (1761) ai
ragazzi ed ai giovani di sviluppare la loro creatività, che applicandoli anche al lavoro manuale faccia loro
capire spontaneamente il significato della solidarietà, che li abitui a sviluppare un sano senso di sé; che poi,
quando crescono, favorisca l’insorgere dei loro sentimenti e delle loro passioni onde dalla natura stessa
imparino ad equilibrarli. Il percorso ugualitario di Rousseau, ancorché su certi aspetti piuttosto
contraddittorio, ispirerà una parte del socialismo nascente.
Concetto di UGUAGLIANZA che sta alla base della Dichiarazione dei Diritti è quello che concretizza in
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La psicologia di comunità chiave etico-politica l’idea stessa di DEMOCRAZIA.
Concetto di uguaglianza di Tocqueville (uno dei più rilevanti esponenti del liberalismo europeo)
“uguaglianza delle condizioni” ove non esistono differenze ereditarie di condizione e ove ogni occupazione,
professione, dignità, onore è accessibile a tutti in una società che non propone come scopo la potenza o la
gloria ma la prosperità e la tranquillità.
Per molti versi, nell’individualismo che ispira la Dichiarazione dei Diritti trova molti dei suoi principi
innovatori il movimento liberale del XIX secolo, soprattutto nelle sue prime affermazioni politiche. Il
liberalismo, in senso piuttosto lato e generale, si può considerare come quella teoria politica che fa proprio il
principio etico della libertà individuale e che affida allo stato il compito di tutelarla come libertà personale,
politica ed economica strumento attraverso il quale i singoli possano realizzare una sicura vita sociale. Su
questa linea il liberalismo politico è ovviamente impegnato nella battaglia contro l’assolutismo ed il
dispotismo dell’Antico Regime, anzi, nel percorso che va da Locke a Kant e poi soprattutto da Montesquieu
a Tocquville, è proprio in tale lotta che esso si forma, anche attraverso l’operare concerto per ottenere
governi costituzionali, parlamenti rappresentativi e leggi di tutela della libertà di religione, di parola, di
associazione. In definitiva lo “stato liberale” costituisce la base delle attuali democrazie.
Il liberalismo non può essere visto come mera espressione della borghesia (artigiani e mercanti “dei borghi”)
ma nel XIX secolo e nei primi tre decenni del XX è lei la protagonista di questo movimento, protagonista
della rivoluzione industriale e del nuovo mondo. È quella classe che del proprio lavoro ha fatto anche un
titolo di identità e di affermazione di sé, di contro ad un mondo aristocratico e clericale che al lavoro
continuava a guardare, se non con disprezzo, almeno con molta sufficienza; che si distingue dal mondo
contadino anche benestante in quanto più mobile, meno legata a valori tradizionali e meno conservatrice sul
piano del costume; che si distingue ormai anche dalla grande massa dei lavoratori manuali che l’industria in
espansione viene radunando nelle città. È questa classe borghese che infine si è affacciata alla politica. La
sua antica battaglia contro lo stato dispotico delle monarchie assolute diviene adesso una battaglia tesa a
ridurre l’ingerenza dello stato dell’economia: quella che chiede è libertà per l’industria, libertà per il
mercato, libertà per la circolazione della moneta. Il liberalismo politico appanna in tutto ciò molte delle sue
componenti etiche intridendosi di liberalismo economico. Il senso della dignità della persona, dei diritti
fondamentali dell’individuo vanno trovando altre vie d’espressione nella lotta per i diritti politici e sociali.
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La psicologia di comunità 12. Lavoro e società: nuovi valori, nuovi problemi
Oggi intendiamo il lavoro non solo come mezzo di sostentamento ma anche come realizzazione di sé, delle
proprie capacità.
Nell'antichità invece non era tenuto in conto. Il disdegno aristocratico verso il lavoro manuale dura sino a
tutto il 1700, questo ha contribuito a dividere la società in due: coloro che comandano e coloro che
ubbidiscono.
Già nel 1700 la progressiva meccanicizzazione dell'industria tessile, poi la macchina a vapore, il carbone , il
cambiamento dei trasporti fan si che il lavoro diventa l'elemento centrale della nuova società, ciò che conta è
la forma che assume il lavoro nell'industria.
Il capitalismo che si afferma è contraddistinto dalla separazione tra chi possiede i mezzi di produzione e chi
possiede solo il suo lavoro come merce che mette a disposizione dei produttori. Anche i proprietari lavorano
ma il loro compito è la gestione e il recupero del denaro. Il mercato del lavoro è però squilibrato perché i
proprietari hanno mezzi socio-culturali-politici per gestirlo mentre i lavoratori no. Quello che si determina in
pratica è lo sfruttamento (l'altra faccia del lavoro industriale).
In Francia la rivista "l'Industrie" diffonde l'idea di un progresso economico a cui lavoratori ed imprenditori
partecipano in ugual misura (articolo di Saint-Simon), il lavoro diventa il luogo in cui si può ritrovare
l'uguaglianza tra gli uomini. Questa visione contribuirà ad aprire la strada al nuovo SOCIALISMO
NASCENTE.
L’800 romantico è il tempo delle grandi passioni patriottiche, è il tempo delle grandi storie d’amore e dei
sentimenti più accesi ma è anche il tempo in cui l’oppressione delle classi lavoratrici appare in tutta la sua
evidenza.
La lotta degli operai per migliorare le loro condizioni di vita sarà lunga, difficile, spesso sanguinosa, per
tutto il corso del XIX secolo ed oltre. Il movimento dei lavoratori può nascere ed organizzarsi grazie anche
alle concentrazioni di mano d’opera che la grande industria esige. Essere nello stesso luogo, scambiare idee
almeno nei momenti di pausa, parlare e spiegare: tutto ciò serve per attuare momenti di aggregazione non
solo “politica” ma anche umana per tanti che sono analfabeti, sradicati dalle loro comunità, spesso sperduti
in grandi città.
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La psicologia di comunità 13. Diritti sociali e povertà nella scena contemporanea
I diritti sociali non possono essere neppure minimamente disarticolati dalle libertà civili e politiche.
Altrimenti viene a perdersi sia il senso stesso della persona umana sia quello di una vita collettiva efficiente
Il percorso sin qui seguito ci ha mostrato come quest’idea di “persona” si possa sostenere solo nella misura
in cui si riconosca che l’individuo umano ha una dimensione sociale che, intrinsecamente, lo collega con
l’Altro: e che solo in una dimensione sociale l’individuo può essere assunto come un principio e come un
valore.
Noi possiamo riguardare l’attuale “stato di benessere” (welfare state o stato assistenziale) non solo sotto il
profilo di una istituzione sociale in cui sono realizzati (in certa misura, almeno) i diritti sociali, ma anche
come uno che tende ad allargare il principio dell’uguaglianza delle opportunità su cui si fonda lo stato di
diritto.
Le teorie della stratificazione sociale di Marx e Weber si sono mostrate esatte: in un mondo che la
tecnologia unifica e che fonda le istituzioni sull'economia di mercato le diseguaglianze crescono, chi ha
potere lo aumenta ancora chi ne ha meno ancora meno ne avrà.
La democrazia e l'etica della normativa
Il processo di globalizzazione che ormai investe la vita sociale contribuisce a farci chiudere nella sfera del
privato che sembra l'unica che possiamo controllare, la TV ci porta in casa il "mondo in diretta".
Questo contribuisce a rendere più netto il distacco tra il nostro star bene e lo star male altrui.
Ci occupiamo degli altri soprattutto per non compromettere la nostra "normalità".
La nostra epoca registra quello che è il massimo trionfo dell'individualismo e cioè un individualismo che è
espressione di edonismo di massa , di narcisismo e di passività; una democrazia passiva in cui l'individuo
non è più teso verso la libertà e contro l'autoritarismo ma cerca una serena felicità fuggendo da impegni
sociali politici ecc.
La politica è guardata come qualcosa di lontano, questo è giustificato dalla condotta di certi politici ma è
anche indice di indifferenza verso il bene comune.
Oggi il terzo mondo bussa alle nostre porte e il razzismo verso l'Altro, verso il Diverso si riaccende tanto più
inquietante perché si nutre di ragioni economiche legate al posto di lavoro.
Come affrontare il problema? La nozione di comunità si pone come una forma di relazione tra gli esseri
umani nella quale c'è spazio anche per motivi non strettamente utilitaristici come il dialogo, la solidarietà e
la partecipazione.
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La psicologia di comunità 14. L’esperienza americana in merito ai diritti dell'uomo
La Dichiarazione della Virginia del 1776, con cui gli Stati Uniti sanciscono la fine della loro soggezione
coloniale alla Gran Bretagna, presenta con tredici anni di anticipo su quella francese, una solenne
affermazione sui diritti dell’uomo.
Americani: non solo intellettuali ma anche impegnati politicamente nella loro realtà non c’è un vecchio
mondo da abbattere quanto piuttosto un nuovo mondo quasi interamente da costruire.
“Fenomeno associazionistico” Associazioni in America come “fenomeno umano”prima che culturale.
Conservazione del senso di concetti come “progresso” e “speranza”
Enorme influenza che la teoria evoluzionista esercita sul pensiero della seconda metà dell’Ottocento,
rinforzando la prospettiva di poter studiare l’uomo nel suo sviluppo filogenetico e nelle sue modalità di
rapporto col mondo.
Utilitarismo e Darwinismo si completano con l’influenza del pensiero di Herbert Spencer Il concetto di
evoluzione si associa così a quello di progresso, l’utilitarismo si carica di ottimismo e i problemi sociali
vengono assunti sempre privilegiando le ragioni dell’individualismo e della riuscita personale, ma anche
riguardando attentamente le ragioni della vita collettiva.
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La psicologia di comunità 15. Teorie sul concetto di comunità nella psicologia di comunità
Weber idea di comunità agganciata al concetto di RELAZIONE riceve concretezza grazie all’importanza
dell’AZIONE sia intesa come espressione d un soggetto capace di attribuire un SIGNIFICATO al mondo in
cui vive e di portarvi i suoi progetti, sia come STRUMENTO che TRASFORMA la SOCIETA’ in un’ottica
costante di cambiamento, di incontri e scontri tra gli interessi e le idee.
Negli stessi anni, o poco dopo, anche LEWIN faceva dei PROPOSITI l’elemento centrale della motivazione
dell’agire umano.
AZIONE concretizza l’idea di un SOGGETTO ATTIVO uno che non solo desidera, pensa e soffre ma che
anche FA, e che, quindi, non si limita a “reagire” alle cose ed alle situazioni, ma è in grado di modificarle, di
crearne di nuove.
Nell’azione è implicito il concetto di progetto e di innovazione Hannah Arendt
Il mondo sociale plasmato dall’azione è un luogo di CONFLITTI Marx e Weber ma è anche il luogo in cui
gli individui possono creare tra loro LEGAMI per realizzare PROGETTI COMUNI rivolti a migliorare la
loro condizione e quella dei loro figli su questa base si è sviluppato il percorso che ha portato alla
formulazione dei diritti civili, politici e sociali ed alla costituzione delle democrazie contemporanee.
Dimensioni del concetto di comunità:
DIMENSIONE LOCALISTICO TERRITORIALE indica che proprio il fatto di essere delimitato da uno
specifico territorio costituisce il dato essenziale che distingue quel sistema sociale che definiamo comunità
da altri tipi di sistemi sociali. Questo non significa che un sistema sociale organizzato abbisogni
necessariamente di una specifica collocazione territoriale significa, piuttosto, che un sistema sociale
scollegato ad un territorio preciso difficilmente può assumere le caratteristiche di una “comunità”. Tutto ciò
testimonia dell’importanza della dimensione territoriale, nello stesso tempo, però, mostra anche come tale
dimensione in sé non sia sicuramente sufficiente a definire una comunità. Con il termine di COMUNITA’
LOCALE si intende un sistema sociale organizzato anche a livello polititico-amministrativo, collocato
dentro un sistema più ampio quale lo stato. L'ottica localistica è rinforzata dalle politiche di decentramento
politico-amministrativo.
DIMENSIONE della RELAZIONE INTERPERSONALE è intrinseca al concetto stesso di comunità intesa
non meramente come fatto localistico e/o organizzativo, ma come convivenza che richiama al SENSO del
RAPPORTO INTER-UMANO in sé. Tale dimensione nella società odierna acquista un particolare valore
come elemento che è in grado di permettere la conservazione del tessuto sociale nonostante le lacerazioni
che possono esservi portate dalle molte situazioni conflittuali – anche da quelle microconflittuali - che
contraddistinguono il nostro tempo a livello ideologico ed anche a livello pratico. Un tessuto relazionale
solido permette alla comunità di mantenere un certo grado di coesione e di normalità anche attraverso
momenti di crisi politico-istituzionale.
DIMENSIONE della PARTECIPAZIONE è quella che allarga il senso della relazione all’intera comunità in
quanto conduce gli individui alla discussione, al dialogo come strumento che vale a costruire mondi
possibili e condivisi. La condizione umana è quella di una CONTINUA TRANSAZIONE con le cose e con
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La psicologia di comunità gli Altri. Si può contribuire a “fare” ed a “modificare” quando la partecipazione diventa ATTIVA si ha il
potere di autodirigere la propria vita e, insieme con gli altri, la vita comune. In questo senso Lewin
intendeva la partecipazione quando ne faceva l’elemento essenziale per la conservazione del gruppo e per il
suo sviluppo. Ma non a tutti questo potere è dato in egual misura Il concetto di DISEMPOWERED che la
psicologia di comunità ha fatto proprio, indica appunto la condizione di individui, gruppi, categorie che sono
sprovvisti di tale potere, che “non hanno voce” la loro condizione psicologica è straordinariamente simile a
quella che Lewin descriveva a proposito dei ragazzini coinvolti nel gruppo a direzione autocratica da aperti,
amichevoli, cooperanti, pieni di vita, divenivano apatici e privi di iniziativa. La partecipazione, dunque,
occasione di vita per l’individuo e per la comunità, diviene un obiettivo primario per la psicologia di
comunità, impegnandola su un fronte che va dall’individuale al sociale e viceversa.
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La psicologia di comunità 16. Elementi dell’articolazione psicosociale
Un soggetto attivo è uno che agisce (effettua scelte e prende decisioni) sulla base delle proprie
INTENZIONI, collegandole con la propria visione delle cose e del futuro anche in base a dei criteri di
riuscita.
“Stati intenzionali” (credere, desiderare, intendere, cogliere significati) così come la nozione di “agente”
“banditi” dalla psicologia, anche quella di impostazione più specificamente cognitiva. In tale ottica, dice
Bruner, non vengono accettati come “concetti esplicatvi” quelli che si richiamano alla sfera degli stati
mentali intenzionali, ma “liberare le nostre spiegazioni da questi concetti equivale a disfarci dei fenomeni
stessi che lo psicologo deve interpretare.
Il concetto di intenzione rimanda a due idee: VOLONTA’ (di più larga accezione nel senso comune) ed
INTENZIONALITA’ intesa come “riferimento di qualsiasi atto umano ad un oggetto fuori di sé” su questo
concetto Brentano (Psicologia dell’Atto) ha fondato la caratteristica essenziale dei fenomeni psicologici, che
sono qualificati dagli “atti” con cui il soggetto si riporta all’oggetto: rappresentazione, giudizio, sentimento.
Nell’elaborazione e nell’uso che la FENOMENOLOGIA farà di questa nozione, essa conserverà il senso di
questa proiezione sull’oggetto, di questa ALTERITA’, in rapporto alla quale si definisce l’attività della
mente e della coscienza, nonché l’agire in senso stretto.
INTENZIONE = INTENZIONALITA’ nel SUO DOMINIO PRATICO torva un possibile modo di analisi
psicologica solo se vista agganciata al concreto processo di azione in un’ottica che articoli il soggetto ed il
sociale. Su questa strada si pone Lewin.
WUNDT aveva visto l’intenzione come espressione di una VOLONTÀ che sprofonda in un dato ordine
idealistico non analizzabile; gli psicologi di Wurzburg non sono lontani da questa idea: Narziss ACH la
operazionalizzerà in una TENDENZA DOMINANTE che vale ad attualizzare un’azione e solo quella, al di
là di ogni situazione contestuale. È un’ottica interessante che, tuttavia, non chiarisce come un’intenzione si
formi e che considera ancora una volta il soggetto come un essere chiuso in sé senza connessioni con il
sociale.
LEWIN sulla scorta della sua formazione fenomenologia e della psicologia dell’atto di Brentano, guarda
all’INTENZIONE come ESPRESSIONE di una COSTANTE INTERAZIONE con il MONDO intenzione
che può essere analizzata come la risultante di un processo soggettivo di intervento sul mondo esterno che è
attivato da qualcosa che sta nel mondo e non solo nel soggetto. Egli considera un soggetto che non ha
bisogno di essere attivato perché è già costantemente attivo grazie allo stato di tensione compito
dell’intenzione è, piuttosto, quello di MODULARE questa tensione nella sua intensità e DIRIGERLA verso
una certa direzione l’intenzione si qualifica rispetto ad oggetti che sono esterni alla persona, i quali, pur non
avendo in genere alcun significato fisiologico, possiedono una carica attrattiva tale da far insorgere dei
propositi così forti da poter essere qualificati come QUASI BISOGNI.In questo processo la valenza degli
elementi del contesto è quindi connessa: a. con la loro CAPACITÀ di ATTRAZIONE in quanto possibili
METE (G = goal); b. con la TENSIONE INTERNA presente in quel momento (t). La valenza di una meta
(GV) è perciò funzione di t e di G GV = f (t, G) Il concetto di DISTANZA PSICOLOGICA esprime la
possibilità più o meno consistente di raggiungere l’oggetto, un certo grado di concretezza relativamente
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La psicologia di comunità all’oggetto del desiderio o dell’aspirazione. La distanza di una meta è quindi legata a molti fattori: oggettivi
da un lato (età, condizione economica, sociale e culturale, capacità personali) e soggettivi dall’altro,
connessi con la percezione e la rappresentazione dell’oggetto e di sé, nonché con l’insieme delle valutazioni
che il soggetto compie dei vari aspetti della situazione. Articolazione di fattori oggettivi e soggettivi che sta
al centro dell’intero pensiero lewiniano e che è espressione della transazione costante dell’essere umano con
l’ambiente materiale e simbolico in cui vive. Essa è al centro della TEORIA del CAMPO.
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La psicologia di comunità 17. L’azione come processo socio-cognitivo
Conoscere e agire :
Riprendere il concetto di AZIONE di WEBER (capitolo II)
PORONS (1937) lo riprende e traccia uno schema utilizzabile come impianto di base:
AZIONE essenzialmente descritta:
a. Da un AGENTE attivo rispetto a qualcosa
b. Da un FINE inteso come possibile situazione futura che indirizza l’agire
c. Da una SITUAZIONE ESISTENTE diversa da quella designata dal fine
d. Da un SISTEMA di RELAZIONI che collegano tra loro l’agente, il fine, la situazione.
In chiave più propriamente psicologia, l’azione presume alla sua fonte un soggetto capace di
rappresentazioni,di scelte, di decisioni consapevoli, di proporsi scopi e di tradurli in progetti che poi cerca di
mettere in atto controllando sia i mezzi e le risorse di cui dispone, sia lo svolgimento dell’attività.
L’azione è fondamentalmente un PROCESSO SOCIO-COGNITIVO che COLLEGA in modo ATTIVO la
DIMENSIONE SOGGETTIVA e quella OGGETTIVA dell’universo umano: infatti essa, pur essendo
innescata e parzialmente controllata da FATTORI PSICOLOGICI (l’intenzione, lo scopo, il progetto,
nonché le rappresentazioni e le valutazioni che vi si legano) necessita, per realizzarsi, dell’intervento di
FATTORI OGGETTIVI che possono essere solo in parte controllati dal soggetto abilità e risorse.
L’azione pur essendo intrinsecamente connessa con il sistema cognitivo, è espressione di un rapporto con il
mondo diverso da quello che si realizza attraverso la cognizione. Diverso almeno in due sensi: In primo
luogo perché non può mai essere realizzata indipendentemente da quei FATTORI NON COGNITIVI che le
sono necessari. In secondo luogo perché l’azione ha sempre un EFFETTO sull’ESTERNO del soggetto di
solito quello di produrre un cambiamento, fosse pure minimo, oppure di impedirlo.
Ovviamente, un’azione dotata di senso può comporsi di diverse sotto-azioni integrate in un sistema, può, nel
corso della sua attuazione, farci ridimensionare scopi e modificare controlli, addirittura indurci a cambiarli
totalmente. Questo è dovuto alle caratteristiche di andata e ritorno (FEEDBACK) che legano attività mentale
ed attività pratica.
Il percorso retroattivo dell’azione: 1960 Miller, Galanter e Pribram UNITÀ TOTE comprende ad un tempo
attività, informazione e controllo cognitivo.
SCHEMA del LIVELLO di ASPIRAZIONE il TOTE è un modello alquanto meccanicistico. Invece molto
più vicino all’esperienza comune è lo Schema del Livello di Aspirazione, che già molti anni prima LEWIN
aveva messo a punto tenendo conto della duttilità dei progetti, delle aspirazioni umane e degli elementi
emozionali che intervengono nel quadro. Concepito inizialmente presso l’Istituto di Psicologia di Berlino
negli anni ’20 – 30 da TAMARA DEMBO per analizzare come nei bambini si strutturano progressivamente
le relazioni tra desideri, richieste dell’ambiente e percezione delle proprie possibilità, esso diviene poi uno
schema standardizzato attraverso il quale studiare la DINAMICA che si produce tra i seguenti elementi:
ASPIRAZIONI del SOGGETTO (cioè sue intenzioni in azioni mirate a risultati ottimali), sue REALI
CAPACITÀ di PRESTAZIONE, di PERCEZIONE, di VALUTAZIONE dei RISULTATI dell’AZIONE e
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La psicologia di comunità quindi di vedere gli aggiustamenti delle aspirazioni delle attività successive. Metodologia: il soggetto è
messo di fronte ad un problema abbastanza familiare valutabile in termini quantitativi, il soggetto formula
una previsione sulla prestazione sotto forma di aspirazione, a prestazione avvenuta si chiede al soggetto un
giudizio quantitativo sul risultato, il soggetto formula una nuova previsione per la prova successiva che sarà
uguale alla prima. Tutto questo permette il formarsi di una aspirazione in relazione a esigenze di
ottimizzazione dei risultati e alle proprie capacità. Si verifica quindi sia il livello di realtà a cui il soggetto si
situa sia la capacità di proiettarsi su un'altra realtà attuabile con l'azione. Il processo retroattivo di azione è
quello in cui i risultati dell'azione compiuta ritornano sulla percezione e cognizione diventando base di
nuove azioni. Il successo e l'insuccesso non sono dimensioni simmetriche, l'insuccesso provoca non solo
adeguamento cognitivo ai dati di realtà ma anche atteggiamenti di ordine difensivo, demotivanti. Teoria di
Kuhl percorso attraverso cui l'intenzione si traduce in azione: attenzione selettiva, controlli di: encoding
(codificazione degli stimoli collegati all'intenzione), emotivo, motivazionale, ambientale, e riduzione
dell'elaborazione delle informazioni (cioè rinuncia a acquisire informazioni su percorsi alternativi).
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La psicologia di comunità 18. Definizione di arousal
L’immagine del soggetto attivo che abbiamo sin qui delineato ci presenta un essere che, con tutti i limiti
imposti dal suo apparato mentale e dalle risorse disponibili, entra in contatto con il mondo sulla base dei
suoi processi cognitivi e dei suoi processi d’azione. Il quadro sarebbe tuttavia incompleto se non si tenesse
conto di quell’altra essenziale forma di relazione con il mondo e di partecipazione sociale che è costituita
dall’EMOZIONE.
COMPLESSITÀ dell’EVENTO EMOTIVO, nel quale COGNIZIONE ed AZIONE confluiscono
determinando, tuttavia, un fenomeno differente da entrambe Differenza prodotta essenzialmente
dall’intervento dell’attivazione non soltanto del SNC che presiede alla programmazione ed al controllo
dell’attività mentale e dell’azione, ma anche del SNA cui competono cambiamenti nella sfera fisiologica
viscerale quali frequenza cardiaca, respirazione, tensione muscolare e così via. A tale attivazione autonomia
si dà il nome di AROUSAL Anche se per alcuni autori l’arousal non è necessariamente indispensabile
nell’evento emotivo, è soprattutto esso che ha richiamato in origine l’attenzione, insieme con le
modificazioni dell’espressione facciale.
JAMES (1884) L’emozione è un fatto essenzialmente PERIFERICO, ossia è in sostanza la PERCEZIONE
dell’AROUSAL.
LANGE raccoglie la tesi di James nell’anno successivo (1885) come TEORIA PERIFERICA
dell’emozione.
CANNON (1927) Dura critica le reazioni di ordine autonomico sono troppo poco specifiche e diffuse, i
recettori viscerali sono pochi e poco sensibili, gli arousal si possono presentare sia in emozioni molto
diverse sia durante stati non emotivi egli propone una TEORIA CENTRALE dell’emozione, nella quale
quest’ultima è vista come un evento cui concorrono, fin dal primo insorgere dell’attivazione autonomia,
anche strutture del sistema nervoso centrale.
I lavori sul tema che si sono susseguiti in questi anni rendono ormai del tutto insostenibile una teoria
puramente periferica dell’emozione, pur nulla togliendo all’importanza dell’attivazione autonomia, ma
piuttosto facendovi sempre più strettamente convergere fattori di ordine cognitivo (Coinvolgimento dei
“centri alti” nelle emozioni: strutture libiche, ipotalamo, collegamenti neo-corticali specie nelle zone pre-
frontali). Differenze invece si danno sull’importanza da attribuirsi a tali fattori e sul loro modo di intervento.
Altre differenze fra le teorie psicologiche riguardano l’esistenza di emozioni fondamentali o basiche,
l’importanza del sistema facciale, il modo di connettere valutazioni, rappresentazioni e tendenze all’azione.
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La psicologia di comunità 19. Il soggetto e il sociale nell’azione in psicologia
L’azione è essenzialmente lo strumento per FARE cioè per operare in quel DOMINIO della PRATICA che
è costituito dall’attività degli uomini e che a sua volta contribuisce a costituirli come ESSERI UMANI
SOCIALI che nella loro storia filogenetica hanno avuto un costante ruolo di intervento sull’ambiente, da un
lato, e di concomitante costituzione di rapporti sociali dall’altro. (Parallelo con la storia ontogenetica).
Il soggetto è un essere portatore di progetti, aspirazioni, speranze, che si trova a nascere e vivere in un
contesto di problemi che le situazioni di vita gli mettono costantemente dinnanzi (problemi non solo
connessi alla sua esistenza ma anche relazionali, connessi ai processi di identificazione e differenziazione,
alla concezione di sé, a quanto legato ai ritualismi sociali, alle norme ed alle regole…) Uno che, nell’ambito
di situazioni definite da fattori sia oggettivi (risorse, capacità, regole, norme, rapporti di potere) che
soggettivi (in dipendenza delle sue rappresentazioni, valutazioni, ingerenze, decisioni) cerca di affrontare i
suoi problemi e di realizzare i suoi desideri FACENDO qualcosa atto a modificare lo stato presente delle
cose per renderlo maggiormente sintonico con i suoi fini. Può agire in conformità dei propri desideri o anche
per “imposizione” di elementi esterni.
Una parte del nostro fare è già regolata e guidata dalle forme normative della cultura e della società in cui
nasciamo e cresciamo, che passano in noi attraverso codici generali di pensiero e di azione veicolati dalle
pratiche di allevamento, educazione, interazione. L’azione nel concreto dell’esistenza è eminentemente una
inter-azione, sommamente modulata da quella suprema forma di socialità che è la PAROLA prerogativa
fondante specie-specifica che connette la soggettività e la socialità dell’essere umano.
Il processo di socializzazione è quello che ci inserisce non solo nel “vivere sociale” ma anche e soprattutto
nell’insieme dei SIGNIFICATI sui quali si innesta la vita cognitiva.
ALTERITÀ “Non esiste un IO senza un TU”.
Il sociale soggettivizzato dell’interazione:
INTERAZIONISMO SIMBOLICO Chicago, anni 40-50 (Costruzionismo pervasivo che vede la dimensione
attiva del soggetto come essenzialmente COSTRUITA – e non ATTUALIZZATA come nella nostra ottica –
dal sociale) Eredità di pensiero: Mead “costruzione sociale del Sé”; Cooley e Thomas. BLUMER Il suo
soggetto, a differenza di quello della psicologia behaviorista e cognitivista, non è uno che si “comporta” ma
uno che AGISCE e quindi cerca e produce significati nella costante interazione con l’Altro. Questa
“produzione di significati” viene esaltata così ampiamente che in essa finiscono col perdersi sia l’aspetto
materiale e strutturale della realtà sociale, sia la concretezza del soggetto in quanto persona. Gli uomini, dice
Blumer, “agiscono in base ai significati che le cose hanno per loro” e precisa che “il significato di una cosa
per una persona nasce dal modo con cui gli altri agiscono nei confronti delle persone in merito alla cosa” e
infine che “l’uso dei significati da parte dell’attore avviene attraverso un processo di interpretazione.
Nell’interazionismo finisce coll’essere la situazione stessa che fa emergere l’agire importanza nella
patologia e negli studi sulla devianza (spostano l’analisi dei fattori eziologici tradizionali individuali ai
fattori sociali-relazionali). Tuttavia il sociale non può essere ristretta all’interazione, né può essere
riguardato solo come una co-costruzione soggettiva. Da parte sociologica sono venute varie critiche al tipo
Ivan Ferrero Sezione Appunti
La psicologia di comunità di realtà sociale che esce da questa visione una realtà in cui non ci sono più dati strutturali di fondo, relazioni
di potere, condizioni materiali quello che la costituisce è essenzialmente la negoziazione tra gli attori a
livello dei processi di valutazione, interpretazione, definizione della situazione. Questo soggettivismo ha un
grave limite anche sul piano psicologico in quanto diviene un SOGGETTIVISMO SENZA SOGGETTO.
L’attore non ha consistenza psicologica non solo i suoi propositi e decisioni si fanno evanescenti, ma
l’insieme stesso dei fenomeni psicologici è visto come costruito dalla situazione e non dai processi
psicologici.
GOFFMAN TEORIA DRAMMATURGICA sui RITUALI dell’INTERAZIONE Ci presenta la vita sociale
come un luogo in cui gli esseri umani sono essenzialmente impegnati a presentarsi, a dare positive
impressioni di sé, a sintonizzarsi con quanto la recita del loro ruolo sulla scena del mondo comporta, ed in
cui, quindi, noi siamo costantemente plasmati dalla drammaturgia rituale attraverso la quale ci incontriamo
con gli altri e affrontiamo le situazioni. Un mondo relazionale il cui modello è la RAPPRESENTAZIONE
quale si svolge sulla scena teatrale l’individuo ed il suo corpo “costituiscono semplicemente un “gancio” al
quale sarà attaccato per un po’.
Ivan Ferrero Sezione Appunti
La psicologia di comunità