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Empowerment: prodotto e processo dal punto di vista psicologico

Considerato nel suo globale senso psicologico, l’empowerment si connota sia come prodotto che come processo. In quanto PRODOTTO può essere inteso come l’esito di un processo evolutivo di chi ha vissuto esperienze attraverso le quali ha evitato l’apprendimento di una condizione HELPLESS (cioè di impotenza), conquistando, invece, una condizione caratterizzata da HOPEFULNESS (fiducia in sé e capacità di sperare), consolidando una determinata struttura di personalità e assimilando certe caratteristiche personali. Come PROCESSO può essere inteso come un percorso attraverso il quale il soggetto disempowered o a rischio di disempowerment può riconquistare il suo potere personale perduto, recuperando l’HOPEFULNESS, piuttosto che disapprendendo la sua LEARNED HELPLESSNESS. 
Il SOGGETTO DISEMPOWERED appare psicologicamente debole, dipendente, passivo, rassegnato, pessimista, con scarsa fiducia nelle proprie capacità, caratterizzato da quello che Rotter definisce un LOCUS OF CONTROL esterno la sua è una condizione di passività appresa. Il SOGGETTO EMPOWERED invece ha dignità personale, libertà, autonomia, rispetto di sé e degli altri. Potrebbero essere come due poli di una COSTRUZIONE DINAMICA ed EVOLUTIVA che muta costantemente nel tempo e a seconda dei contesti » ciò che ha valore in un dato contesto e per una data popolazione può non averlo in un altro o per un’altra. Questo rende, ovviamente, difficile una misura dell’empowerment in termini universali. 
A partire dallo stato psicologico di disempowered, frutto di una storia caratterizzata da uno scarso accesso alle risorse, il lavoro dello psicologo di comunità consiste nel REALIZZARE UN INTERVENTO VOLTO A PROMUOVERE L’ACQUISIZIONE E LA CONQUISTA PERMANENTE, DA PARTE DI SINGOLI SOGGETTI O DI GRUPPI, DEL CONTROLLO ATTIVO DELLA PROPRIA VITA E DI UN BENESSERE NON SOLO ECONOMICO MA AFFETTIVO, FAVORENDO LA PERDITA DEI SENTIMENTI DI ALIENAZIONE E DI IMPOTENZA. 
BANDURA » attraverso il processo di empowerment l’individuo o il gruppo approdano ad una condizione di fiducia in sé » LEARNED HOPEFULNESS. Tale processo, teso ad apprendere o a riacquistare la fiducia nelle proprie possibilità e capacità (SELF EFFICACY) può essere articolato in tre fasi o sotto-processi: 
1) IL PROCESSO di ATTRIBUZIONE Con riferimento alla teoria psicologica dell’attribuzione formulata da Heider negli anni ’50, si conduce con i soggetti HELPLESS la ricerca sulle strutture soggiacenti che consentono di pervenire alla consapevolezza delle cause più profonde degli eventi. Due sono gli ordini di cause distinti dalla teoria dell’attribuzione » cause INTERNE, di natura personale » cause ESTERNE, di natura ambientale. All’interno di questi due ordini di cause è possibile, inoltre, distinguere tra fattori PERMANENTI e fattori TRANSITORI. Esistono inoltre cause scollegate sia dalle proprietà stabili o instabili delle persone e dell’ambiente (ruolo della fortuna, della buona o cattiva sorte), cause attribuite GLOBALMENTE (“è sempre così, in ogni caso”) e cause attribuite LOCALMENTE (“in questo caso è andata così”). L’INTENZIONALITÀ è il fattore centrale della causalità, ad essa è collegato il concetto di RESPONSABILITÀ » le persone infatti si sentono più responsabili quando sono in grado di stabilire una relazione tra un’azione ed un’intenzionalità e quando percepiscono di possedere le competenze per sostenerla. L’analisi del modo in cui gli eventi sono interpretati consente di identificare gli elementi da elaborare e rimuovere, che sono alla base della condizione di HELPLESSNESS. Quest’ultima condizione si verifica, infatti, quando le persone ritengono che le cause della loro impotenza siano INTERNE, STABILI e GLOBALI: a differenza di quelle esterne, instabili e locali, più facilmente suscettibili di elaborazione e controllo, esse sono all’origine di una bassa autostima. Se infatti le cause sono ESTERNE e STABILI, si può intervenire sulla difficoltà del compito (riducendo tale difficoltà o intervenendo sullo sviluppo di abilità per portarlo a termine); se sono ESTERNE e INSTABILI si può accettare il ruolo del caso e 

della fortuna; se sono INTERNE e ISTABILI si può considerare l’importanza di variare lo sforzo necessario per raggiungere i risultati attesi; se sono INTERNE e STABILI, e quindi riguardano la competenza, si può mettere in discussione la percezione di stabilità della condizione e favorirne l’evoluzione onde far intravedere nuove possibilità di sviluppo concreto delle competenze. Tale percezione può essere largamente influenzata da aspettative e credenze non sempre fondate IL LAVORO QUINDI CONSISTE NEL SUPERARE IL RUOLO GIOCATO DAI PREGIUDIZI, CONSENTENDO UN ESAME DI REALTÀ IN GRADO DI ATTIVARE LE ENERGIE INDIVIDUALI UTILI A RIDEFINIRE LO SFORZO PERSONALE DI CONTROLLO RISPETTO AGLI EVENTI, NELL’OTTICA DI AUMENTARLO RIDUCENDO L’ATTRIBUZIONE A CAUSE TOTALMENTE INTERNE E STABILI (posizione tipica delle persone depresse). 
2) PROCESSO DI VALUTAZIONE Il secondo processo è relativo alla valutazione della propria SELF-EFFICACY [Bandura]. Tale costrutto, derivato dalla psicologia cognitiva, si riferisce alle credenze relative alla capacità individuale di mobilitare le proprie risorse cognitive e le proprie azioni al fine di soddisfare le aspettative situazionali. La self-efficacy è alla base della propria sicurezza circa la possibilità di produrre una certa prestazione utile a contribuire al risultato atteso. La ricerca psicologica ha messo in luce il fatto che al sentimento di bassa autostima è collegata una prestazione inefficace e viceversa, spesso indipendentemente dalle capacità reali. La percezione della propria efficacia è influenzata dalla personalità e dalla motivazione, oltre che dal compito in sé e dal contesto (risorse e vincoli) in cui esso è portato avanti. Le ricerche di ELLIS hanno identificato i COSTRUTTI EMOTIVI e COGNITIVI alla base della condizione di HELPLESSNESS. Tali costrutti riguardano il modo in cui gli individui formano il giudizio di self-efficacy. È stato ad esempio, messo in luce come sia disfunzionale alla credenza di self-efficacy la richiesta eccessivamente ambiziosa, rivolta a se stessi, di perfezione assoluta » essa è spesso correlata a cicli cognitivi ed affettivi che esasperano la spirale della bassa prestazione e conducono ad una posizione permanente di insoddisfazione, ad un sentimento di bassa autostima, di irrilevanza, di impotenza e di inutilità. 
3) IL PROCESSO DI PREFIGURAZIONE DEL FUTURO Fa riferimento al modo in cui gli attori sociali immaginano e presentificano il futuro. Il riferimento è qui alle ricerche di GARFIELD sulle determinanti delle prestazioni eccezionali, nelle quali è stato rilevato che le immagini mentali degli individui di successo sono positive, costellate di opportunità, risorse e possibilità, mentre quelle di chi fallisce sono negative, attraversate da difficoltà, vincoli ed imprevisti infausti. La visione positiva è correlata all’aumento di elevate aspettative rispetto a se stessi, mentre quella negativa si lega alla riduzione di aspettative e addirittura alla creazione di difficoltà fantasticate prima ancora della loro manifestazione. 
Lo psicologo di comunità non può tuttavia limitarsi ad un livello così squisitamente individuale. L’empowerment, nella nostra concezione, procede CENTRANDOSI INSIEME SULL’INDIVIDUO E SULLA COMUNITÀ. È all’interno di una rete di relazioni che i sentimenti di autoefficacia ed i processi psicologici connessi si attualizzano, articolandosi concretamente con un mondo di relazioni, di strumenti, di “parole”: in sintesi con il mondo delle risorse oggettivamente intese. 
Il processo di empowerment si articola così in una continuità di azioni rivolte a sviluppare: 
» Capacità di mettersi in relazione con il proprio ambiente. 
» Coscienza dei rapporti fra le forze in gioco ed i vissuti. 
» Conoscenza delle risorse. 
» Ampliamento delle potenzialità. 
» Sentimento di potenza rispetto all’impegno attivo. 
» Capacità di influenzare il sistema sociale. 
» Sicurezza di sé e fiducia nelle proprie possibilità di coping. 
In genere il processo ha inizio con una CRISI, una forma di reazione che si traduce nel rifiuto di ciò da cui si è stati schiacciati. È in gioco una sorta di rivolta, quella che KIEFFER ha chiamato una TENSIONE CONFLITTUALE CREATRICE, una insofferenza rispetto alle condizioni di vita in cui ci si trova e che determina l’attivazione di energie personali e del contesto per influenzare tali condizioni. L’azione che segue, se efficace, darà luogo a vissuti psicologici positivi, alla sensazione di poter prendere in mano le redini della propria vita e di impegnarsi per raggiungere una nuova condizione di benessere, prendendo coscienza delle proprie capacità di organizzare le azioni necessarie. Tale processo implica contemporanei processi di autopercezione ed eteropercezione, e si realizza non solo attraverso un significativo impegno personale, ma anche grazie ad un ambiente persuasivo e supportivo che mostri esperienze vicarie di successo » ossia che offra la possibilità di vedere modelli di azione imitabili. Non sempre il processo di empowerment è scevro di conflitti, interni ed esterni, come ben mettono in luce Hardy e Leiba-O’Sullivan » esso implica infatti la richiesta di una ridistribuzione del potere organizzativo, economico o politico, ciò che potrebbe generare resistenze e conflitti. In questo senso si può sostenere che l’empowerment non possa né essere preso né essere dato, ma che, piuttosto, debba essere negoziato tra gli attori implicati nel contesto pertinente dell’azione, nella loro veste di soggetti politici che decidono dei livelli di partecipazione e di apertura o conquista di spazi democratici: che sono tali proprio in quanto non sono né offerti automaticamente, né presi unilateralmente. NON SAREBBE INFATTI EMPOWERING QUELLA RELAZIONE DI DIPENDENZA CHE SI SOSTANZIASSE NELL’ATTO DI QUALCUNO DI “RENDERE EMPOWERED” UN ALTRO; È EMPOWERMENT INVECE CIÒ CHE SI SOSTANZIA NELL’AUTO-PROCESSO DI RENDERSI EMPOWERED CON IL SOSTEGNO DI UN ALTRO (o, a vote, nonostante l’altro). 

Tratto da LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ di Ivan Ferrero
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