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La ricerca azione nell’ottica lewiniana

La ricerca azione nell’ottica lewiniana 

Nell’ottica lewiniana il concetto di ricerca azione ha una valenza specificamente psicosociale nella misura in cui articola i processi psicologici della cognizione e dell’azione con le dinamiche sociali della partecipazione, del confronto, del lavoro comune attorno ai problemi. In realtà, il gioco delle articolazioni nell’ACTION RESEARCH lewiniana era anche più ampio, in corrispondenza con la generale ottica di interdipendenza che articola la teoria del campo articolazione tra gli elementi della situazione, articolazione tra la teoria e la pratica de infine tra conoscenza e cambiamento. 

La ricerca azione rovescia i canoni consolidati del tradizionale modo di guardare ai due processi di base mediante i quali l’essere umano si relaziona con il mondo i PROCESSI di CONOSCENZA e di pensiero, che mirano essenzialmente a comprendere, spiegare e dare un senso, ed i PROCESSI di AZIONE, cioè l’attività pratica, che mirano all’intervento, alla trasformazione, al cambiamento. Entrambi i processi sono espressione di un rivolgersi al mondo in modo ATTIVO, nel senso che entrambi lo costituiscono/ricostruiscono nel”mondo umano-sociale”. Ma nell’ottica tradizionale La ricerca (che dei processi di conoscenza e di pensiero è espressione diretta) attua una costruzione che trova il suo fine in se stessa e che non necessariamente modifica l’oggetto a cui si rivolge se modificazioni vi affronta sono in genere temporanee e strettamente funzionali all’analisi. Non ha fini pratici può avere delle ricadute pratiche, ma esse non sono nei fini specifici del ricercatore. L’azione, al contrario, ha come suo fine primario proprio quello di produrre cambiamenti fossero pure minimi l’azione è diretta a costruire/ricostruire (eventualmente a distruggere) non nell’“opera” che la esprime ma nel “mondo” cui si rivolge. Il fine di chi agisce è specificamente quello di produrre modificazioni (o, come è ovvio, di impedire che modificazioni si producano). 
Senso comune “S’IMPARA FACENDO” sapere sia PERFORMATIVO (sapere come fare) sia DICHIARATIVO o PROPOSIZIONALE (sapere come sono le cose). 
COGNIZIONE 
“FARE le COSE” ESPERIENZA 
META-CONOSCENZA 
SEPARAZIONE EPISTEMOLOGICA modello meccanicistico della scienza moderna 

UOMO di UOMO di 
SCIENZA AZIONE separazione acuita dal ROMANTICISMO * 
↓ ↓ 
POSITIVISMO* IDEALISMO* 
↓ 
Nell’ottica positivista, la ricerca sull’uomo e sulla società deve uniformarsi a criteri di oggettività, di osservabilità, di analisi descrittiva e non interpretabile ed a modelli di causalità lineare. 
Innovazione di DILTHEY con l’INTENZIONE per arrivare all’“epistemologia fluida” del Cognitivismo ≠ Campo della ricerca empirico-sperimentale Behaviorismo. 
Scienza di oggi lontana epistemologicamente dal positivismo Kuhn e Fayerabend Pragmatismo Pierce, James, Dewey Il Pragmatismo ha sottolineato l’importanza dell’agire come test di verifica della verità scientifica, ed ha anche mostrato come questa “verità” non sia unica ed assoluta ma PLURALISTICA (James) e strettamente connessa alla PARTECIPAZIONE dell’uomo al mondo e, anzi, alla TRANSAZIONE che li unisce (Dewey). Il pluralismo di James, come concezione sia scientifica che etico-politica, porta all’ascolto degli altri, al dialogo come strumento di scoperta e di vita collettiva. Per Dewey è all’interno del percorso di analisi e di ricerca che il soggetto si costituisce come essere pensante ed agente, ed è nell’attualizzazione della PARTECIPAZIONE che la ricerca trova il suo aggancio con una società rivolta ad accrescere le competenze e le abilità dei suoi membri. Secondo Dewey “ogni processo conoscitivo è un impegno di trasformazione della realtà da parte dell’uomo. I significati che emergono delineano nuovi metodi di trasformazione e di operazione in vista di rendere la realtà più conforme agli scopi umani”. 
Essendosi poco curata del dibattito culturale, la psicologia trova difficoltà a situare l’ACTION RESEARCH. Da un lato esse viene considerata “poco scientifica”, non passibile di validazione interna ed esterna, fondata su due principi inconciliabili. Dall’altro lato, cioè da quello di chi la utilizza, è vista non solo in modo alternativo alla ricerca tradizionale – il che è esatto – ma anche come totalmente fuori da un’impresa scientifica, e controllata soprattutto in modo ideologico. 
Non era questa l’idea lewiniana. E non è la nostra. 
 
L’ottica oggettivistica è riuscita a staccare la psicologia della speculazione su un imprescindibile “senso interno” chiarendo che il rapporto con il mondo avviene attraverso i cinque sensi e non attraverso un qualche altro ipotetico elemento. L’essere umano ha la capacità di OGGETTIVARE SE STESSO l’IO SOGGETTO può volgersi, quindi, all’IO OGGETTO e farne “oggetto d’analisi”, come diceva James. Ma “io oggetto” ed “io soggetto” convivono nella stessa persona, cosicché anche quando si guarda al ME occorre ricordare che esso ha intrinsecamente connesso un IO ATTIVO. Se quest’ultimo si perde, l’essere umano è visto in un modello meramente oggettivistico, il senso dell’azione si perde l’attività mentale e quella pratica vengono assunte come COMPORTAMENTI descrivibili unicamente come effetti di certe variabili che agiscono come CAUSA. Noi sappiamo che il soggetto pensa, sceglie, decide ma pensieri, scelte, decisioni non sono più suoi. Sono variabili tra le altre che agiscono su una macchina pensante. Tutto ciò è incompleto, carente, riduttivo. 
1. Perché viene perduta quella conoscenza che solo nell’azione si genera e si esprime, e che invece resta inespressa a livello osservativi non la si può cogliere dall’esterno, che è l’unico piano sul quale il modello oggettivistico può muoversi. 
2. Perché si ha una perdita del ruolo cognitivo dell’azione su un altro piano quello delle CORREZIONI che i processi di azione, attraverso il meccanismo di andata-ritorno che li contraddistingue, permettono di apportare alla cognizione. 
Queste CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE dell’azione sono rilevabili solo DANDO la PAROLA al SOGGETTO, cioè attraverso i due capisaldi dell’action research che la differenziano realmente dalla ricerca tradizionale la PARTECIPAZIONE e la COOPERAZIONE. Erano due fattori centrali nella teoria lewiniana per permettere il formarsi ed il funzionare di ogni gruppo umano quando la partecipazione finisce il gruppo muore, ovviamente se per gruppo si intende un insieme di persone capaci di lavorare per un fine comune, unite dalla loro attività di comunicazione, di scambio, di lavoro in definitiva è questo ciò che Lewin definiva come GRUPPO DEMOCRATICO, in sintonia con il concetto di comunità democratica di Dewey. Sono queste due caratteristiche che collegano metodologia scientifica e visione politica perché la partecipazione e la cooperazione sono due strumenti metodologici, ma anche due VALORI etico-sociali, che presuppongono sia una diversa FUNZIONE del RUOLO RICERCATORE-PSICOLOGO, sia una DIVERSA RELAZIONE di POTERE tra esso ed i soggetti della ricerca. Questi ultimi divengono creature attive, alla pari con lui; lo psicologo diviene uno che utilizza il suo sapere INSIEME CON il gruppo, non per affermare una sua verità, ma per contribuire a far emergere una conoscenza che l’agire insieme produce. 
La ricerca azione è centrale nella psicologia di comunità. Non un mero strumento ma un elemento che la qualifica, che nasce dall’ottica che noi portiamo sul soggetto attivo e sul sociale come prodotto umano, sul CAMBIAMENTO come fenomeno che può essere prodotto dall’agire umano, o almeno da esso controllato e guidato. La ricerca azione ha ovviamente come fine qualche tipo di cambiamento ma dire questo è troppo poco. Essa ha anche lo scopo di FAR RIFLETTERE sul cambiamento non dare per scontata l’idea iniziale ma “lavorarla”, confrontarla, sottoporla al lume della critica, socializzarla ed eventualmente modificarla. Uno scopo che caratterizza anche la psicologia di comunità. 

Tratto da LA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ di Ivan Ferrero
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