In questi ottimi appunti che riassumono il volume "Le fonti del diritto amministrativo" di Sorrentino si parla delle fonti del diritto amministrativo (la crisi delle fonti e delle Istituzioni, le norme sulle fonti, i principi ispiratori di gerarchia, competenza e concorrenza tra le fonti, le vicende che posso riguardare gli atti normativi).
Si tratta poi della Costituzione e delle leggi costituzionali, delle leggi statali ordinarie, dell'ammissibilità delle leggi-provvedimento, delle fonti comunitarie, degli atti dello Stato con forza di legge.
Si tratta poi delle c.d. fonti secondarie e, in particolare, della delegificazione e dei regolamenti delegati.
Dopo un approfondimento sulla fonte consuetudinaria, l'ultima parte degli appunti si concentra sul Diritto regionale.
In particolare si parla dell'autonomia statutaria delle regioni, delle innovazioni introdotte dalla riforma del Titolo V, dei limiti alla potestà legislativa regionale (art. 117 cost.) e i rapporti con le leggi statali, ovvero il controllo statale sulle leggi regionali.
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto
regionale
di Stefano Civitelli
In questi ottimi appunti che riassumono il volume "Le fonti del diritto
amministrativo" di Sorrentino si parla delle fonti del diritto amministrativo (la
crisi delle fonti e delle Istituzioni, le norme sulle fonti, i principi ispiratori di
gerarchia, competenza e concorrenza tra le fonti, le vicende che posso
riguardare gli atti normativi).
Si tratta poi della Costituzione e delle leggi costituzionali, delle leggi statali
ordinarie, dell'ammissibilità delle leggi-provvedimento, delle fonti comunitarie,
degli atti dello Stato con forza di legge.
Si tratta poi delle c.d. fonti secondarie e, in particolare, della delegificazione e
dei regolamenti delegati.
Dopo un approfondimento sulla fonte consuetudinaria, l'ultima parte degli
appunti si concentra sul Diritto regionale.
In particolare si parla dell'autonomia statutaria delle regioni, delle innovazioni
introdotte dalla riforma del Titolo V, dei limiti alla potestà legislativa regionale
(art. 117 cost.) e i rapporti con le leggi statali, ovvero il controllo statale sulle
leggi regionali.
Università: Università degli Studi di Firenze
Facoltà: Giurisprudenza
Esame: Diritto Costituzionale Speciale, a.a. 2008/2009
Titolo del libro: Le fonti del diritto amministrativo
Autore del libro: Federico Sorrentino1. Il tema delle fonti nel diritto amministrativo
Il tema delle fonti è divenuto oggetto privilegiato di studio del diritto costituzionale a causa del suo stretto
collegamento con la formazione della volontà dello Stato.
Nella giuspubblicistica tra l’otto e il novecento si fa strada e si afferma la concezione della legge come
suprema manifestazione di volontà dello Stato, cui poi si riconnette la speciale efficacia, designata con la
ben nota formula della forza di legge.
Forza di legge materiale per identificare il vincolo obbligatorio che essa genera a carico dei sudditi, forza di
legge formale per identificare la posizione dell’atto legislativo in un sistema gerarchico delle fonti.
In un sistema concepito come monocentrico, l’introduzione dell’idea della Costituzione come suprema
decisione sull’assetto politico dello Stato non alterava sostanzialmente la costruzione gerarchica delle fonti,
ma la creazione, nel secondo dopoguerra, di sistemi costituzionali policentrici, insieme con la garanzia
giurisdizionale della costituzionalità delle leggi e del rispetto delle competenze (legislative e non)
costituzionalmente affidate ad enti e a soggetti diversi dallo Stato, hanno finito con l’incrinare la solidità e la
linearità della sistemazione tradizionale delle fonti.
Tuttavia il tema delle fonti continua a muovere dalla medesima premessa culturale: essere le fonti diretta
emanazione dello Stato.
Però, negli ultimi anni, per l’effetto di spinte disgregatrici nazionali ed internazionali, è venuto meno il
modello stesso dello Stato come ordinamento politico, esclusivo o dominante, di una collettività stanziata in
un determinato territorio, ed si è determinata insieme la crisi dello Stato e la crisi delle fonti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 2. La crisi del modello tradizionale di fonte del diritto
La crisi di tale modello si svolge attraverso tappe autonome.
In ordine storico viene subito in considerazione, come già accennato, il passaggio da un sistema a
Costituzione flessibile ad uno a Costituzione rigida, garantita da un efficiente controllo giurisdizionale della
costituzionalità delle leggi.
La rivoluzione culturale diventa allora una rivoluzione copernicana: la legge cessa di essere il centro
dell’universo delle fonti, ma rappresenta una delle stelle di una complessa costellazione che ha il suo centro
motore nella nuova carta costituzionale.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 3. La crisi delle fonti del diritto nazionali
Un secondo fattore di crisi è dato dall’irrompere nell’ordinamento interno delle fonti comunitarie.
Tra gli aspetti fondamentali di questo fenomeno, in primo luogo, l’introduzione stessa di tali fonti, non
prevista esplicitamente dalla Costituzione, attraverso un atto di legislazione ordinaria che infrange il
monopolio costituzionale delle disciplina delle fonti primarie; in secondo luogo, l’affermazione, prima della
parità, ma poi della superiorità delle fonti comunitarie su quelle interne anche di grado costituzionale; infine,
la sottrazione al giudice costituzionale non solo del giudizio sulla costituzionalità delle fonti comunitarie, ma
anche della cognizione del rapporto tra queste e le fonti interne, e la sua devoluzione al giudice comunitario
(interpretazione pregiudiziale).
L’elaborazione da parte della Corte di Giustizia di principi costituzionali comuni, insieme con la parallela
formazione di analoghi principi da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo e, ora, all’idea, che ispira
il progetto di una Costituzione per l’Europa, volto alla redazione di una vera e propria carta costituzionale
dell’UE, è manifesta espressione, per un verso, del graduale formarsi di un tessuto costituzionale europeo e,
per altro verso, dell’inarrestabile tendenza al ridimensionamento del ruolo delle fonti nazionali.
Le conseguenze di quanto detto stanno non soltanto nella rilevanza che hanno ormai assunto le fonti
comunitarie, ma nella coesistenza, nel medesimo ambito territoriale e personale, di due diversi ordinamenti.
Questa circostanza può determinare e determina tensioni ed antinomie fra i due ordinamenti.
In particolare deve essere qui sottolineato che, attraverso la soluzione delle “questioni pregiudiziali”, alla
Corte comunitaria è stato possibile introdurre nei circuiti nazionali i valori costituzionali che essa andava via
via elaborando.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 4. La crisi delle fonti del diritto statuali
Un’altra ragione di crisi dell’impostazione tradizionale delle fonti del diritto è la frammentazione e la
distribuzione del pubblico potere secondo regole e schemi, non solo non previsti dalle norme costituzionali
di organizzazione, ma anche ad esse del tutto estranei, come nei casi delle amministrazioni internazionali, di
associazioni internazionali di carattere professionale e della globalizzazione dei mercati.
A tale distribuzione corrisponde la creazione di centri di produzione normativa non previsti ed estranei al
testo costituzionale e tuttavia efficaci e suscettibili di condizionare il comportamento di soggetti pubblici e
privati.
La lex mercatoria finisce, anche se per il tramite dei contratti che la richiamano e in forza dei lodi arbitrali
che la applicano, con l’essere riconosciuta nell’ambito interno, quasi come una fonte autonoma proveniente
da un ordinamento separato.
La disciplina della moneta, il governo dell’economia, la regolazione del mercato dei beni e dei capitali
sfuggono sempre più alle istituzioni nazionali.
Questi fenomeni rischiano di produrre, insieme con la crisi dello Stato quale strumento di composizione e di
sintesi delle diverse esigenze e tensioni che caratterizzano qualsiasi struttura sociale, anche la crisi dei
procedimenti di formazione del diritto.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 5. La crisi della legge come atto autonomo
Nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale si è alterata la stessa funzione della legge.
All’idea della legge generale ed astratta, canone universale di comportamento, si è venuta affiancando l’idea
della legge come mezzo per l’eliminazione delle disuguaglianze economico-sociali, per la redistribuzione
delle risorse, per l’attuazione della politica economica del governo, ecc…, con la conseguenza della sua
frammentazione in leggi di settore, leggi speciali, eccezionali, temporanee, interpretative, ecc… e le
discusse leggi-provvedimento.
Fenomeno, questo, che mostra un’evidente tendenza alla “amministrativizzazione” della legge, ed alla
dissoluzione dei contenuti tipici (generalità ed astrattezza) dell’atto normativo.
Ne discende, conseguentemente, la confusione della politica con l’amministrazione, dalla quale non
traggono giovamento né l’una né l’altra.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 6. Crisi delle fonti del diritto e la crisi delle istituzioni
La perdita di credibilità, e quindi di legittimazione, dei principali partiti politici sul cui “patto” era fondata la
c.d. Costituzione materiale, dal 1948 in poi ha condotto, per un verso, all’abbandono del sistema elettorale
proporzionale e, per altro verso, ad una rilettura della rappresentanza politica.
Ed è proprio questa crisi a mettere in discussione, insieme con la capacità rappresentativa delle istituzioni, la
natura stessa delle leggi del Parlamento come espressione della volontà popolare, che ne giustifica il
carattere primario.
Da un lato, invero, si è assistito ad un’enorme proliferazione di richieste di referendum abrogativo, dall’altro
si è sviluppato un fenomeno di massiccia espropriazione da parte del Governo della potestà legislativa
spettante al Parlamento soprattutto attraverso l’impiego, al di là dei “casi di straordinaria necessità e di
urgenza”, dello strumento del decreto-legge.
Ma anche sul terreno della potestà legislativa delegata, l’erosione a vantaggio dell’esecutivo dei poteri
legislativi del Parlamento appare evidente.
Basti pensare alla sufficienza delle delimitazioni contenutistiche della legge di delegazione sia in termini di
“oggetti definiti” che di “principi e criteri direttivi”.
Ma ancor più deve riflettersi sulla ritenuta ammissibilità delle c.d. deleghe bifasiche, nelle quali, fermi
restando i criteri direttivi nonché i limiti di materia, è stato concesso al Governo di intervenire
ripetutamente, integrando, modificando e correggendo i propri decreti legislativi appena emanati.
Con siffatte deleghe il Governo è stato investito di un potere legislativo primario continuo, ancorché a
termine.
Infine la crisi della legge si manifesta nel fenomeno, che largamente si è diffuso negli ultimi anni, della
delegificazione.
E’ ben vero che lo scopo di tale genere di operazione è quello nobile di alleggerire l’ordinamento dalla
sovrabbondanza di “leggine” settoriali e di modesto significato politico per restituire alla legge il suo
originario ruolo di fonte primaria, ma è altresì vero che, per come è stato attuato, il fenomeno delle
delegificazione ha superato i confini finendo con l’investire scelte di fondo della legislazione amministrativa
e materie o porzioni di materie che, secondo la Costituzione, dovrebbero essere riservate alla legge.
Si ha, insomma, l’impressione che la delegificazione sia divenuta, più che uno strumento di semplificazione
legislativa, un mezzo per aggirare, da parte di Governi insicuri della loro maggioranza, gli scogli della
discussione parlamentare.
Ne è conferma evidente la prassi degli ultimi anni, che ha visto il legislatore sempre più nettamente
discostarsi dal modello di delegificazione, addirittura attribuendo al Governo, in sede di normazione
regolamentare, il potere di abrogare disposizioni legislative previgenti.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 7. Crisi delle fonti e consuetudine costituzionale
I rilevanti profili di crisi, che coinvolgono il tema delle fonti, se ne rendono difficile lo studio non debbono
tuttavia impedirne la comprensione scientifica.
Quello della consuetudine è certamente un terreno instabile.
Il riferimento ad essa, valido nel lungo periodo, può, nel breve, essere elemento di incertezza, allorché ci si
debba, come qui si dovrà fare, interrogare sulla vitalità delle regole che disciplinano i modi di produzione
del diritto.
Se però il richiamo alla consuetudine non è esclusivo, ma viene strumentalmente utilizzato per la verifica
degli altri dati obiettivamente emergenti dallo studio delle fonti, allora la ricerca che qui viene intrapresa
potrà proporre conclusioni attendibili.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 8. La natura costituzionale delle norme sulle fonti
La natura costituzionale delle norme sulle fonti è oggi comunemente acquisita.
In qualunque delle accezioni, infatti, in cui il termine Costituzione venga impiegato è certo che esso
direttamente o indirettamente include la disciplina dei modi di formazione del diritto.
Nell’attuale Costituzione italiana la disciplina delle fonti è ben definita, per lo meno relativamente a quelle
che si sogliono definire primarie, delle quali vengono stabiliti sia il procedimento di formazione sia i limiti
di validità; i rapporti tra di loro e con le fonti secondarie.
Viceversa mancava nel testo originario della Costituzione una vera e propria disciplina delle fonti
subordinate alla legge, essendo soltanto menzionata quella riguardante l’emanazione dei regolamenti
governativi, ed essendo solo alle regioni attribuita una potestà regolamentare.
In conclusione, mentre sul terreno teorico-generale la natura costituzionale delle fonti si ricollega all’idea
stessa di Costituzione, nell’esperienza concreta non sempre le costituzioni si preoccupano di disciplinare
compiutamente la materia, spesso limitandosi, come nel caso di quella italiana, ad una disciplina delle fonti
primarie e a pochi cenni su quelle secondarie.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 9. Le norme sull’interpretazione
Natura sostanzialmente costituzionale deve essere riconosciuta anche alle norme sull’interpretazione del
diritto, sebbene esse, nel nostro come in altri sistemi, siano espresse in apertura del codice civile.
Siffatte regole, infatti, non riguardano soltanto la fase della legis executio, contrapposta a quella della legis
latio delle norme sulla produzione, ma concernono anche il momento della normazione, nella misura in cui
attengono all’efficacia delle fonti nell’ordinamento.
Ad esempio: dire che la legge non dispone che per l’avvenire (art. 11 disp. prel. c.c.) costituisce, per un
verso, una direttiva per l’interprete e, per un altro verso, un limite per il legislatore.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 10. La rilevanza delle norme giuridiche interne
Se, come si è sin qui sostenuto, la disciplina delle fonti è materia costituzionale, indipendentemente dai
settori che esse siano chiamate a regolare, lo studio delle fonti del diritto amministrativo non differisce dallo
studio in generale delle fonti del diritto; salva la particolare attenzione a quelle che disciplinano
l’organizzazione e l’azione amministrativa ed a quelle che sogliono definirsi le norme interne.
Questa categoria era frutto di una cultura costituzionale che non riusciva a far penetrare nella totalità
dell’ordinamento il principio di legalità, onde opponeva alla sua affermazione in rilevanti settori
dell’ordinamento vuoi la teoria dei rapporti di soggezione speciale vuoi la teoria degli ordinamenti interni.
Rispetto a tali teorie, quella della norma interna rappresentava l’affermazione di una legalità
dell’organizzazione amministrativa diversa e talvolta contrapposta a quella generale.
Nel momento però in cui il principio di legalità si espande e si propaga in tutto l’ordinamento, la sorte della
teoria delle norme interne è inevitabilmente segnata: o la norma interna viene ricondotta alle fonti
dell’ordinamento generale, ed allora essa acquista rilevanza esterna alla stessa stregua delle altre norme,
ovvero la sua esistenza appartiene all’area del non giuridico.
Nel nostro sistema la vicenda delle norme interne della pubblica amministrazione ed in particolare quella
della rilevanza delle circolari e delle istruzioni segue la prima delle due strade; sì che la loro violazione
determina l’invalidità degli atti dell’amministrazione (poco importando se tale invalidità venga qualificata
come “violazione di legge” o come “eccesso di potere”).
La vicenda delle norme interne del Parlamento, invece, segue tutt’altro percorso.
I regolamenti parlamentari stentano ad uscire dal recinto delle norme interne.
Il carattere separato dell’ordinamento parlamentare non è stato mai, almeno esplicitamente, ammesso dalla
Corte costituzionale; tuttavia essa si è sempre preoccupata di assicurare alle camere ampi spazi
nell’interpretazione delle norme regolamentari, giungendo a sostenere l’idoneità del “diritto parlamentare” a
dare “esaustiva qualificazione” ai comportamenti dei membri delle camere, sì da impedire qualificazioni
legislative diverse e, soprattutto, escludere un “sindacato esterno da parte dell’autorità giudiziaria”.
E’ certo che questa soluzione tende a restituire al diritto parlamentare e alle sue fonti quel carattere di norma
interna, impermeabile ed insensibile al principio di legalità, che la dottrina aveva ritenuto appartenere al
passato ordinamento.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 11. La rilevanza delle fonti del diritto comunitarie
Posta la natura costituzionale della norme sulle fonti e ricordato che la Costituzione italiana reca una
disciplina tendenzialmente esaustiva delle fonti primarie, va anche detto che, in conseguenza del vasto e
incisivo processo d’integrazione europea, la stessa disciplina delle fonti ne risulta profondamente
influenzata, se non altro perché quelle comunitarie, pur collocandosi tra le fonti primarie, non risultano
previste, per lo meno in modo esplicito, dal testo costituzionale.
Ciò ha indotto le diverse istanze degli Stati membri, inizialmente, a tentare una giustificazione costituzionale
di un fenomeno che incrina seriamente il monopolio statale della produzione normativa, derogando alle
regole costituzionali in materia.
In un secondo momento si pose il problema dell’inquadramento delle fonti comunitarie nei sistemi nazionali
e quello, conseguente, dei rapporti tra le fonti comunitarie e quelle interne.
Infine, a mano a mano che le fonti comunitarie manifestavano la loro superiorità su quelle nazionali, si pose
il problema dell’individuazione dei limiti all’ingresso delle fonti comunitarie in riferimento ai valori
costituzionali supremi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 12. Gerarchia, competenza e concorrenza tra le fonti del diritto
Nelle esperienze costituzionali, caratterizzate da un accentuato pluralismo istituzionale e nelle quali alla
rigidità costituzionale si affianca un’efficace garanzia del rispetto della Costituzione, il sistema delle fonti
tende a farsi complesso.
Le relazioni tra gli atti abilitati a produrre diritto non sono in tali ordinamenti riconducibili al (solo) criterio
della “gerarchia”.
Accanto a tale criterio, infatti, si colloca il principio di “competenza”, per cui viene assicurato a determinate
fonti un ambito più o meno rigorosamente definito nel quale operare, senza che altre possano in esso
interferire, e quello, per così dire residuale, della “concorrenza”, per cui fonti di diversa specie, dotate in
tutto o in parte della medesima competenza, possono liberamente intervenire nella disciplina della medesima
materia.
La Costituzione pone se stessa al vertice delle fonti, stabilendo così una relazione gerarchica con le fonti
costituite: ciò non di meno essa abilità “le leggi di revisione e le altre leggi costituzionali” a modificare
stabilmente o a derogare puntualmente alle sue disposizioni.
Quella tra la Costituzione e le leggi costituzionali (incluse quelle di revisione) sembra dunque essere una
relazione di concorrenza.
E’ però pacifico che esistono disposizioni e principi ricavati dalla Costituzione insuscettibili di revisione
costituzionale (la forma repubblicana, i principi supremi) che instaurano un rapporto di gerarchia tra le
disposizioni della Costituzione, che esprimono il limite alla revisione, e le leggi costituzionali.
Così pure è pacifico che le leggi costituzionali sono gerarchicamente sopraordinate alle leggi ordinarie;
tuttavia esistono ipotesi in cui queste possono modificare anche stabilmente disposizioni di quelle.
D’altro canto lo stesso fenomeno dei regolamenti delegati, per come si è venuto sviluppando negli ultimi
tempi, ha evidenziato, accanto ad un rapporto di gerarchia tra la legge ed il regolamento, un rapporto di
competenza tra le due fonti.
Inoltre, se è vero che il rapporto tra legge statale e legge regionale può, soprattutto nell’assetto determinato
dalla recente revisione del Titolo V, agevolmente ricostruirsi in termini di separazione di competenza, è
altresì vero che la subordinazione delle leggi regionali ai principi fondamentali delle materie oggetto di
potestà legislativa concorrente pone alla luce un elemento di gerarchia che si sovrappone a quello della
competenza.
Infine, quanto ai rapporti tra fonti comunitarie e fonti interne, secondo la prima giurisprudenza della Corte
costituzionale retti dal principio di competenza, con il primo comma del nuovo art. 117 cost. si tende ad
affermare un’incondizionata supremazia delle fonti comunitarie, con il solo limite, di difficile
configurazione, dei principi supremi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 13. Principio di gerarchia tra le fonti: la riserva di legge
Oltre a quelli generalissimi ora indicati, la Costituzione esprime principi collocati all’interno del principio di
gerarchia e attinenti ai rapporti tra le fonti primarie e quelle secondarie.
Il primo è rappresentato dalla riserva di legge.
Quest’istituto non ha carattere generale, ma si ricollega alle numerose disposizioni costituzionali che lo
prevedono, allo scopo di delimitare, negli oggetti considerati, la potestà normativa secondaria nei confronti
di quella primaria.
Esso comporta, per un verso, il divieto per le fonti regolamentari di intervenire nella disciplina degli oggetti
riservati (aspetto negativo) e, per altro verso, la necessità che il legislatore disciplini compiutamente questi
oggetti, in modo da limitare gli ambiti di discrezionalità delle autorità preposte all’applicazione della legge
(aspetto positivo).
Da un lato la riserva di legge, nella misura in cui richiede l’intervento legislativo, esprime l’esigenza che al
procedimento di elaborazione della disciplina delle materie riservate possano partecipare le opposizioni.
Da un altro lato, poi, la necessità dell’atto legislativo può assumere il significato di assoggettare quella
disciplina al controllo di legittimità della Corte costituzionale e a referendum abrogativo.
La distinzione tra riserve relative e riserve assolute tende a mettere in luce il maggiore o minore ambito che
può essere lasciato dal legislatore, all’interno delle materie riservate, alle fonti secondarie ed in genere alle
scelte discrezionali dell’esecutivo.
Relativa è considerata la riserva dell’art. 97 cost. per l’organizzazione dei pubblici uffici, non escludendo
questa disposizione interventi normativi di attuazione e di esecuzione delle leggi che definiscono, nelle linee
fondamentali, la materia.
Al contrario assoluta, e perciò preclusiva di qualsiasi intervento di fonti subordinate che non siano di mera
esecuzione della legge, è considerata la riserva dell’art. 13 cost. sulla determinazione dei casi e dei modi di
limitazione della libertà personale.
Il fondamento di questa distinzione è molto incerto, ma sembra poggiare sulla diversa formulazione con cui
la Costituzione prevede una riserva di legge: così sarebbero relative le riserve introdotte con l’espressione
“in base alla legge”, “secondo la legge” o simili, mentre assolute sarebbero quelle introdotte dall’espressione
“nei casi e nei modi previsti dalla legge” o analoghe.
L’assolutezza e la relatività della riserva non sono caratteri strutturali dell’istituto, ma si riferiscono alla
misura più o meno ampia della possibilità di intervento dell’esecutivo (e non del giudiziario, il quale
mantiene ampi poteri discrezionali anche in materie coperte da riserve assolute: ad esempio in ambito
dell’art. 13 cost. il giudice mantiene, nonostante la riserva assoluta, potere discrezionale sulla
commisurazione della pena in virtù dell’art. 133 c.p.) nella materia riservata.
Altra distinzione, che si trova soprattutto nella dottrina, è quella tra riserve rinforzate e riserve semplici, a
seconda che il rinvio alla legge sia o non sia accompagnato da prescrizioni sostanziali circa il contenuto che
essa può assumere.
Ipotesi di riserva rinforzata è quella dell’art. 97 cost. sull’organizzazione dei pubblici uffici, in base al quale
la legge deve assicurare il buon andamento, l’imparzialità, ecc… dell’amministrazione.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 14. La riserva di legge come limite per il legislatore
La riserva di legge, dunque, non solo rappresenta un limite per l’esecutivo, ma, almeno in regime di
costituzione rigida, agisce, sotto due aspetti, come limite per il legislatore:
a. impedisce che il legislatore demandi la disciplina riservata a fonti secondarie;
b. impone che la legge abbia un determinato contenuto, in modo da ridurre e restringere le scelte
discrezionali dell’esecutivo ed in genere dell’autorità chiamata a darne applicazione.
Peraltro, l’istituto in esame, essendo nei suoi due aspetti (positivo e negativo) diretto a richiedere in
determinate materie l’intervento della legge e ad escludere quello degli atti normativi subordinati,
rappresenta anche un criterio di distribuzione della competenza tra le fonti.
Naturalmente la riserva di legge, in quanto discendente da norme costituzionali, potrà essere derogata alle
stesse condizioni in cui tali norme siano derogabili: così, in regime di costituzione flessibile, essa è
suscettibile di essere derogata, sia nel suo aspetto positivo che in quello negativo, da leggi ordinarie che
attribuiscano, in tutto o in parte, la materia alla disciplina di fonti secondarie (di qui la figura, inammissibile
in regimi a costituzione rigida, dei regolamenti c.d. delegati, eccezionalmente abilitati dalla legge a
disciplinare materie riservate); così, in regime di costituzione rigida, soprattutto se garantita, il
rafforzamento dell’aspetto positivo della riserva di legge deriva appunto dalla rigidità costituzionale e non
certo da un diverso atteggiarsi della riserva stessa.
Quale che sia il valore garantistico di una norma che istituisce una riserva di legge, è certo che essa, come
qualsiasi norma di competenza, ha come destinatario il legislatore futuro e non tocca la legittimità di
divergenti discipline anteriori.
Ne consegue che il controllo della Corte costituzionale sulle leggi anteriori alla Costituzione non può
estendersi alla verifica del rispetto delle riserve di legge da questa istituite.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 15. La preferenza della legge
Carattere generale ha, invece, il principio della preferenza della legge, che esprime la superiorità e
l’inderogabilità della legge nei confronti dei regolamenti.
Tale principio non è, invero, esplicitamente formulato dalla Costituzione; tuttavia da alcune disposizioni
costituzionali il principio stesso può agevolmente ricavarsi.
Il principio di preferenza della legge si desume dall’art. 70 cost. e dalle altre disposizioni che disciplinano le
fonti primarie.
Se, come si accennava all’inizio, il sistema delle fonti primarie è “chiuso” a livello costituzionale, nel senso
che, fuori dei casi esplicitamente previsti, la stessa legge non può istituire fonti a sé pariordinate, perché
altrimenti si spoglierebbe di una competenza che l’art. 70 cost. esplicitamente le demanda, allora
l’inderogabilità della legge ad opera di fonti subordinate risulta implicita nel richiamato articolo della
Costituzione: così come non è ammessa l’istituzione di fonti pariordinate alla legge, allo stesso modo non è
ammesso pariordinare alla legge fonti secondarie.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 16. Il principio di legalità
La sua premessa storica e ideologica sta, naturalmente, nella supremazia della legge sull’attività
amministrativa e su quella giurisdizionale.
Legalità, quindi, significa sottoposizione del provvedimento amministrativo e della sentenza alla legge del
Parlamento, della quale costituiscono applicazione (o esecuzione), e comporta, per la sua realizzazione, che
esistano rimedi e/o strumenti idonei a prevenire ed eventualmente reprimere le violazioni.
Il principio di legalità comporta non soltanto l’effettiva subordinazione alla legge dell’attività
amministrativa e di quella giurisdizionale, ma anche, e soprattutto, la necessità che il legislatore intervenga a
stabilire le condizioni nelle quali i diritti dei singoli possono essere incisi da parte della pubblica autorità ed i
limiti procedurali e sostanziali della sua azione (principio di legalità sostanziale).
Che il principio di legalità, in tutti i suoi settori e in tutte le forme in cui si manifesta nell’ordinamento, sia
una garanzia, è appena il caso di sottolinearlo: garanzia dei diritti che la legge riconosce, quando interessa
l’attività amministrativa e quella giurisdizionale; garanzia politica delle minoranze parlamentari, allorché
esso interessi il rapporto tra le fonti ed in particolare tra la legge e gli atti normativi (primari e secondari)
dell’esecutivo.
Non vi è opposizione, ma complementarità tra legalità e preferenza della legge, l’una inibendo autonomi
interventi delle fonti subordinate, l’altra vietando che questi interventi possano sovrapporsi a quelli
legislativi.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 17. Riserva di legge e principio di legalità
Pure la riserva di legge, a ben vedere, è complementare al principio di legalità.
Posto che questo ha carattere tendenzialmente universale, la riserva di legge, anche nei settori in cui sia
concepita come relativa, richiede qualcosa di più della previsione legislativa del potere, pretendendo che il
potere stesso sia “indirizzato” dal legislatore, nel senso che le scelte fondamentali o caratterizzanti di una
certa disciplina siano dal medesimo effettuate.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 18. La pubblicazione degli atti normativi
Il tema della pubblicazione degli atti normativi interessa, per un verso, la loro efficacia e, per l’altro, la loro
conoscibilità da parte degli operatori giuridici.
E’ infatti con la pubblicazione, normalmente dopo il decorso di un breve termine di vacatio (15 giorni), che
l’atto normativo entra in vigore, ed è parimenti con la pubblicazione che l’atto diventa conoscibile, sì da
potersene pretendere l’osservanza da parte dei consociati (sotto questo profilo esso acquista, nei loro
confronti, l’obbligatorietà).
La pubblicazione degli atti normativi può avere, oltre a quelle indicate, diverse funzioni.
Ad esempio, dalla pubblicazione del decreto-legge inizia a decorrere il termine per la sua conversione, dalla
pubblicazione delle leggi e degli atti con forza di legge dello Stato e delle regioni inizia a decorrere il
termine per la loro impugnazione dinanzi alla Corte costituzionale, infine dalla pubblicazione della sentenza
della Corte costituzionale che dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma legislativa discende la sua
perdita di efficacia.
La pubblicazione cui si riferiscono le norme costituzionali ed ordinarie è una pubblicazione dalla quale
deriva la conoscenza legale dell’atto, necessaria a fargli acquisire l’efficacia sua propria.
Stefano Civitelli Sezione Appunti
Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 19. Vicende dell’atto normativo e vicende delle norme
Ciò che caratterizza l’efficacia dell’atto normativo rispetto a quella degli altri atti giuridici, è il suo carattere
permanente o stabile, nel senso che le disposizioni in esso contenute, nella loro generalità ed astrattezza, non
solo si dirigono a destinatari indeterminati, ma aspirano a permanere durevolmente nell’ordinamento.
In altre parole l’atto normativo non si esaurisce con la sua emanazione, ma immette nell’ordinamento,
attraverso le disposizioni che lo compongono, norme destinate a distaccarsi dalla volontà del loro autore per
entrare a formare, insieme con le altre che già ne fanno parte, il sistema normativo.
Si parla, a tal proposito, di atto istantaneo con effetti permanenti.
La distinzione tra l’atto normativo e le norme che esso produce, istantaneo l’uno permanenti le altre,
consente di scindere i profili attinenti alla validità dell’uno da quelli concernenti la validità delle altre: i
primi riguardano il procedimento di formazione dell’atto, gli altri il suo contenuto dispositivo.
Pertanto i vizi dell’atto ne provocano l’invalidità totale, determinandone, alle condizioni previste per ciascun
tipo, la caducazione con tutte le norme da esso prodotte; mentre i vizi della o delle norme determinano
l’invalidità e l’eventuale caducazione delle sole norme che ne siano inficiate.
Le vicende delle norme si collocano sul piano dell’interpretazione del diritto da parte degli operatori in
occasione della loro applicazione: esse, pertanto, risentono non solo dell’inevitabile soggettività degli
interpreti, ma della presenza nell’ordinamento di altre norme, di diverso grado ed importanza e di principi
generali con i quali essa fanno (o devono fare) sistema.
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Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 20. Le antinomie normative e i criteri per la loro risoluzione:
criterio interpretativo
La presenza nell’ambito di uno stesso ordinamento di una pluralità di fonti e la possibilità che ciascuna di
esse operi ripetutamente in tempi diversi può determinare l’insorgere di antinomie normative.
Da qui la necessità per ogni ordinamento di dettare all’interprete ed in genere all’applicatore del diritto
criteri atti a risolvere le antinomie che possono riscontrarsi:
Criterio interpretativo: si tratta di dare coerenza sistematica alle diverse disposizioni e ai diversi fatti
normativi presenti nell’ordinamento, attribuendo loro un significato logico e coerente in modo da rendere
compatibili disposizioni che a una prima lettura potrebbero apparire in contrasto (ad esempio, attraverso il
tradizionale criterio della specialità, ovvero attraverso interpretazioni estensive o restrittive, ecc…).
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Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 21. Le antinomie normative e i criteri per la loro risoluzione:
criterio cronologico
Si dà rilievo al momento cronologico, che l’art. 15 prel. ricollega alla dichiarazione espressa del legislatore,
all’oggettiva incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti, e, infine, all’intervento di una nuova
disciplina dell’intera materia.
In tutti e tre i casi si realizza un’incompatibilità o, se si vuole, un’antinomia tra vecchie e nuove
disposizioni; e in tutti e tre i casi la rilevazione dell’effetto abrogativo presuppone l’interpretazione delle
disposizioni abroganti e di quelle abrogate: essa si svolge quindi a livello dei risultati interpretativi delle une
e delle altre, con la conseguenza (in cui consiste appunto l’effetto abrogativo) di delimitare
cronologicamente l’applicabilità delle norme abrogate ai fatti venuti in essere prima dell’entrata in vigore di
quelle abrogative.
Questa conclusione consente di concepire l’abrogazione, sul piano interpretativo, come un mezzo per la
risoluzione delle antinomie e, sul piano normativo, come un aspetto dell’attività normativa, la quale, nella
misura in cui non è condizionata o limitata dalle sue precedenti manifestazioni, ben può modificarle e
delimitarne cronologicamente l’applicazione.
Da ciò infine consegue che, per aversi valida abrogazione, occorre che la fonte che interviene
successivamente sia non semplicemente di pari grado, la più specificatamente competente a disciplinare gli
oggetti disciplinati dalle disposizioni abrogate.
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Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 22. Le antinomie normative e i criteri per la loro risoluzione:
criterio di validità
Consiste nell’esprimere un giudizio di validità-invalidità delle norme (o degli atti che le producono).
Esso opera quando l’interprete non sia riuscito a comporre in via interpretativa il contrasto rilevato tra due
disposizioni e non ricorrano gli estremi dell’abrogazione.
Così, nei sistemi a controllo diffuso, qualunque operatore potrà disapplicare, a vantaggio di quella valida, la
norma che ritiene invalida; mentre nei sistemi a controllo accentrato, la disapplicazione di questa potrà
avvenire solo dopo una pronuncia dell’organo o del soggetto titolare in via esclusiva del potere di controllo.
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Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 23. Le antinomie normative e i criteri per la loro risoluzione:
criterio comunitario
Riguarda specificamente i contrasti tra diritto comunitario e diritto interno.
La Corte costituzionale, argomentando dall’art. 11 cost. insieme la legittimità degli impegni comunitari e
l’attribuzione alle fonti comunitarie di una riserva di competenza costituzionalmente protetta, deduceva dal
contrasto delle leggi italiane con i trattati istitutivi delle Comunità europee e con i regolamenti comunitari,
l’incostituzionalità delle leggi per contrasto mediato con l’art. 11 cost.
Sennonché, a seguito della presa di posizione della Corte di Giustizia delle Comunità europee, che ha
sottolineato come inerisca strettamente alla diretta applicabilità dei regolamenti comunitari l’obbligo per il
giudice nazionale, chiamato a dar loro applicazione, di disapplicare le norme legislative interne contrastanti,
la Corte costituzionale ha concluso nel senso che i conflitti fra norme comunitarie direttamente applicabili e
norme interne devono essere risolti dal giudice comune, applicando le prime e disapplicando le seconde.
Questa scelta, però, a ben vedere, pur collocandosi sul piano dell’interpretazione e dell’applicazione del
diritto, anziché su quello proprio del giudizio di validità delle norme, altro non rappresenta che una sorta di
sindacato diffuso sulla compatibilità del diritto interno con il diritto comunitario non dissimile a quello
svolto dal giudice nordamericano sulla costituzionalità delle leggi.
La Corte ha finito con l’appoggiare questa soluzione, non all’art. 11 cost. (che comporterebbe
l’incostituzionalità delle leggi anticomunitarie), ma direttamente alle disposizioni dei trattati che stabiliscono
la diretta applicabilità delle norme comunitarie.
Il nuovo testo dell’art. 117 cost., che sottopone l’esercizio della potestà legislativa statale e regionale ai
“vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, ha finito col convalidare il punto di arrivo della
giurisprudenza della Corte, confermandolo e offrendogli un nuovo e specifico fondamento costituzionale.
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Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale 24. L’estinzione delle norme giuridiche
Gli strumenti ora delineati per la composizione delle antinomie, pur riguardando vicende che attengono
all’interpretazione e all’applicazione delle norme, presuppongono, a loro volta, fattori normativi che
determinano la creazione, la modificazione e l’estinzione delle norme giuridiche e che quindi interessano la
loro stessa “esistenza”.
Tuttavia solo in due ipotesi sembra che la vicenda relativa all’esistenza della norma giuridica possieda una
sua indiscutibile oggettività, parlandosi addirittura della sua estinzione:
a. quando essa sia oggetto di un’abrogazione esplicita o a seguito di referendum;
b. quando essa sia, direttamente o attraverso l’atto normativo che l’ha prodotta, colpita da un giudizio di
illegittimità che ne determina l’annullamento, o comunque da una pronuncia giurisdizionale, cui segua il
divieto di darle applicazione.
Nella prima l’abrogazione espressa o il referendum concretano vicende che incidono sull’esistenza della
norma, ma nel limitato senso di impedire che essa riceva applicazione ai rapporti successivi; mentre nella
seconda, l’annullamento e l’inapplicabilità della norma ne determinano sicuramente l’estinzione, in quanto
le impediscono ogni applicazione anche con riferimento ai rapporti pregressi.
Soltanto in quest’ultimo caso è dunque coretto parlare di estinzione della norma giuridica, in quanto nel
precedente si è soltanto in presenza della delimitazione cronologica della sua applicabilità.
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Diritto amministrativo: fonti primarie, secondarie e diritto regionale