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L’abuso e la reiterazione del decreto-legge


La prassi registra sino a tutto il 1996 una crescita letteralmente esponenziale del numero dei decreti-legge, sino a superare, nei primi anni ’90, quello delle leggi approvate dal Parlamento.
E’ certo che esso era conseguenza di un disagio politico e di una instabilità governativa, che non consentivano ai diversi governi di disporre in Parlamento di maggioranze sicure ed affidabili.
Alcune pronunce della Corte costituzionale, insieme con una maggiore stabilità governativa conseguita a partire dalla XIII legislatura, hanno però largamente arginato tale fenomeno (dirottando su altri strumenti normativi, quali il decreto legislativo e il regolamento di delegificazione, l’attività “legislativa” del Governo).
Le conclusioni alle quali la giurisprudenza della Corte costituzionale consente di pervenire possono brevemente riassumersi così:
a. quale che debba essere la ricostruzione teorica circa il fondamento del decreto-legge, l’abuso di tale strumento normativo, impiegato fuori dei presupposti di necessità e di urgenza, è sindacabile da parte della Corte costituzionale (come vizio in procedendo);
b. la legge di conversione pur se configurata come esercizio della normale potestà legislativa delle Camere, soggiace ai limiti dell’art. 77 cost., onde il vizio del decreto-legge emanato fuori dei casi di necessità e di urgenza si trasmette alla legge di conversione (non, però, quello della reiterazione, che, secondo la Corte, colpisce il solo decreto reiterativi ed è sanato dalla conversione);
c. il carattere provvisorio del decreto-legge comporta che, in caso di mancata conversione, successivi decreti, basati sui medesimi presupposti giustificativi, non possono prolungarne nel tempo le disposizioni.

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