La rottura del modello di delegificazione prefigurato nella l. 400/88
La circostanza che alla l. 400/88 non possa essere ascritto un valore superiore a quello della legge ordinaria ha fatto sì che il legislatore successivo, dopo un uso piuttosto cauto dello strumento della delegificazione, vi abbia fatto ricorso in misura sempre crescente, di volta in volta derogando ai criteri e alle garanzie fissate con tale legge.
In particolare, ha cominciato a fare difetto nelle disposizioni di delegificazione la fissazione delle norme generali regolatrici della materia e conseguentemente l’individuazione delle norme soggette ad abrogazione, essendo quelle per lo più sostituite dall’indicazione di principi e criteri direttivi per l’esercizio de potere regolamentare (tecnica non dissimile da quella della delegazione legislativa).
La differenza tra la predisposizione delle norme generali regolatrici della materia e l’indicazione di principi e criteri direttivi si percepisce sol che si rifletta che la prima realizza già una disciplina, ancorché parziale, della materia, mentre la seconda attiene ai rapporti interistituzionali tra Parlamento e Governo, circoscrivendo e delimitando il potere normativo del secondo.
L’alterazione del modello previsto dalla l. 400/88 non consente quindi, in tutti i casi in cui non sia agevolmente ricavabile dalla legge abilitante delle norme soggette ad abrogazione, di ricorrere all’idea dell’abrogazione condizionata, per la cui utilizzazione è necessario ricondurre alla legge l’abrogazione stessa; mentre è evidente che, ove sia consentito alla fonte regolamentare di individuare essa stessa le norme da abrogarsi, l’effetto abrogativo andrà ricondotto alla medesima.
Ma l’assimilazione sostanziale tra l’attribuzione del potere regolamentare e la delegificazione legislativa non può offuscarne le profonde differenze giuridico-costituzionali.
La delegazione legislativa comporta, infatti, l’attribuzione di un potere normativo primario che la Costituzione vuole per questa ragione circondato dai limiti sostanziali e temporali indicati nell’art. 76 cost.
L’attribuzione all’esecutivo di potestà regolamentare non è subordinata alle medesime condizioni: proprio perché si tratta di un potere normativo secondario (come tale sottoposto ai limiti generali prima visti: principio di legalità, riserva di legge e preferenza della legge) la Costituzione consente che esso venga conferito in modo permanente anche attraverso leggi approvate con il procedimento decentrato e persino con atti con forza di legge.
Si finisce col conferire al Governo, talvolta anche a mezzo di atto non idoneo (legge approvata in commissione o decreto legislativo), un potere normativo nelle sue dimensioni oggettive analogo a quello conferibile in base a delegazione legislativa.
Ciò determina una profonda modificazione sia del sistema delle fonti, per il venir meno della distinzione tra fonti primarie e fonti secondarie, sia della stessa forma di governo tracciata dalla Costituzione, per l’abnorme incremento del ruolo dell’esecutivo nella produzione legislativa.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto Costituzionale Speciale, a.a. 2008/2009
- Titolo del libro: Le fonti del diritto amministrativo
- Autore del libro: Federico Sorrentino
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